“Gobekli Tepe il più antico
santuario ritrovato finora, è la prova che potrebbe rivoluzionare le nostre
conoscenze sul passaggio dal nomadismo alla sedentarietà. Infatti questa
struttura è stata costruita circa 11.600 anni fa e finora rappresenta un unicum.
Si presume che l’intero sito abbia un’estensione di 500 metri quadrati e al
momento solo una piccola parte di esso è stata scavata. Sono stati rinvenuti,
ad oggi, quattro recinti circolari, delimitati da grossi pilastri di 15
tonnellate l’uno, non ci spieghiamo come questi primitivi
cacciatori-raccoglitori abbiano potuto cavarli dalla roccia e trasportarli.”
Così
stava parlando la guida turistica del sito archeologico. Vör
aveva voluto assolutamente visitare gli scavi, accompagnata da qualcuno di
competente che illustrasse tutto con precisione. I suoi compagni non erano
stati affatto entusiasti e seguivano molto annoiati, Thor aveva provato a stare
attento, ma poi si distraeva ogni due minuti; Fandral
era stato l’unico a sforzarsi di ascoltare con attenzione e dopo un poco era
riuscito a capire il filo del discorso e, vagamente, a seguirlo.
“Sono
state riportate alla luce circa 40 pietre a forma di T, in cui il braccio
orizzontale è più corto e sottile delle proporzioni necessarie; queste lastre
sono quasi tutte incise e vi sono rappresentati vari animali: serpenti, tori,
leoni, volpi, cinghiali, scorpioni e formiche. Da alcuni rilevamenti
geomagnetici si è scoperto che ci sono almeno un altro centinaio di queste
pietre, ancora interrate, così come molte altre strutture. Il santuario fu
abbandonato circa dopo un uso di due millenni e fu interrato volontariamente.”
“Ti
è stato almeno utile per capire dove dobbiamo cercare?” domandò Sif all’altra donna, quando la visita fu conclusa.
“Beh,
se non altro, possiamo escludere dalle ricerche la parte che loro hanno
scavata: è di un periodo successivo a quello di nostro interesse.” disse Vör.
“Dunque
dovremmo prendere delle vanghe e sperare di avere fortuna?” ribatté la
guerriera.
“No.
Ho già un’idea, ma devo vedere meglio la conformazione della zona.”
Vör se ne tornò dunque al museo per
osservare le mappe tracciate dagli archeologi midgardiani.
Il santuario si trovava in cima ad una collinetta oblunga che sorgeva isolata,
in una zona altrimenti piana. Vör si era convinta di
una cosa: come era stato sepolto il santuario circolare, così poteva essere
stata volutamente ricoperta anche un’altra struttura precedente; i dati che
emergevano dalle carte esposte nel museo le confermarono quest’idea. Bisognava
ora capire come agire. Analizzando e rianalizzando i
dati pubblici, Vör individuò un punto dove era stata
trovata un’apertura che lasciava supporre la presenza di una grotta, ma
evidentemente di scarso interesse per gli studiosi midgardiani,
che non l’avevano esplorata.
Gli
Asgardiani si recarono presso quell’antro, convinti
di dover poi faticare per riuscire a farsi strada per trovare le vestigia
interrate e aggirarsi al loro interno. Per loro fortuna si sbagliavano di
grosso! Discesi nella spelonca per pochi metri, guidati dalla luce magica di Vör, si ritrovarono su una sorta di terrazzino. Quale
sorpresa! Il tempio antico non era stato affatto sepolto, bensì racchiuso in
un’immensa sala sotterranea di cui la collina esterna era la cupola. Vedevano
davanti ai propri occhi il penultimo piano, in argento, di un edificio che
sembrava composto da più mastabe sovrapposte, ognuna un po’ più piccola della
precedente. Dopo il primo momento di stupore e ammirazione, quella visione era
troppo imponente e maestosa per lasciare impassibile anche l’animo più arido,
il gruppo iniziò a discendere una scalinata che partiva dal terrazzino e
scendeva di circa venti metri e arrivava davanti a un portale che indicava
l’ingresso al tempio. Potendolo guardare meglio e dall’alto al basso, si
contavano in tutto sette piani, alti ciascuno quattro metri, movimentati da
fitte nicchie, le pareti esterne erano rivestite da mattonelle smaltate e ogni
piano era contraddistinto da un colore differente, a partire dal basso si
trovavano nero, blu, rosso, arancione, bianco, argento e oro.
Il
portale d’ingresso era un arco a tutto sesto da cui partiva una cinta di mura
alta tre metri che circondava il tempio, era ricoperta da mattonelle blu,
decorate con leoni e sfingi bianche. Non c’erano ostacoli, per cui gli Asgardiani varcarono la porta senza difficoltà e percorsero
un vialetto, una sorta di rampa lieve, che li condusse finalmente ai piedi del
santuario, davanti a un’altra porta, fiancheggiata da due torri, decorate con
semi colonne; la rampa poi girava ad angolo retto verso sinistra, mentre il
portone introduceva in una vasta sala.
“Hai
idea di dove sia il talismano, o dobbiamo scorrazzare per tutto quanto il
tempio?” domandò Sif.
“Probabilmente
sarà stato posto in un sacrario, ma non so dirti dove questa popolazione
collocasse la cella principale. Credo che neppure i Midgardiani
saprebbero dirlo, senza prima ispezionare l’edificio, per cui, sì, dobbiamo
cercare ovunque finché non lo troviamo.”
Iniziarono
ad aggirarsi per tutto il piano terreno, aveva una pianta tripartita, ricca di
cappelle laterali; sul fondo un’alta nicchia che conteneva la statua di una dea
spaventosa: era una donna alata e le gambe, dal ginocchio in giù, erano quelle
di un rapace, era dipinta di rosso e nero, il volto era accigliato, la bocca
era aperta e faceva vedere lunghe zanne, pure le mani erano artigliate, ai suoi
piedi delle enormi civette che stringevano nei becchi e nelle zampe arti umani.
Davanti alla nicchia c’era un altare per le offerte e un pozzo dove gettare gli
avanzi dei sacrifici.
Quell’immagine
terrifica, l’immenso spazio vuoto colmo di povere, la freddezza della luce
magica, davano al tutto un aspetto sinistro che inevitabilmente faceva temere.
Non c’era nulla di cui avere effettivamente paura, ma tutto induceva ad
aspettarsi qualcosa di terribile.
Stabilito
che lì non c’era ciò che cercavano, gli Asgardiani
uscirono e salirono lungo la rampa che a spirale circondava tutto l’edificio, era
costeggiata da un muro merlato e i mattoni erano decorati con piccole teste di
animali in argilla. Esplorando la sala del secondo piano, poterono ammirare
alle pareti lastre di pietra decorate con bassorilievi che mostravano scene di
adorazione verso gli dei, cerimonie e rituali. Lunghe processioni di offerenti,
uomini completamente glabri che stringevano fra le mani fasci di bastoni, dei
in trono. Gli altri si erano limitati a girovagare in cerca del medaglione, Vör invece osservava attentamente le immagini, perfino
prese uno scopettino, che si era procurata assieme ad
altri strumenti dopo aver scoperto di dover esplorare un tempio interrato, e
spazzò via la polvere da alcune incisioni per poterle studiare meglio.
“Signori,
possiamo dirigerci direttamente all’ultimo piano.” aveva annunciato, infine, la
studiosa “I bassorilievi rappresentano le celebrazioni svolte in questo tempio,
in alcune scene si vede chiaramente la contemplazione del medaglione che stiamo
cercando e deduco che si trovi nella cappella superiore.”
Nessuno
obbiettò e salirono fino in cima. L’ultima mastaba era la più piccola di tutte
e, invece, di essere un’unica stanza come le altre, era composta da un
corridoio che conduceva ad una stanza molto corta e di qualche metro più larga
della corsia. Il gruppo percorse il corridoio e non poté fare a meno di
rimanere impressionato per gli altorilievi che lo decoravano: leoni, tori,
sfingi, tori androcefali alati, aquile con teste di
leone, uomini toro, accompagnavano i viaggiatori verso la statua del dio, ma la
cosa più inquietante era che non erano semplici rilievi: le teste sporgevano
quasi fossero statue a tutto tondo, in altri casi c’erano le zampe artigliate
che spuntavano dal muro, o degli zoccoli che parevano pronti a colpire. Sebbene
rappresentassero per lo più animali fantastici, erano statue assai realistiche
e quello strano modo di rendere la prospettiva le faceva quasi apparire come
fossero vere bestie intrappolate nelle pareti.
Nella
stanza orizzontale, nella cella più sacra di tutte, si trovava un enorme bacile
colmo d’acqua assolutamente limpida, dietro, sempre dentro ad una nicchia, la
statua di un dio: in testa una corona con una falce di luna come corna, aveva
la barba, in una mano stringeva un bastone su cui erano intrecciati due
serpenti, con l’altra accarezzava un essere per metà capra, per metà pesce;
indossava una specie di gonnellino, mentre il torso era nudo, dal collo, però,
pendeva un cordone che non era parte della scultura e al quale era appeso il
medaglione in elettro. Adagiate a terra, al suo
cospetto, c’erano moltissime statuette di uomini con le mani giunte in
preghiera.
Vi
era un’iscrizione e Vör si stupì nel constatare che
era nell’antica lingua della città che aveva scavato su Vanaheimr,
diceva: Ea, Signore dell’acqua, della saggezza,
della magia, custode dei me.
La
studiosa voleva un attimo meditare su quella frase e, soprattutto, sul perché
ci fosse dell’acqua fresca in quel posto abbandonato da millenni, tuttavia non
ebbe modo di farlo, in quanto Fandral aveva
esclamato: “Ehi, è quello il talismano da prendere! È uguale agli altri!”
E
Thor era subito andato a sfilarlo dalla statua.
Dalle
loro spalle, gli Asgardiani sentirono provenire dei
rumori indefinibili. Si voltarono e, con una certa meraviglia, videro gli
esseri mostruosi scuotersi da dosso la pietra che li ricopriva e prendere vita,
per poi abbandonare le pareti, balzare nel corridoio e avanzare verso gli
intrusi.
Sif fu la prima a reagire e preparò
la propria alabarda, immediatamente imitata da tutti gli altri che misero mano
alle armi. Vör, invece, arretrò per discostarsi il
più possibile dal combattimento.
Sebbene
fossero tutti pronti a respingere l’assalto delle bestie che si stavano
avvicinando, fu Thor a dare il via allo scontro, con un salto si avventò sul
leone più vicino e gli fracasso il cranio con un’unica martellata del poderoso mijolmir. Le altre creature, invece di spaventarsi, si
slanciarono su di lui, come a voler vendicare il loro compagno, ma presto
furono intercettate da Lady Sif e i Tre Guerrieri che
con ferocia fronteggiarono impavidamente quelle creature mostruose.
Sif si muoveva con freddezza e
rigidità, infliggeva colpi secchi e decisi, preferiva conficcare la punta della
lancia nelle carni delle bestie, piuttosto che squarciarle.
Volstagg ringhiava a
propria volta contro una sfinge e, brancatala per il
collo con una mano, con l’altra le assestò in mezzo alla fronte un poderoso
pugno che la uccise all’istante.
Fandral aveva
ingaggiato la lotta con un grosso toro che aveva deciso di incornarlo, ma il
biondo lo aveva agilmente scansato, poi, prima che l’animale tornasse alla
carica, prese una delle mezze stole che pendevano dalla sua cotta, e la usò
alla maniera del drappo rosso dei matador e giocò un poco alla corrida,
divertendosi un sacco, prima di trapassare l’animale col fioretto.
Hogun, con la sua
mazza chiodata, puntava principalmente alle zampe delle bestie, per poterle far
cadere a terra e poi finire, ma vedendo un aquila leontocefala
che si stava avventando su Sif, afferrò velocemente
un coltellaccio che aveva alla cintura e lo usò per troncare le ali al rapace.
Thor
non aveva perso nulla del proprio stile in quei mesi di inattività e con grande
naturalezza roteava il martello per aria, prima di abbatterlo sugli esseri
mostruosi che lo assalivano da ogni dove. Un colpo, due colpi, tre e altri
ancora in rapida successione vorticavano attorno a lui, lasciando per terra
carcasse.
Vör se ne stava nel proprio
cantuccio, in attesa che lo scontro finisse. Un toro androcefalo
fu scaraventato da qualcuno oltre il bacile e, quando si fu rimesso in piedi,
notò la ragazza che si nascondeva e subito tentò di aggredirla, ma i suoi
zoccoli furono fermati a mezz’aria: la magia nel suo braccialetto stava
proteggendo Vör. Il mostro cercò di colpire ancora,
più violentemente, ma in quel momento Fandral gli
balzò sulla groppa e, passatogli un braccio attorno al collo, tirando
all’indietro, riuscì ad impedire l’attacco. La bestia si agitava furiosamente e
cercava di disarcionarlo, sbattendo apposta contro le pareti. Il guerriero,
nello sforzo di non cadere, perse il fioretto, ma non si preoccupò, anzi
sorrideva allegramente per quella sfida; con entrambe le braccia libere riuscì
a stringere molto più saldamente il collo del mostro, strinse, strinse,strinse.
Strinse con tutte le sue forze. A poco a poco l’agitarsi dell’animale si fece
più tranquillo, si arrestò, vacillò, poi cadde a terra morto. Fandral si rimise in piedi, recuperò il fioretto e, prima
di lanciarsi nuovamente nella mischia, lanciò uno sguardo a Vör,
le fece l’occhiolino e le disse: “Mi ringrazierai poi, per averti salvata.”
Il
combattimento si protrasse ancora per qualche minuto, ma ben presto tutti quei
mostri giacevano a terra morti, non avevano nessuna speranza contro gli Asgardiani che, liberatisi degli aggressori, discesero
lungo la rampa per tornare indietro, non senza però aver staccato qualche
corno, zanna o artiglio dalle belve, per poterli mostrare come trofei.
Tornarono
in America sempre coll’aeroplano di Tony Stark e poi
si trattennero a casa di Thor e Jane per qualche giorno, poiché desideravano
trascorrere del tempo assieme all’amico, ma seguire le abitudini di Midgard era alquanto complesso. Andare in giro senza armi
era del tutto innaturale per i Tre Guerrieri e Sif
che si sentivano quasi mutilati per questo. Inoltre c’erano tanti comportamenti
strani in quel Regno, come andare in giro con dei così nelle orecchie ed
ascoltare musica, invece che parlare, oppure stare in casa davanti a dei
simulatori di sport, invece che andarli a praticare direttamente, o anche voler
essere sempre costantemente informati su ciò che capitava in giro, specialmente
circa le relazioni amorose di una certa categoria di gente detta vip, non
capivano nemmeno come i mortali potessero divertirsi andando nel cuore della
notte a rinchiudersi dentro sale buie e affollate dove qualcosa che pretendeva
essere musica sfondava le loro orecchie; ma la cosa che più meravigliava e
quasi scandalizzava gli Asgardiani era l’esistenza
dei vegetariani! Volstagg ripeté più volte che
proprio non si capacitava del fatto che ci fosse gente che si nutrisse solo di
contorni.
La
settimana che trascorsero con Thor passò velocemente e agli amici dispiacque
separarsi, decisero allora di fare una sorta di festicciola l’ultima sera.
Cenarono, mangiarono una torta, ballarono e si scattarono un sacco di foto e
poi stamparono le più belle da portare come ricordo su Asgard.
Thor aveva anche comprato una bella cornice dove mettere un proprio primo piano
da far consegnare a suo padre, perché potesse vedere la sua immagine ogni volta
che sentisse la sua mancanza. Vuotarono anche parecchie bottiglie di birra e
altri liquori, durante la serata, ma nessuno soddisfaceva abbastanza Volstagg. Si divertirono parecchio.
Durante
quella settimana, Thor non aveva dimenticato che Vör
era triste, né il perché, e aveva ragionato su come e se esserle utile. Solo
alla fine aveva preso una decisione. Quell’ultima sera, quando ormai quasi
tutti erano crollati dal sonno, il principe prese da parte Fandral,
lo portò sul balcone in modo da essere certo che nessun altro sentisse, e gli
disse: “C’è una questione di cui ti devo parlare. Credo che Vör
sia innamorata di te.”
“Cosa?”
si stupì Fandral.
“Mi
ha confidato che sta soffrendo per amore, che è innamorata di un uomo con cui è
cresciuta e che è abituato ad avere attorno bellissime donne; chi altri
potrebbe essere, se non tu?”
“È
impossibile!” ribatté lo spadaccino “Da quando è tornata, ho provato l’ennesimo
corteggiamento, sperando che in dieci anni di lontananza qualcosa fosse
cambiato: l’ho avvicinata più volte, sono stato estremamente gentile, l’ho
fatta ballare e ho usato una certa dose del mio charme, ma lei è rimasta
praticamente indifferente. Deve trattarsi di qualcun altro.”
“Chi
frequenta, allora?”
Fandral fece mente
locale, per poi rispondere: “Nessuno. Cioè, non mi pare di averla vista in
compagnia di nessuno in particolare a parte noi e Bragi,
ma non credo si tratti di lui.”
“Nemmeno
io. Suvvia, mi pare evidente che si riferisse a te. Forse proprio perché sei
stato gentile e hai cercato di affascinarla si è invaghita!”
“Se
fosse così, lo avrebbe dimostrato.”
“Dai,
la conosci anche tu, è timida e riservata, è una di quelle donne che appena
prova un sentimento si spaventa e si chiude.”
Fandral iniziava ad
essere convinto dalle parole dell’amico e, ricordando un po’ l’ultimo mese e
mezzo, disse: “Effettivamente quando non era in biblioteca o al museo, era
sempre con noi, cosa che prima non faceva così spesso, forse lo ha fatto per
starmi vicina … e, ora che ci penso, non ha mai gradito la presenza delle mie
ammiratrici … Sai che forse hai ragione? Ma cosa ti ha detto di preciso?”
“Quello
che ti ho già riferito e in più che non si sente abbastanza attraente. Che cosa
pensi di fare?”
Fandral, guardando il
panorama notturno e le mille luci della città, rispose: “Lo sai che mi ha
sempre intrigato! E che almeno una volta al secolo la corteggio. Le belle donne
non stufano mai, ma ogni tanto si ha voglia di qualcosa di diverso, per cui
credo che l’asseconderò.”
“Fandral, attento a quel che fai, non si merita di essere
sfruttata.” lo apostrofò Thor.
“E
chi ha parlato di sfruttarla? Sarà un favore reciproco: io soddisferò la mia
secolare curiosità su come sia stare con lei e lei acquisirà un po’ di
autostima in campo sentimentale. Penso sia un guadagno per entrambi comunque
andrà a finire.”