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Autore: TheNaiker    12/12/2013    1 recensioni
Hinamizawa, l'estate del 1983 è passata. Ma la felicità sognata da Rika è stata davvero raggiunta? I problemi dei suoi amici sono forse stati risolti, ma la felicità è una gracile piantina per cui bisogna lottare in continuazione, per evitare che essa appassisca. L'arrivo di nuovi personaggi ed eventi e gli effetti di quelli vecchi si intrecciano, in una nuova e difficile avventura.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 57: Endless zero


Ibaraki, 2 Marzo 1984, ore 21:10

Le cinque scatole saltarono in aria all'unisono, esattamente come il loro creatore si augurava, ed un boato immenso si ripercorse sommergendo ogni cosa si trovasse intorno a loro. Un'onda d'urto che si udì anche nelle case adiacenti, facendo sì che tutti si girassero con il capo verso il palazzo da dove era provenuto il botto. Un fulmine così spaventoso da far subito pensare a tutto l'isolato che una terribile tragedia li avesse appena colpiti... Nessuno avrebbe mai potuto sopravvivere ad una bomba tanto potente e devastante. Non importava quanto fosse resistente e ben costruito l'edificio, la quantità di esplosivo era troppa per qualunque costruzione.

Tutto era andato come previsto, concluse il maniaco delle bombe, chiuso nel suo angoletto.

Tuttavia, dovette cambiare rapidamente idea, quando riaprì gli occhi e vide che tutto era rimasto al suo posto, intatto, compreso il ragazzo.

~-~-~-~-~

“C.... C... Che...”

L'uomo non poteva credere a quello che stava vedendo. In lontananza gli era sembrato di udire il boato dell'esplosione, era difficile confonderlo con altri rumori. Però non era successo niente, neanche una crepa nella parete, si era sbagliato? No, non era concepibile una cosa simile, e le mura stavano ancora tremando, ci doveva essere stata l'onda d'urto da qualche parte, quindi... Istintivamente, il pazzo afferrò stretto il telecomando e premette il bottone che doveva attivare la bomba principale. Lo schiacciò più e più volte, senza ottenere alcun risultato.

“Risparmiati almeno l'umiliazione di star lì chinato su quel telecomando” disse Giancarlo, freddo. “Finiresti col spaccarti il dito. Il fatto è che le tue cariche esplosive non possono più saltare in aria, per il semplice motivo che lo hanno già fatto pochi secondi fa, come del resto avevi pianificato tu stesso.”

“Ma... Ma... Questo è impossibile! Come diavolo hai fatto?”

“Phew, il mio cuore è un autentico tamburo.” replicò il ragazzo, ignorando totalmente quello che l'altro aveva appena detto “Sai, prima mi prendevi per i fondelli, dicendo che in questa sala c'era qualcuno che si stava trastullando facendosi beffe dell'altro. Quella metafora del topo e della scatola era crudele, non credi? Però in quel momento avevi preso un granchio colossale, non hai capito chi tra noi due era veramente il bambino che scuoteva la scatola e chi era il topo in trappola...”

“TI HO FATTO UNA DOMANDA, RAZZA DI BASTARDO!” gridò il maniaco “Come hai fatto a mandare a monte il mio piano infallibile?”

“Strano, l'ultima volta che ho controllato non era così infallibile. I nostri altri espedienti erano puri specchietti per le allodole, in realtà noi eravamo abbastanza sicuri che tu li avresti neutralizzati, quello che avevamo constatato durante la Guerra delle Frane e quello che avevi creato qui oggi ci hanno dato la conferma delle tue abilità. Ma la verità è che noi volevamo che le tue bombe funzionassero a dovere... Facciamo un giochino.” Giancarlo inclinò il capo sulla sinistra “Noi avevamo capito come funzionava il tuo sistema di sorveglianza, o meglio, Satoko-chan l'aveva capito. Ed una volta che lo si è analizzato si poteva dedurre che tu sapevi solo che noi ci fossimo intrufolati dentro: avendo solo una foto o due da visionare, non eri in grado di sapere cosa abbiamo fatto davvero, là dentro, visionare tutto il video ti avrebbe portato via troppo tempo. Ora, io ti ho detto che i tuoi marchingegni hanno fatto il loro lavoro perfettamente, che la tua detonazione è proceduta senza intoppi. Perciò, che cosa potrebbe essere successo secondo te?”

“Non ho tempo per questi scherzetti!”

“Prima però mi pareva che ti divertissi a farli con me. OK, chiariamo le cose in fretta... Gli ordigni sono esplosi a loro tempo, grazie al tuo eccellente sistema radio, ma il punto è che essi non erano più al secondo piano. Già, infatti tu, là sopra, avevi solo controllato che i rivestimenti delle bombe fossero integri... Solo che non li potevi aprire, per paura che si azionassero per errore. Hai solo controllato che nessuno li avesse forzati, e noi effettivamente non l'avevamo fatto. Noi non li abbiamo aperti, ma li abbiamo presi e portati via, rimpiazzandoli con delle copie identiche, solo che queste ultime erano piene di cavi che non erano collegati a niente. Così, quando è arrivata l'ora X, le bombe vere erano ben sopra il tetto del palazzo, in una zona dove hanno potuto rilasciare il loro potenziale distruttivo senza fare del male ad anima viva.”

“CHE COSA?”

“Ma come, non hai visto il pallone aerostatico, quello con le insegne pubblicitarie che hanno agganciato al tetto di questo posto? L'hanno ancorato alla ringhiera della piccionaia per sponsorizzare l'apertura di un nuovo centro commerciale, e quindi era lì pronto per noi... Una follia non sfruttarlo. Lo abbiamo tirato giù, abbiamo incollato sopra le cinque scatole di plastica con del nastro adesivo e poi lo abbiamo fatto volare di nuovo. Era tenuto legato al tetto con una corda robusta lunga una trentina di metri, in modo che l'ordigno risultasse abbastanza lontano da divenire inoffensivo ed allo stesso tempo abbastanza vicino da essere comunque attivato dal tuo segnale radio. Satoko-chan può essere tranquillamente paragonata ad un esperto di fama internazionale, lei sapere cosa si poteva toccare e cosa no, ed aveva rimosso le scatole con attenzione. Fatto ciò, le abbiamo riposte dentro la sacca sportiva che Satoko-chan si era portata con sé: in questo modo nessuna telecamera poteva riprendere quello che avevamo realmente in mano, e dopo siamo saliti sul tetto con le scale antincendio. Lì di dispositivi che filmavano non ce n'erano, così abbiamo potuto completare ogni cosa senza preoccuparci di dovere agire nell'ombra. Insomma, tutto al riparo dagli addetti ai lavori, loro credevano che ci dirigessimo alla palestra al terzo piano, e poi loro erano tutti ai piani inferiori, usando le scale antincendio non ci avrebbe notato nessuno.”

“Ora capisco... La tua amica aveva solo quello zaino con sé, credevo contenesse solo chiavi inglesi e strumenti con cui cercare di rovinare il mio lavoro...”

“Ed era così, almeno nel momento in cui eravamo entrati. Vedi, noi sapevamo perfettamente quale fosse la telecamera del secondo piano di cui avevi preso il controllo, era quella che monitorava gli ingressi al magazzino. Satoko-chan le aveva spente temporaneamente ed esaminate scrupolosamente una ad una, prima di passare all'azione. Un vero peccato però che quell'apparecchio controllasse solo la zona dell'entrata, un peccato per te intendo, così non potevi scoprire quello che avevamo in mente... Tu ti fidavi troppo delle tua capacità, volevi giocare con noi e scoprire da solo tutte le nostre mosse, come se noi ti avessimo proposto un semplice enigma da risolvere solo con il cervello... Che errore, solo un montato come te poteva commetterlo...”

“Non era stato un errore... L'area coperta dalle altre telecamere era troppo vasta e le figure umane in movimento sarebbero state troppo piccole per essere rilevate dal mio sistema automatico, la verità è che devo perfezionarlo... Ma anche così, controllando gli ingressi, pensavo di essere tranquillo... Non potevo star lì a guardare tutto il tempo gli schermi, non puoi biasimarmi per questo... Ma anche così... Ma anche così... Quando ho ricontrollato tutto il sistema le cariche esplosive erano ancora al secondo piano e voi avevate già lasciato l'edificio!”

“Allora non ci senti, quando ti parlo. Tu hai solo verificato che le scatole che contenevano il tutto fossero ancora lì, ma non hai esaminato il loro interno. Non potevi aprirle e rompere i sigilli, sarebbe stato un azzardo anche per il costruttore di quelle bombe, sarebbe bastato un movimento od un'apertura troppo brusca. Così non ti sei reso conto che gli involucri stessi erano lievissimamente diversi dal solito.”

“Che...”

“Quella ragazza può fare dei veri e propri miracoli, se si mette d'impegno... Usando i materiali presenti in quell'improvvisato magazzino, Satoko-chan è stata in grado di riprodurre copie fedelissime di quelle scatole. Plastica, colori, peso, anche i sigilli sull'apertura... Io stesso non avrei potuto distinguere gli originali dalle copie. Beh, quella bambina potrebbe fare la falsaria da grande, se volesse. Farebbe un mucchio di soldi con denaro ed opere d'arte contraffatte.”

“E quindi mi stavate menando per il naso come se fossi lo scemo del villaggio! Ma perché ricorrere ad un piano così complesso?”

“Oh, i motivi non mancano. Abbiamo già detto in tutte le salse che io e Satoko-chan dovevamo agire nell'ombra, affinché la festa si tenesse regolarmente ed il questore e gli altri invitati non fossero evacuati da qui, giusto? Questa è una ragione... Ma c'è anche dell'altro. Capisci, noi avevamo quasi la matematica certezza che limitarsi a disinnescare le bombe sarebbe servito a poco: tu avresti notato che li avevamo sabotate e le avresti rimesse in sesto. Lo stesso sarebbe accaduto se le avessimo soltanto portate via, le avresti rimpiazzate. La migliore soluzione perciò era ingannarti e confonderti lei idee. Ma quindi dove mettere gli ordigni veri? Essendo a piedi non potevamo uscire da questo posto con le bombe nello zainetto, sarebbe stato pericolosissimo, una condanna a morte. E poi non potevamo immaginare un posto dove lasciare quella roba mortale, non siamo mai stati in questa città prima. Così ho pensato a qualcosa di più raffinato, per poter conseguire tutti i nostri obiettivi...”

“Obiettivi? Che vai dicendo?” l'uomo sembrava sul punto di perdere completamente la trebisonda.

“Non ci arrivi? Prima di tutto, io volevo assicurarmi che tu non potessi usare i tuoi giocattoli per minacciare le nostre vite, ed il miglior metodo per farlo era privarti di essi in modo definitivo; dopo tutto, è lo stesso procedimento che usano quando trovano delle mine innescate in un terreno oppure una vecchia bomba inesplosa: gli artificieri non la portano via, la fanno saltare in aria. Secondariamente, questo è un sistema validissimo per dare l'allarme. Gli ordigni che avevi fatto brillare per bloccare gli accessi non sono stati uditi all'esterno per colpa delle tagliafuoco, ma per quello sul pallone aerostatico è tutto un altro paio di maniche... Il rombo fragoroso avrà attirato l'attenzione di decine di persone, le quali avranno ormai scoperto che tutti gli ingressi all'interno non sono apribili senza una buona ragione. Certo, il vetro delle finestre è di quello opaco e non permette di vedere bene da fuori quello che succede qui... E le grate sulle finestre stesse impedisce di irrompere da esse... Ma quanto ci vorrà prima che rimuovano le porte tagliafuoco con un'ascia e sgombrino il passaggio dai detriti? Dieci minuti? È meno di quel che pensi.”

L'altro sbavava di rabbia, ma Giancarlo fece finta di non vederlo: “Ed infine, c'è la ragione più importante di tutte... Fino ad oggi, noi non avevamo la prova che tu fossi l'autore di questi gesti, le altre morti, gli altri attentati... Ed io supponevo che tu non ti saresti mai fatto vedere se non avessi avuto la convinzione di essere in una botte di ferro. Non per fare l'immodesto, ma sin dall'inizio avevo ipotizzato che tu fossi da queste parti, se insieme alle bombe c'è un'antenna che deve ricevere dei segnali radio... Allora c'era da scommettere che nelle vicinanze ci fosse anche qualcuno che questi segnali li poteva inviare, per mezzo di un telecomando. E quindi ho pensato alle telecamere che sorvegliano questo luogo: speravo che questi gingilli potessero riprendere qualcosa di interessante, per esempio qualcuno con un dispositivo in mano che guardava in questa direzione, ma il tuo show di poco fa è stato molto di più di quanto mi augurassi. Tu non avevi paura di essere filmato, hai parlato come un rimbambito vanaglorioso e pieno di sé, e non ti sei preoccupato di spegnere le videocamere: tanto ai tuoi occhi ogni registrazione sarebbe stata distrutta dalla deflagrazione... Anzi, lo staff della sala di sorveglianza si sarebbe potuto insospettire, vedendo degli schermi che diventavano completamente neri. Solo che ora la situazione si è ribaltata da così a così, e sui nastri c'è riportata ogni tua parola... E non è tutto, neanche Goemon-san e Megumi-san saranno in una posizione invidiabile, una volta che la polizia avrà ascoltato tutto. Un bel regalo per Kei-chan e gli altri, inatteso da parte tua.”

“L-Li farò a pezzi, quei nastri! E farò a pezzi pure te, non dirai a nessuno quello che ti ho detto! Nessuno mi può mandare in prigione, io sono DIO!”

“Sì, potresti anche provare a cancellare le registrazioni, ma la tua situazione non cambierebbe. I nastri sono ben nascosti sotto tutti quei macchinari della sala di sorveglianza, e raggiungerli non sarà un'operazione rapida... Gli altri verranno presto qui, da fuori, non avrai mai il tempo di distruggere tutte le prove. Senza tralasciare il fatto che gli inservienti nel garage sanno che sei tu quello che ha scatenato le prime esplosioni, ed infine... Usando le tue stesse parole... Chi crederebbe sulla tua innocenza, chi crederebbe che non sei stato tu a portare qui quella bomba titanica, anche senza la testimonianza delle videocamere? Il tuo congegno non ha fatto male a nessuno, ma le tue intenzioni erano ben diverse, sarai accusato di tentato omicidio plurimo, penseranno che tu volevi massacrare tutta la gente che si è radunata qui questa sera, ed avranno ragione. Potresti persino essere condannato a morte...” In teoria, anche Satoko e Giancarlo potevano avere delle noie, avevano nascosto a tutti quello che stava mettendo in atto quel folle, però le prove dimostravano che avevano salvato la vita a dozzine di persone, li avrebbero sicuramente rilasciati dopo una breve inchiesta, una formalità più che altro.

La vera gatta da pelare era un'altra. Giancarlo sapeva che il maniaco stava bluffando, prima, quello non aveva un vero interessa a distruggere le cassette delle videocamere: era solo un mercenario che aveva già compreso di essere comunque condannato ad essere catturato, e non aveva a cuore il destino del suo padrone, non avrebbe mai aggravato la propria posizione per sbarazzarsi di alcune prove. Tuttavia, l'uomo stava iniziando a perdere il controllo di sé, e questo era qualcosa che il giovane non voleva. L'altro era ancora armato, Giancarlo doveva stare attento a quello che diceva. Ma non solo per evitare che quello sparasse... Si ricordava di quel giorno alla prefettura, quando aveva mostrato il suo lato oscuro sfogandosi su Nabiha quando questo non era più in grado di difendersi... Non voleva ripetere lo stesso errore, non voleva più essere così cinico e risentito verso il mondo intero, voleva migliorarsi, dare la dimostrazione di essere una brava persona dopo tutto. La maligna tentazione di schiacciare quel mitomane e di infierire su di lui era fortissima nel suo spirito, ma doveva essere più forte di queste sue debolezze.

Nel frattempo, il pazzo sibilò, annaspando per l'aria: “Però... Non capisco una cosa... Il tuo... Il tuo gruppo aveva sempre adorato agire tutti insieme, rimanendo compatti, restando uniti. Se tu fossi stato come loro non saresti venuto qui con solo una di loro, stamattina, ed ora non avresti accettato di avere questo faccia a faccia da solo... Se fossi stato come loro non ti saresti mai separato dagli altri, e probabilmente avrei vinto io... Perchè tu ti comporti in questa maniera... Che cosa è andato storto...”

Giancarlo non rispose.

“DIMMELO!” urlò l'altro, puntandogli di nuovo la pistola alla tempia.

Mah, forse non è una cattiva idea farlo contento, è una buona idea per guadagnare del tempo mentre i miei salvatori arrivano... “Se proprio vuoi saperlo. Sì, soggiornare qui in Giappone mi ha insegnato molte cose, sull'importanza degli amici, sulla forza che ti può essere data dallo stare insieme, e così via. Quei ragazzi sono davvero fissati con l'idea dell'amicizia, secondo me... E li ringrazierò sempre per questa lezione così inestimabile, sul serio, il fatto che abbia chiesto a Satoko-chan di darmi una mano con questa faccenda prova che io abbia appreso qualcosa da loro... Ma contemporaneamente, io non posso neanche dimenticare chi sono io.” Giancarlo fece una pausa “Durante tutta la mia vita, io mi sono occupato di tutto da solo, ho preso le decisioni più importanti della mia vita senza chiederne conto a nessuno. Forse ho sbagliato a comportarmi così in passato, non saprei dirlo... Ma anche queste esperienze vissute in solitaria mi hanno permesso di imparare molto. Capisci? Dimenticare il passato è stupido, anche se è doloroso, è molto meglio trovare il giusto modo di combinare tutti questi ricordi, questi modi di agire, in base alla situazione, alle proprie doti, ed alle necessità mie ed altrui. Non credi che sia questa, la migliore scelta possibile?”

Il ragazzo proseguì. “Il Sympathiae Sanguis, il chiodo fisso del mio bisnonno, è qualcosa di diametralmente opposto allo Spirito di Hinamizawa. Racconta di una forza che l'individuo riceva da qualcosa che ha dentro di sé, non dall'esterno tramite i suoi concittadini. È una forma di potere più... individualista, potremmo definirla così. E così... queste qui...” si guardò il braccio destro, quello ricoperto di cicatrici “Queste non sono solo il simbolo del mio passato inteso come fatti concreti, ma sono anche quello del mio passato inteso come modo di ragionare, come background in cui è stato forgiato il mio carattere... Questi tagli sono parti di me, io sono diventato un tutt'uno con queste ferite. E se è vero che non sarò mai contento di aver dovuto patire questa sofferenza, è altrettanto vero che non posso ripudiarle e rifiutarle, questi segni sono qui, questo è il mio braccio, e ciò è qualcosa da cui non posso più transcendere, finchè sono vivo.”

L'uomo si spinse con più forza contro la parete dietro di lui, mentre Giancarlo aggiunse: “Riesci ad arrivarci, adesso? Io non sono un leader, io non so fare discorsi, io non so combattere con un'arma, io non so costruire delle trappole, io non so dare coraggio ai miei amici, io non so essere una persona gioiosa, io non so trasmettere forza a chi è con me, io non so fare nessun miracolo, io non sono Dio, io non sono un Demone, io non sono nulla di speciale... Tutto ciò che ho è la mia mente e la mia anima, e quello che ho imparato dalla mia nascita ad oggi. E se essere me stesso è la strada migliore per aiutare i miei compagni... Perchè non dovrei esserlo?”

Quel terrorista mancato lo stava ora fissando con gli occhi tremanti, spaventato a morte. Lo sguardo di Giancarlo aveva assunto un qualcosa di intenso e inquietante, i suoi occhi erano completamente neri, in frantumi, identici a quelli che aveva quando era saltato addosso a Mion... Ma ora c'era anche una sfumatura rossa più chiara, dentro di essi... C'era una qualche convinzione profonda che gli consentiva di restare calmo. Ed il ragazzo andò avanti: “Io devo ancora finire di imparare da loro, lo ammetto candidamente, non sono ancora bravo a lavorare in collaborazione con gli altri, e credo di essere ancora oggi una persona insicura... Però almeno ho recuperato un poco di autostima. Tu, invece... Pretendi di essere un fenomeno, di sapere tutto, di poter battere chiunque ed in qualunque momento, ma a conti fatti... Sei solo un omuncolo che ha paura di tutto, includendo te stesso. Una persona che continua a vantarsi è una persona che cerca disperatamente di dimostrare di essere qualcuno, poiché ha paura di essere nessuno.”

“Questo non è vero! Mi conosci da neanche venti minuti, che cosa pensi di sapere su di me?” L'uomo strinse le palpebre sottraendosi a quel duello di occhiate “E non mi guardare in quel modo!”

“Quindi non sarebbe così? Ed allora perché continuavi con quello stupido ritornello prima, quel Non convieni con me...? Me lo sai dire? Certe abitudini sembrano robette trascurabili ma spesso dicono tantissimo della tua reale indole. Tu non facevi altro che ripetere quell'espressione, e sai che ti dico? Tu chiedi in continuazione se gli altri sono d'accordo con te perché tu hai il timore che ogni tua decisione, ogni tua mossa, ogni tua azione sia dannatamente sbagliata, e così cerchi l'approvazione altrui per sentirti meglio... Come un poppante che ha appena imparato a stare in piedi. Le persone che giocano con le paure degli altri lo fanno perché sanno quanto esse sono terribili: le hanno vissute in prima persona e non sono riuscite a venire a capo delle proprie, quindi credono che nessuno possa farlo e le usano come arma... Gli uomini come te sono individui che sono stati battuti dai loro incubi, e fanno di tutto affinché gli altri vivano il loro medesimo senso di impotenza. Allora, ho colpito nel segno?”

Quello doveva realmente essere un nervo scoperto. In risposta a quell'osservazione, il pazzo ruggì come una bestia mentre veniva squartata dal macellaio. Le sale erano insonorizzate ma Giancarlo temette quasi che al piano di sopra si potesse percepire comunque un urlo tanto selvaggio. Ad ogni modo, l'altro aveva definitivamente perso la testa. Il ragazzo ebbe il dubbio di aver commesso lo stesso errore fatto con Nabiha... Ma presto si rese conto del fatto che quello di fronte a lui era irrecuperabile già da molto tempo. Anche senza il suo intervento era condannato a perdere del tutto il lume della ragione, prima o poi.

Infatti, l'uomo adesso gli stava puntando addosso la pistola. “Sì-sì-sì-sì-sì-sì... Io posso essere già con un piede nella fossa, ma non sarò da solo... Ti trascinerò all'Inferno con me... Non credere di scappare, qui ci sono proiettili a iosa, e sei stato a far sì che non ci fossero uscite di emergenza... Ti sei tirato la zappa sui piedi, ed ora crepa, piccolo bastardo...”

Giancarlo si lasciò andare ad un triste sorriso. Quello era il punto debole del suo piano. Accettando quella specie di duello tra lui e quello psicopatico, aveva ottenuto tutto quello che i suoi amici cercavano: una prova decisiva contro Goemon e sua moglie, la salvezza di tutti, la possibilità di parlare con le massime autorità di Ibaraki... Ma tutto questo richiedeva un prezzo... E questo prezzo era la sua vita.

Lui si aspettava che il suo avversario avesse un'arma con sé. Potendo mettere il metal detector fuori uso il folle non aveva problemi di quella sorta, non c'erano timori di essere scoperti per lui. Giancarlo invece non aveva nulla con sé, gli addetti alla sicurezza se ne sarebbero facilmente accorti, lui avrebbe avuto delle notevoli grane e non solo lui, essendo un amico del circolo di ragazzi che chiedevano la libertà di Rika avrebbe messo anche loro in una situazione alquanto scomoda. Senza contare che non avrebbe mai vinto in un combattimento, sia che fosse a mani nude sia che fosse con delle armi; lui era sempre stato un mingherlino, troppo debole fisicamente per sopraffare un uomo armato di pistola. Inoltre, come aveva appena sentito dall'altro, non c'erano nascondigli decenti in quella sala sconfinata, né in quelle adiacenti. Non c'erano in giro chiavi per provare a barricarsi nelle stanze secondarie, ed i soccorritori non sarebbero mai arrivati in tempo per salvarlo da quella fine.

Aveva pensato a come aiutare Hinamizawa, ma si era dimenticato di prendersi cura di se stesso. Sì, lui ed Alice erano sempre stati come il giorno e la notte, agli occhi degli altri, ma avevano tante cose in comune, e questa era una di quelle... Erano fratelli, in fondo. E sarebbero morti entrambi alla stessa maniera.

Giancarlo aveva gonfiato il petto e rimaneva impassibile dinanzi al suo fato. Scappare dalla sua esecuzione era inutile, era troppo tardi per escogitare un trucco per portare a casa la pelle. Vedeva già il suo nemico che muoveva il dito per premere il grilletto, non c'era più tempo per niente.

Nee-chan, aspettami, sto arrivando...

Chiuse gli occhi sapendo che non li avrebbe mai più riaperti, mentre dalle palpebre uscivano solo lacrime.

Bang.

~-~-~-~-~

Giancarlo li riaprì quando sentì di aver urtato contro il pavimento.

Qualcuno o qualcosa lo aveva spinto via, facendo sì che il primo colpo di quell'assatanato fendesse solo l'aria. Si era graffiato i polsi finendo a terra, ma intanto era ancora vivo... Ma chi era stato? Loro due erano da soli, non c'era anima viva intorno a loro, tutte le porte e le finestre erano sbarrate, ed era a dir poco assurdo pensare che fosse stato il suo nemico a strattonarlo, la cosa non avrebbe avuto il minimo senso e poi gli bastava vedere la sua reazione furibonda per capirlo.

Chi lo aveva salvato, quindi? Qualcuno ci doveva essere, lui era fermo, non era inciampato, aveva sentito una grande forza che lo spingeva via all'improvviso... Di chi si poteva trattare? A quel punto la prima cosa che gli poteva venire in mente era che lo avesse fatto un qualche spirito. Ouka, forse? Quello spettro di cui Rika le aveva parlato? E perché mai avrebbe dovuto dargli una mano, loro due appartenevano a fazioni opposte.

Perché vuoi morire?

Qualcosa che mai avrebbe previsto di sentire. Una vocina dentro di sé. Chi era? Se l'era sognata? Sembrava la voce di una bambina, una voce che Giancarlo non aveva mai udito, però gli suonava stranamente familiare.

Perché vuoi morire? Dimmelo, perché?

Di nuovo, allora non era un frutto della sua immaginazione o dello stesso. Tra l'altro, Giancarlo pensò di essere il solo a poterla sentire. Quel bombarolo non aveva battuto ciglio, al ripetersi di quel suono, quindi non aveva captato nulla. Ma chi diavolo era?

Perché vuoi morire? Perché non desideri di vivere?

Ancora. Quella presenza le aveva chiesto per tre volte la stessa domanda senza risposta. Tre era sempre stato considerato un numero associato al divino... Che fosse il suo angelo custode? Sembrava un'idea cretina ma era l'unica che riusciva a formulare. Tanto che il ragazzo sentì il bisogno di rispondere, di giustificarsi.

“Non è che voglia lasciare questo mondo...” bisbigliò, incurante del fatto che il pazzo lo stesse sentendo e lo stesse fissando di sbieco, pensando che Giancarlo stesse ammattendo a sua volta “E' che però non ho altra scelta... Nascondersi dietro le colonne non servirebbe, sono troppo lontano da esse e quello mi sparerebbe non appena girate le spalle.”

Quindi vuoi buttare via il dono di tua sorella?

“Non lo sto buttando via. In fondo l'ho usato per dare la possibilità di vincere ai miei... amici. Va bene così, non chiedo altro per me.”

Dovresti farlo, invece, dovresti chiedere di più per te stesso.

“E' troppo tardi per fare questi discorsi. Cosa può togliermi di impiccio, adesso? Ci vorrebbe... un miracolo?”

Ed allora perché non vuoi questo miracolo? Perchè non lo brami con tutte le tue forze?

“Perché dovrei farlo? Non cambierà nulla...”

Perché non dovresti? Che cosa ti resta? Che cosa hai da perdere, in fondo?

“Io...”

Un miracolo ha bisogno di essere voluto, altrimenti non accadrà mai.

“Io...”

Se vuoi qualcosa, trova la forza di dirlo. Forse non basta per far sì che esso diventi realtà, ma devi avere almeno il coraggio di ammetterlo. Mostra la forza della tua volontà.

“Io...”

Mostra che vuoi vivere.

“Io...”

Che vuoi essere felice.

“Io...”

Che vuoi una vita migliore per te e per gli altri.

“Io...”

Che questa è la tua volontà.

“Io...”

Che questa è la tua volontà e che può sconfiggere la sua, Nii-chan.

“Io...”

“Io...”

“Io...”

“Tu?” chiese improvvisamente il maniaco, spazientito. “Che diamine vuoi, adesso? La pianti di esprimerti a monosillabi, che diventi irritante?”

“Vuoi davvero saperlo?” si decise lui “Se pensi che finisca così, ti sbagli di grosso. Io... Io voglio vivere...”

Sembrava che quelle ultime tre parole fossero state pronunciate da due persone distinte, invece che da una sola.

E Giancarlo continuò: “Vedrai, in qualche modo ce la farò... Non so come, ma ci sarà qualcosa che mi salverà... Io non voglio morire, io non voglio morire... E non morirò... E' questo quello che desidero, per me.”

“Se ci credi così tanto.” esclamò l'altro, premendo il grilletto.

Giancarlo richiuse gli occhi.

~-~-~-~-~

E fu costretto a riaprirli una seconda volta. Sentendo qualcosa di simile ad uno spiffero d'aria sul suo volto, il ragazzo si voltò verso il dinamitardo, giusto in tempo per vedere qualcosa che volava ad alta velocità e colpiva la mano con cui il suo nemico maneggiava la pistola. L'arma schizzò via e cadde a terra, mentre l'uomo fu costretto ad indietreggiare afferrando la mano contusa con quella sana; quindi, il folle dirigette lo sguardo da tutt'altra parte, lontano da Giancarlo. Che cosa stava avvenendo? Il ragazzo guardò in basso verso i piedi del suo avversario, per farsi un'idea di che razza di proiettile lo avesse salvato. E lì, vide un oggetto che conosceva benissimo.

“Quello è... il mio orologio da tasca, quello che avevo dato a...”

Qualcuno da dietro il giovane lo aveva scagliato contro il folle armato, come un lanciatore di baseball che ha come bersaglio il guantone del suo compagno di squadra. Giancarlo non sapeva che pensare... Se non che ci fosse un'altra persona, lì. Ed infatti, mentre il terrorista stava cercando di ricomporsi e riprendere in mano la pistola, un'ombra esile e scura planò rapida e leggera su di lui, passando a pochi millimetri dal ragazzo, ed elegante come una libellula essa acchiappò l'uomo per il braccio, scaraventandolo contro il muro prima che lui potesse dire qualcosa. Il malcapitato si infranse contro la parete, e dopo un grido tremendo e lancinante fece una certa fatica a rialzarsi di nuovo, con le articolazioni degli arti intirizziti dal dolore ed con lo spirito ferito nell'orgoglio. Chi aveva commesso quell'oltraggio?

Era una ragazza. Una ragazza con un completo sportivo ed una lunga, verdissima coda di cavallo.

Gli occhi di Giancarlo erano rotti dall'emozione. “M-M-M-M-M-M-M...”

“Non sai quanto mi fai ridere, mentre cerchi di biascicare il nome dello zietto.” replicò Mion “Ma un signorino gracile come vossia non dovrebbe intraprendere un combattimento corpo a corpo contro un vile come questo. Dovreste assumere una guardia del corpo affidabile, come per esempio la sottoscritta, non credi?”

“As-Assumere te?”

“TU? NON ERI FINITA SUL LETTO DI MORTE, PUT...”

Mion si diresse di nuovo verso il criminale, ed un'occhiataccia della ragazza fu sufficiente ad intimorirlo a morte, impedendogli pure di finire la frase. Lei non aveva paura, lei faceva paura, i suoi occhi non emanavano alcuna luce, erano al pari di perle lucide ma nere, scure quanto il buio più profondo della palude dell'Onigafuchi. Essi fissavano l'uomo dinanzi a lei come se fosse una preda che non poteva più fuggire, una preda da afferrare con le proprie fauci. Occhi sicuri di sé, decisi, forti. Quelli erano gli occhi di un demonio, quelli erano gli occhi della Regina dei Demoni.

L'uomo distolse il proprio sguardo da quello della ragazza, incapace di sorreggerlo, e quindi cominciò a correre gattonando ed allungando la mano verso la pistola, che era finita di nuovo sul pavimento dopo l'attacco di Mion. Ma prima che potesse raggiungerla, qualcuno sparò un colpo, che sfiorò le dita del pazzo ed andò a ridurre in frantumi le piastrelle subito accanto. Non c'era solo Mion lì, evidentemente, e l'altro capì di non avere più chance di vincere, irrigidendosi in quella posizione inginocchiata e cominciando a frignare come un lattante. Talmente immobile da permettere alla ragazza di ignorare il maniaco e aspettare tranquillamente che i soccorsi arrivassero con delle corde per legarlo come un salame.

Del resto il suo alleato arrivò subito. Un uomo muscoloso, una persona che Giancarlo aveva incontrato molto di rado, ma che non gli era del tutto sconosciuto. “Voi siete... Tomitake-san, corretto?”

“Per l'appunto.”

Mion fece le presentazioni, mentre il ragazzo raccoglieva l'arma ed estraeva le pallottole per scaricarla. Poi la giovane spiegò: “E' stato lui che mi ha raccontato tutto, dove avevano portato Rika-chan, che cosa volevate fare per riportarla ad Hinamizawa, eccetera eccetera... Irie-sensei lo teneva al corrente della situazione, e così Tomitake-san ha fatto altrettanto con me. Sai, alla Clinica non avevo trovato il dottore, mi hanno detto che è ancora a casa mia con papà, in attesa di una vostra chiamata, nel caso abbiate bisogno di qualsiasi cosa.”

Tomitake non stava sorridendo, mentre gli altri due stavano parlando. Come Giancarlo stava immaginando, Mion lo aveva incrociato all'Istituto Irie, dopo essersi ridestata. Tomitake era lì per fare un'ultima visita a Takano, era stato messo al corrente di quello che le era capitato, e voleva vederla prima che fosse cremata e riposta nella sua urna cineraria. E così, quando i due si erano incontrati, lui aveva narrato a Mion in che scenario si fossero cacciati gli altri e lei gli aveva chiesto subito di portarla ad Ibaraki, al fine di stare al loro fianco in quella battaglia cruciale. Erano arrivati in città in pochissimo tempo, senza fare le valigie, solo che per far prima avevano deciso di non avvisare neppure il medico, né il padre di Mion – i quali infatti non avevano parlato agli altri del risveglio della ragazza, in quanto non lo sapevano nemmeno loro. Fortunatamente, avevano percorso il viaggio usando il fuoristrada di Tomitake, dentro il cui bagagliaio si trovava anche un fucile di precisione che si era rivelato utilissimo per fermare definitivamente il mitomane. Tomitake era stato fondamentale, e ciò era un sollievo anche per lui: aiutare i ragazzi a vincere la loro battaglia era per lui un modo per espiare i propri peccati, per il fatto che non fosse con la sua amata Takano nel momento del bisogno. Pertanto, ora erano riusciti a sottrarre Giancarlo ad una morte triste, però per Tomitake non era il momento di essere contento.

“Ah, prima che mi dimentichi.” concluse intanto Mion, raccattando l'orologio del ragazzo che giaceva ancora sul pavimento e spolverandolo con le dita “Questo è di tua proprietà, suppongo, grazie per avermelo prestato. Credo che non si sia guastato dopo l'urto, meno male.”

“E' un cimelio molto resistente, di quelli di una volta, non li costruiscono più così robusti...” replicò Giancarlo “E comunque, non sta bene usare le cose degli altri con questa leggerezza. Non si poteva evitare di scagliarlo contro il muro? Per me questo ha un grande valore affettivo, ci sono affezionato.”

“E' sempre un piacere ricevere i ringraziamenti dalle persone che ti sono riconoscenti.” rispose Mion con un accento sarcastico “Tuttavia, mister Ingrato, il fatto è che io non sarei mai arrivata mai in tempo se mi fossi limitata a correre, e gridare a quell'invasato di fermarsi non sarebbe servito ad un accidente, e tu lo sai bene.”

“Hmmm... Sarà. Comunque” chiese il ragazzo “C'è qualcosa che mi piacerebbe sapere da te...”

“Tu vuoi sapere come sono riuscita a sgattaiolare qua dentro, vero? Sempre a fare queste richieste, dovresti cambiare argomento ogni tanto, per esempio propormi qualcosa di più galante ed audace...”

“Mii-chan!!”

“Lo so, lo so. Comunque, la chiave di tutto è stata la grata della finestra accanto alla porta.... Basta disporre di tempo, utensili adatti ed un po' di forza fisica, ed in questa maniera la si può forzare. Tomitake-san mi ha dato una bella mano, ed anche altri passanti, quell'esplosione ha fatto rizzare i peli sulla schiena a parecchi. Ci metto la mano sul fuoco, che non hai neppure sentito il vetro rotto dai nostri pugni...”

“Ehm... Ho timore che tu abbia ragione... La mia attenzione era stata attirata da qualcos'altro, io avevo pur sempre una pistola puntata alla testa, prima...” Giancarlo era imbarazzato, e Mion cominciò a ridere di gusto. Il ragazzo poi chiese “Però il mio dubbio vero era un altro. Voglio dire, quando... quando ti sei svegliata? E come?”

“Ah, dici quello... E' successo questo pomeriggio presto. Ero da sola, non c'era nessuno che mi guardava, perciò non saprei dirti come ci sono riuscita...”

“Però se parli così allora sai di essere stata in coma.”

“In un certo senso lo sapevo anche mentre dormivo. Cioè, avevo l'impressione di essere in quella situazione, ma non riuscivo ad aprire gli occhi... Ero cosciente ma allo stesso tempo non lo ero, quell'ATPC è più potente della morfina, potrei rivenderla come surrogato di sonnifero per elefanti. Non so davvero che prodigioso processo abbia avuto luogo nel mio corpo, per permettermi di riprendermi ed essere qui... Tuttavia...”

“Dimmi.”

“Ho avuto la sensazione che negli ultimi giorni qualcuno teneva la mia mano tra le sue, in quel letto... E penso che fossi tu... Mi riscaldavi un poco e quel tepore era piacevole, rilassante. Il mio sonno era migliore con quel calore... Fino all'istante in cui hai lasciato la mia mano per andar via da Hinamizawa e venire qui. Da lì in poi ho iniziato a sentire freddo, e non era per niente gradevole. Temevo di rimanere al gelo da sola, ma non solo... Se mi avevate lasciato al freddo, se mi avevate lasciato in solitudine allora doveva essere successo qualcosa di terribile, qualcosa che non volevo che accadesse... Chiamiamolo orribile presentimento... E così volevo spostarmi da quella posizione così sgradita... E quindi ho cercato di muovermi, fino a riuscire a svegliarmi...”

“Un po' come un bambino che non sente più la presenza della madre accanto e comincia a piangere... Quindi secondo te sei stata in grado di rialzarti perché me ne sono andato, è questo che stai dicendo? Allora se fossi sempre stato con te tu avresti continuato a dormire... Se lo avessi saputo prima...”

“Dovresti piantarla di rimproverarti, non credo ci fosse nessuno che poteva immaginarsi una cosa simile...” La fanciulla si avvicinò a lui, e gentilmente si mise ad accarezzargli il capo. Era una scena familiare, per lei, ma anche per lui... Era quello che Satoshi era abituato a fare con Shion, ma Mion e Giancarlo li stavano imitando a parti invertite.

“Ci siamo scambiati i ruoli...” chiese infatti Giancarlo, che se ne era accorto e si sentiva a disagio.

“Perché no? Che c'è di male? Tra noi due, tu saresti una perfetta mogliettina col grembiule ed io il perfetto maritino in giacca e cravatta...”

“MION!”

“Hai dimenticato di aggiungere l'onorifico -chan, signorino. Tu sai che cosa significa chiamare una persona così, da queste parti. Lo si fa solo tra sposini, fidanzatini o tra padre e figlia... Scegli tu...”

Giancarlo divenne più paonazzo di un pomodoro, peggio della più timida delle donzellette. Usando l'espressione Mion invece di Mion-chan aveva appena confessato che l'altra era una persona molto importante per lui, e la logica conseguenza di ciò era ovvia a chiunque. Quella non era forse la più romantica dichiarazione d'amore che si fosse mai verificata su questo pianeta, ma di sicuro era la più bislacca in assoluto.

“Stavo scherzando.” disse poi Mion, per rabbonirlo “Devi ancora apprendere molto sulle relazioni personali, caro mio, non puoi fartela sotto dalla vergogna ogni volta.”

“Questo succedeva anche a te, quando cercavi di conquistare Kei-chan.”

“Ma oggi è diverso. Tu ti stai comportando in maniera anche più sconclusionata di quanto avessi mai fatto io, così io mi sento più a mio agio adesso. Comunque, se la cosa ti infastidisce non ti tocco più la testa in questa maniera.”

“No, per me va bene, se vuoi farlo...” Giancarlo non osava guardarla in faccia, mentre lei continuava ancora a sfiorargli la nuca. “Però... Se ti piace farlo, allora... Io che cosa sono per te?”

Il sorriso di Mion si fece incredibilmente dolce “Hai presente il giorno in cui mi hai restituito la bambola? Te lo ricordi? Ci sono delle differenze gigantesche tra Kei-chan e te, potremmo dire che sei la sua nemesi, ma tra queste diversità ce n'è stata una che mi ha colpito, quel giorno. Kei-chan mi è sempre stata accanto in qualità di amico, e di nient'altro; tu invece hai fatto tutto quello che hai fatto perché io non ero solo un'amica per te... Quando mi hai fatto mostra delle tue ferite, quando hai riparato la mia bambola, quando hai cercato di darmi la forza di ripartire da capo... Un ragazzo confusionario e chiuso come te non troverebbe la sfacciataggine per fare tutto questo, senza una ragione forte. E non mi riferisco soltanto al bisogno di fare la cosa giusta, ma a qualcosa di più personale e sentimentale.”

“Era tutto... così visibile?”

“Per me, sì... Ma io avevo paura di quello che poteva accadere... Gian, posso chiamarti cosi? Il punto è che io avevo paura di rimanere di nuovo deluso, come quel giorno alla prefettura. Io non volevo più ferirmi con i miei stessi sentimenti, avevo paura che neanche tu fossi la persona giusta...” la voce di Mion era ora rotta, e toccò ora a Giancarlo prenderle la spalla, portarla vicino a sé ed incoraggiarla.

“Mion-ch... anzi, Mion... Io lo capisco, non ti farò una lavata di capo per questo.. Ma se tu senti ancora il bisogno di fare qualcosa per poterti perdonare, allora abbiamo qui di fronte a noi una gran bella chance. I nostri amici sono ancora lassù che devono finire la loro parte, sarebbe sciocco non andare a ricongiungerci con loro.”

“Hai ragione. Ormai sono convinta che ce la faremo, il nostro club è forte, ogni suo membro lo è. Inclusa me, incluso te. Se tu trovi la forza per non ledere il corpo di questo povero zietto neanche sotto gli effetti della Sindrome, devi essere qualcuno di speciale, a modo tuo. Mi sbaglio?” Mion era divertita di vedere come l'altro lo fissava, Giancarlo era un po' seccato di sentire quella maniera così poco canonica di ricevere dei complimenti.

“Ehi, lì dentro! Avete bisogno di qualcosa?” chiese qualcuno da fuori la finestra infranta.

“Sì, dateci una mano!” rispose Giancarlo “Vi prego, uno di voi chiami la polizia, questo criminale va ammanettato e portato alla centrale di polizia, e poi cerchi soccorsi. Gli altri vadano all'altro ingresso a sgomberarlo dai detriti, ci sono altre persone nel garage, verrà loro un attacco di cuore se qualcun non li va a salvare!”

Il loro interlocutore prontamente eseguì la richiesta, ed in pochi secondi un agente che pattugliava la zona entrò per prelevare il dinamitardo, che ormai era più una statua di sale inerte che un essere vivente. Dopo averli visti allontanarsi, Mion chiese: “Non dovremmo usare una scala per raggiungere le finestre al primo piano? Se ci vedessero al di là del vetro capirebbero subito che qualcosa di importante è accaduto, qua sotto. E poi ci tengo a far loro vedere che ora sto bene.”

“Ci ho pensato anche io, ma tutte le finestre di questo edificio sono sigillate in modo da schermare ogni suono, e poi prima di entrare ho notato che ci sono tende che coprono tutti i vetri del primo piano. Non ti noterebbero mai... E scardinare le grate del primo piano sarebbe inutilmente pericoloso, con solo una scala e senza una vera impalcatura esterna. Quanto alle scale antincendio, possono essere usate solo per uscire dal palazzo, non per entrare, in quanto le porte che da esse conducono dentro non possono essere aperte dall'esterno a meno che le blocchi con un cuneo di legno o con un altro oggetto che impedisca loro di chiudersi... E poi non siamo più di fretta, con l'ultima esplosione questo posto è stato bonificato da cima a fondo dalle bombe: è molto più ragionevole ritornare alla porta che collega questo piano con quello superiore e ripulirla dalle macerie. Una volta che avremo finito la porta sarà di nuovo apribile e gli altri potranno uscire senza patemi.”

“Ai vostri ordini." Giancarlo, Mion e Tomitake cominciarono a spostare le pietre ed i pezzi di cemento, collocandoli a lato della porta. Ma il ragazzo era ancora assorbito da un pensiero subdolo e ricorrente, che continuava a sfiorargli la mente. Stava continuamente lanciando occhiate alla pistola che il pazzo aveva lasciato cadere e che chissà come era rimasta lì senza che l'agente intervenuto non l'avesse raccolta. Guardava l'arma, e guardava anche il soffitto sopra la propria testa.

“Mion” chiese infine, interrompendo il proprio lavoro “Sarebbe così brutto se usassi questa per sparare a Goemon-san, per prendermi la mia vendetta? Dopo quello che hanno fatto a... a mia sorella... So che quell'uomo è un tuo parente, però ha commesso così tante malefatte che non merita più di vivere e...”

“Certo che sarebbe sbagliato!” lo sgridò Tomitake “Vuoi farti arrestare per colpa sua? Non dovresti neanche pensare di fare questa...”

Ma Mion lo arrestò con un gesto gentile del braccio, dicendo: “Gian, tu sai già la risposta, sai già che sarebbe orrendo rovinare tutto con questa pazzia. Lo sai già, se tu volessi davvero ammazzarlo, se tu stessi anche solo valutando l'idea, te lo saresti tenuto per te, l'avresti tenuto segreto finchè non avessi avuto occasione di sparargli. E poi quell'arma ora è scarica, i proiettili sono stati estratti prima, con che vorresti colpirlo allora? Questa tua esclamazione non rappresenta la sua reale volontà, questa è piuttosto... uno sfogo amaro...”

Gli occhi di Giancarlo si inumidirono, stavano ammettendo questa verità. Prese la pistola per porgerla a Tomitake, e poi confessò, tra un calcinaccio e l'altro: “Sì, avete ragione. Goemon-san e Megumi-san riceveranno la loro giusta punizione, ma non da me. Sarà qualcosa di giusto e legale che li fermerà, è questo il modo corretto di agire. Abbiamo battuto tutti i loro sottoposti, loro sono i prossimi.”

“E' questo lo spirito.” esclamò Mion, prima di poggiargli una mano sulla spalla. “Ah, mi stavo dimenticando, scusami per questo... Sono dispiaciuta per quello che è stato di tua sorella. Veramente, mi piacerebbe tornare indietro per far sì che questo non fosse mai accaduto.”

“Alice...” sussurrò lui “Sì... Alice... Io... Io...”

Giancarlo smise di lavorare, guardando la ragazza. Era stufo di mentire a se stesso, non poteva più respingere quello stimolo irrefrenabile che lo spingeva a piangere. Ed allora, lui abbracciò la sua fidanzata, e premendo il capo sul petto di lei si sciolse in un fiume di lacrime di sconforto.


Nota dell'autore: Siamo in dirittura d'arrivo, 4 capitoli ancora + epilogo :=)

Avevo pensato a tantissime varianti per questo ultimo paio di capitoli, strutture ed intrecci narrativi diversi, esiti diversi (Giancarlo che muore veramente, ma sarei stato cattivo...). Cercare di rendere l'idea prima di un palazzo da cui non si può uscire, poi di una bomba che non può essere fermata, poi ancora di una svolta decisiva... E' tosto, ma tutto sommato non mi dispiace il risultato.

  
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