Capitolo
quarto
Nuota, innocente
Per una settimana Lorenzo sparì dalla mia
vista. Quando uscivamo col suo gruppo, lui non c'era mai, e nessuno a parte me
sembrava accorgersi della sua mancanza. Anche il mare faceva schifo, agitato,
sporco, ci mancava poco che si mettesse a piovere. Quel mare continuava a
piacermi, ma sapeva anche incutermi timore, come se ci fosse qualcosa sotto che
non mi faceva sentire al sicuro. Sembrava urlarmi contro, arrabbiato, e io non
sapevo codificarne il linguaggio. Mi mandava segnali che non riuscivo a
cogliere. La marea era alta, le onde quasi toccavano i miei piedi mentre me ne
stavo appollaiato davanti a una duna, come fossero braccia che si allungavano
per trascinarmi via con loro.
Forse il mio vedere tutto nero era anche dovuto alla mancanza di droga e
derivati. Avevo finito tutto, e avevo incaricato Riccardo di farsi vendere
qualcosa da uno dei suoi amici storti, ché già non ce la facevo più. E non ce
la facevo più a passare le serate da solo in spiaggia. Avevo creduto che la
presenza di Lorenzo fosse irrilevante, ma senza di lui mi sentivo quasi
turbato. Ero arrivato a pensare che gli fosse successo qualcosa, ma in cuor mio
sapevo che mi stava evitando apposta, che ce l'aveva con me per avermi beccato
a casa sua con la sorella. Probabilmente era un tipo particolarmente possessivo
e non voleva che uno sconosciuto gli entrasse in casa e gli violasse la
sorella.
Dopo la quinta sera passata in solitudine, mi
decisi a piantarla di fare l'asociale e mi aggregai al gruppo di Riccardo, che
per altro mi fece trovare un bel pacchetto di erba e altra roba - iniziando a
pressarmi perché gli restituissi i soldi, centesimo per centesimo. Prendemmo la
macchina del mio amico - che continuava a guidare senza patente - e
raggiungemmo una vecchia discoteca appena fuori dal paese. Vecchia era dir
poco, sembrava dovesse cadere a pezzi da un momento all'altro. Ma sembrava
comunque ben attrezzata, la musica era buona, le luci pure, e c'era pure un
piccolo stand che vendeva birre. Incrociai Roberta all'entrata, ma ci limitammo
a un saluto freddo: lei aveva provato a starmi vicino in quei giorni, ma aveva
capito che con me non c'era trippa per gatti. Non volevo impegnarmi, non volevo
neanche andarci a letto, a dirla tutta, ma spiegarle che in quel momento mi
sentivo ispirato dalla sua faccia non era da gentiluomo.
In discoteca, se poteva chiamarsi tale,
ballai con le movenze di mio nonno per un quarto d'ora, poi andai a buttarmi
sulla panchina in pietra, già esausto. Probabilmente aveva ragione Lorenzo:
fumare troppo non era poi uno dei migliori toccasana. Valeria tentava di
tirarmi dal braccio per poi trascinarmi nella mischia, ma io le dissi
chiaramente che non avevo voglia.
«Non hai mai voglia di fare un cazzo, tu!» mi
accusò, il diavolo che tornava ad appendersi ai suoi capelli. La lasciai
perdere, come sempre, e quando la seguii con lo sguardo mentre se ne tornava in
mezzo alla gente, notai una testa insolitamente rossa farsi spazio nel senso
contrario, nella mia direzione. Quando raggiunse le panchine e mi vide, si
bloccò sul posto, fece un giro di 180 gradi e se ne tornò nella mischia. Tentai
di non perderlo di vista e mi alzai per vedere meglio: Lorenzo aveva appena
incrociato le due ragazze russe del suo gruppo e, senza neanche salutarle o
scambiarci due parole, si era messo a ballare con una delle due, quella dai
capelli lunghi e mossi. Mi fece quasi ridere la sua scoordinazione che poteva
fare a gara con la mia, e la poca convinzione della russa mentre lo vedeva
accennare passi da pinguino. La sua incapacità nel ballare non migliorò neanche
quando arrivò il momento del lento. La metà della gente protestò per il cambio
improvviso di musica, l'altra metà stava già ad amoreggiare suddivisa in
coppie. E così sembrava voler fare Lorenzo quando acchiappò la russa senza un
minimo di delicatezza e le appoggiò il mento sulla spalla. Sapeva bene che ero
ancora lì a guardarlo, quindi si premurò di portare la bocca sul suo collo e
lasciarci baci poco convinti, mentre mi lanciava sguardi fulminei pensando di
non essere notato. Altro che diciotto anni, quello ne aveva undici. Sospirai
scuotendo la testa e, quando accanto a me si materializzò l'altra russa
chiedendomi se per favore potessi darle il mio numero di cellulare, la superai
e me ne andai verso l'uscita, facendo finta di non essermi accorto della sua
presenza. Ero nuovamente nervoso e anche arrabbiato, senza che riuscissi a
trovare una vera motivazione, quindi mi
decisi a uscire per fumare. Ma una volta fuori mi dissi che lì non mi
stavo divertendo neanche un po' e che magari mi sarei fatto una passeggiata a
casa, anche se lì ci eravamo arrivati in macchina e non ricordavo neanche da
quale direzione. Sbuffai rumorosamente, poi mi accesi la mia cannetta serale e
decisi di dimenticarmi anche di quel problema per poi incamminarmi alla cieca.
Non ci volle molto perché la mia estasi personale venisse rotta dal rumore di
un motore che s'avvicinava.
«Uhm... Gianluca?» mi voltai a guardare lo
scooter blu e poi Lorenzo e poi il suo casco e poi i suoi occhialetti sempre
appesi al collo. Probabilmente era la prima volta che mi chiamava per nome, mi
faceva strano. «Sali,» mi intimò dopo aver poggiato il piede a terra.
«Non preoccuparti. Fare un po' di movimento
non fa mai male. Poi mi faccio un'altra cannetta, che non fa mai male...»
«Ho dei seri dubbi in proposito,» mi
interruppe quello. «Comunque puoi fartela in spiaggia, la cannetta,» mi disse
poi, e mi fece segno di salire. Ripensandoci, non avevo proprio voglia di
camminare, e non era una grande novità. Gli montai dietro nonostante avessi la
sensazione di aver dimenticato qualcosa. Come l'inspiegabile arrabbiatura nei
suoi confronti che avevo fino a poco prima.
---
Il viaggio di ritorno mi sembrò molto più
lungo e stancante di quello dell'andata, anche se in entrambi i casi non avevo
fatto altro che starmene seduto con la testa tra le nuvole. Quando arrivammo in
spiaggia, andammo automaticamente verso il frangiflutti e iniziammo ad
arrampicarci sulle rocce senza dire una parola, con il solo ausilio della luce
del cellulare, che ci aiutava ad evitare di mettere i piedi nelle fessure tra
le rocce. Percorremmo il frangiflutti fino alla fine e ci sedemmo sull'ultima
roccia, la più grossa e sporgente, lasciando che i piedi penzolassero sugli
scogli che fuoriuscivano dall'acqua. Rimanemmo in quella sorta di limbo per
dieci minuti buoni, con il solo suono del mare che finalmente iniziava a
calmarsi, anche se qualche increspatura resa visibile dalla luce della luna
tradiva quella calma apparente. Fu Lorenzo ad azzardarsi a rompere il ghiaccio.
«Ehi... So che forse non te ne sei nemmeno
accorto, ma negli ultimi giorni ti ho evitato di proposito. Volevo scusarmi.»
Non dissi niente, mi limitai a guardarlo e a ficcarmi una sigaretta in bocca.
«E scusami se ti ho ignorato in discoteca poco fa,» concluse. Alzai le spalle e
fissai lo sguardo sul niente.
«Perdonato,» dissi senza troppa enfasi, e
feci per accendermi la sigaretta quando lui si avvicinò per bisbigliarmi un
grazie dal sapore infantile e dovetti bloccarmi con l'accendino a mezz'aria, il
cuore che faceva buffe acrobazie nel petto. Calò nuovamente il silenzio e io
ero ancora con l'accendino in aria, i pensieri che giravano vorticosamente in
testa. Nonostante lo spinello di prima, sembrava che sensazioni e presentimenti
e emozioni e avvenimenti si stessero allineando lentamente in modo ordinato,
permettendomi di avere una visione più chiara della situazione.
«Sai… se la tua
intenzione prima era di farmi ingelosire con la russa...» sorrisi, «beh, ci sei
riuscito.»
Mi guardò stranito. «Eri geloso di Katia?»
«Di chi?»
«Della russa.»
«Ma sei fuori? Lo ero di te,» dissi senza
troppi problemi, dando voce ai miei pensieri ora allineati, e mi accesi la
sigaretta. Così come i suoi occhi si accesero come lampadine. Sembravano così
gialli e luminosi anche al buio. Forse avevo capito cos'è che mi era sfuggito
per tutti quei giorni, e mi sentivo come se fossi riuscito ad afferrare quel
qualcosa di indefinito.
«Ma,» riprese lui, la voce che tremava
appena. «Che hai fatto con mia sorella?»
«Credo di esserci andato a letto.»
«Oh,» commentò lui abbassando il capo, e a me
venne solo da sorridere, cosa che solitamente mi veniva difficile da fare. Eppure tutto era spontaneo quella sera. No,
tutto era spontaneo con lui. Mi sembrava di conoscerlo da sempre, di amarlo da
sempre.
«Non indovineresti mai perché l'ho fatto. E probabilmente
non mi crederesti.»
«Perché l'hai fatto?» mi fece eco.
«Perché ti somiglia parecchio,» dissi senza
farmelo ripetere due volte e quello, dopo lo sbigottimento iniziale, fece un
risolino.«Non ci credi,» constatai. Lui negò con la testa.
«E' una bella scusa, però,» disse continuando
a ridacchiare ad occhi chiusi. Inclinai la testa, intenerito da quella risata,
così vicina al suono che avrei volentieri ascoltato per il resto dei miei
giorni.
«Ci crederai,» lo rassicurai. Spostai la sigaretta
e gli misi l'altra mano sul ginocchio premendo piano con le dita, quasi a
volergli trasmettere un segnale. Lui interruppe la risata, puntò gli occhi
prima sulla mia mano e poi sulla mia faccia. A quel punto mi permisi di avvicinarmi senza
dargli il tempo di realizzare le mie intenzioni e gli lasciai un bacio sulla
bocca. Preso alla sprovvista, Lorenzo ebbe uno scatto alla gamba e fece cadere
l'accendino in mare.
«Oh, cavolo! Mi dispiace, io...» si allontanò
da me tutto trafelato e con la mano sulla bocca. Scossi la testa ridacchiando.
«Non fa nulla, uno di quelli costa 80
centesimi. Un tuo bacio mi è costato quasi tre settimane,» dissi col tono del
marpione, o del don Giovanni, o magari nessuno dei due. Magari ero solo
ridicolo.
«E ti sembra tanto? Le persone le baci appena
le incontri? Ah, beh, che con mia sorella...» le sue allusioni erano ben
chiare, e io spostai lo sguardo altrove, fintamente seccato.
«Non uscirtene più
con questa storia, dai. Già mi sento abbastanza in colpa,» presi l'ultimo tiro
dalla sigaretta e la gettai in mare con pollice e medio. Al che lui mi guardò
malissimo, quasi addolorato, neanche gli avessi spento la sigaretta sul
braccio. «Scusa,» mi venne spontaneo dire, e lui mi rivolse uno sguardo da
"Non farlo mai più". Ma sembrò dimenticarsi della mia villania quando
feci per baciarlo di nuovo. Serrò gli occhi e socchiuse la bocca come una
bambina che ha paura di prendere la medicina pur sapendo che è l'unico metodo
che può aiutarla a guarire. Il bacio fu particolarmente lento, profondo, umido
e... salato?
«Sei salato,» lo informai, e lui alzò le
spalle, quasi non fosse la prima volta che se l'era sentito dire.
«Tu sai di sigaretta. Cosa pensi sia peggio?»
replicò lui, e io tornai nella mia posizione alzando a mia volta le spalle,
quasi a volerlo prendere in giro.
«Se vuoi non ti bacio più.»
«Ti bacerò io, allora,» se ne uscì lui, e si
permise di mettermi una mano sul ginocchio. Ma non ci fu verso: fui io a
buttarmi su di lui, senza che riuscissi a resistere per mezzo minuto. Ci
baciammo a lungo, scambiandoci sapore salato e di sigaretta, senza la minima
intenzione di staccarci, nonostante quei sapori non andassero a genio a
entrambi. Solo lo squillo del mio cellulare ci diede una scossa. Lo presi dalla
tasca e aprii il messaggio di Anna che mi chiedeva dove fossi andato a finire e
mi intimava di rincasare, ché erano tutti preoccupati. Le scrissi un
"Arrivo" frettoloso, tanto per farle capire che ero ancora vivo, poi
misi via il cellulare e, senza neanche rendermene conto, avvolsi le spalle di
Lorenzo col braccio e lo avvicinai a me. Quello appoggiò la testa contro il mio
collo e socchiuse gli occhi.
«Non voglio
essere frettoloso, ma...» esordì a voce quasi inesistente. «Credo di amarti
già.»
Sorrisi tra me e me, un calore mostruoso che
mi si allargava nel petto.
«Sì, anche io.»
***
Pensate,
in Inerzia
li avevo fatti baciare al nono capitolo, qui già al quarto. Personaggi sempre
più precoci. E’ anche vero che Gianluca e Lorenzo sono più piccoli di Andrea e
Valerio, e poi va beh, l’estate mette fretta, è risaputo.
Un abbraccio a chi mi legge!
Mirokia