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Autore: HamletRedDiablo    16/12/2013    9 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Dodici: il Mago dell’Ovest

 

Arthur si appoggiò alla poltrona come se le sue ossa fossero diventate d’acqua.

Carriedo aveva portato Lovino Belial, quella mattina, perché rispettasse gli accordi: aveva ricondotto alla sanità mentale tutti i marinai che si trovavano internati a causa sua. Poi, la notizia: Francis era stato giustiziato.

Arthur premette le dita sulle tempie, accigliato. Perché il Vaticano non gli aveva parlato di quell’esecuzione? Temeva che avrebbe fatto qualcosa per sabotarli?

Il Mago dell’Ovest strinse un pugno e lo abbatté sul bracciolo della poltrona.

Avevano sempre usato i suoi poteri ricattandolo con la salvezza della sua patria. E lo avevano ingannato, facendogli credere che il Marauder fosse ancora in vita.

Non poteva mettere in pericolo Britannia, ma poteva restituire il tradimento al Vaticano. Aiutando l’ultimo Carriedo, avrebbe fatto in qualche modo ammenda per l’eccidio del suo popolo.

Si diresse verso la cassaforte, nascosta dietro il quadro del Leone Incoronato. Vi passò sopra la mano in modo che le pietre incastonate riconoscessero la sua aura, e, quando la porta d’acciaio si schiuse, afferrò con cura l’unico monile lì conservato: un non ti scordar di me di cristallo, sottile come un fiocco di neve. Lo avvolse in un panno, badando di non incrinare nemmeno un petalo, e si preparò al successivo incantesimo. Pronunciò una litania secca, e si portò esattamente davanti allo specchio; allungò la mano verso il suo riflesso, che fece lo stesso. Strattonò le dita della creatura al di là dello specchio, e un secondo se stesso ruzzolò fuori dalla superficie riflettente.

«Che maniere!» si lamentò il secondo Arthur, rialzandosi stizzito.

«Non abbiamo tempo da perdere. Cambiati» lo spronò bruscamente l’originale, e gli indicò un paravento spartano in un angolo della camera. La sua copia si avviò fumando indignazione, e obiettò:

«Cos’è questa palandrana antidiluviana?»

«Una palandrana antidiluviana» confermò Arthur. «È l’unico indumento di Avalon che mi resta.»

«Un magnifico esemplare di muffa su tessuto» commentò l’altro, spostando il mantello grezzo con la punta del piede.

«Non è ammuffito» il Mago dell’Ovest gli gettò addosso una casacca e un paio di pantaloni. «Non puoi stare con l’uniforme da capitano.»

«Creerebbe confusione negli uomini?» la copia si tolse bruscamente i vestiti dalla testa e si nascose dietro il paravento per infilarseli.

«No. Ti renderebbe troppo riconoscibile. Stai per salpare con la Reina de la Oscuridad.»

Una testa color paglia sbucò dal paravento, inviperita.

«Come sarebbe a dire?»

«Non posso abbandonare Britannia, ma non sopporto di essere in debito con un pirata: andrai con lui e lo aiuterai a ritrovare il Marauder.»

La copia stava per reclamare, ma la sua bocca rimase aperta a metà.

«Il Marauder non può morire» recitò in un soffio.

«Oh, finalmente la condivisione di pensiero si sta completando» si complimentò Arthur. «Saresti stato un doppio molto scarso se fossi rimasto con la testa vuota.»

«Questo mi avrebbe reso solo più simile all’originale» replicò piccato l’altro, stringendo la cintura dei calzoni.

«Riconosco il mio sarcasmo spietato» notò il Mago dell’Ovest. «Sei una copia ben riuscita, se non altro.»

Il secondo Arthur uscì dal paravento, completamente vestito. L’originale approvò con un cenno del capo: gli abiti da boscaiolo nascondevano a dovere le loro somiglianze, e il largo cappuccio della palandrana di Avalon celava il viso identico a quello del Britanno.

«Vai» comandò Arthur, e gli porse il minuscolo orpello, ben fasciato nel panno soffice. «Non voglio che quel pirata avanzi altre pretese assurde, in futuro.»

La sua copia sollevò il cappuccio ombroso, e due occhi uguali ai suoi lo scandagliarono mentre l’altro lo accusava amaramente:

«La condivisione di pensieri si è completata. Non è per non avere un debito con il pirata che mi stai mandando» soppesò il fiore di cristallo e intonò: «“Mi riconoscerai in qualunque forma?”»

«Vai» tagliò corto Arthur. La sua copia non aggiunse altro, e lasciò la stanza.

Nelle menti di due maghi si affollarono le stesse memorie.

Il dolore e la dolcezza non furono dimezzati, anche se passarono per due cuori diversi.

 

***

 

Arthur aveva appena compiuto la maggiore età, a quell’epoca.

Merlino, suo nonno, lo prendeva in giro dicendo che gli erano cresciute solo le ossa, e non il resto: non aveva un grammo di carne su quelle membra rachitiche. Ma la sua gracile forma fisica non aveva compromesso i suoi poteri: accorrevano da tutta Faerie per acclamare i successi dell’ultimo rampollo degli Avalon. Era il gran cerimoniere nelle feste di paese, dove faceva comparire dal nulla suntuosi banchetti e strumenti musicali che suonavano da soli. La gente si divertiva, e Arthur rideva con loro.

Avrebbe dovuto essere così anche Beltaine.

Il nonno Merlino lo prese sulle gambe, e gli comunicò il loro progetto: erano convinti che esistessero altri mondi, oltre a Faerie, e avevano intenzione di inviare lui, Arthur, ad esplorarli. Sarebbe stato un enorme passo avanti per il loro mondo: avrebbero potuto studiare nuovi popoli, forse nuove razze, e avrebbero potuto intrattenere proficui scambi commerciali.

Arthur aveva accettato: essere il primo Avalon esploratore era un onore come non avrebbe mai sperato di riceverne. Avevano poi deciso il giorno della sua partenza: Beltaine, quando l’ultimo fuoco si fosse spento.

Avevano festeggiato e banchettato, come sempre: il Mago dell’Ovest ricordava ancora il calore del fuoco scoppiettante nei falò e quello del sidro giù per la gola, le musiche celtiche e le danze, il tappeto di fiori caduti dalle ghirlande con cui le giovani si erano addobbate i capelli e l’odore turbinante di dozzine di portate servite sullo stesso tavolo.

Merlino gli aveva drappeggiato quella vecchia palandrana addosso, cimelio del capostipite degli Avalon; l’unico decoro di quella mantella era il simbolo del melo, l’albero sacro per la loro famiglia, ricamato in oro all’interno del tessuto, in modo che non fosse visibile all’esterno.

Arthur aveva salutato tutti con un plateale gesto della mano, ed era saltato nel portale aperto per lui dal nonno.

Se avesse saputo cosa lo aspettava, non avrebbe mai intrapreso quel viaggio.

Si era trovato in un mondo folle e tenebroso, pieno di gente troppo indaffarata per parlare con il ragazzino straniero, un pianeta pieno di odori strani e pungenti, di rumori striduli e di cieli carichi di nuvole. Su Faerie non era così: il cielo non era mai sprovvisto di un raggio di sole, e sul volto della gente non mancava mai il sorriso.

Arthur girò per le strade per giorni e giorni, in cerca di una minima cosa che potesse piacergli in quel posto, ma non riusciva a trovare un solo dettaglio gradevole: gli pareva di vivere in un mondo soffocato da un manto di polvere. I cibi gli parevano insipidi se non disgustosi, i rumori troppo forti, gli odori troppo penetranti, la gente troppo gretta e il cielo troppo triste.

Estrasse dunque dalla tasca la verga che il nonno gli aveva dato, e la spezzò come era stato istruito. Non c’era nulla che quel pianeta potesse insegnare o offrire a Faerie.

Ma le estremità della verga rimasero immobili nelle sue mani: niente fumo, niente scintille. Niente casa.

In quel giorno, gli Avalon scoprirono che si poteva approdare in un mondo parallelo, ma non si poteva fare ritorno.

 

***

 

Lo incontrò cinquant’anni dopo, quando si era abituato a quel mondo come ci si abitua al dolore di un dente guasto.

La sua divisa sfarzosa fendeva l’aria grigia come un faro, con il blu intenso della giacca di sartoria e il rosso infuocato dei pantaloni alla zuava. Procedeva con un’andatura indolente ed elegante, come se non volesse affaticare gli stivali scuri. Esaminava lentamente il mondo con gli astuti occhi azzurri, e un accenno di sorriso aleggiava sulle sue labbra. Di tanto in tanto portava dietro le orecchie i capelli biondi, lievemente ondulati, e accarezzava la barba curata.

Arthur non si sentì intimorito quando quelle iridi furbe si posarono su di lui.

Agli occhi dell’umano, doveva apparire come un normale ragazzo prossimo a uscire dall’adolescenza. Aveva scoperto, tempo addietro, che i suoi ritmi di crescita erano molto diversi rispetto a quelli degli abitanti di quel mondo: occorrevano tre generazioni umane perché il suo viso apparisse invecchiato di un paio di anni. Era stato costretto a trasferirsi ogni volta in cui la sua età immobile avrebbe potuto tradire le sue origini aliene.

«Non sei di qui, vero, ragazzo?» domandò l’uomo, con un accento arrotondato.

«No signore» confermò neutro Arthur. «Abito qui solo da qualche anno.»

Lo sconosciuto puntò una mano sul muro alle sue spalle, e insinuò con un ghigno malizioso:

«E da quanto hai abbandonato il tuo mondo?»

Rise dello sguardo spinoso che gli lanciarono quegli occhi verdi, e si pizzicò la barba bionda mentre lo rassicurava:

«Non agitarti, piccolo. Sono un Marauder: sono abituato a vedere cose che gli altri non vedono. In particolare, sono bravo a riconoscere le creature che non sono di questo mondo.»

Il viso dell’uomo si avvicinò al suo a tal punto che Arthur lo respinse schiaffandogli una mano in faccia.

«Non sei di questo mondo, ma sei troppo materiale per essere un fantasma» lo sconosciuto si allontanò sorridendo. «Sei un alieno?»

«Bada ai tuoi affari» replicò secco lui, voltandosi.

«Oh, posso anche farlo» l’uomo gli appoggiò una mano sulla spalla, che il giovane si scrollò di dosso bruscamente. «Ma dopo tu rimarresti da solo. Di nuovo» c’era il veleno di chi sa di pungolare un tasto dolente nelle sue parole. «Non credo che molte persone ti abbiano rivolto la parola, negli ultimi cinquant’anni.»

Prima che il ragazzo potesse chiedergli come faceva a sapere che era lì da cinque decadi, l’uomo stese il braccio con gesto teatrale e indicò l’acciottolato.

«In fondo a questa strada c’è un albero di melo. Mi troverai lì nei prossimi giorni. Nel caso avessi voglia di parlare con qualcuno. Sempre che la tua lingua non si sia atrofizzata, in tutto questo tempo» aggiunse, con un ghigno che il giovane trovò semplicemente insopportabile.

«Puoi anche mummificarti, sotto quell’albero di mele» tranciò la conversazione Arthur, voltandogli le spalle.

L’uomo lo osservò placido mentre spariva lungo la strada. Voltò il viso come se stesse parlando con una persona alle sue spalle e mormorò, raffinato:

«Lo so, Jeanne. Verrà. Nemmeno un alieno è fatto per vivere da solo per sempre.»

 

***

 

La previsione dell’uomo si rivelò corretta: occorse una settimana intera perché Arthur vincesse la lotta contro il suo orgoglio e riuscisse a trascinarsi sotto l’albero di mele.

Lo sconosciuto lo aveva invitato a prendere posto vicino a lui; Arthur si era seduto a tre metri di distanza.

E avevano cominciato a parlare.

Dopo molti giorni e un’incalcolabile dose di pazienza da parte dell’uomo, l’Avalon aveva rivelato le sue origini e descritto il suo mondo.

Lo sconosciuto aveva così scoperto un luogo chiamato Faerie, che corrispondeva ai racconti mitologici dell’età dell’oro: un paese che non conosceva carestia o grigiore, che non sapeva cosa fossero malattia e morte.

Arthur strappò un filo d’erba quando gli fece quella confessione.

«Non sapevo che gli umani potessero morire.»

«Nel tuo mondo le persone non muoiono?» si sorprese l’uomo.

Il giovane chiuse gli occhi, cercando di isolarsi dalle brutture che aveva visto nella dimensione degli uomini. Li riaprì con un sospiro sconfortato, e paragonò:

«Quando un abitante di Faerie sente che il suo tempo sta per finire, si avvicina al lago di Vivien… e le onde lo conducono alla sua nuova dimora. È un abbandono dolce, è come… tornare a casa» le dita del ragazzo corsero a intrecciarsi con l’erba sotto di lui, senza pace. «Qui invece ho visto gente morire urlando… soffrendo… non pensavo che la morte potesse essere così orribile.»

L’uomo gli lasciò il tempo per riassorbire il colpo che quelle orribili memorie avevano assestato al suo animo delicato. Quando Arthur parlò di nuovo, il suo tono trasudava l’ostinazione di chi non vuole cedere al male.

«E poi… qui ho imparato cosa vuol dire “ammalarsi”. A Faerie nessuno si ammala. Invece qui… ho visto cose atroci annidarsi nei corpi delle persone e portarle alla morte.»

«Non è un mondo in cui è facile vivere, il nostro» il tono dolce dell’uomo sembrò in qualche modo rendere le sue affermazioni vellutate. «Ti offre mille motivi, mille ostacoli per tirarti a fondo. Devi avere una ragione per vivere e aggrapparti a quella con tutte le tue forze, se non vuoi soccombere» gli occhi dal colore dei fiordalisi si appuntarono sfacciati sul suo viso, e lo interrogarono assieme alle parole:

«Sembra un bel posto, la tua Faerie. Niente malattie, un addio gentile… perché l’hai abbandonata?»

«Volevamo conoscere altri mondi» le labbra di Arthur si contrassero, rimpiangendo la sua terra natia. «Ma non sapevamo che non si potesse fare ritorno.»

L’uomo colmò la distanza tra loro e gli appoggiò una mano sui capelli stopposi. Il giovane, annegato nei suoi ricordi, impiegò qualche secondo per accorgersi che l’altro lo stava toccando.

«I viaggi interdimensionali funzionano in una sola direzione» ritrasse la mano prima che Arthur lo graffiasse come un gatto selvatico. «Questo vale per tutti i mondi. Morendo, si entra in un’altra dimensione, e non è possibile fare ritorno. Per questo esistiamo noi Marauder: traghettiamo le anime che non hanno trovato la strada dopo il grande salto. Ma, purtroppo, non posso fare nulla per te» l’uomo avvertì una stretta al cuore, quando lo sfavillio speranzoso appena acceso negli occhi del giovane si spense miseramente. «Tu non sei uno spirito. Non posso traghettare un essere vivente. E poi, come ti ho già detto, i viaggi di questo tipo funzionano in una sola direzione.»

«Quindi non c’è nulla che io possa fare?»

Quella domanda che sapeva di preghiera doveva essere costata un enorme sforzo a quella bocca orgogliosa. L’uomo gli circondò le spalle con un braccio, incurante della sua ritrosia, ed espose:

«Non puoi fare nulla per tornare a casa, ma puoi fare qualcosa per rendere questo posto la tua nuova casa.»

Arthur lo spinse via con poca grazia, e si alzò in piedi irritato.

«Non vedo come.»

«Per la via più semplice: trova qualcosa da proteggere» l’altro si alzò a sua volta, adombrandolo con i suoi centimetri in più. «Hai visto la morte, hai visto la malattia… ma tutto questo non ti ha provocato solo paura e delusione, giusto? Non hai sentito qualcosa di diverso, più o meno qui?» si appoggiò una mano sulla pancia, e l’espressione del giovane fu una conferma sufficiente. «Quella è empatia. Hai visto il loro dolore, e ti è sembrato di sentirlo sulla pelle. Per questo hai odiato la morte e la malattia di questo mondo: non portano sofferenza solo al malato o al defunto, ma la estendono a tutti i presenti. Non vorresti fare qualcosa per fermare questa epidemia?»

Arthur si morse le labbra: non capiva in che modo lui potesse operare una simile trasformazione, ma non voleva abbassarsi a elemosinare spiegazioni dal Fiammingo.

L’uomo lo liberò da quel conflitto, annunciando:

«Per aver affrontato un viaggio del genere, devi avere dei poteri eccezionali. Usali per il bene della gente e presto il tuo talento verrà riconosciuto.»

L’uomo gli scompigliò i capelli, e saltellò via prima che il ragazzo potesse colpirlo.

«Non ti lascerò solo. Questo mondo è troppo efferato per affrontarlo senza un po’ di compagnia.»

«Non so nemmeno il tuo nome» gli fece notare Arthur. Quel ragazzo aveva un modo davvero grazioso di ottenere le informazioni evitando il fastidio di domandare e mostrare interesse.

«Francis Bonnefoy» si presentò, con un inchino aristocratico. «Finalmente me l’hai chiesto.»

«Sei tu ad avermelo detto.»

«Ma certo» concedette il Fiammingo, prima di voltarsi verso la strada che conduceva al cuore della città. «Ora andiamo: abbiamo del lavoro da fare.»

«Ma tu non sai il mio nome!»

Il sorriso dell’uomo mutò la sua fonte: dall’astuzia migrò alla saggezza.

«Lo so già, Arthur Kirkland, della dinastia degli Avalon. Così come sapevo che saresti venuto sotto il melo, perché è il simbolo della tua famiglia, ricamato nel tuo mantello.»

Il giovane indietreggiò, fissando guardingo quell’uomo.

«Come sai tutte queste cose?» un globo di fuoco si gonfiò rombando nel palmo di Arthur. Provò quasi una punta di nostalgia nel sentire le fiamme vorticare contro le sue dita: erano decenni che non utilizzava la magia, temendo le ire e i giudizi degli umani.

Francis si inginocchiò, quasi volesse annullare il suo vantaggio di altezza sul giovane.

«Essere un Marauder non significa solo essere un traghettatore. Come ti ho detto, noi vediamo cose che gli altri non vedono, sentiamo cose che gli altri non sentono.»

«Sei un sensitivo?»

«In un certo senso.»

«E grazie ai tuoi poteri riesci a leggere il passato altrui?»

«Oh, no, quello è merito di Jeanne. Lei vede molto più lontano di me.»

«Jeanne?»

L’uomo gli porse una mano senza reali speranze, sorridendo.

«Ci sono molte cose di me che non sai. Ma sarò felice di rivelartele, se vorrai camminare sulla mia stessa strada.»

Nemmeno Francis lo aveva previsto: Arthur afferrò quella mano.

 

***

 

Aveva trovato la sua strada.

Lo capì quando il sole di Faerie sorse sui volti dei familiari dell’ammalato, che si rialzò dal letto sulle proprie gambe. Gli avevano dato pochi giorni di vita, ed era bastato il tocco di quel ragazzo dagli insondabili occhi verdi per riportarlo in perfetta salute.

Quel mondo gli parve meno ostile, mentre tutta la famiglia si accalcava intorno a lui in lacrime. Erano delle lacrime belle da vedere: erano scaldate dai raggi della gioia, e scorrevano negli argini dei sorrisi.

Continuò a seminare lacrime tiepide e felicità in ogni provincia del paese. Poiché se ne andava sempre al tramonto, la gente prese a chiamarlo “Il Mago che va dove il sole muore”, presto abbreviato in “Il Mago dell’Ovest”. Arthur sobbalzò la prima volta che sentì un bambino appiccicargli addosso quel nomignolo; con il tempo, cominciò a trovarlo piacevole: la gente lo pronunciava sempre con la speranza negli occhi. Era una specie di mantra della gioia, ed era stato lui ad averlo portato.

«Hai ottenuto una popolarità enorme in soli due anni» lo lodò una sera Francis. «Il tuo nome è conosciuto in tutta la Compagnia di Britannia, ormai.»

«Il mio appellativo, non il mio vero nome.»

«Come sei pignolo.»

Arthur studiò l’uomo seduto sul suo letto con le gambe accavallate. Lui non aveva più una casa, quindi non soffriva particolarmente nel cambiare continuamente città; ma si chiedeva per quale motivo il Marauder lo seguisse costantemente, senza mai esprimere il desiderio di tornare a casa.

«È strano» sbuffò, girando la poltrona in modo da poter fronteggiare direttamente il Fiammingo.

«Cosa è strano?»

«Non hai una famiglia? Una casa a cui fare ritorno? Ormai sono due anni che viaggi con me» storse il naso, e aggiunse: «E hai anche una camera tua, in questo albergo, eppure continui a invadere la mia.»

Francis incrociò le braccia dietro la testa e si lasciò cadere di schiena sul materasso.

«Invado la tua camera perché mi piace la tua compagnia. Mi piace quando mi racconti di Faerie, e trovo interessanti i discorsi che imbastiamo su questo mondo» fissò il soffitto con quel suo sguardo speculativo, come se vedesse molto più di una semplice parete imbiancata. «Ma non è tempo di tornare a casa. Non in questa vita.»

«Spiegati meglio» lo spronò Arthur.

Le dita del Marauder si mossero nell’aria come se stessero salendo una piccolissima scala a pioli, e l’uomo raccontò:

«Non sono l’unico Marauder. Anzi, per essere precisi, “Marauder” è il nome di tutti i nati in terra Fiamminga che dimostrino poteri paranormali diretti alla comunicazione e al traghettamento degli spiriti. Tuttavia, io sono il Marauder. Sono stato il primo Fiammingo in cui si siano manifestati i poteri che ci hanno resi famosi. Circa trecento anni fa.»

Le sopracciglia dell’alieno si incontrarono con sospetto, e l’uomo sciolse la loro tensione proseguendo:

«Sono un umano, come ogni altro abitante della Confederazione. Ma, forse per via dei miei poteri, sono immortale. Al tuo contrario, però, non riesco a mantenere lo stesso corpo per sempre: quando le mie vesti materiali sono troppo sciupate, devo cambiarle. Così fingo di morire: la mia anima trasmigra in un altro corpo, e io continuo a vivere con le mie memorie e il mio spirito inalterati.»

«Io non sono immortale. Vivo solo molto più a lungo degli esseri umani.»

«Nemmeno io sono sicuro di essere immortale. So solo che, fino a questo momento, la mia anima ha scelto volontariamente quando abbandonare un corpo e quando possederne un altro» sorrise bonario, e teatralizzò: «Il Marauder non muore mai. Si prende solo una breve vacanza.»

«Funziona così per tutti i Marauder?»

«No, solo per me. Con il mio popolo condivido i poteri, non il destino.»

«E perché adesso non sei a guidare il tuo popolo?»

Francis sospirò, scuotendo la testa.

«È difficile, per gli esterni, comprendere lo stile di vita dei Marauder: noi vediamo il mondo e lo scorrere del tempo in modo totalmente differente rispetto agli altri. Non sempre il ruolo di un comandante è quello di guidare il suo popolo tramite la politica. Ogni tanto, deve allontanarsi per accendere la miccia di cambiamenti epocali.»

«Io sarei un cambiamento epocale?»

Francis si rimise a sedere con uno scatto, e si voltò verso di lui con l’espressione del gatto che caccia il topo.

«Sei un alieno proveniente da una terra incantata, sei quasi immortale e i tuoi poteri hanno salvato in due anni metà delle persone presenti nella Compagnia di Britannia. Sei uno sconvolgimento abbastanza vistoso, Arthur.»

Il ragazzo si alzò dalla poltrona, e si drappeggiò sul viso la sua espressione più seria mentre proclamava:

«Non sono un fenomeno da studiare.»

«Lo so. È per questo che ti sto accompagnando.»

«Se è solo per divertirti, puoi fare ritorno a casa» replicò asciutto il giovane, voltandogli le spalle. La premessa addolorata dell’uomo lo accarezzò tra le scapole.

«Non sono qui per divertirmi, ma per aiutarti.»

Francis sapeva che quelle spalle orgogliose non si sarebbero voltate, quindi si rassegnò alla prospettiva di parlare con la sua nuca.

«Non ci siamo incontrati per caso, due anni fa. Ti stavo cercando, Arthur degli Avalon. Jeanne mi aveva parlato di te, mi aveva detto dove trovarti.»

«Chi sarebbe questa Jeanne che nomini sempre?» lo interruppe bruscamente il giovane.

Francis si portò una mano al cuore e accostò l’altra alle labbra, come per un baciamano cavalleresco.

«È la coraggiosa pulzella che ha deciso di essere il mio spirito guida. Lei non ha limiti fisici, capisci? È per questo che può vedere nel futuro, che può rivelarmi ciò che si trova nel passato o nella mente degli altri.»

«Perché Jeanne ti avrebbe parlato di me?»

Il Marauder prese fiato, grave. Sperava di affrontare quel discorso con uno spirito più sereno. Ma era colpa sua e del suo continuo temporeggiare se quell’alieno era tanto infuriato con lui: aveva promesso due anni prima di rivelargli ogni cosa e non lo aveva mai fatto. Era tempo di mantenere quel giuramento.

«Verranno tempi molto duri. Arthur, tutto quello che hai sempre detestato in questo mondo... l’odio, il sangue, la morte… ti avvolgeranno, un giorno. Io sono qui… per guidarti lungo quella strada di oscurità.»

Arthur si voltò come se fosse stato morso da una vipera, e Francis alzò il tono di voce per impedirgli di interromperlo: doveva finire il discorso prima che il ragazzo si arrabbiasse ancora di più con lui.

«È inevitabile. Lo hai detto anche tu: questo mondo è diversissimo dalla bellezza di Faerie. Questo mondo è marcio. Jeanne ha visto nel futuro, e avrà luogo un’enorme rivoluzione: ci sarà un’epoca nuova, più luminosa e pacifica. Ma, per ottenere quella beatitudine, dobbiamo prima sporcarci le mani con il fango di questo mondo ed eliminare il marciume» mille interrogativi si agitavano dietro le iridi acquamarina dell’alieno, e Francis continuò, senza sosta: «Il Vaticano creerà da solo i demoni che lo annienteranno. E tu, Arthur, contribuirai alla creazione di uno di essi. Ma non lo farai per malvagità: lo farai per il popolo che giurerai di proteggere.»

«Jeanne potrebbe sbagliarsi!» esplose Arthur.

«No. Jeanne non può rivelarmi i nomi di coloro che sopravvivranno, e non può dirmi in che modo il Vaticano verrà annientato, se con la distruzione fisica o se con una riforma dall’interno. L’unica cosa che so, è che molto sangue verrà versato. E parte di quel sangue colerà sulle tue mani» si inginocchiò, come aveva fatto due anni prima quando gli aveva rivelato di essere un sensitivo: «Io non ti giudicherò. Mai. Ma altri lo faranno. Dovrai essere molto forte per affrontare tutto questo.»

«O molto insensibile, come la maggior parte degli umani» Arthur trasse un profondo respiro, e lo accusò: «Perché non me lo hai detto prima?»

«Non volevo caricarti di questo fardello.»

«E perché me lo dici ora?»

«Perché ho visto la tua espressione, la prima volta che mi hai parlato della malattia e della morte in questo mondo, e ho visto come si illumina il tuo viso ogni volta che riesci a salvare qualcuno. So che ami la vita e non la distruzione. Ma queste cose devono succedere. E voglio che, quando accadranno, tu sappia che non è colpa tua: sono eventi necessari al rinnovamento» l’uomo afferrò delicatamente la mano del giovane, e la portò vicino al suo viso. «Io sarò con te, Arthur. Ma, forse, non in questa forma.»

«Che intendi dire?»

«Come ti ho detto, questo corpo si usura: probabilmente sarò costretto a cambiarlo, prima che tutto ciò accada» sollevò gli occhi dal colore dei fiordalisi su di lui e mormorò: «Ma non scomparirò; cambierò solo forma. Mi riconoscerai, Arthur? Anche nelle mie prossime incarnazioni?»

«Non vedo come» il giovane si riappropriò della sua mano con uno scrollone, e tornò a sprofondarsi in poltrona, immerso in una caligine di rabbia e depressione. Aveva trovato finalmente un motivo per vivere in quel mondo, e Francis, con le sue previsioni, lo aveva appena disintegrato. Un giorno, avrebbe infranto quegli stessi sorrisi che stava facendo sorgere. Che senso aveva continuare quel cammino, se poi avrebbe annientato ciò che lui stesso aveva creato?

La mano del Marauder si librò di fronte al suo viso, reggendo un delicato fiore di cristallo.

«Utilizzerò di nuovo questo nome, quando verrà il tempo di incontrarsi ancora. “Francis Bonnefoy”. E, se non sapessi dove trovarmi, usa questo fiore: ti indicherà la strada.»

«Che razza di fiore è?» sbuffò Arthur, senza afferrare il monile.

«È un non ti scordar di me» lo presentò Francis, con un sorrisetto enigmatico.

L’alieno fissò quell’orpello di cristallo incantato e gli occhi blu che lo osservavano dal bracciolo della poltrona. Artigliò con le dita il tessuto imbottito, e digrignò i denti, sibilando:

«Non c’è alternativa? Tutte queste cose… devono succedere per forza?»

La mano del Marauder salì delicata a lambirgli il viso. Era calda e gentile, e Arthur non la respinse: anche se il suo orgoglio ruggiva, in quel momento aveva bisogno di essere consolato. Non aveva mai desiderato un mondo simile. La sua Faerie, la sua amata Faerie non conosceva tutte quelle sofferenze; si era trovato circondato da quelle brutture sconosciute, e un giorno sarebbe diventato la forza motrice di una di esse. Non era giusto: lui era venuto in quel mondo per amore di conoscenza, non per sete di sangue.

«Mi dispiace» la voce del Marauder lo accarezzò insieme alle sue dita gentili. «So quanto odi la corruzione di questo mondo. So quanto vuoi tornare a Faerie. Ma purtroppo sei qui, e non puoi tornare indietro. Devi imparare a ballare sulla melodia stonata di questo mondo.»

«Odio quella melodia» ringhiò Arthur.

Il fiore emise un tintinnio fragile quando venne appoggiato sul cassettone, e le braccia del Marauder lo avvolsero dolcemente con un fruscio caldo.

«Lo so. Tutti noi la odiamo. Per questo ognuno di noi urla per sovrastarla.»

«Anche io dovrò urlare.»

«Purtroppo sì.»

Arthur sciolse il suo abbraccio con decisione, ma senza scortesia. Puntò gli occhi acquamarina sul viso del Marauder e la sua voce devastata vibrò:

«Così sia.»

La ricompensa per la sua fermezza fu il sorriso serafico che sbocciò sul viso del Marauder.

«Sei davvero coraggioso. Molto più di noi umani. Forse tu riuscirai davvero a cambiare questo mondo.»

«Non da solo» patteggiò brusco Arthur.

«Ovviamente» confermò Francis, facendo tintinnare un petalo del fiore. «Né in questa, né nelle prossime reincarnazioni.»

«Sarà meglio per te. Sei tu ad avermi trascinato in questo uragano» lo rimproverò Arthur.

«E sarò io ad accompagnarti fino alla fine.»

Non poteva fare molto per alleviare il destino truculento che aspettava quel giovane. Ma anche l’Inferno poteva sembrare una taverna troppo riscaldata, se la compagnia era buona.

 

***

 

Cinque anni dopo, il Leone Incoronato lo aveva chiamato al suo cospetto.

Arthur si era sentito improvvisamente fuori posto, con la sua palandrana sdrucita in mezzo ad una profusione di vestiti di broccato, titoli altisonanti e gioielli preziosi.

Si era inchinato di fronte al re mentre la gente bisbigliava sulle sue origini misteriose. Il Leone Incoronato, quello era l’appellativo formale per il sovrano, aveva storto il naso di fronte alla modestia del suo vestiario, ma l’eccezionale portata dei suoi poteri aveva sopperito a quella lieve pecca stilistica.

Gli eventi si erano succeduti con una rapidità da capogiro, come nelle fantasie di un ubriaco: la Compagnia di Britannia necessitava di un incantatore che fosse paragonabile all’Asse e al Figlio del Cielo per competere con il Vaticano e il Sistema Asean; per questo lo avevano velocemente investito della carica di Mago di Corte, presto cambiata in Mago dell’Ovest poiché il popolo sembrava reagire con più passione a quell’epiteto nato nei sobborghi.

Arthur era presto diventato la stella guida della stregoneria nella Compagnia di Britannia e non solo: i corsari reali avevano richiesto la sua presenza durante i trasporti più importanti per scongiurare il pericolo della pirateria spaziale.

La notorietà del Mago dell’Ovest si era così sparsa nei pianeti della Confederazione, portando, nella primavera di sette anni dopo, alla firma del trattato siglato dall’Asse e dal Figlio del Cielo, in cui il Mago dell’Ovest veniva riconosciuto come incantatore di livello superiore; durante quello stesso inverno fu stipulato un ulteriore riconoscimento da parte del Samurai e del Guardiano, che accettavano ufficialmente il Mago dell’Ovest come Terza Spada.

Arthur aveva rivelato al sovrano la sua peculiarità: era un alieno in grado di vivere molto più a lungo degli esseri umani. Il Leone Incoronato aveva così tenuto un discorso in cui, omettendo la sua nascita aliena, aveva annunciato al popolo che i grandiosi poteri del loro incantatore gli avrebbero consentito di vivere per secoli e di proteggere la loro amata Britannia. La folla era esplosa in un boato di felicità.

E, a ogni suo successo, Francis era con lui.

Lo accompagnò in tutti quegli anni irrefrenabili, finché nei suoi capelli non cominciarono a scorrere alcune ciocche argentate.

«Sei invecchiato» Arthur sottolineò con lo sguardo le lievi rughe a lato degli occhi blu e la chioma ingrigita.

«Quando rinascerò, sarò molto più giovane di te» il Marauder trasse un profondo respiro, passando una mano sul volto non più perfettamente liscio. Aspettò qualche secondo prima di racimolare la forza necessaria ad annunciare: «Temo che sia arrivato il momento di salutarci.»

Arthur aveva contenuto lo spavento tra le spalle irrigidite. Temeva la solitudine, ed era colpa del Fiammingo: se non avesse riscoperto quanto era bello avere qualcuno su cui contare, non avrebbe risentito così tanto della sua perdita.

«Chiedi al fiore. E ricordati: quando sarà tempo di incontrarsi di nuovo, avrò questo nome.»

«Francis Bonnefoy.»

Il Marauder annuì.

«Al prossimo incontro, Arthur degli Avalon» ghignò, malizioso. «O dovrei chiamarti con il cognome che ti ha donato il re?»

«Kirkland è un bel cognome» si difese il Mago dell’Ovest.

«Ma è il tuo vero cognome a ricordarti le tue radici.»

Il sorriso di Francis si accentuò ulteriormente mentre gli scoccava la sua ultima frecciatina:

«Jeanne dice che, forse, quando ci incontreremo di nuovo, sarai abbastanza maturo da dirmi ciò che ora ti vergogni di confessare.»

«Non ho proprio niente da confessare!»

«Hai negato troppo velocemente per essere credibile.»

«Non te ne stavi andando?»

«Hai ragione.»

Le labbra del Marauder si appoggiarono alla sua nuca, e le parole gli scorsero sul collo.

«Sii forte, Arthur degli Avalon.»

Il Mago dell’Ovest si voltò di scatto, ma non vi era più nulla, in quella stanza svuotata dalla presenza del Fiammingo.

Strinse i denti e raddrizzò lo sguardo.

I tempi duri non erano nemmeno cominciati.

 

***

 

Passarono cento anni prima che dalle terre Fiamminghe giungesse la notizia: era nato un bambino con gli occhi color fiordaliso e i capelli biondi. Era destinato a diventare la guida di Marauder. Il suo nome era Francis Bonnefoy.

Trascorsero nove anni prima che potessero incontrarsi di nuovo.

Lo trovò nel suo studio, beatamente adagiato sulla poltrona dietro la scrivania; l’espressione dispettosa di un bambino pronto a vendicarsi si dipinse su quel volto paffuto.

«Sei invecchiato» Francis gli restituì le parole di più di cento anni prima.

«E tu sei un marmocchio» replicò Arthur.

«Touché» ammise il Fiammingo.

«Come sei arrivato qui?» lo interrogò il Mago dell’Ovest, con tono stanco.

«Non hai cambiato la serratura, in tutti questi anni» fu la risposta evasiva di Francis.

Arthur lo fece scendere dalla poltrona e occupò il suo posto con uno sbuffo esausto. Voltò il viso, perché il Marauder non leggesse nella curvatura amara delle sue labbra ciò che stava cercando di dimenticare. Francis lesse comunque il suo segreto nella linea rigida delle spalle.

Le mani morbide del bambino si poggiarono sul suo braccio, e vi rimasero anche quando lui provò a scrollarlo senza troppa convinzione.

«“Sarò lì per tamponare le ferite”. Te l’ho promesso. Per questo sono qui: tu stai sanguinando, Arthur.»

Il Mago dell’Ovest non rispose.

Gli eventi terribili che il Marauder aveva annunciato un secolo prima erano avvenuti: per salvare Britannia e tutta la sua gente, aveva dato alle fiamme un intero pianeta.

Arthur aveva appoggiato il mento sul pugno chiuso, e Francis li vide tremare entrambi; lo stesso terremoto scuoteva le iridi del mago, che parevano sul punto di spezzarsi come una diga troppo colma.

Il Marauder provò un’enorme compassione per quel povero uomo. Era un alieno che non avrebbe mai dovuto vedere simili orrori, nella sua Faerie incantata; invece era stato trascinato nel loro mondo di fango e sangue, ed era stato costretto ad affondarvi fino ad annegare. Ed era stato lui a spingerlo nella palude che lo avrebbe affogato. Per un bene superiore, per rispettare i dettami del destino che Jeanne aveva predetto, ma nessuna di queste giustificazioni sarebbe servita a farlo sentire meno in colpa: aveva contribuito a spegnere la fiamma della gentilezza in quell’uomo che non comprendeva il senso della malattia e della morte. Niente avrebbe cancellato la sua colpa.

Si arrampicò sulla poltrona, maledicendo il suo corpo troppo piccolo, e si lanciò contro il petto del Mago dell’Ovest. Strinse con le braccia tozze quel busto tanto più largo del suo e singhiozzò:

«Non è colpa tua, Arthur. Non sei stato tu a volerlo, non l’hai mai voluto. Non è colpa tua.»

Uno scappellotto gli fece rimbalzare la testa dentro le spalle.

«Sciocco, sono io che dovrei piangere» la stessa mano che lo aveva colpito si appoggiò sulla sua testa, e gli accarezzò i capelli soffici come lui aveva fatto con il Mago dell’Ovest un secolo addietro. A quel tempo, era lui il più grande dei due. «Assumi i comportamenti di un bambino, quando rinasci» la voce era dura, ma le dita che lo rassicuravano erano gentili. «Ma non è male. È meglio quando piagnucoli di quando molesti gli altri.»

«Parlo sul serio» aveva raddrizzato il viso tondeggiante, asciugandosi rapidamente gli occhi sulla manica della giacchetta blu. «Arthur, non è colpa tua.»

«E il tuo amico cosa ne pensa?» la bocca del Mago dell’Ovest si contrasse in un ghigno pregno di acredine. Lo aveva visto arrivare a cavallo di un enorme corvo con il suo amico Hellsing, e li aveva visti mentre salvavano il piccolo Carriedo. Aveva immaginato che fosse lui il demone che doveva far nascere: i suoi occhi pieni di tristezza, fuoco e odio suggerivano così.

Francis non riuscì a rincuorarlo, e Arthur si fece bastare quel silenzio. L’ultimo Carriedo lo avrebbe odiato fino alla tomba, e lui non avrebbe potuto biasimarlo in alcun modo.

«Jeanne ti ha rivelato altro, sul nostro futuro?» domandò in un sospiro.

Il Marauder si sedette sulle sue ginocchia, e rovesciò la testa all’indietro per fissarlo negli occhi.

«Contribuirai all’incarcerazione dell’Hellsing. E alla mia. Ma è giusto così» lo bloccò, prima che Arthur potesse ribellarsi. «Ci libereremo. Entrambi. E lotteremo al tuo fianco fino alla fine. Anche tu prenderai parte al grande sconvolgimento finale.»

«Cosa ti fa pensare che sia pronto a gettarmi nella fucina della guerra?»

Il sorriso di Francis gli trapassò il cuore quando il bimbo gorgheggiò:

«Lo farai affinché ci si possa vedere ancora. Con il mio popolo condivido i poteri, non il destino. Con te, invece, condivido il destino, e non i poteri.»

Arthur lo fece rigirare bruscamente sulle sue gambe, in modo che il Marauder non fosse costretto a storcersi il collo per parlare con lui.

«Che intendi dire?» pretese di sapere.

E Francis gli rivelò tutto. Lo stupore aumentò nelle iridi acquamarina del Mago dell’Ovest fino a quando gli occhi non minacciarono di uscirgli dalle orbite.

«Ora comprendi?» domandò il Fiammingo, alla fine.

Arthur annuì, stordito dalla notizia. Francis si alzò in piedi sulla poltrona, e poggiò le labbra morbide come un petalo di rosa sulla fronte corrugata del Britanno.

«Sei un grande uomo. Non dubitare mai di questo.»

Il Fiammingo sorrise triste e rispose dolcemente alla stretta del Mago dell’Ovest: le braccia dell’uomo lo strinsero con urgenza, aggrappandosi a lui come alla sua ultima speranza.

Francis non ebbe bisogno di ricorrere ai suoi poteri da sensitivo per capire quali pensieri si agitassero in quella testa dai capelli crespi. Il fuoco di Hispaňa aveva marchiato i suoi occhi con immagini indelebili: non sarebbe mai riuscito a scacciarle, come le sue orecchie non avrebbero mai dimenticato le urla dei feriti.

Arthur non pianse: su Faerie non esisteva la tristezza, per cui non sapeva come si facesse a sfogarla nelle lacrime. Francis accarezzò quella chioma ispida, posando dei baci sulle ciocche pungenti.

«Quando avrai bisogno di me, Arthur, chiedi al fiore che ti ho lasciato. Lui saprà dove trovarmi.»

 

***

 

Era quello stesso fiore che la copia del Mago dell’Ovest stava mostrando al capitano della Reina de la Oscuridad e a tutto l’equipaggio riunito sul ponte.

«Francis è vivo?» fu Gilbert a spezzare quel silenzio ultraterreno, esprimendo la speranza che nessun osava pronunciare.

«Non esattamente» confutò Arthur. «Di solito, sceglieva volontariamente quando abbandonare il corpo e quando reincarnarsi. L’esecuzione improvvisa potrebbe avere sconvolto i suoi piani: potrebbe non ricordarsi più chi è, anche se il suo spirito ha assunto una nuova forma materiale. E potrebbe non assomigliare per nulla al Marauder che conosciamo. Ma questo fiore ci porterà da lui, qualunque sia la sua condizione attuale.»

Antonio fissò quei petali di cristallo, fragili come le loro possibilità di successo.

«Non abbiamo alternative» sentenziò. «Mostraci la strada.»

Arthur avvicinò il fiore alle labbra, e bisbigliò qualcosa sui suoi petali di brina.

Un cuore di luce blu tinse la corolla del non ti scordar di me, che scoccò una freccia color lapislazzulo nel cielo. Tutti i marinai sollevarono il viso per osservare quella sottile riga blu che divideva lo spazio a metà.

«Avvisate il Custode dei Cancelli e il Figlio del Cielo che stiamo per fare rotta verso Chugoku» ordinò Antonio, dopo aver valutato la direzione della minuscola via incantata. «E faremo una breve sosta sul pianeta dei Gunsmith: Gilbert deve ancora recuperare le sue armi. Ed è il caso che anche noi facciamo dare una revisionata ai nostri ferri vecchi.»

«Ma la situazione di Chugoku non è turbolenta, non dovremmo avere bisogno di combattere…» obiettò un marinaio, immediatamente zittito dal capitano.

«Il Figlio del Cielo è stato detronizzato. Non so cosa stia accadendo su quel pianeta, ma dubito che sia pacifico come fa credere.»

I pirati non discussero ulteriormente i comandi della Mano Destra del Diavolo e corsero ad accendere i motori.

Il Mago dell’Ovest non prese parte ai loro preparativi.

Strinse delicatamente il fiore. Aveva parlato abbastanza piano; nessuno aveva sentito la frase che aveva utilizzato per azionare l’incanto del non ti scordar di me.

Sono pronto a gettarmi nella fucina della guerra, affinché ci si possa incontrare ancora.

 

 

 

 

 

E il dodicesimo capitolo è giunto, insieme ad Arthur<3

Solo alcune note: per scrivere questo capitolo, mi sono ispirata alla cultura celtica e al ciclo arturiano (Avalon, Vivien e Merlino). Il simbolo della casata di Arthur è un melo: questo perché, nella cultura druidica, il melo era l’albero sacro, come per il cristianesimo può esserlo l’uva (da cui si ricava il vino usato durante la messa). Si ritiene (ma questa è solo una delle tante teorie) che la mela sia stata scelta in epoca romana come “frutto demoniaco” proprio per screditare le culture “estere”, che invece la adoravano.

Breve parentesi storica conclusa<3

E con questo… vi do appuntamento a lunedì<3 Un capitolo sui Gunsmith e sul perché sono in debito con Gilbert 8D

A presto<3

Red

   
 
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