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Autore: delusjone    20/12/2013    7 recensioni
E quella stanza d’ospedale non gli sembra così fredda se lei è con lui, quelle mura non gli sembrano così bianche e tristi se lei è con lui, quell’odore d’ospedale, quell’odore che tanto odia, sembra sparire se lei è con lui e tutte quelle stupide macchine legate al suo fragile corpo scompaiono perché lei è con lui.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fissare degli obbiettivi, raggiungerli e puntare ad altri traguardi sempre più alti. Questo le avevano detto i suoi genitori prima di iniziare il liceo e questo era stato il suo motto fino a sei mesi fa, quando aveva incontrato Harry. Un ventitreenne che da poco si era trasferito nella grande e caotica Londra, città che lei, Giselle, ha sempre amato e continua ad amare da 19 anni. Non potrebbe mai separarsene, tutto di Londra le è entrato dentro, separarsi da quella città sarebbe come tagliare, dimenticare un pezzo di se stessa.  
Giselle ed Harry si erano conosciuti a fine Luglio, in estate, lei odia l’estate, eppure quella l’ha amata. L’ha amata perché due occhioni verdi si sono scontrati con i suoi e, come una palla da demolizione, hanno buttato giù tutti i suoi argini, le sue certezze, i suoi obbiettivi e quel che i suoi genitori le hanno insegnato.
Harry è un aspirante fotografo rimasto orfano di entrambi i genitori a soli cinque anni, ha trascorso un anno in orfanotrofio per poi essere adottato da una famiglia di origini Irlandesi, loro avevano già un figlio: Niall. I due sono andati d’accordo dal primo momento, Niall per i primi tempi è stato l’unico che poteva parlare con Harry, l’unico capace di tirargli di bocca qualche parola e di strappargli un sorriso di tanto in tanto.
Da quando l’ha incontrato la vita di Giselle è cambiata tantissimo. Giselle è nata in una famiglia ricca, suo padre è un noto imprenditore, sua madre una rinomata dottoressa. E’ sempre stata una figlia esemplare, tranne qualche porta sbattuta o un capriccio adolescenziale, con ottimi voti a scuola, condivideva gli ideali che i suoi le avevano inculcato, gli stessi ideali che quel ragazzo, Harry, aveva messo in discussione dalla prima volta che l’aveva visto. Ma, nonostante fosse una ragazza della quale andare fieri, Mrs. e Mr.Stewart hanno sempre preteso di più, quel ‘di più’ che sempre ha fatto sentire Giselle inferiore alle altre, quel ‘di più’ che Giselle ha sempre avuto ma mai nessuno ha apprezzato.
 
 Fin quando non è arrivato lui. 
Questo le aveva detto Harry: ‘Di più? Ma, Gis, tu sei di più. Tu hai quel ‘di più’, ce l’hai eccome. Hai quel ‘di più’ difficile da trovare, per questo gli altri non se ne sono accorti. Ma io lo so,Gis.’ 
 
Il pensiero di quelle parole che le aveva sussurrato qualche tempo fa le allarga un sorriso sul volto infreddolito.  E’ Gennaio e le giornate sono sempre più fredde. Sfrega le mani per riscaldarle e rallenta il passo.
 
Art course.
 
Legge la scritta blu sul portone davanti al quale si era fermata più e più volte fantasticando su come sarebbe stata la sua vita, la sua futura carriera se i suoi genitori avessero acconsentito di farle frequentare quel corso e farle così realizzare i suoi sogni e non i loro.
Giselle ha sempre voluto studiare arte, fin da piccola, ma i suoi sono sempre stati contrari e l’hanno convinta ad iscriversi a giurisprudenza, facoltà che non le è mai piaciuta ma nonostante ciò si è fatta trasportare dall’insistenza dei suoi e dei loro altolocati amici. Non se l’è sentita di dar loro un dispiacere, di infrangere iloro sogni e progetti che avevano sul suo futuro così ha ucciso i suoi di sogni e sorridendo ha acconsentito. Ricorda la gioia di suo padre, l’abbraccio di sua madre e gli auguri, le rassicurazioni di Mr.Turner, un grande amico dei suoi. Ricorda che mentre tutti brindavano e parlavano di una delle più grandi università del Regno Unito, dove progettavano di farla entrare, lei li guardava e si odiava perché non stava per niente gioendo, anzi: stava urlando, stava piangendo, stava cercando di raccogliere i cocci dei suoi sogni infranti in modo da poterli ricostruire.
 
E lui li ha ritrovati quei cocci. E’ stato lui a rimetterli insieme e a ricostruire i suoi sogni. 
 
E’ un edificio che le è sempre piaciuto, si trova su una delle strade principali di quella bellissima città, è un semplice edificio il mattoni rossicci, a tre piani.
Sorride e si decide a muoversi verso l’interno. Con insicurezza poggia la mano bianca e infreddolita sul portone e spinge per aprirlo. Entra e tutto le sembra meraviglioso. Le pareti sono ricoperte di quadri di ogni genere e su quella più grande si estende un murales raffigurante un paesaggio visto da due finestre.
L’ambiente è semplice, luminoso, ma non troppo. Al centro della stanza c’è un cartello simile a quelli stradali indicante le varie aule, la segreteria e la direzione. Volta lo sguardo a destra, verso la segreteria, e a passo incerto si muove verso lo sportello dietro il quale siede un uomo sulla cinquantina, capelli bianchi leggermente lunghi, alto e magro. Alza lo sguardo dall’album da disegno che ha in mano e sorride.
 
«Salve, dovrei…consegnare il modulo d’iscrizione» farfuglia, agitata com’era mentre si rigira quei fogli tra le mani.
 
L’uomo annuisce sorridendole «Sì. Dia pure a me.»
Gli porge i moduli mentre si tortura il labbro ansiosa.
 
«Venga tra un paio di giorni e le daremo gli orari e tutte le informazioni di cui necessita per frequentare i corsi» Le dice gentilmente l’uomo.
 
«Oh, perfetto. Buona serata» balbetta prima di recarsi di nuovo velocemente verso l’uscita.
 
«A lei.»
Si sente agitata, confusa. Non sa ancora come la prenderanno i suoi, non sa nemmeno se glielo dirà.
Ma una certezza ce l’ha: ha fatto la cosa giusta. Per lei questa volta. E deve questo solamente a lui.
Appena uscita dal portone l’aria fredda della sera londinese la travolge in pieno, ma a lei non importa. Cammina ma dopo poco si ferma, si poggia contro un muro e un sorriso radioso si allarga sul suo volto non appena realizza il tutto. Le scappa una risata quando ripensa a quel che ha fatto e si ritrova lì, sola, poggiata ad un muro, nel mezzo della strada, al freddo mentre ride.  Davanti a lei passa Mrs.Jones, la donna più odiosa che lei conosca, cara amica di sua madre. Questa le rivolge uno sguardo sprezzante e una smorfia di disgusto.
 
«Bè? Cos’ha da guardare?» sbotta acida. Oh, quanto ha desiderato farlo prima.
 
Questa si volta e continua a camminare come se fosse la regina del mondo.
Giselle sorride. La voglia di vedere Harry la invade, la voglia di abbracciarlo e ridere con lui sulla possibile reazione dei suoi genitori.
Comincia a correre verso il suo appartamento, luogo dove le avevano letteralmente proibito di andare.
Corre, il respiro si accelera, l’aria fredda le batte sul viso e le gambe cominciano a farsi pesanti.
Durante la sua corsa tanto disperata urta qualcuno e con un sorrisone stampato sul volto urla delle scuse.
Dopo buoni 10 minuti di corsa arriva davanti al palazzo dove abita Harry.
Tira il pesante portone per aprirlo e sale le scale a due a due, come sempre.
Ogni volta che andava da lui faceva così, ogni volta saliva le scale a due a due tanta era la voglia di vederlo.
Arriva al terzo piano e bussa con la solita insistenza sul legno della porta per poi poggiarsi con la schiena al muro per riprendere fiato.
Si sente le guance arrossate e la pancia le fa male.
Dopo poco sente lo scatto della serratura e la porta si apre rivelando Harry. Bellissimo come sempre, con il suo sorriso smagliante, le fossette sulle guance, gli occhi verdi che luccicano ogni volta che è con lei, ogni qual volta ha in mano la sua macchina fotografica, ogni volta che le fa vedere qualche sua nuova foto, ogni volta che fotografa lei o loro due insieme.
Harry ama farle foto: mentre dorme, quando cucina, mentre mette in ordine i suoi vestiti, con addosso i suoi vestiti, quando è arrabbiata e soprattutto, Harry adora fotografare Giselle dopo aver fatto l’amore, con le guance rosse, i capelli arruffati, gli occhi lucidi e le labbra arrossate.
Non gli da nemmeno il tempo di parlare che gli salta al collo allacciando le gambe attorno al suo bacino.
Il ragazzo barcolla leggermente, colto alla sprovvista e si lascia scappare una risata roca mentre sostiene l’esile corpo di Giselle con una mano sulla schiena e l’altra sotto la coscia. Chiude la porta con un calcio e si dirige in cucina con ancora Giselle tra le braccia che cerca di riprendere fiato.
La fa sedere sul tavolo, si stacca da lei e le sorride prendendole il viso tra le mani e asciugandole con i pollici le lacrime di gioia.
Giselle lo afferra per il maglioncino e fa scontrare dolcemente le loro labbra in un bacio dolce e disperato.
 
«Harry» sussurra.
 
«Hey, calmati, Gis.» dice divertito il ragazzo sbottonandole la giacca.
 
«Ci sono andata, ho consegnato il modulo e…tu. Tu, grazie. Se non fosse stato per te, io… non..non ci sarei riuscita. Non l’avrei mai fatto. Oh, vieni qui.» farfuglia confusa e lo tira di nuovo verso di sé stringendo le braccia intorno al suo collo e intrappolando il suo bacino tra le gambe.
 
Harry sorride e la abbraccia teneramente accarezzandole i capelli e la schiena, le lascia qualche dolce bacio sul collo e dietro l’orecchio.
«Adesso ti calmi, ti preparo un the e mi racconti tutto. Mh?» le sussurra dolcemente.
 
«Okay, ma prima baciami» lo tira di nuovo a se catturando le sue labbra. Dopo poco si stacca dolcemente e poggia la fronte contro quella di lui, affonda le mani tra i suoi ricci e sorride, lui fa lo stesso.
 
«Grazie.» mormora.
 
«Non ringraziarmi, piccola» le ripete sorridendo e lasciandole un tenero bacio sulla fronte.
Slaccia le gambe dal suo bacino e lui si dirige verso la cucina per preparare il the. Giselle si toglie la giacca e resta seduta sul tavolo con le gambe a penzoloni mentre guarda Harry. E ogni volta che lo guarda non può non pensare a quanto lui sia bello e talentuoso. Non può non pensare a quanta fortuna lei abbia avuto nell’incontrarlo. Ogni volta che lo guarda non può non ringraziare il cielo per averle dato una creatura così bella.
Harry mette il bollitore sul fuoco e si volta verso di lei incrociando le braccia al petto.
Si guardano per un po’, entrambi con un sorriso che va da un orecchio all’altro.
 
«Dai, dimmi tutto.» la incita avvicinandosi «Voglio sapere tutto, nei minimi particolari.» le circonda i fianchi con le braccia e strofina il naso contro il suo.
 
«Scusami se non te l’ho detto, ma non l’avevo programmato. Ho quei moduli da più di una settimana nella borsa, oggi passavo di lì, mi sono fermata e ho pensato a te. A quando ci siamo incontrati e ai miei. Così mi sono detta ‘Adesso o mai più’.» spiega dispiaciuta ricordando tutte le volte che gli aveva detto di voler consegnare quei moduli solo con lui.
 
Harry le sposta leggermente la frangia rossa dalla fronte. Ha sempre amato il colore dei capelli della sua ragazza, così in contrasto con la sua carnagione chiara e rosea.  «Smettila di ringraziarmi e di scusarti. E’ tutto ok, davvero. Dimmi solo come ti sei sentita una volta entrata.» con le nocche le accarezza la guancia.
 
«Ero agitata, nervosa, ansiosa. Un fascio di nervi. Poi sono entrata e per un attimo non ho pensato più a niente, è tutto così bello lì. Pieno di quadri, murales, al centro dell’ingresso ci sono dei cartelli simili ai segnali stradali che indicano le aule, la segreteria e la direzione. Devi venirci qualche volta, Haz. Poi, come un ritorno alla realtà, mi sono svegliata dal mio stato di trance e di nuovo l’ansia. Ho preso un respiro profondo e sono andata in segreteria a consegnare i moduli. Mi hanno detto di ritornare tra due giorni per le varie informazioni..» racconta con confusione senza fermarsi. Harry la fissa attento, la guarda come se fosse la creatura più bella e interessante del pianeta.
 
E forse è questo che ha di speciale Harry: quando parla con qualcuno lo fa sentire come se fosse l’unico al mondo, gli presta tutta la sua attenzione.
Il rumore dell’acqua sul fuoco li distrae, Harry si avvicina alla cucina e lo spegne. Prende le tazze e prepara il the.
 
«Quando sei uscita, invece? Come ti sei sentita?» le chiede porgendole la tazza bollente.
 
Giselle sorride facendo sorridere anche lui. «Ero confusa, pensavo ai miei, alla loro reazione. A te, pensavo all’espressione di quando te l’avrei detto. Avevo forse anche un po’ di paura, ma poi mi sono fermata e ho sentito di aver fatto, finalmente, la cosa giusta. E…» ride e scuote la testa.
 
«Continua, cosa è successo?» la incita sorridendo con lei.
 
«Sono scoppiata a ridere, in mezzo alla strada, come un’idiota. Mi sono sentita libera, rilassata, bene. Ah, ed è passata Mrs.Jones, mi ha guardata con disprezzo e le ho chiesto cosa avesse da guardare, lei ha alzato i tacchi ed è andata via. Dio, Harry, non sai come mi sono sentita bene in quel momento.» prende un sorso di the.
 
«E sei venuta qui. Nonostante ti avessero impedito di metter piede nel mio appartamento.» dice come a rimproverarla dolcemente.
 
Da quando lo conosce è sempre stato così protettivo nei suoi confronti ma mai invadente, l’ha lasciata anche fare i suoi sbagli, ha lasciato che si facesse male per poi essere lì a consolarla. E questo Giselle lo apprezza tantissimo, anche se non glielo dice mai. E a dire il vero Giselle non gli dice nemmeno ‘ti amo’ tante volte quanto glielo ripete lui, non gli dice dei battiti cardiaci che si accelerano prima di vederlo o mentre sale le scale per arrivare al suo appartamento, non gli racconta della voglia di fare l’amore con lui che la assale quando casualmente i loro bacini si scontrano, non gli dice tutte queste cose semplicemente perché non ci riesce, ma cerca di dimostrargliele in tutti i modi possibili. Anche quando lo tira a se con quel gesto brusco, quando lo bacia quasi violentemente, quando gli sussurra quei ‘grazie’ così sentiti. Lei cerca di dimostrarglielo, ma ancora non riesce a dirglielo apertamente.
Harry deve sempre cavarle le parole di bocca quando si tratta dei suoi sentimenti, mentre lui, lui non ha avuto mai problemi ad esternarli. E qualche volta, quando lei si addormenta fra le sue braccia, mentre le accarezza i capelli il dubbio che lei non lo ami quanto la ama lui lo assale. Lo tira giù nel baratro, ma nonostante ciò non la lascerebbe mai. La ama troppo e sa che anche lei ama lui, o almeno lo spera. Lo spera con tutto se stesso.
 
Lei scrolla le spalle e sorseggia il suo the.
Harry la guarda stringendo la tazza bollente che ha fra le mani.
«Cosa c’è?» chiede Giselle.
 
Il ragazzo scuote la testa. «Non voglio che tu ti metta nei casini, soprattutto con i tuoi. Lo sai.»
Giselle sbuffa e scende dal tavolo dirigendosi verso la libreria in soggiorno. Harry la raggiunge con la sua solita camminata lenta e tranquilla. La guarda dalla testa ai piedi, osserva quel corpo esile che tanto ama, guarda i suoi vestiti, come al solito più larghi del dovuto. Oggi indossa un maglione verde con delle fantasie quasi natalizie e un pantalone chiaro. Ha legato i suoi lunghi capelli ondulati in una coda disordinata.
«Sei bellissima» le sussurra raggiungendola. A quel complimento arrossisce spostando lo sguardo.
Harry si allontana verso la sua camera, quando torna ha in mano la macchina fotografica.
«Vieni.» le tende la mano che lei prende sorridendo, forse capendo le intenzioni del ragazzo.
La porta in camera da letto, si stendono entrambi: lei con il capo poggiato sul petto di lui. Harry alza le braccia e rivolge l’obbiettivo verso loro due.
Il flash fa sbattere le palpebre ad entrambi.
«Ti amo» le dice. Un’altra foto. Come al solito lei non risponde.
Un bacio. Una foto.
Le scioglie la coda facendo ricadere sulle spalle le sue onde rosse. Una foto.
Sorridono. Una foto.
Continuano a fotografarsi, insieme, nel letto, si baciano, sorridono.
Giselle prende delicatamente la macchina fotografica dalle mani di Harry.
«Posala, adesso non ci serve, Haz.» sussurra dolcemente per poi impadronirsi di nuovo delle labbra del suo ragazzo.
Harry posa la macchina fotografica per poi circondare con le braccia il bacino di Giselle e tirarla di peso sul suo corpo.
Continuano a baciarsi, ad accarezzarsi.
Ma c’è qualcosa che non va. Harry le sta nascondendo qualcosa, lo sente dal modo in cui la bacia, dal modo in cui la tocca, lo sente perché non le ha ancora sfilato il maglione, lo sente perché lo conosce. Però non vuole rovinare un momento così bello, non vuole rovinare il loro momento.
Cerca di mettere Harry a suo agio infilando le dita tra i suoi ricci, carezzando le sue labbra con la lingua, lasciandogli baci umidi sul collo e sul petto.
Si baciano per un tempo infinito, si baciano, si toccano, si studiano, si spogliano con dolcezza e senza fretta.
Harry vuole davvero godersela fino in fondo sta volta.
E’ sotto di lui, il fiato corto e la sua grande mano sinistra stringe quella piccola di lei.
«Gis.» sussurra Harry, come a chiederle il permesso.
Annuisce tirandolo a se per baciarlo mentre lui la penetra dolcemente.
Sente qualcosa di umido bagnarle la guancia, si stacca leggermente per poter vedere gli occhi serrati del suo ragazzo e le lacrime che gli rigano le guance.
Non dice nulla, come se fingesse di non accorgersene. Gli prende il viso tra le mani e lo avvicina al suo, gli bacia le guance e le labbra mentre geme.
Le spinte sono lente ed estenuanti.
Gemono più forte quando lui ruota i fianchi.
 
E’ probabilmente l’ultima volta in cui la farà sua, gli costa così tanto ammetterlo.
Tutti gli argini che aveva costruito per non piangere, non davanti a lei, sono crollati nel momento in cui è affondato in lei. Nel momento in cui l’ha fatta sua la nuda e cruda verità si è schiantata su di lui con violenza e non ha potuto impedire in alcun modo alle lacrime di scendere. E lei, forse, se ne è accorta.
E cosa le dirà quando glielo chiederà?
Non può dirle la verità. No. Non lo farà.
Le mentirà.
 
Dopo una spinta più veloce vengono entrambi, Giselle stringe in una mano le coperte, nell’altra la mano di Harry.
Lui spinge la fronte contro quella di lei, si morde il labbro con forza e un’altra lacrima scende sul suo viso.
Con un gesto vago gliela asciuga e inarca la schiena dopo l’ultima spinta.
Harry si accascia sul corpo di Giselle, la bacia quasi disperatamente ed esce da lei. Copre entrambi con le coperte e la avvolge tra le sue braccia.
Restano in silenzio mentre i loro respiri si regolarizzano.
 
Harry, perso tra i suoi pensieri, continua a passare le dita tra i suoi capelli adesso arruffati, le sfiora le spalle nude e la sente rabbrividire sotto il suo tocco. La stringe più a se.
«Haz?» la voce bassa di Giselle lo riporta alla realtà facendolo uscire dal baratro in cui è caduto.
 
«Cosa c’è, Gis?»
 
Giselle esita un attimo, forse si è sbagliata, forse non erano lacrime, forse è tutto frutto della sua immaginazione.
Scuote impercettibilmente la testa. No, lei le ha sentite quelle lacrime. C’è qualcosa che non va, vuole saperlo. Ma non se la sente di chiederglielo, è combattuta.
«Dimmi, piccola» la incita Harry.
 
Prende un respiro profondo prima di parlare. «Perché piangevi prima?» sussurra.
 
Sapeva che questa domanda sarebbe arrivata, lo sapeva. Aumenta la presa sul suo corpo, si aggrappa a lei come ci si aggrappa ad un salvagente quando si ha paura di annegare. La stringe così forte che ha quasi paura di farle male.
Lo porta alla realtà stringendo la sua mano. «Che succede?» gli chiede.
 
Si va in scena. Il ragazzo sorride. «Cosa vuoi che succeda? Sto bene, e sono felice per te. Non erano lacrime quelle, piccola.»
E spera che se la beva, che non faccia più domande.
 
Giselle storce il naso raggomitolandosi ancora di più fra le braccia forti del suo ragazzo. Con la testa contro il suo petto comincia a lasciargli baci umidi, questo è il suo modo di parlare, il suo modo di dirgli quanto lo ama e che lei è lì per lui.
Ma non poteva far finta di niente, lei quelle lacrime le aveva sentite, le aveva sentite sulle labbra e sulle guance, non poteva essersi inventata tutto.
 
«Va tutto bene. Sono felice che tu adesso sia qui, con me. Non roviniamoci la serata.» sussurra lasciandole un bacio tra i capelli.
La ragazza annuisce poco convinta.
Harry si protende su di lei, afferra la macchina fotografica e sorridendole scatta altre foto.
Le foto. Si è promesso di scattare quante più foto possibili di loro due insieme. Foto che lascerà a Giselle, foto che Giselle potrà decidere se guardare quando sente la sua mancanza oppure buttare, dimenticare. Dimenticarlo.
La sua paura più grande: essere dimenticato dalla sua Giselle.
 
Più tardi Peter, l’autista della sua famiglia, viene a prenderla per riportarla a casa.
E’ agitata, teme di non saper mentire ai suoi, teme che possano scoprire tutto e mandare a monte i suoi piani.
Nonostante le rassicurazioni di Harry non smette di tremare e di muovere freneticamente le gambe mentre il SUV nero la riporta a casa.
Harry. Dice che va tutto bene, ma allora perché piangeva?
E’ stato strano, troppo e lei non riesce a capire perché.
Che sia stata lei a far qualcosa di sbagliato?
Continua a chiedersi il perché di quelle lacrima senza trovare nessuna risposta.
Dopo poco Peter si ferma davanti al vialetto di casa. Prende un respiro profondo e lentamente si avvicina all’entrata. Bussa e ad aprirla è sua madre con il solito sorriso sulle labbra.
Le dispiace mentire così ai suoi genitori, infrangere le loro aspettative, ma non ha altra scelta.
«Giselle, dove sei stata?» le chiede facendola entrare.
 
«In libreria» in realtà non è proprio una bugia perché ci è andata davvero.
Si dirige in soggiorno dove suo padre seduto sulla poltrona parla animatamente a telefono, si avvicina e lo saluta con un sorriso caloroso.
 
E’ appena andata via e il vuoto lo ha invaso. Ha freddo, la testa gli gira vorticosamente e ha la nausea. Già prima, mentre Giselle era in cucina, è andato in bagno avvertendo dei conati di vomito. Fortunatamente lei non si è accorta di nulla, o almeno crede. Ha inventato una delle scuse più banali per i suoi occhi rossi per poi sviare il discorso. Non vuole che lei scopra cos’ha, non vuole che lei scopra che ha rifiutato ogni tipo di cura incerta. Ha rifiutato ogni tipo di cura perché glielo hanno detto, non è operabile, si è già esteso troppo ormai e una chemioterapia potrebbe solo allungargli la vita di qualche mese, non salvarlo.
Due, al massimo tre mesi di vita gli restano.
E l’inferno è solo all’inizio. Adesso il dolore è sopportabile, adesso ha la possibilità di correre in bagno per vomitare senza farsi vedere, adesso le forze le ha. Adesso gli è ancora possibile mentire a Giselle, ma quando le sue condizioni di salute si manifesteranno all’esterno del suo corpo? Quale scusa inventerà?  Dovrà dirle tutto. Ma non ora, ara vuole godersi la sua ragazza. Vuole vivere.
La testa gli fa sempre più male. Prende la sua macchina fotografica, scorre tra le foto fatte poco prima e l’ennesima lacrima gli riga il volto.
 
una settimana dopo… 
Le condizioni di Harry sono peggiorate, è molto più stanco, mangia pochissimo e quel che riesce a buttare giù viene subito espulso dal suo organismo, i mal di testa sono costanti e a malapena sopportabili. E’ dimagrito e ha gli occhi spenti e sempre contornati da occhiaie.
Il dott.Heller dice che deve ricoverarsi, in modo che possano somministrargli medicinali quando il dolore diventa più forte e insopportabile. Testardo com’è continua a rifiutare questa proposta e qualsiasi tipo di medicinali che possano almeno alleviargli il dolore.
 
Sono le 7.00 del mattino, è Venerdì e Giselle ha dormito per la prima volta da Harry dato che i suoi sono in viaggio per lavoro.
E’ seduta in cucina mentre sorseggia del the, ripensa alla notte appena passata: Harry si è alzato una decina di volte dal letto, ha avuto un sonno agitato e dal bagno sentiva strani rumori. Ultimamente c’è qualcosa che non va in lui. Ha sopportato fin troppo tutte le sue scuse e adesso vuole sapere cosa c’è realmente che non
va. Non è solo una stupida influenza la sua, c’è qualcos’altro sotto.
Si alza e raggiunge il suo ragazzo in camera da letto, tira un respiro di sollievo quando lo vede dormire. Posa la tazza sulla scrivania e si siede, guarda lui poi sposta lo sguardo sulle scartoffie che ha davanti. A catturare la sua attenzione è un numero, sotto c’è scritto ‘dott.Heller’.
Incuriosita apre uno dei cassetti della scrivania, anch’esso pieno zeppo di scartoffie e ricerche riguardanti chemioterapie e tumori. Cosa ci fa Harry con queste? Rabbrividisce al pensiero e scuote la testa. Chiude il cassetto e apre il secondo dove c’è una cartella clinica con sopra scritto dott.Heller.
Deglutisce, rivolge un’altra occhiata al suo ragazzo e afferra i documenti.
La apre.
Paziente: Harry Edward Styles
Ringrazia mentalmente la sedia sulla quale è seduta, altrimenti ne è certa, sarebbe crollata per terra.
Chiude la cartella, cerca di calmarsi poi lentamente, senza fare rumore, si dirige in cucina.
E’ nervosa, agitata e confusa. Si rifiuta di credere che Harry…
La riapre e legge con attenzione tutti i documenti.
 
Il mondo le crolla addosso, i sensi di colpa la travolgono, si sente tradita e stupida. Tradita perché lui non glielo ha confessato prima, stupida perché lei non l’ha capito. Aprire quella cartella è stato come rimettere a posto i vari tasselli, è stato come rispondere a tutte quelle domande che le frullavano nella testa da un po’ e che alle quali Harry trovava sempre una scusa. Scuse alle quali lei credeva sempre, pur essendo le più banali.
E solo ora si rende conto.
Le lacrime cominciano a scorrere copiose sul suo viso, i fogli cadono e finiscono sul pavimento. Pianta i gomiti sul tavolo e si copre il volto con le mani, si sente vuota, inutile. Mentre continua a singhiozzare sente due braccia circondarle le spalle e non può far a meno di notare quanto quelle braccia siano diventate esili e deboli; Harry affonda il naso tra i suoi capelli e inspira.
«Perché non me lo hai detto?» chiede con un filo di voce mentre accarezza le sue mani e si trattiene dall’impulso di stringergliele per paura di fargli troppo male.
Sente Harry sospirare, si allontana da lei e cammina verso la finestra.
Vorrebbe alzarsi, andare da lui e abbracciarlo, dirgli tutto quel fiume di parole che la sta lacerando dentro. Ma resta ferma, immobile, come se quella sedia la stesse trattenendo.
 
Harry dopo poco si volta lentamente e la guarda. «Non ci sono riuscito.» mormora.
Ha scoperto tutto, sapeva che sarebbe successo e, inaspettatamente, si sente come se si fosse liberato di un peso.
Resta fermo mentre guarda la sua ragazza con le lacrime agli occhi che lo fissa. Sul suo viso si alternano una miriade di emozioni che Harry non riesce a cogliere a pieno. Deglutisce e le si avvicina con passo lento. Si abbassa leggermente su di lei «Scusa.» riesce a farfugliare, le accarezza le guance asciugando qualche lacrima ed esce dalla cucina.
 
E come se il suo corpo si rifiutasse di rispondere ai suoi comandi resta ferma mentre lui si scusa e va via dalla stanza.
Altre lacrime scorrono sul suo viso e dopo una manciata di minuti, come se si fosse risvegliata dallo stato di trans nel quale era caduta, si alza, raccoglie tutte quelle scartoffie dal pavimento e raggiunge Harry.
La porta della sua camera è socchiusa, lentamente e senza far rumore la apre. Lui è sdraiato sul letto con il braccio che gli copre il volto.
Giselle entra, posa la cartella sulla scrivania e si avvicina al letto.
«Haz.» lo chiama con voce incrinata.
 
«Lasciami solo, per favore.» mormora senza nemmeno guardarla. Mormora quelle quattro parole con così tanta freddezza.
Giselle esita, prova sfiorargli il braccio ma lui si sposta di scatto guardandola con occhi gelidi. «Vattene, Giselle.» ripete.
 
Sente gli occhi riempirsi di lacrime, sbatte più volte le palpebre forse per scacciarle via, o forse per far svanire quell’incubo nel quale era caduta.
«Harry, ti prego.» implora.
 
«Vattene via, Giselle. Non te lo ripeterò un’altra volta.» ringhia e dentro di se si sta solamente chiedendo perché la sta mandando via quando lei è l’unica persona che vorrebbe adesso al suo fianco. E’ come se a parlare fosse un’altra parte di lui.
La ragazza prova ad obiettare, ma richiude immediatamente la bocca annuendo. La fissa mentre raccatta i suoi vestiti dalla sedia, la fissa mentre si spoglia del suo pigiama blu e troppo grande per lei, ma ormai anche per lui. La fissa prendere la sua borsa e quando lei prova ad avvicinarsi lui istintivamente fa un passo indietro.
 
«Come vuoi, vado via.» mormora e cammina verso la porta.
La sta cacciando.
Arrivano alla porta che Giselle apre. Fa un passo fuori e si volta verso di lui. «Mi chiamerai?» la voce le si spezza in gola e una lacrima le riga il volto.
 
Scuote la testa, Giselle sospira e gli volta le spalle. Resta lì a guardarla scendere lentamente le scale, ad un tratto gli si offusca la vista,  vede la figura di Giselle sfumarsi, sbatte più volte le palpebre senza alcun risultato. La testa comincia a girargli e a fargli male più del solito, sente le gambe rilassarsi sotto il suo poco peso e cade a terra.
 
La ragazza si volta, quando lo vede a terra le si ferma il cuore e corre verso di lui.
«Harry.» piagnucola con voce fioca mettendogli una mano dietro la nuca.
Lo sente farfugliare qualcosa, ma non riesce a parlare. Le lacrime cominciano a bagnarle velocemente le guance.
Si sente impotente, non sa cosa fare, continua a sorreggergli il capo e a sussurrare preghiere che nemmeno lei sa a chi sono rivolte.
In un secondo di lucidezza le viene in mente il numero che ha letto sulla scrivania di Harry.
«Haz, a-adesso dobbiamo alzarci…» balbetta mentre lo aiuta a rimettersi in piedi. Harry si poggia completamente a lei che non può far a meno di notare quanto sia dimagrito in questi ultimi giorni. No, non è solo una fottuta influenza come aveva mentito lui.
Con fatica si dirigono verso la camera da letto, Harry si lamenta continuamente per il dolore lacerante alla testa. La ragazza lo fa stendere delicatamente sul letto, afferra il cellulare e si precipita alla scrivania per comporre il numero.
Uno, due, tre squilli.
Giselle impreca sottovoce.
Al quinto squillo risponde.
«Dott.Heller.» sente la voce seria di un uomo di mezza età dall’altro capo del telefono.
 
«Sono Giselle Stewart, la fidanzata di Harry Styles, l-lui si è sentito male..i-io…» la voce le muore in gola e spera con tutta se stessa che il dottore abbia capito e che non servano altre inutili chiacchiere prima di farlo arrivare.
 
«Si, non si muova. Vengo subito.» il tono di voce è più preoccupato adesso. Riaggancia subito e si avvicina ad Harry.
Ha gli occhi serrati e le mani ai lati della testa, le gambe accovacciate al petto.
«Sono qui, Haz. Non me ne vado, i-io sono qui.» sussurra mentre gli accarezza i capelli per faro calmare.
Una mano di Harry si fa largo sul suo maglione e lo stringe con poca forza in un pugno, cerca di parlare ma non ci riesce.
Giselle gli accarezza il viso per farlo calmare, gli sussurra che è tutto okay, che tutto andrà bene.
 
Dopo meno di una decina di minuti sente il suono del campanello e si precipita alla porta.
La apre, l’uomo il giacca e cravatta si presenta velocemente ed entrambi raggiungono Harry.
Giselle resta sull’uscio della porta con gli occhi rossi di pianto, le guance bagnate e le mani strette sotto il mento.
Due infermieri lo portano via su una barella.
«Signorina, lei resta qui?» chiede con gentilezza il dott.Heller porgendole un fazzoletto.
 
Giselle scuote la testa. «No, la prego. Faccia venire anche me.» farfuglia.
 
***
 
E’ steso su quel letto d’ospedale, il volto pallido e gli occhi contornati da occhiaie. Il suono dei macchinari che hanno legato al suo corpo è l’unico rumore in quella stanza. Giselle è seduta vicino a lui mentre gli tiene la mano. Le lacrime si sono fermate, forse sono finite.
«Haz. Non lasciarmi, hai promesso di non lasciarmi mai ricordi? Non posso restare da sola qui, io ho bisogno di te. E mi sento una stupida a dirtelo adesso, mi sento una stupida per non averti ripetuto fino alla nausea che ti amo.» la voce le si spezza in gola. Lo ama, lo ama più della sua stessa vita.
E glielo dice solo ora, solo ora che si trova su un letto d’ospedale.
I medici gli hanno somministrato dei medicinali e alcuni tranquillanti questa mattina, l’hanno tenuto per tutta la mattinata in una stanza dove lei non poteva entrare, solo adesso lo hanno portato qui dove lei può stargli vicino.
Il rumore della porta che viene aperta la fa sobbalzare, si volta e un’infermiera dai capelli corti e scuri le sorride.
«Mi scusi, Miss. Stewart, non volevo spaventarla. Sono venuta per controllare che sia tutto okay.» dice mentre annota tutti i dati scritti su quegli aggeggi.
Giselle continua a pregare sottovoce, continua ad accarezzare la mano di Harry, a ripassare i contorni di quei tatuaggi che ormai conosce a memoria.
«Resta qui questa notte?» chiede la donna.
La ragazza annuisce decisa.
«Le porto una coperta.» esce dalla stanza e ritorna dopo poco con in mano una coperta scozzese.
 
«Grazie.»
 
La donna le sorride e apre la porta per uscire ma Giselle la ferma.
«Quando si sveglierà?» chiede.
 
«Dovrebbe svegliarsi a momenti.» risponde dando una fugace occhiata ai fogli che ha tra le mani.
Giselle annuisce e ritorna a sedersi vicino ad Harry.
E’ bellissimo, anche in un letto d’ospedale, con aghi infilzati nella sua pelle candida interrotta solo da tutti quei tatuaggi che lei ama percorrere con le dita.
Harry è il ragazzo più bello che lei abbia mai visto, ne è sempre stata certa.
La lascerà per sempre? I suoi occhi si riempiono per l’ennesima volta di lacrime.
Prende delicatamente la mano del ragazzo tra le sue e poggia la fronte sul bordo del letto.
Resta lì per alcuni minuti, o secondi, non sa dire bene quanto tempo passa finche non sente la sua mano muoversi e una voce roca e bassa mormorare il suo nome.
 
«Gis, piccola.» si è svegliato.
 
Giselle alza il capo per assicurarsi di aver sentito realmente la sua voce chiamarla. Il suo ragazzo sorride debolmente e si sorprende nel costatare quanta forza è capace di incuterle.
«Vieni qui.» sussurra allargando leggermente le braccia per accogliere il piccolo corpo di Giselle. La ragazza esita un attimo, ma poi delicatamente stringe Harry tra le braccia e affonda il viso sulla sua spalla lasciando che le lacrime gli bagnino il collo.
 
«Harry..» sussurra affondando le dita tra i suoi morbidi ricci.
Il ragazzo si stacca leggermente dal loro abbraccio e poggia la fronte contro quella di Giselle.
 
«Scusa, Gis. Non volevo mandarti via...» la ragazza lo interrompe stringendolo di nuovo tra le braccia.
 
Si allontana per guardarlo negli occhi «Non scusarti, ti prego» sussurra.
Ha voglia di baciarlo. Vuole sentire le sue labbra, il suo sapore.
«Posso baciarti?» farfuglia timidamente.
 
Harry sorride e avvicina le sue labbra a quelle di lei, le fa scontrare dolcemente, senza fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo.
E lei è lì con lui. Nonostante lui l’abbia mandata via, lei adesso è lì.
E quella stanza d’ospedale non gli sembra così fredda se lei è con lui, quelle mura non gli sembrano così bianche e tristi se lei è con lui, quell’odore d’ospedale, quell’odore che tanto odia, sembra sparire se lei è con lui e tutte quelle stupide macchine legate al suo fragile corpo scompaiono perché lei è con lui.
Con la mano libera, percorre con lentezza la schiena di Giselle partendo dalla base fino ad intrecciare le dita fra i suoi capelli rossi. Con i denti afferra il suo labbro inferiore, fa sfiorare le loro lingue e la avvicina a se per baciarla davvero sapendo che lei non avrebbe mai approfondito di più quel bacio.
 
Si staccano per riprendere fiato ed Harry si sposta leggermente su quel piccolo lettino per far stendere Giselle al suo fianco, ma la ragazza gli prende il volto tra le sue mani bianche, con i pollici gli accarezza le guance e si avvicina alle sue labbra per lasciargli un tenero bacio a stampo.
«Ti amo, Harry. E mi sento una stupida a dirtelo solo ora nonostante io l’abbia sempre saputo. Ti amo così tanto, Haz.» balbetta con voce tremolante.
Il ragazzo sorride, un sorriso radioso, un sorriso sincero.
 
«Ripetilo, per favore.»
E anche lui l’ha sempre saputo. Ma sentire Giselle pronunciare quelle due parole con gli occhi lucidi e con così tanta sincerità gli fa scoppiare il cuore di gioia.
 
La ragazza sorride, accarezza di nuovo le sue guance per poi stringersi a lui nascondendo il viso sulla sua spalla. «Ti amo, ti amo, ti amo…» mormora.
Harry emette un risolino roco mentre le accarezza la schiena e i capelli.
«Mi ami?» chiede solo per il gusto di sentire di nuovo quelle parole uscire dalla sua bocca.
Giselle si stacca, lo guarda negli occhi e sorride annuendo. «Sì. Ti amo.»
 
***
 
Sono le 3.57 e quella è la terza o la quarta volta che Harry si ritrova inginocchiato davanti al water per vomitare. Giselle ha una mano sulla sua fronte e gli accarezza la schiena per tranquillizzarlo. Adesso tocca a lei essere forte, adesso tocca a lei dar forza a lui.
Harry poggia il capo sulle mattonelle fredde.
«G-gis» la chiama con voce tremolante.
«Sono qui, vieni. Sono qui.» sussurra poggiando la schiena al muro e lasciando che Harry si accoccoli tra le sue braccia, che poggi il capo sul suo petto e si lasci tranquillizzare.
 
***
 
«Quindi.. NO! Non potete arrendervi così, deve esserci qualcosa che potete fare!» alza la voce Giselle mentre spinge indietro la sedia.
 
Sono trascorsi tre giorni da quando Harry è stato ricoverato, sono venuti dall’Irlanda i suoi genitori e Niall, suo fratello, che adesso è con lui nella sua stanza.
Mentre Giselle, Mrs e Mr.Horan, nello studio del dott.Heller, vengono messe al corrente di quel che Harry già sa.
 
«Non potete…» Giselle non riesce a finire la frase interrotta dalla mano di Mrs.Horan che si poggia sulla sua spalla per invitarla a sedersi.
«Miss Stewart, il tumore è già in fase avanzata, si è esteso troppo e non è chirurgicamente operabile..» spiega il dott.Heller.
Giselle lo guarda impassibile,con sguardo smarrito e terrorizzato dalle sue stesse parole.
 
«Nemmeno le chemioterapie?» chiede Mr.Horan.
 
Heller scuote la testa. «Non servirebbero, al massimo possono permettergli di vivere un mese o poco in più. E poi Harry ha già firmato un documento dove rifiuta esplicitamente ogni forma di chemioterapia... Ecco…» passa un foglio dove, in basso a destra si può facilmente scorgere la sua firma.
Cala il silenzio in quello studio dove si decide a tavolino la sorte di ognuno. In quello studio che pare così tetro agli occhi di Giselle.
Un silenzio interrotto solamente dal pianto di Mrs.Horan.
 
«Quanto…quanto gli resta?» chiede Mr.Horan asciugandosi velocemente alcune lacrime sfuggite dai suoi occhi azzurri.
 
«Un mese, forse due..Mi dispiace, abbiamo fatto il possibile.» conclude il dott.Heller intrecciando le mani sulla grande scrivania in legno.  
Gli occhi di Giselle si riempiono di lacrime, la ragazza scosta bruscamente la sedia e corre via dalla stanza. Corre tra quei corridoi bianchi, corre piangendo. Corre e si rifugia nel bagno dell’ospedale.
Si accovaccia sul pavimento portandosi le ginocchia al petto mentre continua a singhiozzare.
Cosa ne sarà della sua vita se non c’è Harry? Ormai dipendeva da lui, dipende da lui.
Lui è la sua roccia, non possono portargliela via.
Pensieri confusi e sconnessi si dimenano nella sua mente.
Il suo cellulare squilla. Lo prende, è sua madre.
Preme il pulsante rosso e annulla la chiamata.
Sicuramente vorrà convincerla ad andare a casa, sicuramente  vorrà dirle quanto suo padre sia arrabbiato con lei.
Il questi ultimi tre giorni hanno mandato due volte Peter lì in ospedale con l’intento di trascinarla a casa ma senza alcun risultato.
 
Il rumore della porta del bagno che si apre la riporta alla realtà. Una testa bionda si affaccia. Niall.
«Ciao.» dice sedendosi a terra vicino a lei.
In questi giorni ha potuto costatare davvero quanto lui ed Harry siano legati e quanto tengono l’uno all’altro.
Giselle si asciuga gli occhi con le maniche della felpa che ha addosso. Una felpa grigia, di Harry. 
«Mi ha chiesto di venire a cercarti.» mormora con lo sguardo fisso sulle sue mani.
 
«Sapeva che ero qui?» chiede sorpresa Giselle, la conosce così dannatamente bene.
Niall annuisce. «Và da lui, Giselle.»
La ragazza poggia il capo sulle mattonelle, rivolge gli occhi al cielo e sbatte ripetutamente le palpebre cercando di non piangere, di calmarsi.
Si alza e si sciacqua il viso pallido. Non vuole che Harry la veda così distrutta.
Niall si alza dal pavimento e la segue verso la porta, entrambi escono e in silenzio camminano verso la stanza 319, quella di Harry.
 
«Sai, gli basterà una sola occhiata per capire.» mormora la ragazza con un sorriso amaro sulle labbra.
Il biondo dagli occhi azzurri corruga la fronte.
«Capirà che ho pianto e saprà meglio di me come mi sento, è sempre stato così. Harry mi conosce meglio di quanto io conosca me stessa.» spiega e apre la porta senza dare a Niall il tempo di rispondere.
 
Nella stanza 319 Harry è seduto sul letto mentre sfoglia distrattamente un giornale, Mrs.Horan è davanti alla finestra, di spalle alla porta.
Niall e Giselle entrano ed entrambi si voltano verso di loro. Harry alza lo sguardo dal giornale e quando incontra gli occhioni della sua ragazza un sorriso spontaneo gli incornicia il volto pallido e magro. Si alza dal letto e la stringe, per quanto gli è possibile, contro il suo corpo. Giselle affonda il viso sul petto di Harry inspirando il suo profumo, quel profumo buono che non è cambiato di una virgola.
Mrs.Horan e Niall si scambiano uno sguardo complice ed escono dalla stanza lasciandoli da soli, immersi nel loro abbraccio infinito.
«Ciao, piccola.» sussurra Harry baciandole la fronte.
«Ciao, Haz.» risponde Giselle cominciando ad accarezzargli dolcemente la schiena.
 
Il silenzio che si era creato tra loro viene interrotto da Harry «Cosa ti ha detto il dott.Heller, prima?» il ragazzo si stacca dolcemente da quell’abbraccio così intenso per guardarla.
Giselle si irrigidisce, non sa cosa digli. E non vuole ricominciare a piangere, non davanti a lui.
Harry le prende le mani stringendole tra le sue. «Hey, è tutto ok, davvero. So tutto su questo male che mi sta portando via da te.» dice con tranquillità per poi stringerla di nuovo a se.
Gli occhi si riempiono di lacrime che cominciano a bagnare la maglietta di Harry. Giselle in fretta le asciuga per non fargliele notare.
Questo male che mi sta portando via da te. Così lo ha chiamato.
«Davvero non vuoi fare le chemioterapie?» chiede la ragazza alzando il capo.
«No. Non farò nessuna chemio.» risponde, prende la mano di Giselle e la porta verso la finestra.
Harry è estremamente testardo.
«Perché?» continua a domandare con un filo di voce, quasi implorandolo.
Il ragazzo sbuffa e con le nocche accarezza il viso di Giselle, poi sorride.
«Lo sappiamo tutti quanti che non serviranno a nulla, piccola.» sussurra prima di poggiare le sue labbra su quelle di lei. Impedendole di controbattere, troncando quel discorso lì.
Si baciano, dolcemente, con lentezza, assaporandosi l’un l’altra.
«Ti amo.» mormora Giselle affondando l’indice in una delle fossette che si formano ai lati della guance di Harry quando sorride.
Il ragazzo chiude gli occhi beandosi del tocco di lei sul suo viso.
«Ti amo tanto, Gis.» sussurra.
***
 
«Sicura di voler restare qui questa notte?» chiede Mrs.Horan guardando prima Harry poi lei.
Giselle annuisce decisa. Sono le sei passate di sera e l’orario delle visite è finito da un po’.
 
«Mamma, non preoccuparti.» Harry la rassicura per l’ennesima volta e guarda Niall con sguardo implorante.
 
«Credo che dobbiamo andare via altrimenti ci cacceranno.» entra in stanza Mr.Horan.
Harry sorride sollevato. Mrs.Horan sospira e si china per lasciare un bacio sulla sua fronte. «Torno domani, bambino.»
Giselle e Niall sorridono a quell’appellativo.
«A domani, Harold.» Mr.Horan ammicca verso Harry che gli da una leggera pacca sulla spalla.
 
Niall si avvicina ad Harry per abbracciarlo. «Ci vediamo domani, Styles.» 
«Ciao, Horan.»
Mrs.Horan abbraccia Giselle sussurrandole un timido ‘grazie’ all’orecchio poi vanno via lasciandola sola con Harry.
Il ragazzo le fa cenno di avvicinarsi al letto e si sposta permettendole di sedersi al suo fianco.
«Sono felice che sia rimasta tu qui con me.» mormora lasciandole un casto bacio all’angolo della bocca.
 
«Non me ne vado da qui.» Giselle sorride.
 
«Lo so. Però adesso devi accompagnarmi dal dott.Heller.» dice alzandosi e infilandosi la felpa.
Giselle lo guarda corrugando la fronte, ma non chiede nulla.
Entrambi escono dalla stanza, Harry intreccia le dita della sua mano a quelle di Giselle e camminano verso lo studio.
 
«Voglio ritornare a casa e continuare le cure lì.» questo ha detto Harry al dott.Heller appena entrati.
Giselle non sa come prendere la cosa: in effetti, sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, Harry odia gli ospedali ed è rinchiuso lì dentro da tre giorni. Ma d’altra parte si sentirebbe molto più sicura se decidesse di restare ancora un po’ lì. 
Harry cerca di rassicurarla, le spiega perché vuole ritornare a casa e che questi giorni vuole solo trascorrerli con lei e la sua famiglia. A casa sua. Non in una fottuta stanza d’ospedale. 
 
Tre giorni dopo…
 
«Starò da Harry, mamma.» mormora Giselle.
E’ tornata a casa dai suoi approfittando del fatto che Harry e Niall siano andati a giocare a golf con Mr.Horan.
«Allora non capisci: tuo padre non vorrà nemmeno più vederti se continuerai a stare con lui. Ti caccerà di casa, Giselle.» Mrs.Stewart si passa una mano tra i capelli biondi sempre impeccabili.
«Può fare ciò che vuole. Io non lascerò Harry da solo per colpa sua.» la ragazza si alza dal divano di pelle bianca del soggiorno di quella che una volta chiamava casa sua, prende il borsone con i vestiti e cammina verso la porta.
«Giselle, potresti pentirtene. Ritorna a casa.» la implora sua madre.
«Hai ragione, potrei pentirmene per il resto della mia vita se ritornerò qui. Mamma, vado da Harry.» esce e chiude la porta alle sue spalle.
Non ha il minimo rimorso, vuole stare con Harry.
I suoi non riusciranno a tenerla lontano da lui. Suo padre non ha nemmeno voluto vederla.
Guarda la sua Londra dal finestrino del taxi sul quale viaggia per dirigersi a casa di Harry.
 
Lui, da quando è tornato a casa è molto più tranquillo e a volte gli sembra davvero di dimenticare la malattia.
Sta cercando di vivere al meglio questi giorni e il fatto di avere la sua famiglia e la sua Giselle lì gli da una forza incredibile.
E’ circondato ogni giorno dai loro sorrisi, sorrisi luminosi e sinceri. Ma sa che tutti stanno soffrendo, forse più di lui.
E quando di notte corre in bagno per vomitare o la testa gli fa troppo male, Giselle è sempre lì, anche se lui fa il possibile per non svegliarla, per non farla soffrire ancora di più. Quando invece la sente piangere in silenzio, la stringe a se e le sussurra che lui adesso è lì, che lui sarà sempre con lei, nonostante tutto perché un amore come il loro non può finire così.
Sa che lei è forte, anche se continua a negarlo. Lui lo sa.
 
I giorni passano, passano così velocemente e Harry si sente sempre più stanco, dorme poco e niente.
Giselle ha sempre più paura, ogni giorno ringrazia il cielo di averlo ancora lì con lei, ogni giorno gli ripete che lo ama, ogni giorno si impone di non piangere davanti a lui, ogni giorno ridono insieme, se ne stanno insieme accoccolati sul divano, oppure, quando Harry si sente meglio passeggiano per le vie di Londra. 
Niall, Mrs. e Mr.Horan hanno preso in affitto un appartamento poco distante dal loro per non invadere in alcun modo la loro privacy. 
Harry dal canto suo è tranquillo, o almeno cerca in tutti i modi di non pensarci e la notte, quando non riesce a dormire, scrive testi di canzoni e lettere che ripone tutte in uno scatolone con su scritto: ‘A Giselle.’ 
E’ tutto così fottutamente difficile. 
I giorni passano e Harry trascorre sempre più tempo a letto.
 
 
9 Febbraio 2018.
Qualche giorno fa Harry ha compiuto 24 anni, era felice. Mentre adesso? Adesso è di nuovo su un fottuto letto d’ospedale e nessuno sa se ritornerà a casa con loro oppure…
Giselle è seduta su una di quelle stupide e scomode sedie blu, in quel corridoio bianco e puzzolente dove pare che la morte passeggi e ti sorrida, come per dirti ‘Hey, ciao. Anche tu verrai con me…ma per adesso mi porto via lui.’
Perché lei lo sa. Sa che portandosi via lui si porta via anche lei e lì, su quel pianeta rimane solo un corpo vuoto che girovaga per le vie guardando la felicità degli altri e rimpiangendo la propria. Un corpo che spera solo di poter rincontrare di nuovo quella felicità perduta, quella felicità che le è scivolata tra le dita in una piovosa e grigia mattina di febbraio.
Nella stanza dove c’è un Harry immobile, su quel letto che tanto detesta, con tutti quegli aghi infilzati nella sua carne e quella mascherina che lo aiuta a respirare, adesso ci sono i suoi genitori e Niall.
Giselle ha voluto lasciar loro un po’ di tempo per restare da soli con Harry.
Le lacrime continuano a scorrere sulle sue guance.
«Harry non so per quanto altro tempo ce la farà. Mi dispiace.» Queste sono state le parole del dott.Heller quando lo hanno ricoverato d’urgenza.
Giselle è seduta con le gambe strette al petto, il volto inondato da lacrime e gli occhi rossi e gonfi.
Non riesce a pensare a nulla. Lo sguardo fisso nel vuoto ed è come se quella figura scura si stesse portando via prima lui e poi lei.
 
La porta dopo un po’ si apre e Niall le si avvicina seguito da Mrs. e Mr.Horan.
«Vuole vedere te.» mormora stringendola in un abbraccio.
Giselle non risponde, guarda ognuno di loro. I volti distrutti dei suoi genitori, gli occhi rossi e gonfi di Niall poi si alza e con passo incerto entra nella stanza dove si trova Harry.
Ha gli occhi socchiusi e respira con quella mascherina, i diversi macchinari fanno dei rumori fastidiosi.
Il ragazzo alza li braccio facendole segno di avvicinarsi, lei si asciuga le guance e lo raggiunge prendendogli la mano.
«Haz…» riesce a farfugliare prima di ricominciare a piangere con la testa poggiata sul bordo del lettino.
Harry le accarezza il capo dolcemente per calmarla.
«Non lasciarmi, ti prego. Me lo hai promesso, tu stesso hai detto che le promesse vanno sempre mantenute.» singhiozza.
«Non ti sto lasciando» balbetta il ragazzo sorridendole appena.
Giselle resta in silenzio continuando a stringere la sua mano.
 
Vuole baciarla un’ultima volta prima di andare via. Vuole baciarla un’ultima volta perché prima che possano rivedersi e vivere felici passerà molto tempo.
Vuole baciarla. Non vuole vederla soffrire.
Si sposta leggermente la mascherina.
«Baciami.» le dice solamente e la ragazza non se lo fa ripetere due volte.
E’ un bacio delicato il loro, carico di promesse, nessun addio, solo promesse sussurrate a fior di labbra.
«Ti amo» sussurra Giselle facendo scorrere le dita sul viso del ragazzo.
«Ti amo anche io, Gis. Non preoccuparti. Sei forte, io lo so.» sussurra.
Altre lacrime scorrono sulle guance di Giselle. Harry sorride e le passa due dita sotto gli occhi rossi per asciugargliele.
«Non piangere,piccola.» mormora per poi chiudere gli occhi.
Uno degli aggeggi comincia a fare uno strano rumore, non più quel leggero e ripetitivo ticchettio.
 
Le peggiori paure di Giselle sembrano stiano prendendo vita, il petto di Harry si muove a malapena.
«Haz…» farfuglia.
La porta viene spalancata dal dottore e un infermiere che allontana velocemente Giselle.
«Uscite fuori, uscite.» ordina il dott.Heller notando che nel frattempo erano entrati anche Mrs e Mr. Horan con Niall.
Harry continua a stare immobile su quel lettino, gli occhi chiusi e quella stupida macchina continua a fare quel rumore fastidioso.
Giselle si sente persa, vuota, come se le avessero appena strappato una parte di se.
Sente il pianto strozzato di Mrs.Horan, la vede mentre suo marito cerca di tranquillizzarla facendola sedere e allontanandola da quella stanza.
«Deve uscire, signorina.» un’infermiera le si avvicina e  la accompagna fuori.
Quando la porta si chiude Giselle crolla in ginocchio con le mani sul volto. Fin ora era stata immobile lasciando che le sue lacrime scorressero libere sul suo viso.
Niall prova a sollevarla dal pavimento ma la ragazza si accovaccia vicino al muro.
 
Non sanno quanto tempo sia passato: forse un’ora, o pochi minuti.
Giselle è rannicchiata su una di quelle scomode sedie blu, Mr.Horan cammina avanti e indietro per il corridoio mentre Mrs.Horan ha avuto un calo di zuccheri ed è stata portata a casa.
I dottori escono dalla stanza, Heller si avvicina a Niall, che fin ora è stato quello che ha dimostrato più forza e controllo, e gli mette una mano sulla spalla.
«Non ce l’ha fatta. Le mie più sentite condoglianze.» mormora con lo sguardo basso.
Giselle riesce e vedere gli occhi di Niall riempirsi di lacrime, il ragazzo si scosta bruscamente e cammina veloce verso le scale.
Mr.Horan si ferma nel corridoio intuendo quel che il dottore ha detto a suo figlio e sperando con tutto se stesso di sbagliarsi, si porta una mano sul viso e chiude gli occhi.
Giselle resta immobile mentre il suo viso viene nuovamente bagnato dalle lacrime e il suo corpo comincia a tremare.
Riesce solo a pensare a quanto lei ha bisogno di lui. E lui è andato via.
«No…» piagnucola alzandosi. Mr.Horan si avvicina a lei abbracciandola. Anche lui si lascia andare ad un pianto disperato, anche lui, che fin ora, non si era mai fatto vedere così debole, piange.
 
10 Febbraio 2018
«Oggi siamo tutti riuniti qui per dare un ultimo saluto al nostro caro figlio, fratello e amico Harry.»
Non pioveva quella mattina, stranamente c’era il sole.
C’erano tutti: i suoi genitori, Niall, Giselle, alcuni suoi amici del nord dell’Inghilterra, c’erano anche i suoi compagni d’infanzia, Zayn e Liam, oltre ad alcuni parenti.
E tutti avevano qualcosa da dire su quel fantastico ragazzo.
A cominciare fu Niall.
«Innanzitutto ringrazio tutti per essere venuti. Ne sarebbe stato davvero felice. Vorrei solo dirvi che Harry era, ed è un fratello per me e non importa se abbiamo cognomi differenti, non importa nemmeno che siamo nati da genitori diversi, Harry resterà per sempre mio fratello e niente potrà cambiarlo. Grazie ancora, ciao Harry.» Niall lascia cadere una rosa sulla bara affiancando Giselle.
Subito dopo a parlare sono Zayn e Liam. «Harry è sempre stato un amico eccezionale, e gli saremo sempre grati, per il resto della nostra vita perché se non fosse stato per lui adesso nessuno saprebbe di noi due. E’ stato il primo a supportarci, a non allontanarci. Perché Harry era fatto così…era ed è un ragazzo fantastico che ricorderemo con il sorriso sulle labbra, come sempre.» Zayn stringe la mano a Liam ed entrambi fanno scivolare a terra due rose.
Mrs. e Mr.Horan non dicono nulla, entrambi avvolti nel loro dolore. L’ultima a parlare è Giselle.
«Non voglio dirvi che tipo di ragazzo era Harry perché sono certa che tutti voi lo conoscevate. Voglio solo ringraziarlo, adesso, davanti a voi. Ringraziare questo fantastico ragazzo che ora sicuramente ci starò guardando. Grazie, Haz.»  Giselle poggia una rosa bianca sulla bara e sussurra un flebile ‘ti amo’
Riprende la parola il parroco e dopo poco la bara viene ricoperta di terra. Tutti vanno via, eccetto Niall e Giselle che restano lì, insieme ad Harry.
La ragazza si siede a terra mentre strappa lentamente i petali ad una rosa. Quando alza lo sguardo nota un ragazzo qualche metro distante che li guarda.
«Niall?» lo chiama.
«Cosa c’è?»
Giselle fa un cenno verso il ragazzo e Niall sembra sorpreso, poi si alza e gli va incontro senza dirle nulla.
Si abbracciano, parlano per poco poi entrambi si avvicinano.
La ragazzi si alza pulendosi dall’erba il vestito nero.
«Giselle, lui è Louis, conosceva Harry dai tempi dell’orfanotrofio.»
I due si stringono la mano.
«Tu devi essere la sua ragazza, l’ultima volta che ho sentito Harry è stato quasi mese dopo essersi trasferito a Londra e mi ha parlato di te.»
Giselle abbassa il capo arrossendo e una lacrima le riga la guancia, lei la asciuga velocemente.
Niall le poggia una mano sulla spalla e le sorride incoraggiandola.
Louis si allontana da loro chinandosi davanti alla lapide che recitava:
Harold Edward Styles
1-02-1994   9-02-2018
 
«Ciao amico.» sussurra accarezzando quella pietra e posando tre rose davanti ad essa. Rose che fin ora Giselle non aveva notato. Tre rose bianche.
Il ragazzo si alza e sorride amaramente. «Devo andare, spero di rivedervi un giorno o l’altro.»
«Volentieri Louis.» Niall si volta verso Giselle che annuisce.
«Mi ha fatto piacere conoscerti, Giselle.» le dice con tono serio Louis.
E Giselle capisce che sono stati molto legati loro due, intuisce che quel Louis ha avuto qualcosa di profondo con Harry, qualcosa che va al di là dell’amicizia. Ma non osa chiedere nulla lasciando quel loro segreto riposare negli animi di entrambi ma inconsciamente sperando che forse, un giorno, Harry glielo dirà.
«Anche per me.» mormora.
«Statemi bene, ragazzi.» rivolge un’ultima occhiata alla lapide e sorride mormorando qualcosa, poi si allontana.
Giselle lo fissa mentre cammina verso l’uscita del cimitero e si stringe nel suo giubbotto.
 
 
E chi sa, quest’ultima parte interpretatela voi. 
 
 
Spazio autore.
Salvez.
Bene, innanzitutto ringrazio chiunque abbia letto questa mia OS, è la prima che scrivo e non so se ne sono pienamente soddisfatta, ma spero che a voi piaccia. 
Il finale, come ho detto prima, dovete immaginarvelo voi. Cosa c’era tra Louis ed Harry, dovete deciderlo voi.
Forse la fine è stata una parte deludente, lo riconosco, ma io non me la sono sentita di finirla diversamente.
Aspetto una vostra recensione, fatemi sapere se vi piace oppure fa cagare. Ve ne sarei infinitamente grata.
Grazie.
Un bacio, L. x

   
 
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