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Autore: ImAFeather    12/12/2013    6 recensioni
[...]E gli occhi parlano più di mille parole dette, sussurrate o urlate; più di mille gesti fatti, gettati o pensati; perché sono occhi, fanno parte dell’uomo, ma non sono controllati da questo… sono come i diamanti scalfiti, solo, da loro simili.
E Beth sapeva che con gli occhi non si può mentire, non si può ferire; ma sapeva, anche, che con gli occhi si può amare, si può morie.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva che ciò che fa innamorare il mondo sono le parole, dolci suoni che compongono eterne melodie.
E sapeva anche che... quelle parole... pronunciate dalle sue labbra... erano state il colpo mortale.
E allora Beth disse addio a quell'ultima scheggia di cuore che le era rimasta; perchè adesso lo sapeva che era completamente, e irrimediabilmente, suo.
| Alec è un musicista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
| Beth è un'artista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
N.d.a. Non è la solita storia d'amore se d'amore vogliamo parlare!
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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»Chapter 12

 

One life, two roads As Ink On Paper

 

 

Il tanto desiderato giorno era arrivato.
Ormai le valigie erano pronte da un po’ e contenevano il minimo indispensabile.
Qualche vestito. Matite. Pastelli. Pennelli. Pittura. Schizzi. Fogli. Obiettivi. CD.
Tutto ciò senza cui Beth Smith non avrebbe potuto vivere.
Beth era agitata ed emozionata.
Avrebbe fatto questo viaggio, e lo avrebbe fatto da sola.
Beth era nervosa e spaventata.

Hannah ed Ed avevano dormito da lei quella sera, non si sarebbero visti per due settimane e già sentivano la mancanza uno dell'altro.
James l'aveva salutata la sera prima davanti ad un caffè.
Patrick dormiva ancora, d'altronde erano solo le 6.00 di una fredda mattina di lunedì.
Jane era ansiosa, non aveva mai passato tanto tempo senza la sua piccina.


Qualche ora più tardi Beth era in stazione.
Una valigia in mano. Un sogno nell’altra. Note nelle orecchie. Il futuro davanti a se.
Il treno per Londra sarebbe partito tra pochi minuti e Beth era pronta. O almeno era quello che credeva.
Andare a Londra era sempre stato il suo sogno.
Anche se la grande città distava a poche ore da Bath, Beth ci era andata solo da piccina e le uniche cose che ricorda sono il sorriso di suo padre e la neve, fredda e bianca.

Il treno era gremito di persone e Beth, seduta nella sua cabina, era felice.
Non solo perché stava ritornando a Londra, ma perché avrebbe incontrato Jessy, un’artista conosciuta in chat, che le avrebbe mostrato la scuola dove Beth sognava di entrare da una vita.


Ciò che si dice di Londra, è sostanzialmente vero… fredda, nuvolosa, caotica, bellissima… ma questi sono gli aggettivi che un qualunque turista dà, perché la guarda con occhi di estraneo e con occhi di tutti, ma Beth no, perché infondo, lei, non ha mai visto le cose così come le vedono gli altri, le ha sempre osservate e ammirate con occhi diversi, con occhi di sognatrice, con occhi di chi il mondo lo vede dietro le sue crepe e non sulla superficie.
E forse, è proprio questo che fa di Beth Smith un’artista.
Il suo essere e non essere, contemporaneamente.
Semplicemente essere se stessa: Beth.
E forse, è proprio questo che rende le opere di Beth opere di un’artista.
Ma Beth non ci crede, perché è quel tipo di persone che se le chiedi ‘ sai disegnare? ’ ti risponde che se la cava, ma non ti dice che ogni volta che impugna anche una semplice matita e la poggia su un foglio, un qualsiasi foglio, il mondo intorno a lei scompare. Non ti dice che quando è immersa in quelle ore di pura arte svanisce, e che la sua testa non c’è più; i suoi occhi non vedono più; le gambe non sono lì, ma in qualsiasi altro luogo; ci sono solo le mani che da sole, spinte da chissà cosa, disegnano. E come inchiostro su carta restano lì impressi tutti i sentimenti, le emozioni, i brividi, i sorrisi, le lacrime che Beth non riesce ad esprimere, che tiene dentro, chiusi con un catenaccio, e che vengono fuori così, non sa neanche lei come ci riescono, ma accade, accade e basta… perché per lei l’arte è questo: attimi che non sono mai stati presenti, ma solo passato o futuro; come quando batti le mani, nel momento in cui pensi di farlo è futuro, nel momento in cui le batti è già accaduto, passato.
E Beth si ritrova a vivere nel presente già passato e quasi futuro.
E si ritrova in un mondo suo dove ci sono Beth, l’arte e la magia: il suo mondo.

Il treno era arrivato: fermata Picadilly Circus.
Beth non ci poteva credere, era arrivata… a Londra.
Cazzo, Londra!
Erano quasi le 12 a.m. e Beth aveva fame, molta fame.
Mancavano pochi minuti all’incontro con Jessy, e Beth si incamminò verso il pub dove avrebbero pranzato.
Da lontano vide una folta capigliatura rossa, e la riconobbe grazie alla foto del profilo in chat. Le andò in contro e sorrisero, così spontaneamente, come quando si incontra un amico di una vita che non si vede da tempo, sorridi, sorridi e basta.
<< oddio, che bello! Non vedevo l’ora di incontrarti! >> le disse euforica Jessy
<< già… anche io >> rispose
<< dai sediamoci, sto morendo di fame! >>
<< ahah a chi lo dici! >>
Le due ragazze si sedettero e ordinarono, nel frattempo parlarono di tutto ciò che non si erano dette in chat; in realtà era proprio come se si conoscessero da una vita, ed era bello. Non facevano altro che ridere e parlare, parlare e ridere, e nel tempo che avanzava, ogni tanto, mangiare.

Quando si incamminarono per le strade della fredda Londra era pomeriggio inoltrato, avevano parlato davvero tanto, ed ora strette nei loro cappotti e con una cioccolata dello Starbucks si dirigevano verso l’appartamento di Jessy, che non era lontano da Picadilly Circus.
Beth avrebbe passato il capodanno lì, a Londra, e non vedeva l’ora.
Jessy era un’artista fantastica e frequentava la ‘Royal accademy of arts’, una delle più prestigiose scuole d’arte di Londra, dove entravano solo 46 pittori l’anno, e Beth vorrebbe tanto essere tra quelli.

Erano passati pochi giorni dal suo arrivo a Londra, e ogni giorno per Beth era una scoperta, una continua scoperta di luoghi da visitare, di foto da scattare, di schizzi, di cibo, di aria e neve… di Londra.

***

 

Era ormai passato molto tempo da quando Alec era andato via da Bath, non ricordava neanche tanto bene il motivo, o forse uno vero non c’era, era solo scappato come gli capita spesso di fare, così per staccare la spina.
Perché nonostante sia un ragazzo forte e combattivo, ogni tanto scappa, come fanno tutti, così senza neanche un motivo, o forse un motivo vero c’è, solo non si ha il coraggio di ammetterlo.
Girare nudo tra quelle quattro mura, che era il suo appartamento, gli era ormai abitudine, eppure in tutto quel circolo vizioso che vi è nell’abitudine non trovava riposo. Le sue giornate scorrevano nella noia, nell’indecisione e in qualsiasi altra cosa, che ora non ricordava; ma c’erano altri momenti in cui era vivo, completamente vivo, come quando suonava, guardava il cielo, o camminava con il freddo fin dentro le ossa, e anche quando aveva una ragazza diversa ogni sera. Ma quest’ultima divenuta abitudine incominciava ad annoiarlo.
Era confuso, e non poco.
Eppure nonostante la sua vita stesse andando avanti a scrivere altre pagine, seppure insulse, c’era qualcosa che lo riportava indietro, e sapeva benissimo cosa, ma in tutti i modi cercava di non pensarci.
Era ormai passato molto tempo, ma quel qualcosa, non riusciva ad abbandonarlo.
Era frustrato, e non poco.
Maledizione, pensò.
Era passato molto tempo, e durante questo tempo aveva scritto molto, il suo diario in pelle, fedele amico, era riempito di parole, melodie, colori che, però, non riuscivano a trasformarsi in musica… mancava qualcosa, e Alec non sapeva cosa.
Ci pensava, giorno e notte, notte e giorno, e in tutte le ore, minuti e secondi che li attraversano, ma nulla; il vuoto.
<< Dannazione >> urlò gettando il diario chissà dove, prendendo il giubbotto in pelle e sbattendo la porta.
L’aria era così gelida, che sembrava rispecchiare ciò che aveva dentro; non sapeva il perché si sentisse così, come se la fiamma dentro di lui si fosse spenta, vuoto.
Una mano tra i capelli e l’altra a mantenere la Malboro tra le labbra.
Cosa mi sta succedendo?
E Alec lo sapeva, lo sapeva benissimo, che era colpa di quel qualcosa, di quel dannatissimo qualcosa, che anche non volendo ammetterlo gli mancava.
Che anche non volendo ammetterlo cercava, ovunque, tra i volti dei passanti, nelle caffetterie, sui ponti, nell’acqua, nella musica.
Ma nonostante quel vuoto, in chissà quale parte dentro se, nel suonare riusciva quasi a riempirlo, perché in quegli istanti era vivo, ma non abbastanza, non così come desiderava esserlo.

 

 

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Ink Droplets

Care lettrici,
eccomi qui con un nuovo capitolo;
ho l’impressione, e spero di sbagliarmi, che nessuno di voi legga mai questo corner, che per me è importante, inoltre ho tardato nello scrivere il capitolo, non solo perché non avevo tempo, ma anche perché non vedo interesse da parte vostra.
Quindi in conclusione, per non allungarmi troppo, vorrei sapere se volete che continui questa storia. Lo volete?
A parte questo, spero che il capitolo vi piaccia.
Xx Fil

   
 
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