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Autore: NanaK    23/12/2013    6 recensioni
Abracadabra.
Quella era diventata la mia parola magica contro il malocchio. Non che ci credessi ovviamente, però mi infondeva coraggio quando ne avevo bisogno.
A volte mi sembrava di star pronunciando il mio nome, Abracadabra, eppure di nomi ne avevo avuti tanti.
Ero stata Caridee, ero stata Cary, per qualcuno ero anche stata “ tesoro ”.
Ora invece, ero Jenna, Jenna Olsen, e avevo una missione da portare a termine.
Genere: Azione, Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Matt, Mello, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caridee'
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Capitolo secondo

 

 

Paul non capiva, ma non gliene facevo una colpa: dopotutto lui non poteva sapere, nessuno poteva sapere, ed io non parlavo.

< Non voglio collaborare con Near, anzi non voglio collaborare con nessuno, tutto qui >

< Ne parli come se lo conoscessi  >. Un brivido freddo mi corse lungo la schiena, ma ero brava a controllare le emozioni, in qualunque momento. Alla fine la spuntai io, come sempre, ed avevamo cambiato discorso: percepivo però il suo desiderio malcelato di urlarmi contro la sua frustrazione. Sapevo che con una collaborazione di quel genere sarebbe stato tutto facile come bere un bicchier d’acqua. Ma non importava ed avevo da tempo cominciato ad essere egoista, pensando solo a me. Perciò mi obbligai a non pensare a quanto Paul sarebbe stato contento se avessimo accettato.

< Ho fatto qualche indagine stamattina e ora so che il loro covo è dove avevamo ipotizzato. Ho pensato di controllare questi locali notturni e vedere un po’ com’è la situazione. Sono sicura che tra questi vi è quello favorito dalla feccia >

< Va bene. Ma te lo scordi di andare da sola > disse serio, gli occhi fissi sul foglietto che gli avevo allungato un attimo prima.

< Sai che sarebbe troppo rischioso andare insieme. Se li incrociassimo scoprirebbero subito il mio ruolo al tuo fianco e ci farebbero fuori. Siamo solo due >. La mia logica non faceva una piega e forse fu quello che lo innervosì: quel compito toccava a me e sinceramente ero tutto fuorchè spaventata. Lo sentii sbuffare e abbandonarsi sul divano. Mi avvicinai da dietro finchè le mie mani non toccarono i suoi capelli neri. Gli scappò un sospiro e fissò il soffitto.

< Portati il cellulare ok? Non fare nulla di avventato come ti è d’abitudine e se si dovesse presentare qualche imprevisto corri chiaro? >

< Corri Forrest, corri > esclamai ironica. La sua preoccupazione era palese, ma davvero fuori luogo. Se qualcuno avesse solo provato a toccarmi si sarebbe ritrovato il braccio spezzato. Erano quattro anni che praticavo taekwondo ed ormai ero piuttosto brava: mi dava quella carica di adrenalina che mi serviva per eliminare ogni paura, inoltre era un ottimo antistress.

< Non sto scherzando > mormorò cupo incrociando il mio sguardo con espressione severa. Senza rispondergli mi chinai sul suo viso, strofinando le labbra sulle sue.

< Preparati per quando tornerò.. > sussurrai accennando un sorriso malizioso. Mi prese il viso tra le mani zittendomi e approfondì il bacio. Il sapore di Paul era qualcosa di incredibilmente maschile e virile ogni volta mi mandava fuori dai gangheri in meno di un minuto. Mi mordicchiò il labbro inferiore mentre io accarezzavo il suo collo.

Allora si staccò con una mezza risata. < E’ una posizione un po’ scomoda, ti dispiace sederti sul divano come tutte le persone normali? >

< Si, mi dispiace, io non sono come tutte le persone normali, dovresti saperlo >. Gli stampai un ultimo bacio, per poi sollevarmi e dirigermi verso la stanza, ignorando le sue proteste scherzose.

 

Erano le nove quando uscii: avevo fatto la doccia, pettinato i capelli, ardua impresa che mi aveva portato via i soliti quaranta minuti, scelto accuratamente i vestiti da indossare, mi ero truccata e mancava solo decidere quanti soldi avrei dovuto portarmi dietro. Quando il rumore dei miei tacchi risuonò sul pavimento del salotto potei quasi avvertire lo sguardo di Paul posarsi su di me.

< Hai messo il vestito che ti ho regalato >. Accennai un sorriso da perfetta stronza.

< Ti piace? >. Sapevo già la risposta: mesi fa era tornato a casa con una busta elegante, dicendo che l’aveva visto in vetrina e aveva pensato a me. Cadeva largo sul corpo per poi stringersi poco sotto la vita. Dietro la schiena vi era uno lungo scollo in pizzo. Anche io ne ero rimasta conquistata, era troppo delicato e non capivo perché l’avesse fatto pensare a me. Ciò che comunque avevo sperimentato era quanto lo eccitasse vedermelo addosso. E, ancor più, togliermelo di dosso.

< Devo proprio risponderti? > disse guardandomi. La mia provocazione aveva fatto centro.

< Si >

< Fottiti >. Risi, prendendo la borsetta e infilandoci il cellulare.

< Mi raccomando, fai il bravo. E pensami durante la serata >.

Si alzò e mi venne incontro: con i tacchi ai piedi ero quasi alla sua altezza. Mi posò le mani sui fianchi, tirandomi a sé.

< Dopo averti vista con questo vestito sarà difficile fare altro > sussurrò lascivo, sfiorandomi il collo con le labbra. Cercai di scacciare i brividi e lo allontanai, irritata dalla sua risata consapevole.  Quando uscii di casa un ultimo “ Sta attenta ” mi arrivò alle orecchie, poi il vento caldo mi scompigliò i capelli sciolti: questo mi aiutò a concentrarmi.

Presi un taxi e mi feci portare nella zona dove avevo passato la mattinata. Il bar era chiuso, ovviamente, ma le strade erano comunque illuminate e piene di vita. Iniziai a provare una certa euforia e sicura di me mi diressi verso il pub di fronte. Avevo imparato a memoria i nomi dei locali scritti dal cameriere e sapevo i punti esatti dove si trovavano.

Da qualche parte dovevo pure cominciare.

 

Erano quasi le undici ed io ero ad un punto morto. Buona musica, atmosfera tranquilla, eccessiva quantità di minorenni. Finora queste erano le caratteristiche che avevo riscontrato ed avevo finito la perlustrazione di due pub, una discoteca che, a quanto avevo capito, era aperta da poco e un ristorante di lusso. Nulla che rispecchiava le mie esigenze, men che meno quelle di una gang di mafiosi. Inizialmente avevo pensato che il ristorante sarebbe potuto essere un buon posto, ma avevo avuto modo di sapere che era sempre molto affollato per la bontà della cucina. Era, quindi, da scartare.

Mancava solo un locale da visitare, l’ultimo della lista. Non riuscivo ancora a decidermi se l’avessi lasciato alla fine di proposito o meno. In realtà non doveva importarmi più di tanto, ma la mia mente era in sobbuglio lo stesso. Forse era arrivato il momento in cui affrontare me stessa.

Abracadabra. Abracadabra. Abradadabra.

La musica si sentiva già da fuori e la scritta a neon fucsia proiettava immagini che non volevo ricordare. Non permisi al mio cuore di battere più veloce mentre mi avvicinavo all’entrata. Non permisi al mio passo di tremare nemmeno una volta. Non permisi alla mia anima di vacillare.

< Quaranta dollari per entrare >. Un uomo alto il doppio di me e largo il triplo tese la mano verso di me. Il buttafuori: un punto in più. Feci scivolare la mano nella pochette color argento e tirai fuori i soldi.

< Vi trattate bene qui > esclamai ironica e glieli porsi, senza nemmeno guardarlo in faccia. Lo superai e percorsi quel piccolo spazio che precede la sala vera e propria. In un attimo la musica divenne assordante e il calore mi avvolse completamente. Le luci soffuse davano un’atmosfera misteriosa, molto aiutate dalle varie ballerine/spogliarelliste che si muovevano sul palco in fondo. C’erano dei divanetti e il piano bar a sinistra e notai che nonostante fosse molto affollato la confusione era fin troppa perché qualcuno riuscisse a sentire qualcosa a più di un metro di distanza. La maggior parte dei presenti era sopra i trent’anni, eccezion fatta per le molte ragazze che cercavano di mettere in mostra la loro.. mercanzia? Ben accetta ad ogni modo. Sbuffai disgustata e stringendo la borsa tra le dita andai dritta verso il barista dietro il bancone.

Era un uomo piuttosto attraente, ma con più orecchini di una signora di mezza età. Non appena si accorse di me alzò un sopraciglio, stirando le labbra in un sorriso.

< Wow, sei una visione, dolcezza. Cosa ti porto? >

< Un Cosmopolitan > dissi alzando gli occhi al cielo. Lo guardai meglio e sembrava un tipo abbastanza loquace. Magari avrei potuto sfruttarlo a mio vantaggio.

< Sai > si schiarì la voce mentre preparava il mio cocktail. < Mi stavo giusto chiedendo come mai non ti ho mai vista da queste parti >

< E perché te lo stavi chiedendo? >

< In qualche modo devo pur iniziare una conversazione >

< Sei poco originale > dissi ironica, prendendo il bicchiere che mi messo davanti. Non avevo intenzione di rispondere alle sue domande, piuttosto era lui che doveva rispondere alle mie. Gli lanciai un’occhiata maliziosa, bevendo il liquido rosso chiaro. Dovevo giocare d’astuzia. < Ma potrei essere in grado di perdonarti, in fondo sei a capo di tutto questo >.

Per la prima volta abbandonò l’espressione “ ti porterò a letto ”, facendo apparire lo stupore sul suo viso. Sapevo leggere molto bene le persone e le sue parole non fecero altro che confermare la mia ipotesi.

< Scherzi? Io sono solo il barista >

< Ma come? Non posso negare di essere delusa. Sono sicura che chiunque sia il tuo superiore non regga il confronto con.. te >. Sussurrai l’ultima parola avvicinandomi a lui. Mi prese il mento con le dita, passando il pollice sulle mie labbra rosse.

< Quel ragazzino non è nemmeno paragonabile ad un uomo come me >. Ghignò e stava per baciarmi, ma mi tirai indietro svuotando il mio bicchiere.

< Non sono facile come sembro, mio caro >. Mi allontanai senza nemmeno dargli il tempo di rispondere, immensamente divertita. Senza volerlo mi aveva dato un’informazione utile. Il proprietario di quel posto era un ragazzino. Un ragazzino che non andava molto a genio ai suoi sottoposti. Magari era uno di quei soliti figli di mafiosi, con la mania di controllo e a cui piaceva comandare. Dovevo assolutamente incontrarlo. Sicuramente aveva dei legami con i mafiosi che cercavo. Mi guardai intorno e quasi mi venne un colpo quando vidi l’aggressore di Paul che fumava chissà cosa seduto in mezzo a tre quattro uomini. Feci rapidamente mente locale e un’idea folle iniziò a prendere campo nella mia mente. Forse avrei dovuto rifletterci su prima di lanciarmi nella loro direzione, ma le mie gambe si mossero da sole e quando gli arrivai davanti era comunque troppo tardi.

I loro sguardi si alzarono verso di me e non rimasi sorpresa nel vedere quanto languidi si facessero man mano che percorrevano il mio corpo.

< Mi chiedevo se potessi unirmi a voi, signori. Mi sento piuttosto sola e non conosco nessuno qui > dissi, leccandomi le labbra e spostandomi i capelli da un lato.

Si scambiarono sorrisi inquietanti e non esitarono a farmi posto accanto a loro.

Mi ero gettata nella gabbia dei leoni.

 

Buongiorno!

Sono riuscita ad aggiornare solo ora e me ne dispiaccio, ma almeno ce l’ho fatta prima di Natale. Spero che vi piaccia questo regalo. Che ne pensate? Questo capitolo mi è uscito di getto in un paio di giorni, l’ispirazione di fine scuola si è fatta sentire ahah. Sono ansiosa di leggere i vostri commenti, positivi e non, e ringrazio tutti coloro che hanno inserito la fic nelle seguite/preferite/ricordate e soprattutto chi recensisce.

Haregato.

Un bacio e buon Natale,

Hime

   
 
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