La Maison Darbois, o la
Vecchia Darbois come la chiamavano i
locali, era un’imponente villa dal gusto ottocentesco decorata da intarsi
vittoriani e colonne corinzie celate nella penombra. Oltre il cigolante
cancello, una filiera di stanghe ferree su cui campeggiava un malridotto
cartello che riportava un generico “non
sedersi o appoggiarsi alla recinzione”, si sviluppava uno spazioso giardino
abbandonato a se stesso e denso di rampicanti ed erbacce.
Bellocchio oltrepassò l’inferriata con noncuranza; altrettanto non si può dire
di Serena, che rimase immobile di fronte a essa scrutando con timore il
conturbante edificio. Fin da piccola l’aveva vissuto come un tabù inviolabile,
senza contare i recenti avvistamenti di cui era stata testimone; ciò senz’altro
non contribuiva a tranquillizzarla. Alzò lo sguardo al secondo piano, prima
finestra da sinistra sul lato frontale, e proprio in quel momento un lampo di
luce la rischiarò.
Agghiacciata corse oltre la cancellata e non si fermò finché non ebbe raggiunto
il suo protettore « Ehi, ehi! L-l’ha fatto di nuovo! ».
« Che
cosa? ».
« La
finestra… ha fatto… sai, wooosh » mimò
come poteva l’evento a cui aveva assistito, non riuscendo per la paura a trovare
le parole per esprimersi « Si è accesa e spenta, di n-nuovo ».
« Oh,
oh, oh! » Bellocchio rise e si strofinò le mani in segno di contentezza «
Finalmente! Iniziavo a temere che fossero tutte storie! ».
Episodio 1x02
La Dama
Cremisi
Se non
felice per essere entrata nell’incarnazione dei suoi incubi, eventualità
senz’altro non considerabile, Serena si sentì se non altro sollevata per
trovarsi finalmente in un ambiente che ricordasse almeno vagamente il tepore
casalingo che conosceva, dopo essere rimasta a mezzanotte al freddo in pigiama
nelle periferie di Borgo Bozzetto. Bellocchio si era allontanato quasi subito,
tornando con due candelabri a due bracci accesi per vie ignote.
Stavano
ora osservando l’atrio della Vecchia Darbois, costituito da due scaloni laterali
che si congiungevano al piano di sopra e da una via centrale che, passando sotto
a un arco a tutto sesto sulla cui chiave di volta era scolpito un massiccio
incrocio tra un dragone e un pipistrello, giungeva a un bivio che avvolgeva
l’intera struttura mediante un perimetro quadrato, una sorta di passeggiata che
circondava la sala centrale chiusa da un portone in legno.
«
Allora, la finestra qual era? ».
« È al
piano di sopra ».
Bellocchio annuì e dal suddetto ingresso a quella che intuiva essere la sala da
pranzo tornò sui suoi passi, inerpicandosi lungo la ripida scalinata di destra
che aveva notato poco prima. Saltuariamente cacciava colpi di tosse anche
violenti, dettati dall’alta quantità di pulviscolo presente nell’atmosfera «
Questo posto non è molto frequentato, vero? ».
« Non
entra mai nessuno qui. Gli abitanti del Borgo cercano di starne alla larga, per
la verità » l’attenzione di Serena fu attirata dalle eleganti cornici auree che
adornavano la parete. Quando mise a fuoco il contenuto dei quadri, tuttavia,
lanciò un urlo terrificante e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo
per non lasciare cadere le sue candele sul tappeto.
« Ehi,
ehi, che succede? ».
« I-i
quadri! S-sono… ».
Bellocchio puntò il suo doppiere verso i ritratti, non nascondendo un impeto di
sorpresa: per quanto abiti e atteggiamenti rappresentati fossero sicuramente
regolari, tutti i protagonisti dipinti erano del tutto
privi di volto « Beh, questo è strano ».
«
O-ora noi ce ne andiamo! ».
« Non
se ne parla ».
« Ma io
ho paura! ».
« Siamo
qui proprio perché tu devi sconfiggere le tue paure » replicò con certezza il
giovane, proseguendo il cammino « Su, se vuoi possiamo parlare. Aiuta, sai? È
così che faccio io ».
« Siamo
nel bel mezzo di una casa infestata!
Non vedo molti argomenti di conversazione ».
« Tanto
per cominciare, perché è infestata? ».
«
Perché ci sono i fantasmi? ».
« Sono
sicuro che in un mondo in cui ci sono Gengar a piede libero ciò non sia una
situazione così poco comune ».
« Beh…
Le leggende dicono che ci abiti uno spettro umano, ecco. La Dama Cremisi, la
chiamano. Lo spettro di una ragazza che si innamorò di uno dei servi di suo
padre. Alla fine quello divenne così furioso per la faccenda che rinchiuse la
figlia tra le mura della Maison Darbois, mura che la Dama abiterebbe ancora.
Qualcuno giura di averla vista, ma pare che compaia sempre e solo al buio. Nel
momento in cui una qualsiasi luce si accende scompare, come se fosse fatta di
ombre ».
« Mi
ricorda una storia che gira nella regione da dove provengo io, Sinnoh. Laggiù
c’è una villa simile a questa, la chiamano Antico Château. Ci sono stato, e
purtroppo era tutto falso. È uno dei miei rammarichi ».
Frattanto i due erano giunti al secondo piano, per molti versi una copia carbone
di quanto avevano visto oltre le due scale di sotto: un altro portone ligneo che
delimitava il muro attorno a cui si sviluppavano incroci di corridoi bui. Questa
volta, però, l’ingresso alla sala era adornato anche da qualcos’altro: una
coppia di sarcofaghi d’oro con fregi in lapislazzuli ritti di fronte a esso.
Guardandosi attorno Serena adocchiò anche altre tombe di simile fattura
addossate contro le pareti più esterne.
« Ne
avevo sentito parlare… I sarcophages
di Darbois. Dicono fosse un appassionato di archeologia, in particolare degli
Antichi Egizi, così ne aveva fatti mettere un po’ in casa sua ».
« Un
bel gusto per l’orrido. Mi piace » Bellocchio avvicinò il candelabro alla lucida
superficie dei reperti, risultandone accecato dal riflesso al punto da abbassare
immediatamente la luce « Affascinante. Ma c’è qualcosa che mi sfugge ».
« Che
cosa? ».
« Non
lo so… È una sensazione. C’è qualcosa di importante che sto trascurando »
commentò pensieroso « Beh, lasciamo perdere! Quale finestra hai detto che si era
illuminata? ».
« Ah,
quella frontale. Quindi sta dall’altra parte ».
Il duo
fece dietrofront, oltrepassando anche la sommità delle gradinate fino a giungere
al lato anteriore della Maison, anch’esso abbellito dalle onnipresenti casse
sepolcrali. Bellocchio passò in rassegna gli infissi uno a uno, chiudendo
proprio con quello incriminato « Si accendeva solo questa? ».
« Sì.
Solo lei ».
« Molto
strano. L’ambiente è un tutt’uno. Se qualcuno avesse illuminato si sarebbe vista
luce anche dalle altre ».
« Sono
assolutamente certa che fosse solo
questa » ribadì Serena, sentendosi in qualche misura ferita dalla diffidenza del
suo accompagnatore.
Questi,
però, era tutt’altro che diffidente. Era piuttosto perplesso, confuso da
qualcosa che, ne era pienamente convinto, gli stava passando dritto sotto il
naso senza che lui se ne avvedesse. Un segnale, un avvertimento. Riesaminò
rapidamente gli indizi in suo possesso: la leggenda della Dama Cremisi, la
finestra… Tutto riconduceva alla luce.
La luce!
Il
cuore iniziò a battergli a mille, e per una volta non dall’eccitazione: si era
appena reso conto di aver commesso una tremenda svista « Serena, hai detto che
nessuno entra mai qua? ».
«
Esatto. Il cancello è sempre chiuso ».
«
Quindi nessuno passa per pulire ».
« Mi
pare ovvio ».
« E
allora com’è possibile che non ci sia
polvere sui sarcofaghi? ».
Un
sibilo echeggiò tra le pareti della villa. Bellocchio si voltò di scatto e puntò
il candelabro verso il corridoio adiacente alle scale, che si era illuminato di
decine di fiammelle ardenti.
«
Polvere? ».
«
Riflettevano perfettamente le candele. Erano pulitissimi. Come diamine ho fatto
a non accorgermene subito? ».
« Ma
non ha senso! Come avrebbero fatto i sarcofaghi a–– ».
«
Quelli non sono sarcofaghi » replicò glaciale il giovane « Sono Cofagrigus ».
Le luci
si accesero inaspettatamente, illuminando un esercito di bare semoventi che
avanzavano a braccia spiegate nella loro direzione. Su ciascuno di essi si era
dipinto un ghigno malevolo, mentre i loro occhi fulvi luccicavano
raccapriccianti.
Serena
si avvicinò al suo amico, stringendosi a lui nella paura « Sono c-che cosa? ».
«
Pokémon crudeli che risalgono ai tempi degli Egizi. Si fingono tombe e divorano
i razziatori che non li riconoscono. Alquanto pericolosi ».
« Non
dovremmo chiedere aiuto a qualcuno? ».
« Oh,
giusto! » Bellocchio le batté una pacca sulla testa « Perché in effetti è orario
di punta e ci sarà di sicuro qualcuno nei paraggi! ».
« Hai
idee migliori? ».
Con un
movimento istantaneo le afferrò la mano e la fissò negli occhi «
Scappiamo! ».
Insieme
balzarono per anticipare i loro inseguitori agli scaloni. Lì, tuttavia, fecero i
conti con una sconfortante scoperta: anche il pianterreno era in mano ai
Cofagrigus, probabilmente fuoriusciti dalla sala da pranzo. Con una manovra
evasiva si gettarono alla cieca nell’arco che introduceva al quadrato superiore;
giunti al bivio si trovarono tuttavia spalle al portone e completamente
accerchiati da ogni lato. Nonché, qualora servisse chiarirlo, senza una
plausibile via d’uscita.
« Va
bene, Serena, direi che questo è il momento opportuno per usare i tuoi Pokémon!
Certo, questi simpaticoni sono parecchi, ma dovremmo riuscire a cavarcela con un
po’ di fortuna ».
La
ragazza, al limite della sopportazione, lo afferrò per le spalle e lo fissò
dritto in viso « Mettitelo bene in testa, caro il mio senza-nome:
io non ho Pokémon con me! ».
« Tu…
Tu cosa… Quale razza di Allenatrice non porta i––».
«
Io.
Non. Sono. Una. Allenatrice! ».
Bellocchio rimase a dir poco confuso da quelle parole. Lanciò nuovamente uno
sguardo ai Cofagrigus che aumentavano in numero « Ah, ehm, scusate, ma avremmo
bisogno di una riunione tattica ». In contemporanea caricò il portone
retrostante con un calcio, sfondandolo e cadendo a terra dentro il buio salone
che proteggeva, una camera da letto in disuso a giudicare dai soprammobili
accatastati in disordine e da un baldacchino nascosto in un angolo.
Dopo
aver verificato sommariamente che fosse privo di nemici trascinò all’interno
Serena e, agguantata una sedia da una pila di fianco, la impiegò per sbarrare
per sommi capi l’ingresso. Dovette rimanere lui stesso a incassare gli assalti
dei Pokémon siti dall’altra parte, finché essi non si placarono concedendogli di
riprendere fiato.
« Si
sono fermati? ».
« Spero
di sì ».
« Sono
spettri, no? Perché non passano attraverso la porta? ».
« Non
possono attraversare il legno ».
«
Davvero? ».
« Ovvio
che possono! Santo cielo, devi smetterla di credere a tutto quello che dico! »
l’uomo si accasciò al suolo sfinito.
« E
perché non cercano di entrare? ».
« Ho
un’ipotesi » replicò lui « Spero solo di sbagliarmi. Per quanto riguarda un
argomento completamente diverso, quanti anni hai? ».
«
Diciannove. Perché? ».
«
Diciannove anni. Oltre due terzi dei miei, e non sei un’Allenatrice. Perché? ».
Lo
sguardo di Serena si fece sfuggente, come se stesse cercando di evitare il
contatto visivo mentre parlava « Da bambina volevo esserlo. Un Pokémon in
particolare mi piaceva, elegante e maestoso, era il mio preferito. Avrei dato di
tutto per averlo ».
« E poi
che è successo? ».
« Poi
sono cresciuta. È da bambini voler allenare i Pokémon, prima o poi devi fare i
conti con la realtà. Sono maturata ».
Bellocchio rabbrividì « Maturare… La cosa peggiore del mondo ».
« È
normale. Tutti maturiamo prima o poi.
Chi non lo fa è solo stupido ».
« Io,
dal mio canto, preferisco avventuroso
» proclamò alzandosi in piedi « Yawn.
Ma suppongo siano punti di vista. Ora, la cosa più importante è uscire di qui.
Siamo circondati da ogni lato, ma
abbiamo un vantaggio: l’effetto sorpresa! Non si aspetterebbero
mai che due individui senza uno
straccio di arma attacchino una milizia di Cofagrigus, perché saremmo… uccisi
all’istante. Quindi sarebbe una sorpresa molto breve. Facciamo una cosa,
dimentica quello che ho detto ». Un altro sbadiglio lo colse, un’occorrenza
davvero poco comune per lui.
«
Stanco? ».
« No,
no, io… » Bellocchio prese a barcollare « Oh, no ».
« Oh –
yawn – no che cos… Oh, no ».
Entrambi realizzarono che cosa stesse succedendo con pochi secondi in anticipo:
un’Ipnosi. Riuscirono a rimanere lucidi ancora per poco, dopodiché si
prostrarono al regno di Morfeo cadendo per terra come sacchi di sabbia sospinti
dal vento.
«
On the first day of Christmas my true love sent to me… ».
«
Svegliati ».
«
… a partridge in a pear tree… ».
«
Sveglia! ».
«
Fiiive golden riiings! » l’uomo si
drizzò seduto cantando a squarciagola. Poi si guardò attorno confuso,
massaggiandosi la nuca « Questa non è la festa di Natale a casa di nonna Gillan.
Proprio no ».
«
Bellocchio, concentrati ».
« Per
caso hai visto la mia pernice? ».
Serena
gli assestò uno schiaffo sulla guancia destra, facendogli sussultare il capo.
« Ah!
Giusto, giusto! Orda di Cofagrigus, casa infestata, Borgo Bozzotto. A rapporto
».
«
Bozzetto ».
« Fa lo
stesso. Dove sono andati i nostri amiconi? ».
La
ragazza si lasciò cadere all’indietro, accomodandosi sul freddo parquet della
stanza e facendosi più vicina possibile ai due candelabri, unici irroratori di
calore « Non lo so. Mi sono svegliata qualche minuto fa, ma non ci sono stati
rumori ».
Bellocchio si alzò in piedi e si accostò con l’orecchio al portone di legno «
Già. Silenzio… Questo vuol dire molto bene o molto male ».
« Quale
delle due? ».
« Non
lo so, non sono un veggente. Proporrei di uscire » prima che la sua compagna
potesse accennare una qualche protesta rimosse la seggiola e fece forza sulla
maniglia, trovandola però bloccata. Tentò diverse volte, dovendo infine
arrendersi all’evidenza « Siamo chiusi dentro ».
«
Chiusi dentro? E da chi? ».
« La
Dama Cremisi ».
« La
Dama Cremisi? Ma è una leggenda! ».
« Sì,
no, forse, sa Dio. Il punto è che attualmente è la sola nostra pista, e
incidentalmente l’unica via che abbiamo di scamparla. Per quanto abbiamo
dormito? Ah, già, ho un orologio… Sette ore! Ciclo di sonno perfetto, oserei
dire ».
« Come,
scusa? » Serena sbiancò « Sette ore?
».
«
Esattamente, il che vuol dire che se Clipse non mi ha portato in Nuova Zelanda
il sole sorgerà tra circa mezz’ora » osservò Bellocchio « Quindi, se ciò che
raccontano sulla Dama è vero, saremo salvi appena la luce solare sfiorerà questa
catapecchia! Problema risolto ».
« Ma…
ma io non posso aspettare così tanto!
».
«
Ovviamente no ».
Serena
fu sbalordita da questa replica. Si sarebbe attesa una domanda, del tipo
perché non potesse aspettare. Ma forse
lui si era dimostrato ancora più intelligente di quanto non avesse dato a vedere
in quelle poche ore. Forse lui aveva già capito.
« Ieri
era il 20 marzo, il che significa che a meno che non abbiamo dormito per più di
un giorno ora sono esattamente le ore 7:04 del mattino dell’equinozio di
primavera » proseguì il giovane « A Sinnoh, da dove vengo io, questo è un giorno
molto speciale per i nostri bambini. E a giudicare dalla tua espressione
attuale, lo è anche per te ». Con discrezione le si sedette vicino, mentre lei
provava in tutti i modi a evitare i suoi occhi indagatori « Oggi è il giorno in
cui sono distribuiti i Pokémon, vero? ».
In un
gemito che tentava di soffocare le lacrime, Serena si voltò verso di lui
rattristata. Ci aveva visto giusto, allora. L’aveva
davvero capito « Sì ».
« Però
non capisco. Se tu vuoi essere un’Allenatrice… Perché hai aspettato così tanto?
Nove anni… Un’eternità ».
« A
Kalos c’è una stretta politica per quanto riguarda gli Allenatori che ricevono
Pokémon. Ogni città ne riceve un numero ben limitato, per preservare la fauna
locale da eccessivi viaggiatori che intendono catturarne. Credo sia colpa delle
proteste degli ecologi, fatto sta che Borgo Bozzetto ne riceve tre ogni anno. E
ogni anno io vengo anticipata, ogni anno devo rimanere senza ».
« A che
ora inizia la distribuzione? ».
« Alle
sette e mezzo » rispose con avvilimento « Ma è inutile. Ci vorrebbe un miracolo
per uscire da qua dentro, e un altro per arrivare in tempo. Dopotutto posso
aspettare ancora un po’… Giusto? Anno più, anno meno… ».
La
ragazza si chiuse in un pianto sommesso. Bellocchio rimase attonito a
contemplare i candelabri che rischiaravano l’oscurità. L’unico barlume in tutta
la villa racchiuso in quelle minuscole lingue di fuoco giallastre inerpicate sui
loro alti steli di cera.
Un’intuizione lo perforò nuovamente. Era successo ancora. Aveva
ancora una volta tralasciato il dettaglio più importante.
« No »
esclamò a un tratto, alzandosi e dirigendosi verso i doppieri.
« Come?
».
Afferrati i due oggetti si accostò nuovamente alla sua amica, tanto che le loro
fronti si sfioravano « Hai aspettato abbastanza il tuo destino. Oggi ti prometto
che avrai il tuo primo Pokémon ».
« Cioè
hai trovato un modo per farci uscire di qua? » domandò lei emozionata. Si scoprì
sorpresa per non aver messo in dubbio che l’idea maturata da Bellocchio potesse
essere in qualche modo sbagliata. In un certo senso si fidava di lui.
«
Grossomodo. Ma vedremo subito gli effetti ».
« E il
tuo piano qual è? ».
«
Parleremo con il loro gran generale » spiegò eccitato, poi soffiò uno a uno sui
lumi ancora accesi nelle sue mani « Preparati a incontrare la Dama Cremisi ».
« Ma
come… Non credo tu possa semplicemente… Che cosa stai facendo? » estinta anche
l’ultima delle lucerne l’ambiente si fece scuro come il carbone. Serena perse
completamente la visuale su qualsiasi cosa prima ci fosse e si sentì smarrita;
poi, dal nulla, la sua mano venne stretta da un’altra.
«
Tieniti pronta » sussurrò una voce. Per alcuni interminabili secondi non avvenne
nulla; poi un fascio di energia luminosa biancastra esplose dai candelabri.
«
Che sta succedendo? » gli urlò,
tentando di sovrastare il rumore che si era diffuso.
« Non
ci eri arrivata, vero? Nemmeno io! La Dama Cremisi appare al buio, ma non perché
tema la luce! No, sarebbe sciocco. Appare al buio perché, se ci pensi, c’è solo
una cosa che può illuminare le camere qua dentro! ».
Il
flusso energetico si intensificò, iniziando ad assumere una colorazione più
tendente al rosso vivo.
«
Quella che voi chiamate Dama Cremisi è stata con noi tutto il tempo! Era lei a
farci luce, era lei che ordinava ai Cofagrigus come bloccarci ogni via d’uscita,
ed è stata lei a farci addormentare! In tutto questo tempo lei era dissimulata
sotto forma dei nostri candelieri!
Come avrebbero fatto altrimenti a essere esattamente uguali a come li avevamo
lasciati sette ore fa? La cera avrebbe dovuto consumarsi! Un errore grossolano,
non ti pare? ».
« Ma
come può essere? Li abbiamo toccati, quegli affari! Uno spettro non ha
consistenza! ».
« È qui
che viene il bello: la Dama Cremisi non è
uno spettro! » strepitò accalorato « Non uno tradizionale, per meglio dire!
Immaginati la scena. Darbois ha appena scoperto che tutti i suoi preziosi
reperti archeologici sono in realtà dei Cofagrigus pronti ad assalirlo, e il
loro leader è una creatura che non ha mai visto prima, un essere completamente
unico. Come avrebbe mai potuto chiamarlo? ».
« Ma
perché Dama Cremisi? Non ha senso! ».
«
Femme Cramoisie, ovvero la Donna
Cremisi, era ciò che fu divulgato ai tempi con ogni probabilità. Ma è sempre
stato un errore storico clamoroso! Il nome pronunciato da Darbois fu
Flamme Cramoisie! La Fiamma Cremisi!
Guarda! » Bellocchio puntò il dito verso il vortice d’aria che si era prodotto
al centro del salone, precisamente sopra i doppieri. Al suo interno si stava
delineando una silhouette dai connotati di un lampadario « Un Pokémon che vive
in questa villa da secoli, che ha terrorizzato generazioni di visitatori al
punto da rendere questo luogo ciò che è ora. Fatti avanti, Chandelure ».
Il
turbinio si acquietò. Quattro fiamme intense rischiararono l’ambiente, più una
quinta disposta poco sopra. Un paio di occhi fucsia luccicavano su una sfera di
apparente vetro, mentre bracci di metallo bruno completavano la figura.
Era
effettivamente un Chandelure, ma non uno qualunque: il colore delle vampate era
un più realistico chermes rispetto al convenzionale viola cadaverico. Era un
Chandelure cromatico. Bellocchio lasciò la mano di Serena per avvicinarglisi,
facendole segno di restare indietro « Terra a Fiamma Cremisi, Terra a Fiamma
Cremisi, mi ricevete? ».
«
Chi sei tu? » domandò. Il suo tono era
lugubre e sottile, ben diverso da quello sicuro di sé del suo interlocutore.
« Sono
sicuro che puoi arrivarci da solo ».
Il
Pokémon rimase inebetito, occupato nell’analizzare l’uomo che aveva di fronte.
Dopo qualche esitazione, ribatté con fare vago «
Tu non sei di questo posto ».
« Mi
aspettavo potessi fare di meglio, ma mi accontento. Mi ha tradito
l’abbigliamento? No, no, anzi, sicuramente l’accento. Quel mio maledetto accento
del nord ».
«
Che cosa ci fai qui? ».
«
Domanda noiosa. Eccone una migliore: che cosa ci fai
tu qui? » Bellocchio cominciò a passeggiargli intorno, ignorando
completamente Serena e rendendo il dialogo un effettivo confronto a due « Perché
è evidente che non sei arrivato qui da solo. Passino i Cofagrigus, ma Darbois
non avrebbe mai avuto ragione di portare delle candele speciali nella sua villa
».
«
Sono stato inviato ».
«
Questo era già stato stabilito. Il punto è: perché? ».
«
Per tenerla sotto controllo ».
« Che
cosa, Borgo Bozzetto? Un villaggio da dieci abitanti e mezzo? » mentre parlava
scorse l’espressione accigliata della ragazza, compiacendosene « Non me la dai a
bere ».
Chandelure scosse la testa, pur senza tradire alcuna emozione al di là di
questo.
«
Resterei qui a interrogarti per tutto il giorno, ma vedi, io e la mia amica qui
avremmo anche da fare. Quindi ecco il piano: tu apri le tue porte, ritiri i tuoi
Cofagrigus e insieme ve ne andate in vacanza in qualche posto, preferibilmente
molto lontano da qui. Come ti sembra? ».
«
Ho sentito i vostri discorsi. Siete
disarmati, non avete modo di costringermi a farlo ».
« Ah!
Ma ti sei sentito? Serena, l’hai sentito? » Bellocchio rise sonoramente « Io non
dovrò costringerti a fare nulla, perché lo farai
di tua spontanea volontà ».
«
Non capisco ».
« Tu
non sai chi sono io, vero? No, certamente. Altrimenti avresti già fatto i
bagagli e prenotato l’agenzia di viaggio ».
«
Il tuo nome è Bellocchio ».
« Oh,
andiamo! Lo so bene che chiunque ti abbia mandato mi conosce, diamine, mi
conoscono tutti! Avrò cambiato nome, ma non faccia! Ah, ho capito, devo fare
tutto io ». Con passo convinto si avvicinò al lampadario animato e gli sussurrò
qualcosa che Serena non riuscì a udire o intuire. L’unica cosa che poté
constatare è che, di qualsiasi natura fosse stata l’informazione, aveva mutato
radicalmente l’atteggiamento di Chandelure: da distaccato e superiore era
passato a trasudare terrore da ogni poro.
«
N-no… Non può essere! ».
« In
carne e ossa. Quindi, cara la mia Fiamma Cremisi, ti darò un suggerimento da
amico. Scappa ».
Il
portone si spalancò con un sonoro rimbombo e tutte le luci di Villa Darbois si
accesero nel medesimo istante. Il loro oppositore scomparve in una nuvola di
fumo e un ghigno si dipinse sul volto di Bellocchio. Tutto era tornato in una
frazione di secondo a un’irreale calma, un mutamento repentino e sconvolgente.
Serena, dal canto suo, era esterrefatta a voler minimizzare.
« Tu…
Come diamine hai… ».
Lui la
prese per le spalle e la scrutò negli occhi « Starei volentieri a esporti tutto
il mio acume, visto che mi piace farlo, ma non ho fatto tutta questa fatica per
lasciarti sprecare l’occasione. Corri e vai a prendere quel Pokémon ».
La
giovane, in preda a un’euforia che raramente aveva vissuto in tempi recenti,
annuì con un sorriso e si voltò, slanciandosi a perdifiato verso l’uscita.
A Borgo
Bozzetto c’è una collina particolare. Non ha un nome specifico, ma gli abitanti
spesso si riferiscono a essa come il Colle degli Inizi. Circondata da una
recinzione ferrea e abbellita da un solitario lampione che la sorveglia nelle
ore notturne, volge a nord e offre agli spettatori un panorama mozzafiato consto
di foreste, laghetti, nuvole e, molto in lontananza, i troneggianti grattacieli
di Luminopoli.
Tutti
gli Allenatori provenienti da questo villaggio sperduto nell’entroterra di Kalos
ricordano bene il giorno in cui salgono sul Colle degli Inizi: perché quel
giorno è anche il loro di inizio. L’inizio di una nuova avventura, di un viaggio
che li condurrà ai confini della conoscenza.
Serena
si stava dirigendo proprio lì. Correva senza fermarsi un secondo, temendo che
anche quella breve pausa per riprendere fiato potesse rivelarsi fatale per lei.
Non doveva fallire. Lo doveva a Bellocchio e a se stessa, per tutto quello che
aveva passato per essere lì. Era il suo destino.
Quando
le scale che scortavano al poggio comparvero di fronte a lei si sentì al settimo
cielo. Si guardò attorno: non c’era nessuno che potesse rubarle il primo posto
della fila. Il cielo limpido risplendeva nel fulgore mattutino di un sole non
ancora del tutto sorto. Un celeste sbiadito, quasi ancora avvolto nelle tinte
fosche del vespro. Serena inspirò profondamente e salì i gradini uno alla volta,
solennemente.
In
cima, dall’altro lato di uno spiazzo cementato, si trovava una ragazza. A occhio
e croce aveva circa sedici anni, anche se in effetti avrebbero potuto essere di
più, e indossava un abito turchino orlato di un blu scuro alle estremità delle
maniche, nonché un brioso copricapo rosato che copriva in parte una lunga chioma
castana sciolta sulle spalle. Era voltata verso il bordo della balaustra e si
godeva il paesaggio.
« Mi
scusi? ».
Quella
si girò, osservandola con due luminosi occhi azzurri « Sì? ».
« Ah,
salve… Lei è per caso l’inviata del professor Augustine Platan? ».
«
Proprio io ».
« Ah!
Piacere, il mio nome è Serena Williams ».
« Casey
Dawning. Ma ti prego, dammi del tu » le sorrise stringendole la mano « So che
non è affar mio, ma come mai giri in pigiama? ».
« Ah! »
Serena arrossì vistosamente e desiderò con intensità di avere il potere di
sparire a proprio piacimento. Era stata così terrorizzata dall’idea di non
arrivare in tempo che si era completamente scordata dell’abbigliamento « È una
lunga storia… ».
« Tu
vivi qui, immagino ».
« Sì,
ci sono nata ».
« Bel
posto, Borgo Bozzetto » Casey tornò ad ammirare la veduta dalla collina « Mi
ricorda la regione da cui vengo io. Sono qui in visita, sai, quando Platan è a
corto di personale convoca Allenatori da luoghi lontani per assisterlo ».
« Ah,
sì, a tal proposito… ».
« Sì,
sì, capisco. Dunque, vuoi che porti un messaggio particolare al professore? ».
« Oh,
ecco… » la ragazza era in preda a un imbarazzo senza precedenti « … In realtà io
sono qui per i Pokémon, sa–– volevo dire,
sai. Tu sei quella che li distribuisce, giusto? ».
« Ah…
Sì… Scusa, è solo che… Per l’età, ecco, non credevo che fossi qui per quello ».
« Non
importa, tranquilla… Quindi posso averli? ».
« Ecco…
» Casey le mise una mano sulla spalla, e Serena si sentì sprofondare. Aveva già
vissuto quella stessa sequenza di eventi tante, troppe volte. Nove anni. Non
poteva stare succedendo di nuovo « … Sono finiti. Altri ragazzi li hanno presi
prima di te. Mi dispiace davvero tanto… ».
Per un
po’ le parve che il tempo si fosse fermato. Quella volta ci aveva creduto, ci
aveva davvero creduto. Aveva
affrontato una casa infestata e ne era uscita in tempo, era convinta di avercela
fatta. E invece ancora una volta era stata beffata, ancora una volta era
arrivata troppo tardi.
Ringraziò Casey con tutta la gentilezza che riuscì a mostrare, poi tornò sui
suoi passi verso casa, cercando di imboccare le vie più solitarie che conosceva:
un po’ per la vergogna di essere ancora in camicia da notte, un po’ perché non
voleva incontrare più nessuno. Voleva solo sprofondare nel letto e lasciar
perdere. Non aveva più senso cercare di essere un’Allenatrice.
Giunta
al giardinetto della dimora le venne incontro Walt, il Rhyhorn di famiglia,
segno che sua madre era rientrata. Per l’appunto la trovò nell’angolo della
cucina, affaccendata a preparare un’abbondante prima colazione.
« Ciao,
mamma » la salutò stancamente « Andata bene la gara? ».
«
Serena! » la donna si staccò dai fornelli e l’abbracciò felicemente, con un
sorriso a trentadue denti stampato in viso « Dov’eri stanotte? Sono tornata
qualche ora fa e non ti ho trovata… Mi stavo preoccupando! ».
« Ah,
scusa… Mi ero accampata al Colle degli Inizi per riuscire ad avere un Pokémon,
almeno quest’anno… » improvvisò « Ma è stato tutto inutile ».
« Beh,
certo che lo è stato » commentò sua madre sorpresa « Te l’hanno portato qua ».
Serena
fu completamente colta di sorpresa e sgranò gli occhi «
Come, scusa? ».
« È
passato un giovanotto, circa un quarto d’ora fa… Ha detto di essere un inviato
del professor Platan, e di averti portato un Pokémon direttamente da parte sua
come regalo. In cambio ha chiesto solo dei vecchi vestiti di tuo padre, e lo
capisco, messo male com’era. Chissà che gli era capitato… Comunque l’ha lasciato
di sopra, in camera tua ».
«
Scusa… Per caso ha lasciato un nome? ».
Un
rumore di uova sbattute tornò a risuonare per il salotto « Sì… Belloccio, mi
pare. Penso fosse un nome in codice ».
La
ragazza esplose di felicità e incredulità mentre con rinnovata energia saliva le
scale per la sua stanza. E la trovò lì, appoggiata sopra un letto rifatto dalla
premurosa madre: una lucida Poké Ball rossa come la Fiamma Cremisi, ma cento
volte più piacevole da ammirare; al suo fianco una bizzarra pietra semiopaca
dalle tinte rosee, di cui non comprendeva però il senso – non che avesse
importanza, al momento. Serena prese in mano la sfera stringendola, notando con
stupore che non si trattava della stessa che aveva visto accogliere Sheila, e la
lanciò con le mani tremanti.
Il suo
ospite era una specie di fanciullina dalla lunga veste bianca la cui testa era
coperta da un casco verdognolo con un paio di antenne che le conferivano un
aspetto alieno. Era un Ralts.
Colta
da un’euforia incomparabile Serena iniziò a saltellare per tutta la stanza,
gridando a squarciagola la propria contentezza al mondo. Il suo amico, alla
fine, aveva mantenuto la promessa fatta. Dopo nove lunghissimi anni anche lei
aveva ottenuto il suo primo Pokémon.
Anche
lei era diventata un’Allenatrice.
Spirava
una piacevole brezza su Borgo Bozzetto. L’arco d’ingresso era alquanto
promettente verso i nuovi visitatori: “Una
città pronta a sbocciare”.
Un po’
gli dispiaceva, abbandonarla. Era stata una bella notte, dopotutto. Ma in fin
dei conti senza Pokémon e con nessuna conoscenza nella regione non aveva molta
scelta. Si diede un’occhiata compiaciuta: aveva preso in prestito un elegante
completo marrone e un cappotto del medesimo colore, ma più chiaro, che gli
arrivava alle ginocchia. Non il massimo della comodità, specie per la cravatta
amaranto che gli procurava prurito al collo, ma aveva sempre amato quell’aria da
signore distinto che conferiva quel tipo di abbigliamento.
« Ehi!
Ehi, Bellocchio! » gli urlò dietro una voce. Il giovane sorrise e si voltò,
osservando Serena che gli veniva incontro agitando la Poké Ball appena ricevuta.
Notò con piacere che si era cambiata: i suoi lunghi e biondi capelli fluenti
risaltavano ora contro il nero che caratterizzava il suo intero vestiario se si
escludevano minigonna e cappello, entrambi di uno sgargiante color scarlatto. Si
era anche portata dietro una borsa a completare il tutto, presumibilmente pronta
per partire per il suo tanto agognato viaggio.
« Te ne
vai senza salutare? ».
« Non
ho mai amato i saluti. Sono sempre così tristi ».
« Come
hai ottenuto la Ralts? Non l’avevi con te ».
Bellocchio si grattò la nuca, tentando di minimizzare « Quando sono tornato al
villaggio dopo che tu te n’eri già volata via, ho visto tre ragazzini che
parlavano dei loro nuovi Pokémon, e ho capito a cosa stavi andando incontro ».
« Sì,
ma… Non ci sono Ralts, qui vicino ».
« No?
Non conosco la zona. Ho incontrato un’Allenatrice vestita completamente di
bianco, nella piazza principale, non ricordo il nome. Sembrava una brava
persona, amorevole verso i suoi Pokémon… E molto interessata a Sheila ».
Serena
si mise una mano sulla bocca per lo sconvolgimento, intuendo ciò che sarebbe
seguito.
« Non
ti preoccupare » la rassicurò l’uomo « Anche lei era d’accordo. Sheila, intendo.
Ne avevamo vissute tante, insieme, ed era ora che ognuno andasse per la sua
strada. Entrambi ci ricorderemo sempre di quello che abbiamo passato, e lei
starà molto bene con quella donna. In cambio mi ha offerto i Pokémon più vari,
ma quando ho visto quella Ralts ho capito che era perfetta per te ».
La
ragazza era sul punto della commozione. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma sentì di
non avere ancora quel tipo di confidenza e cercò nel possibile di mantenere
un’aura di distacco simile alla sua « E la pietra? ».
« Già,
la pietra. Ha insistito perché l’avessi, ha detto che era molto importante.
Voleva saldare il debito, a suo dire era uno scambio impari. Alla fine l’ho
accettata per cortesia ».
« E
ora… Cosa farai? ».
«
Adesso immagino che mi recherò a Luminopoli come mi ha consigliato
quell’Allenatrice, e da lì prenderò un treno per tornare a Sinnoh. Tutto com’era
prima, almeno per me ».
« Ah…
Luminopoli… C’è una sola via rapida che porta là… Se vuoi potremmo… » Serena
arrossì « V-voglio dire, siccome magari non sai arrivarci… ».
« È una
linea retta, non sembra molto difficile ».
« Sì,
s-sì, ma… Sei senza Pokémon, e c’è erba alta sulla strada, quindi potresti… » si
fece forza « … venire con me? ».
Bellocchio assunse un’espressione divertita « Ma sì, perché no? A viaggiare da
soli non c’è mai molto gusto ».
Il
volto di Serena s’illuminò. Senza attenderlo iniziò a correre verso il Percorso
1, tagliando quell’arco che l’aveva confinata per diciannove lunghi anni. Il
giovane invece rimase fermo per un po’, meditando sul cielo le cui nuvole della
sera prima si erano dileguate.
Poi,
come un fulmine silenzioso, intuì. Le parole di Chandelure iniziarono a girare
in circolo nella sua testa, illuminate di un nuovo, pericoloso significato.
Per tenerla sotto controllo, aveva
detto, e lui aveva pensato che si fosse riferito a Borgo Bozzetto.
Com’era
stato stupido. No, non era la città il punto: si era riferito
a Serena.
Così,
mentre la guardava partire verso la sua nuova avventura piena d’insidie e di
gioie, di nuovi amici e nuovi nemici, avrebbe potuto dire tante cose. Ma essendo
Bellocchio, solo una fu la frase borbottata tra sé e sé, a metà tra un monito e
un augurio. Un tratto identificativo, se così si può dire.
« La cosa si fa intrigante ».