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Autore: Wave__    17/12/2013    1 recensioni
Janelle Ravenwood, 17 anni, popolare e con una migliore amica che per lei è tutto. Janelle ha sempre avuto tutto nella vita, non s'è mai lamentata. L'unico suo difetto? Nascondere la reale sè stessa.
La sua vita improvvisamente cambia, quando entra a contatto con Ryan Brexton, un ragazzo al quanto misterioso che lavora nella scuola come sostituto dell'allenatore della squadra di football.
Janelle ne resta incantata, eppure qualcosa di ancora più grave sta per abbattersi su di lei.
Tutto inizia con un incubo, che ogni notte non le lascia scampo.
Un incubo con un orrore ben più profondo, con una realtà ancora più spaventosa.
..E' questo quello che accade quando si diventa l'ossessione di qualcosa con un'anima più oscura della notte stessa.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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RIVEDERLO FA COSI’ MALE - CAPITOLO 6
 
Ero nervosa, furente e frustata. Avevo bisogno di scaricare la mia rabbia e tutta quella tensione accumulata in neanche sei ore. Avevo bisogno di sfogarmi con Charlie e di uscire da quella maledetta scuola. Al diavolo anche le lezioni.
Le avrei recuperate in un battito di ciglia.
Prima di andarmene, dovevo posare i libri che avevo nell’armadietto, tanto non mi servivano. Lo aprii, riponendoli, finendo con lo sbatterlo con forza.
Stavo scaricando la mia frustrazione su un oggetto. Perfetto.
Avrei avuto spagnolo, quell’ora, ma non ci sarei andata. Casa.
Volevo andare solamente in quel posto.
Avrei potuto aspettare il primo autobus che passasse di lì, ma preferii farmela a piedi, così da poter pensare su me stessa, elaborare ogni dettaglio di quella mattinata.
Martoriarmi con quella parola. Viziata.
..Io ero anche egoista ed egocentrica, quello lo sapevo. Eppure, adesso, stavo mettendo in discussione ogni cosa della mia persona.
Era giusto, ciò che facevo? Il mio comportamento?
Battevano ardenti ancora le frasi sputate fuori da mio fratello.
“Non sei quel tipo di persona.”
Aveva ragione? Perché tutti quei dubbi su me stessa? Perché dovevo iniziare ora, con le paranoie assurde?
Avevo sempre amato me stessa, ma adesso.. Adesso l’unica cosa che provavo era odio. Odio per aver schernito Amanda, per non averla mai provata veramente a capire e soprattutto per essermi basata solamente su voci di corridoio, per averla sempre e solamente schernita ed umiliata.
Odio per il modo in cui avevo trattato mio fratello davanti a tutti.
Odio per il mio schifoso carattere.
Odio per aver fatto soffrire e per aver usato Alex in una maniera al quanto squallida, l’avevo semplicemente illuso.
Dio, ma che tipo di persona ero?
Odio per me stessa, semplicemente.
Alex non era infatti ancora tornato e lui mi mancava da morire.
Dopo tutto quello che era successo quest’estate, capivo perfettamente i motivi che l’avevano spinto ad allontanarsi dalla nostra cittadina. Prendere le distanze da me e da quello che provava.
L’avevo chiamato costantemente, tante volte, senza mai ottenere nulla da parte sua.
Ero proprio una stupida. Avevo giocato con i suoi sentimenti come se valesse nulla.
Camminai fino al parco di Yellow Stone, andando a cercarmi un posto dove stare tranquilla, per un po’.
Avevo sempre amato la natura, mi ci trovavo in sincronia.
Avessi potuto, sarei andata a vivere in campagna, o in un posto dove c’era tanto ed immenso verde lussureggiante. Mi sedetti a terra, sul prato, poco lontano dall’entrata.
Una marea di pensieri occupavano la mia mente.
Il sogno, mio fratello, Amanda, il tizio intravisto prima dell’entrata a scuola e poi quelle parole che continuavano a ripetersi, senza ben capire perché le pensassi o dove le avessi sentite. Se volevo migliorare, la prima cosa da fare era parlare con Alex.
Spiegare lui ogni cosa. Faccia a faccia.
Estrassi il cellulare dalla tasca dei jeans, digitando rapidamente un messaggio.
 “Alex, mi spieghi che fine hai fatto? E’ una marea di tempo che non ci sentiamo. Mi fa male non stare insieme al mio migliore amico. Mi dispiace per quest’estate, davvero. Ti ho spezzato il cuore, lo so. Non era mia intenzione. Io..
Rispondimi appena vedi questo messaggio. Mi manchi e.. Ti voglio bene.”

Prima che io potessi cambiare idea, premetti l’invio. Inviato.
Non potevo più tornare indietro. Era fatta. Appena lo avesse acceso, lo avrebbe letto. Vibrò. Il mio cellulare stava vibrando.
Il mio cuore si fermò, ebbe un sussulto e prese a battere all’impazzata. Alex.
Era davvero un suo messaggio.
“Sono tornato.”
Alex. Alex era tornato. Anche se erano solo due semplici parole, almeno adesso sapevo che era di nuovo a Yellow Stone e che stava bene.
Finalmente potevo parlarci e chiarire. Non riuscii neanche a rispondere.
Mi alzai di scatto, iniziando a correre all’uscita del parco, bloccandomi di colpo.
Dove volevo andare? Presentarmi a casa sua, così come se niente fosse? E se lui non era ancora tornato? Sarebbe stato troppo imbarazzante aspettarlo fuori dal cancello.
Potevo farmi un giro per la piazza, prima. Successivamente avrei potuto mandargli un secondo sms e chiedere lui quando potevamo vederci.
Quando arrivai nel luogo che mi ero prestabilita, feci scorrere lo sguardo in lungo e in largo. Una parte di me sperava vivamente di poterlo trovare lì.
Mi andai a sedere sul bordo della fontana che si trovava al centro esatto, osservando l’acqua che si muoveva lenta, dopo essere stata spruzzata da una stata a forma di leone con fauci spalancate. Avevo sempre amato sedermi sul bordo, anche quando ero piccola. Andavo alla fontana, quando i miei genitori litigavano pesantemente, prima che si separassero.
Diffondeva in me una sensazione di pace, serenità e tranquillità.
Chiusi gli occhi, ripensando alla mia mezza estate con Alex, prima che lui partisse per andare a trovare sua zia a Chicago.
Lasciai il ricordo tornare a galla, sopra tutto il resto.
Proprio di fronte a quella fontana, ci eravamo dati il nostro primo vero bacio. Involontariamente mi portai due dita alle labbra, toccandomele.
Se ci pensavo intensamente, riuscivo a rivedere noi due in piedi, uno di fronte all’altro. L’attimo in cui lui aveva dichiarato l’amore che provava nei miei confronti. L’emozione che aveva sprigionato. Era stato un bacio pieno di passione, di voglia. Un bacio dato dal suo amore. Inizialmente il cuore mi sussultava nel petto, ogni qualvolta che le sue labbra toccavano le mie ma poi.. Era stato solo un attimo.
Avevo capito che non potevo trasformare quell’amicizia profonda in amore.
Avevo capito che lui poteva essere solo il mio migliore amico.
Era stato sempre in quel luogo che gli avevo distrutto il cuore in tanti piccoli pezzi, dicendogli che lo vedevo solo come un amico. Che lui non sarebbe mai stato mai nulla di più. Ero stata io, con il mio infantile comportamento, a fargli prenotare il primo aereo per Chicago, facendolo sparire per il resto dell’estate.
Alzai lo sguardo verso l’alto. Era un gesto abituale, quello.
Si diceva che chi era capace di guardare il cielo, era perché era ancora capace di sognare. Ma io, lo ero ancora?
L’orologio del campanile segnava già le quindici e quaranta.
Non mi ero accorta di essere seduta sulla fontana da così tanto tempo. Avevo perfettamente preso la cognizione del tempo.
Era ora di tornare a casa, preparandomi ad una secondo discussione pesante con mio fratello. Sempre se avessi deciso di parlarci.
Mi alzai ma, quando feci per andarmene, un taxi che si era appena fermato nella strada proprio di fronte alla piazza, si fermò. 
Restai perplessa. Non si vedevano mai macchine gialle nella mia cittadina. Restai ferma, per capire chi fosse. L’ennesimo nuovo?
“Andiamo, forza. Apri quella benedetta portiera”, continuai a ripetermi mentalmente.
Come se mi avesse sentito, si aprì.
Un ragazzo con dei capelli biondissimi scese da esso. Indossava un paio di jeans e una maglietta bianca, entrambi di marca. Gli occhi coperti da un paio di Ray-Ban a goccia. Lo vidi respirare, quasi con difficoltà, l’aria della città. 
Il mio cuore, nel frattempo, aveva però smesso di battere.
Il tassista gli aveva portato la valigia, che aveva preso dal bagagliaio pochi attimi prima. Attimi che io non avevo neanche notato, troppo intenta a fissarlo.
Era nervoso, troppo. Si vedeva lontano un miglio, dalla rigidità dei suoi gesti.
Prese la valigia, dopo aver pagato l’uomo, iniziando a camminare, trascinandosela dietro. Immobile. Era tutto quello che riuscivo a fare.
C’era un modo perché io riprendessi coscienza dei miei arti inferiori?
Era ormai quasi in fondo alla piazza, quando le mie gambe decisero di muoversi, iniziando a corrergli dietro. Il suo passo era lungo, la fretta di andarsene.
«Alex, fermo!»
La mia lingua si srotolò e iniziai a chiamarlo, più voglie chiedendogli di fermarsi.
Non si voltò, non mi dava ascolto, come se non mi sentisse. Il passo ancora più lungo del precedente, la camminata imperterrita.
La milza mi doleva dalla corsa, il cuore in gola, il battito fin troppo forte.
Non avevo quasi più fiato, ormai.
Mi fermai e, con tutto il fiato che avevo in corpo, urlai.
«Alex! Ti ho detto di fermarti! Per favore!»
Appoggiò la valigia a terra e si voltò, squadrandomi.
  
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