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Autore: Lechatvert    17/12/2013    5 recensioni
« Sa una cosa, signor Lange? »
« Cosa? »
« Lei è davvero un paziente perfetto. In tutti questi anni non l’ho mai sentita lamentarsi di nulla »
« Perché? È possibile lamentarsi? »
« Naturalmente no, ma qualcuno ci prova, di tanto in tanto ».

| Friedrich Lange • I problemi del narcolettico a cui spararono in pancia |
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo già pubblicato questa storia tempo fa.
Come sto facendo con un po' tutto ciò che appartiene al passato, la ripropongo in una versione più completa, più accurata, con una grammatica più decente.
Con la speranza che possa emozionare il lettore nella stessa maniera in cui ha emozionato l'autore,
Lechatvert




Fluoxetina cloridrato

https://www.youtube.com/watch?v=9wIbylO24gE





« Sa una cosa, signor Lange? »

« Cosa? »
« Lei è davvero un paziente perfetto. In tutti questi anni non l’ho mai sentita lamentarsi di nulla »
« Perché? È possibile lamentarsi? »
« Naturalmente no, ma qualcuno ci prova, di tanto in tanto ».



Aprì gli occhi lentamente, tamburellando le dita intorpidite sul legno del pavimento laccato.
Una voce flebile gli giunse all’orecchio, talmente debole da sembrare quasi innaturale.
Il dolce tepore che avvolge gli addormentati lasciò a poco a poco il suo corpo, cosicché potesse finalmente destarsi dal sonno inatteso in cui era piombato e realizzare quanto solo fosse in quel momento. Solo come quando era nato, come quando era cresciuto e come probabilmente sarebbe morto.
« Mi sente? »
La voce che l’aveva destato si lasciò scappare una risata che risuonò cristallina all’interno del salone.
Le luci soffuse delle candele illuminavano una figura inginocchiata accanto a lui, ma la vista era troppo debole per permettergli di mettere a fuoco qualsiasi volto.
« Signor Lange, va tutto bene? »
Provò ad alzarsi, piano. Non ricordava nemmeno cosa ci facesse, in quel posto.
« Mi scusi, » balbettò, confuso. Il petto gli doleva e la mente lo scongiurava di rimettersi sdraiato. « Devo essermi addormentato. Sono mortificato, non dipende da me ».
Udì un’altra risata.
« Non si preoccupi, lo so ».
« Io sono … »
« Narcolettico, sì. Me lo hanno detto ».
Roteò gli occhi. Le voci giravano veloci un po’ ovunque, allora.
« Immagino le abbiano detto anche il mio nome ». Sospirando, si tastò la camicia bagnata, percorrendone in silenzio i contorni ricamati. « Mi hanno sparato? » Chiese ingenuamente. Attraverso il foro del proiettile poteva sentire la carne putrida tendersi sotto al suo tocco.
« Sì, due minuti fa ».
« E sono … »
« No, non ancora. Ma lo sarà tra qualche secondo. Non se la prenda: il generale von Kleist aveva le mani legate ».
Ma certo, sì. Dietrich aveva sempre avuto le mani legate per tutto. Per la sua famiglia, per il lavoro, per l’amore che si era lasciato scivolare addosso con l’assurda convinzione di non avere abbastanza tempo. Alla fine non era riuscito a liberarsi dei suoi errori nemmeno per lui, Friedrich Lange, quello che lo aveva sempre accompagnato ovunque, quello che a forza di patti e segreti condivisi era finito per diventare il suo migliore amico.
Tirando su col naso, si rizzò in piedi.
L’aria profumava di mirto e cannella.
« Dove siamo? » Chiese, muovendo un passo verso la figura ancora a carponi sul parquet. La suola degli stivali stridette fastidiosamente sulla cera.
« Non lo so! Me lo dica lei, signor Lange! Questo è il suo spirito! »
Il vento fece tremare i vetri della sala.
Friedrich avvertì un lieve capogiro, ma nulla di grave. Aveva almeno dieci minuti prima che la sua malattia lo facesse ricadere a terra in cerca di un altro sonnellino fuori orario. E dire che aveva sempre odiato quel lato di sé. Sua sorella, invece, ne era sempre stata entusiasta. Lo usava come scusante per sentirsi diversa dagli altri bambini e si dichiarava speciale, piena d’orgoglio e con un pizzico di arroganza, quando poteva saltare l’attività fisica della scuola elementare.
Cosa avrebbe dato, lui, per possedere anche solo un briciolo della spensieratezza della ragazzina con cui era cresciuto! Le memorie della sua infanzia passata a Düsseldorf sfiorivano rapidamente così come la felicità che erano capaci di portare, ma il volto di sua sorella non sarebbe scomparso altrettanto facilmente.
Con arroganza, la voce interruppe i suoi pensieri.
« Ma … », cominciò, improvvisandosi indecisa. « Non mi chiede la cosa più importante? »
« Ossia? »
Udì l’ennesima risata.
« Ossia “Mia sorella sta bene?”, oppure “Christina è ancora viva?”. Le ripeto, signor Lange: questo è il suo spirito! »
Non aveva bisogno di una domanda così sciocca.
Christina era viva; sentiva il suo animo frizzante e orgoglioso pulsare dentro di lui. Mai una notte, guardando da solo il cielo stellato, si era posto questioni simili. L’allegria della sua infanzia era sfumata da tempo, tingendosi del nero più profondo, del colore del baratro in cui lui stesso aveva finito per perdersi, e se c’era qualcosa che lo teneva ancora appigliato alla luce era sua sorella. Erano anni che ormai la osservava di nascosto, da lontano, ma ogni giorno bastava un suo sguardo, un suo sorriso per incoraggiarlo a muovere i passi per resistere fino al successivo. Come avrebbe potuto, altrimenti, sopravvivere tutto quel tempo? Un’esistenza senza Christina equivaleva al più ardente degli inferni.
Bruciavano da anni la sua gaiezza, il suo buon cuore, le speranze e i progetti per un futuro migliore, eppure niente riusciva a strapparlo dal mondo quando aveva la certezza che sua sorella era assieme a lui.
E ora che tutto era finito, ora che le sue sofferenze avevano avuto fine, gli toccava il dramma più grande. Separarsi da quella che era stata la sua metà, la fanciulla che aveva saputo essere più indispensabile dell’amore, più sfuggente di qualsiasi amante. In fondo era egoistico, da parte sua, voler a tutti i costi restare per una persona forte come Christina. Lei sarebbe stata abbastanza forte per continuare senza il suo fratellino.
Friedrich ne era consapevole.
« La mia felicità ha smesso di bruciare », asserì, voltandosi verso la voce. Aveva sul volto uno strano sorriso di autocommiserazione, quasi fosse sconfitto e vittorioso allo stesso tempo. « Ma quella di mia sorella deve ancora sbocciare. Non mi servono risposte a domande simili, perché lei è in me come io sono in lei ».
La figura scura padrona della voce allora ricambiò con un ghigno, alzando una mano verso il ragazzo.
« Ha ragione, signor Lange », gracchiò, acida, afferrandogli il polso con un gesto secco. « E lei lo sa cos’è il vostro collegamento? » Slacciò il polsino della camicia, arrotolandone la manica fino alla spalla. « Sono io. Ha capito chi sono, non è vero? »
Friedrich deglutì, osservando il braccio devastato dagli ematomi delle iniezioni che durante la sua vita lo avevano condannato.
Fluoxetina cloridrato
, in fase di sperimentazione.
Per i due medici che avevano insistito per prescriverla non c’era stata nessuna sperimentazione se non sul suo stesso corpo.
« Sì », rispose, deciso, scuotendo il capo per liberarsi di quella cosa più simile a un campo di battaglia che a un arto umano. « Sei la mia malattia ».
Fantastico. Quel dannato farmaco lavorava anche dopo la morte. Non avrebbe mai avuto pace, se lo sentiva. Le allucinazioni lo avrebbero perseguitato per sempre.
Fluoxetina cloridrato. Probabilmente non sarebbe mai stato capace di liberarsene.
Avvertì un lieve capogiro, poi la voce tornò a parlare.
« Tempo scaduto, è ora di andare. Lo sa, signor Lange, abbiamo un intervallo prestabilito ».
Quasi senza accorgersene, Friedrich si accasciò fiaccamente sul parquet, incrociando le braccia sullo stomaco in preda ai crampi. Chiuse gli occhi e ripiombò nel più profondo dei sonni, raggomitolandosi su se stesso come in preda a un incubo.
La Fluoxetina avrebbe continuato ad agire, lo sapeva, e quella figura l’avrebbe accompagnato per tutta l’eternità. Perché quello era l’ultimo collegamento con una persona che non voleva perdere. E perché, in fondo, la sua malattia non era altro che la base della felicità che per anni aveva bruciato.
   
 
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