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Autore: Blacket    15/12/2013    3 recensioni
Riverso qui un mio sfizio. Forse inconcludente e terribile, ma necessario: la vista d'un Magna Germania che sia effettivamente un elfo, mi disturba e affascina. Quasi sicura che io possa rubarvi del tempo prezioso, ringrazio di cuore ogni avventuriero che ne leggerà qualche riga.
[...] "Ne avrebbe tessuto lodi, se solo un rantolo di macabra inquietudine avesse evitato di grattar le costole, spirando sibillino nei polmoni. Sensazione terribile, -perfetta!- strana ed incongruente, dato che la meravigliosa vista si specchiava ora in un ricordo." [...]
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Antica Roma, Germania Magna
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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fanfic grandads Note: Ottavius-Impero Romano | Ariovisto-Magna Germania.
Volevo in realtà togliermi un grande sfizio. Vedere magna Germania come un elfo mi ha tartassato- e son somiglianze con il nostro Legolas che fan fiorire ciò. Mi rendo conto che sia parecchio fuori dalla mia idea di canon, vedere un barbaro d'un'eleganza spaventosa, ma datemela buona. Fra gli avvertimenti sta un bel "NONSENSE"- a ragione, non a caso.
Grazie in anticipo- spero non sia tempo perso per voi incuriositi.





Ne guardò il viso levigato, tanto bello da essere astratto-  pulito e puro e intoccabile.
Ne avrebbe tessuto lodi, se solo un rantolo di macabra inquietudine avesse evitato di grattar le costole, spirando sibillino nei polmoni. Sensazione terribile, -perfetta!- strana ed incongruente, dato che la meravigliosa vista si specchiava ora in un ricordo.
Se solo avesse avuto modo, di sfiorarne i capelli biondi, e tastarli, tirarli, solo per dimostrare che fossero umani. Eppure la pelle, le labbra, bramava di toccarle e morderle, per vederne il sangue- e che fosse rosso! E scendendo serpentino l'avrebbe rassicurato, perchè allor nel cuore d'un soldato si sarebbe giunti alla conclusione che pure lui era figlio di quella terra. E come uomo ne avrebbe fatto avversario, forse tesoro della sua voce, escluso che si trattasse d'un qualcosa di tanto speciale- "E se davvero tu lo fossi, Ariovisto, allora ti vorrei. A me come unico, sotto il mio potere, sopra la mia mente".
- Non muoverti.-
Il sussurro sgusciò piano, or diretto alle orecchie puntute dello straniero. Vorrebbe essere tanto vicino da poterne sfiorare la veste. -Ottavius, non avvicinarti.-
Odiava, lui, esser comandato. E non soffriva lo sguardo prenentorio, il più semplice suo sorriso, il tentativo vano d'unire quel suo microcosmo alle sue conoscenze veniva ancora attaccato e sbranato dai veri intenti di Ariovisto, che volentieri assumevano l'abnorme forma d'una fiera. Il viso d'un dio, artigli affilati delle bestie.
- E scapperai? Tu che non sei umano, ancora mi temi?- E a ben dire, la provocazione per il romano era l'atto più simile ad un sensuale groviglio di corpi, serrati e stretti, che par si violino e accarezzino; le parole pungono, vogliono la tua reazione, e se mai entreranno dentro te, quanta fatica farai a dimenticarle.

Osservò il fare dell'altro, più alto, sempre sopra e innanzi a lui, e cammina come se i suoi piedi fosser fatti d'edera, che lenta cammina sui muri- e silente, imita il sospiro delle fine foglie che suonano al vento; ha avuto prova del loro canto, ancor quando l'aveva stretto fra le braccia.
- Dove andrai, Ariovisto?-

Ricordo le notti buie, le selvagge foreste scure, ove le ombre erano tetto e casa, ed il tuo sospiro caldo il mio fuoco.

- Non son vile, uomo.- Soderò così la lancia acuminata, in un respiro controllato.
Nella sua irrealtà, un gesto tanto onorifico mai avrebbe potuto toccare quello disperato del sentimento umano; forse rozzo, ma ancor più forte e tonante. Un fulmine.


Vagheggia nella mia mente il tuo ostruzionismo, i muscoli tesi ancor prima che portassi le mie mani a tastare le tue carni, eppure pareva tanto naturale- e ciò sino nei tuoi occhi ribelli. Quanto eran belli, quanto gli astri impallidivano invidiosi, alla loro vista.

Rammento in breve, i baci a te tanto sconosciuti, che ricambiavi con la confusione del trovarsi desolati, al vista di pochi indizi. Tu nel sentiero tracciato: spinto dai morsi, dalla mia lingua calda e bollente, che voleva e vuole ancora, dal mio riso mai soddisfatto.


I passi, seppur su terra battuta, sollevarono sol briciole di polvere- ed iniziarono la danza in compagnia vostra, delle vostre lame ed esperienza. I movimenti ebbero l'ampiezza di un braccio, perchè distratti hanno ancora l'odore dei pensieri.
Ottavio è conscio quanto Ariovisto fosse agile, e forte e tremendo, quanto una lancia in sua mano sarebbe potuta diventare la più temibile delle armi. Eppure il romano è uomo, e come tale ha la trascendenza della sua volontà: valica spesso l'impossibile, merita il rispetto di chi possiede qualità stupefacenti.


Odiavi forse, le mie mani. I polpastrelli che ti tastavano. E tremavi, mai per il freddo, giacchè tu non ne provi.
Scalciavi, mi facevi impazzire; e dè tuoi ringhi e mugolii componevo una sinfonia eccitata, vibrante, tanto attesa e passeggera da rendersi peccatrice. Avresti potuto rifiutare, le mie attenzioni? Il mio forse sgraziato modo di divaricar le tue gambe, e pretendere le tue grida? Certamente, e ancor mi chiedo perchè tu non ne abbia posto fine.


Il combattimento si fece più fitto, d'una mescolanza di colori e fiati, in uno sregolato tintinnare e sciabordare di suoni metallici- or si udì la determinazione dell'avversario, nelle sue mosse che sempre vanno a segno; non vi fu un attacco che passò a vuoto, perchè mai uno di loro indietreggiò.
Ariovisto era d'una razza eterea, diversa, brillava nel combattimento e sfoggiava le qualità d'un tiratore, un animale e una dama.
 E nel mentre che andavano avanti, fiori rossi sui corpi tesi.


Cercavo in tutti i modi, di vincere- pur barando, giocando sporco, inumidendo ogni tuo nervo scoperto, scaldando col mio tocco ciò che già bruciava di mie precedenti attenzioni. Immagino di non aver mascherato troppo il mio essere preso, e ciò che unii in un bacio.
Ti volevo mio, e nulla ho fatto per nasconderlo.
Tu, quindi, mi volevi tuo?




E rapidamente, in un sobbalzo, fu Ottavius ad aprir gli occhi spossati, si gonfi- più malati di prima, in quanto mai si erano beati di ultimi incontri e scontri.
Vide la sua esperienza in sogno, glielo sussurrò scocciata la domus che piano pompava vita, ed il sole che scaccia buio e torpori della notte; tutte le sue visioni e speranze, cancella i più grandi dubbi nel vuoto dell'inenistenza.
"Cosa potrà mai essere se non un sogno, il viso della perfezione? Che ruba il bello ai belli, la forza ai potenti, l'agilità ai felini? Solo gli occhi tuoi, mi fan inorridire,
della consapevolezza amara
e tanto spiacevole, Ariovisto,
che possano non esistere."







  
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