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Autore: NoceAlVento    23/12/2013    7 recensioni
Cosa succede a Kalos? Forze oscure agiscono nell'ombra, perseguendo i loro ignoti obiettivi ai danni di innocenti; misteriosi frammenti di una gemma celeste sono apparsi nella regione dal nulla; una ragazza, anche se non ancora non lo sa, è stata tenuta sotto segreta osservazione per tutta la sua vita. E in tutto ciò c'è Bellocchio, appena precipitato da un'aeronave in fiamme e portato a scoprire che cela un passato lontano a Kalos, anche se non l'ha mai vista in vita sua. Nuovi capitoli ogni due settimane!
 
***
 
« Ehi, non mi hai detto come ti chiami! ».
« Bellocchio ».
« Bellocchio chi? ».
« Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti chiami davvero così? ».
« Ma certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Genere: Avventura, Comico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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La Maison Darbois, o la Vecchia Darbois come la chiamavano i locali, era un’imponente villa dal gusto ottocentesco decorata da intarsi vittoriani e colonne corinzie celate nella penombra. Oltre il cigolante cancello, una filiera di stanghe ferree su cui campeggiava un malridotto cartello che riportava un generico “non sedersi o appoggiarsi alla recinzione”, si sviluppava uno spazioso giardino abbandonato a se stesso e denso di rampicanti ed erbacce.

Bellocchio oltrepassò l’inferriata con noncuranza; altrettanto non si può dire di Serena, che rimase immobile di fronte a essa scrutando con timore il conturbante edificio. Fin da piccola l’aveva vissuto come un tabù inviolabile, senza contare i recenti avvistamenti di cui era stata testimone; ciò senz’altro non contribuiva a tranquillizzarla. Alzò lo sguardo al secondo piano, prima finestra da sinistra sul lato frontale, e proprio in quel momento un lampo di luce la rischiarò.

Agghiacciata corse oltre la cancellata e non si fermò finché non ebbe raggiunto il suo protettore « Ehi, ehi! L-l’ha fatto di nuovo! ».

« Che cosa? ».

« La finestra… ha fatto… sai, wooosh » mimò come poteva l’evento a cui aveva assistito, non riuscendo per la paura a trovare le parole per esprimersi « Si è accesa e spenta, di n-nuovo ».

« Oh, oh, oh! » Bellocchio rise e si strofinò le mani in segno di contentezza « Finalmente! Iniziavo a temere che fossero tutte storie! ».

 

 

 

Episodio 1x02

La Dama Cremisi

 

 

 

Se non felice per essere entrata nell’incarnazione dei suoi incubi, eventualità senz’altro non considerabile, Serena si sentì se non altro sollevata per trovarsi finalmente in un ambiente che ricordasse almeno vagamente il tepore casalingo che conosceva, dopo essere rimasta a mezzanotte al freddo in pigiama nelle periferie di Borgo Bozzetto. Bellocchio si era allontanato quasi subito, tornando con due candelabri a due bracci accesi per vie ignote.

Stavano ora osservando l’atrio della Vecchia Darbois, costituito da due scaloni laterali che si congiungevano al piano di sopra e da una via centrale che, passando sotto a un arco a tutto sesto sulla cui chiave di volta era scolpito un massiccio incrocio tra un dragone e un pipistrello, giungeva a un bivio che avvolgeva l’intera struttura mediante un perimetro quadrato, una sorta di passeggiata che circondava la sala centrale chiusa da un portone in legno.

« Allora, la finestra qual era? ».

« È al piano di sopra ».

Bellocchio annuì e dal suddetto ingresso a quella che intuiva essere la sala da pranzo tornò sui suoi passi, inerpicandosi lungo la ripida scalinata di destra che aveva notato poco prima. Saltuariamente cacciava colpi di tosse anche violenti, dettati dall’alta quantità di pulviscolo presente nell’atmosfera « Questo posto non è molto frequentato, vero? ».

« Non entra mai nessuno qui. Gli abitanti del Borgo cercano di starne alla larga, per la verità » l’attenzione di Serena fu attirata dalle eleganti cornici auree che adornavano la parete. Quando mise a fuoco il contenuto dei quadri, tuttavia, lanciò un urlo terrificante e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciare cadere le sue candele sul tappeto.

« Ehi, ehi, che succede? ».

« I-i quadri! S-sono… ».

Bellocchio puntò il suo doppiere verso i ritratti, non nascondendo un impeto di sorpresa: per quanto abiti e atteggiamenti rappresentati fossero sicuramente regolari, tutti i protagonisti dipinti erano del tutto privi di volto « Beh, questo è strano ».

« O-ora noi ce ne andiamo! ».

« Non se ne parla ».

« Ma io ho paura! ».

« Siamo qui proprio perché tu devi sconfiggere le tue paure » replicò con certezza il giovane, proseguendo il cammino « Su, se vuoi possiamo parlare. Aiuta, sai? È così che faccio io ».

« Siamo nel bel mezzo di una casa infestata! Non vedo molti argomenti di conversazione ».

« Tanto per cominciare, perché è infestata? ».

« Perché ci sono i fantasmi? ».

« Sono sicuro che in un mondo in cui ci sono Gengar a piede libero ciò non sia una situazione così poco comune ».

« Beh… Le leggende dicono che ci abiti uno spettro umano, ecco. La Dama Cremisi, la chiamano. Lo spettro di una ragazza che si innamorò di uno dei servi di suo padre. Alla fine quello divenne così furioso per la faccenda che rinchiuse la figlia tra le mura della Maison Darbois, mura che la Dama abiterebbe ancora. Qualcuno giura di averla vista, ma pare che compaia sempre e solo al buio. Nel momento in cui una qualsiasi luce si accende scompare, come se fosse fatta di ombre ».

« Mi ricorda una storia che gira nella regione da dove provengo io, Sinnoh. Laggiù c’è una villa simile a questa, la chiamano Antico Château. Ci sono stato, e purtroppo era tutto falso. È uno dei miei rammarichi ».

Frattanto i due erano giunti al secondo piano, per molti versi una copia carbone di quanto avevano visto oltre le due scale di sotto: un altro portone ligneo che delimitava il muro attorno a cui si sviluppavano incroci di corridoi bui. Questa volta, però, l’ingresso alla sala era adornato anche da qualcos’altro: una coppia di sarcofaghi d’oro con fregi in lapislazzuli ritti di fronte a esso. Guardandosi attorno Serena adocchiò anche altre tombe di simile fattura addossate contro le pareti più esterne.

« Ne avevo sentito parlare… I sarcophages di Darbois. Dicono fosse un appassionato di archeologia, in particolare degli Antichi Egizi, così ne aveva fatti mettere un po’ in casa sua ».

« Un bel gusto per l’orrido. Mi piace » Bellocchio avvicinò il candelabro alla lucida superficie dei reperti, risultandone accecato dal riflesso al punto da abbassare immediatamente la luce « Affascinante. Ma c’è qualcosa che mi sfugge ».

« Che cosa? ».

« Non lo so… È una sensazione. C’è qualcosa di importante che sto trascurando » commentò pensieroso « Beh, lasciamo perdere! Quale finestra hai detto che si era illuminata? ».

« Ah, quella frontale. Quindi sta dall’altra parte ».

Il duo fece dietrofront, oltrepassando anche la sommità delle gradinate fino a giungere al lato anteriore della Maison, anch’esso abbellito dalle onnipresenti casse sepolcrali. Bellocchio passò in rassegna gli infissi uno a uno, chiudendo proprio con quello incriminato « Si accendeva solo questa? ».

« Sì. Solo lei ».

« Molto strano. L’ambiente è un tutt’uno. Se qualcuno avesse illuminato si sarebbe vista luce anche dalle altre ».

« Sono assolutamente certa che fosse solo questa » ribadì Serena, sentendosi in qualche misura ferita dalla diffidenza del suo accompagnatore.

Questi, però, era tutt’altro che diffidente. Era piuttosto perplesso, confuso da qualcosa che, ne era pienamente convinto, gli stava passando dritto sotto il naso senza che lui se ne avvedesse. Un segnale, un avvertimento. Riesaminò rapidamente gli indizi in suo possesso: la leggenda della Dama Cremisi, la finestra… Tutto riconduceva alla luce.

La luce!

Il cuore iniziò a battergli a mille, e per una volta non dall’eccitazione: si era appena reso conto di aver commesso una tremenda svista « Serena, hai detto che nessuno entra mai qua? ».

« Esatto. Il cancello è sempre chiuso ».

« Quindi nessuno passa per pulire ».

« Mi pare ovvio ».

« E allora com’è possibile che non ci sia polvere sui sarcofaghi? ».

Un sibilo echeggiò tra le pareti della villa. Bellocchio si voltò di scatto e puntò il candelabro verso il corridoio adiacente alle scale, che si era illuminato di decine di fiammelle ardenti.

« Polvere? ».

« Riflettevano perfettamente le candele. Erano pulitissimi. Come diamine ho fatto a non accorgermene subito? ».

« Ma non ha senso! Come avrebbero fatto i sarcofaghi a–– ».

« Quelli non sono sarcofaghi » replicò glaciale il giovane « Sono Cofagrigus ».

Le luci si accesero inaspettatamente, illuminando un esercito di bare semoventi che avanzavano a braccia spiegate nella loro direzione. Su ciascuno di essi si era dipinto un ghigno malevolo, mentre i loro occhi fulvi luccicavano raccapriccianti.

Serena si avvicinò al suo amico, stringendosi a lui nella paura « Sono c-che cosa? ».

« Pokémon crudeli che risalgono ai tempi degli Egizi. Si fingono tombe e divorano i razziatori che non li riconoscono. Alquanto pericolosi ».

« Non dovremmo chiedere aiuto a qualcuno? ».

« Oh, giusto! » Bellocchio le batté una pacca sulla testa « Perché in effetti è orario di punta e ci sarà di sicuro qualcuno nei paraggi! ».

« Hai idee migliori? ».

Con un movimento istantaneo le afferrò la mano e la fissò negli occhi « Scappiamo! ».

Insieme balzarono per anticipare i loro inseguitori agli scaloni. Lì, tuttavia, fecero i conti con una sconfortante scoperta: anche il pianterreno era in mano ai Cofagrigus, probabilmente fuoriusciti dalla sala da pranzo. Con una manovra evasiva si gettarono alla cieca nell’arco che introduceva al quadrato superiore; giunti al bivio si trovarono tuttavia spalle al portone e completamente accerchiati da ogni lato. Nonché, qualora servisse chiarirlo, senza una plausibile via d’uscita.

« Va bene, Serena, direi che questo è il momento opportuno per usare i tuoi Pokémon! Certo, questi simpaticoni sono parecchi, ma dovremmo riuscire a cavarcela con un po’ di fortuna ».

La ragazza, al limite della sopportazione, lo afferrò per le spalle e lo fissò dritto in viso « Mettitelo bene in testa, caro il mio senza-nome: io non ho Pokémon con me! ».

« Tu… Tu cosa… Quale razza di Allenatrice non porta i––».

« Io. Non. Sono. Una. Allenatrice! ».

Bellocchio rimase a dir poco confuso da quelle parole. Lanciò nuovamente uno sguardo ai Cofagrigus che aumentavano in numero « Ah, ehm, scusate, ma avremmo bisogno di una riunione tattica ». In contemporanea caricò il portone retrostante con un calcio, sfondandolo e cadendo a terra dentro il buio salone che proteggeva, una camera da letto in disuso a giudicare dai soprammobili accatastati in disordine e da un baldacchino nascosto in un angolo.

Dopo aver verificato sommariamente che fosse privo di nemici trascinò all’interno Serena e, agguantata una sedia da una pila di fianco, la impiegò per sbarrare per sommi capi l’ingresso. Dovette rimanere lui stesso a incassare gli assalti dei Pokémon siti dall’altra parte, finché essi non si placarono concedendogli di riprendere fiato.

« Si sono fermati? ».

« Spero di sì ».

« Sono spettri, no? Perché non passano attraverso la porta? ».

« Non possono attraversare il legno ».

« Davvero? ».

« Ovvio che possono! Santo cielo, devi smetterla di credere a tutto quello che dico! » l’uomo si accasciò al suolo sfinito.

« E perché non cercano di entrare? ».

« Ho un’ipotesi » replicò lui « Spero solo di sbagliarmi. Per quanto riguarda un argomento completamente diverso, quanti anni hai? ».

« Diciannove. Perché? ».

« Diciannove anni. Oltre due terzi dei miei, e non sei un’Allenatrice. Perché? ».

Lo sguardo di Serena si fece sfuggente, come se stesse cercando di evitare il contatto visivo mentre parlava « Da bambina volevo esserlo. Un Pokémon in particolare mi piaceva, elegante e maestoso, era il mio preferito. Avrei dato di tutto per averlo ».

« E poi che è successo? ».

« Poi sono cresciuta. È da bambini voler allenare i Pokémon, prima o poi devi fare i conti con la realtà. Sono maturata ».

Bellocchio rabbrividì « Maturare… La cosa peggiore del mondo ».

« È normale. Tutti maturiamo prima o poi. Chi non lo fa è solo stupido ».

« Io, dal mio canto, preferisco avventuroso » proclamò alzandosi in piedi « Yawn. Ma suppongo siano punti di vista. Ora, la cosa più importante è uscire di qui. Siamo circondati da ogni lato, ma abbiamo un vantaggio: l’effetto sorpresa! Non si aspetterebbero mai che due individui senza uno straccio di arma attacchino una milizia di Cofagrigus, perché saremmo… uccisi all’istante. Quindi sarebbe una sorpresa molto breve. Facciamo una cosa, dimentica quello che ho detto ». Un altro sbadiglio lo colse, un’occorrenza davvero poco comune per lui.

« Stanco? ».

« No, no, io… » Bellocchio prese a barcollare « Oh, no ».

« Oh – yawn – no che cos… Oh, no ».

Entrambi realizzarono che cosa stesse succedendo con pochi secondi in anticipo: un’Ipnosi. Riuscirono a rimanere lucidi ancora per poco, dopodiché si prostrarono al regno di Morfeo cadendo per terra come sacchi di sabbia sospinti dal vento.

 

 

« On the first day of Christmas my true love sent to me… ».

« Svegliati ».

« … a partridge in a pear tree… ».

« Sveglia! ».

« Fiiive golden riiings! » l’uomo si drizzò seduto cantando a squarciagola. Poi si guardò attorno confuso, massaggiandosi la nuca « Questa non è la festa di Natale a casa di nonna Gillan. Proprio no ».

« Bellocchio, concentrati ».

« Per caso hai visto la mia pernice? ».

Serena gli assestò uno schiaffo sulla guancia destra, facendogli sussultare il capo.

« Ah! Giusto, giusto! Orda di Cofagrigus, casa infestata, Borgo Bozzotto. A rapporto ».

« Bozzetto ».

« Fa lo stesso. Dove sono andati i nostri amiconi? ».

La ragazza si lasciò cadere all’indietro, accomodandosi sul freddo parquet della stanza e facendosi più vicina possibile ai due candelabri, unici irroratori di calore « Non lo so. Mi sono svegliata qualche minuto fa, ma non ci sono stati rumori ».

Bellocchio si alzò in piedi e si accostò con l’orecchio al portone di legno « Già. Silenzio… Questo vuol dire molto bene o molto male ».

« Quale delle due? ».

« Non lo so, non sono un veggente. Proporrei di uscire » prima che la sua compagna potesse accennare una qualche protesta rimosse la seggiola e fece forza sulla maniglia, trovandola però bloccata. Tentò diverse volte, dovendo infine arrendersi all’evidenza « Siamo chiusi dentro ».

« Chiusi dentro? E da chi? ».

« La Dama Cremisi ».

« La Dama Cremisi? Ma è una leggenda! ».

« Sì, no, forse, sa Dio. Il punto è che attualmente è la sola nostra pista, e incidentalmente l’unica via che abbiamo di scamparla. Per quanto abbiamo dormito? Ah, già, ho un orologio… Sette ore! Ciclo di sonno perfetto, oserei dire ».

« Come, scusa? » Serena sbiancò « Sette ore? ».

« Esattamente, il che vuol dire che se Clipse non mi ha portato in Nuova Zelanda il sole sorgerà tra circa mezz’ora » osservò Bellocchio « Quindi, se ciò che raccontano sulla Dama è vero, saremo salvi appena la luce solare sfiorerà questa catapecchia! Problema risolto ».

« Ma… ma io non posso aspettare così tanto! ».

« Ovviamente no ».

Serena fu sbalordita da questa replica. Si sarebbe attesa una domanda, del tipo perché non potesse aspettare. Ma forse lui si era dimostrato ancora più intelligente di quanto non avesse dato a vedere in quelle poche ore. Forse lui aveva già capito.

« Ieri era il 20 marzo, il che significa che a meno che non abbiamo dormito per più di un giorno ora sono esattamente le ore 7:04 del mattino dell’equinozio di primavera » proseguì il giovane « A Sinnoh, da dove vengo io, questo è un giorno molto speciale per i nostri bambini. E a giudicare dalla tua espressione attuale, lo è anche per te ». Con discrezione le si sedette vicino, mentre lei provava in tutti i modi a evitare i suoi occhi indagatori « Oggi è il giorno in cui sono distribuiti i Pokémon, vero? ».

In un gemito che tentava di soffocare le lacrime, Serena si voltò verso di lui rattristata. Ci aveva visto giusto, allora. L’aveva davvero capito « Sì ».

« Però non capisco. Se tu vuoi essere un’Allenatrice… Perché hai aspettato così tanto? Nove anni… Un’eternità ».

« A Kalos c’è una stretta politica per quanto riguarda gli Allenatori che ricevono Pokémon. Ogni città ne riceve un numero ben limitato, per preservare la fauna locale da eccessivi viaggiatori che intendono catturarne. Credo sia colpa delle proteste degli ecologi, fatto sta che Borgo Bozzetto ne riceve tre ogni anno. E ogni anno io vengo anticipata, ogni anno devo rimanere senza ».

« A che ora inizia la distribuzione? ».

« Alle sette e mezzo » rispose con avvilimento « Ma è inutile. Ci vorrebbe un miracolo per uscire da qua dentro, e un altro per arrivare in tempo. Dopotutto posso aspettare ancora un po’… Giusto? Anno più, anno meno… ».

La ragazza si chiuse in un pianto sommesso. Bellocchio rimase attonito a contemplare i candelabri che rischiaravano l’oscurità. L’unico barlume in tutta la villa racchiuso in quelle minuscole lingue di fuoco giallastre inerpicate sui loro alti steli di cera.

Un’intuizione lo perforò nuovamente. Era successo ancora. Aveva ancora una volta tralasciato il dettaglio più importante.

« No » esclamò a un tratto, alzandosi e dirigendosi verso i doppieri.

« Come? ».

Afferrati i due oggetti si accostò nuovamente alla sua amica, tanto che le loro fronti si sfioravano « Hai aspettato abbastanza il tuo destino. Oggi ti prometto che avrai il tuo primo Pokémon ».

« Cioè hai trovato un modo per farci uscire di qua? » domandò lei emozionata. Si scoprì sorpresa per non aver messo in dubbio che l’idea maturata da Bellocchio potesse essere in qualche modo sbagliata. In un certo senso si fidava di lui.

« Grossomodo. Ma vedremo subito gli effetti ».

« E il tuo piano qual è? ».

« Parleremo con il loro gran generale » spiegò eccitato, poi soffiò uno a uno sui lumi ancora accesi nelle sue mani « Preparati a incontrare la Dama Cremisi ».

« Ma come… Non credo tu possa semplicemente… Che cosa stai facendo? » estinta anche l’ultima delle lucerne l’ambiente si fece scuro come il carbone. Serena perse completamente la visuale su qualsiasi cosa prima ci fosse e si sentì smarrita; poi, dal nulla, la sua mano venne stretta da un’altra.

« Tieniti pronta » sussurrò una voce. Per alcuni interminabili secondi non avvenne nulla; poi un fascio di energia luminosa biancastra esplose dai candelabri.

« Che sta succedendo? » gli urlò, tentando di sovrastare il rumore che si era diffuso.

« Non ci eri arrivata, vero? Nemmeno io! La Dama Cremisi appare al buio, ma non perché tema la luce! No, sarebbe sciocco. Appare al buio perché, se ci pensi, c’è solo una cosa che può illuminare le camere qua dentro! ».

Il flusso energetico si intensificò, iniziando ad assumere una colorazione più tendente al rosso vivo.

« Quella che voi chiamate Dama Cremisi è stata con noi tutto il tempo! Era lei a farci luce, era lei che ordinava ai Cofagrigus come bloccarci ogni via d’uscita, ed è stata lei a farci addormentare! In tutto questo tempo lei era dissimulata sotto forma dei nostri candelieri! Come avrebbero fatto altrimenti a essere esattamente uguali a come li avevamo lasciati sette ore fa? La cera avrebbe dovuto consumarsi! Un errore grossolano, non ti pare? ».

« Ma come può essere? Li abbiamo toccati, quegli affari! Uno spettro non ha consistenza! ».

« È qui che viene il bello: la Dama Cremisi non è uno spettro! » strepitò accalorato « Non uno tradizionale, per meglio dire! Immaginati la scena. Darbois ha appena scoperto che tutti i suoi preziosi reperti archeologici sono in realtà dei Cofagrigus pronti ad assalirlo, e il loro leader è una creatura che non ha mai visto prima, un essere completamente unico. Come avrebbe mai potuto chiamarlo? ».

« Ma perché Dama Cremisi? Non ha senso! ».

« Femme Cramoisie, ovvero la Donna Cremisi, era ciò che fu divulgato ai tempi con ogni probabilità. Ma è sempre stato un errore storico clamoroso! Il nome pronunciato da Darbois fu Flamme Cramoisie! La Fiamma Cremisi! Guarda! » Bellocchio puntò il dito verso il vortice d’aria che si era prodotto al centro del salone, precisamente sopra i doppieri. Al suo interno si stava delineando una silhouette dai connotati di un lampadario « Un Pokémon che vive in questa villa da secoli, che ha terrorizzato generazioni di visitatori al punto da rendere questo luogo ciò che è ora. Fatti avanti, Chandelure ».

Il turbinio si acquietò. Quattro fiamme intense rischiararono l’ambiente, più una quinta disposta poco sopra. Un paio di occhi fucsia luccicavano su una sfera di apparente vetro, mentre bracci di metallo bruno completavano la figura.

Era effettivamente un Chandelure, ma non uno qualunque: il colore delle vampate era un più realistico chermes rispetto al convenzionale viola cadaverico. Era un Chandelure cromatico. Bellocchio lasciò la mano di Serena per avvicinarglisi, facendole segno di restare indietro « Terra a Fiamma Cremisi, Terra a Fiamma Cremisi, mi ricevete? ».

« Chi sei tu? » domandò. Il suo tono era lugubre e sottile, ben diverso da quello sicuro di sé del suo interlocutore.

« Sono sicuro che puoi arrivarci da solo ».

Il Pokémon rimase inebetito, occupato nell’analizzare l’uomo che aveva di fronte. Dopo qualche esitazione, ribatté con fare vago « Tu non sei di questo posto ».

« Mi aspettavo potessi fare di meglio, ma mi accontento. Mi ha tradito l’abbigliamento? No, no, anzi, sicuramente l’accento. Quel mio maledetto accento del nord ».

« Che cosa ci fai qui? ».

« Domanda noiosa. Eccone una migliore: che cosa ci fai tu qui? » Bellocchio cominciò a passeggiargli intorno, ignorando completamente Serena e rendendo il dialogo un effettivo confronto a due « Perché è evidente che non sei arrivato qui da solo. Passino i Cofagrigus, ma Darbois non avrebbe mai avuto ragione di portare delle candele speciali nella sua villa ».

« Sono stato inviato ».

« Questo era già stato stabilito. Il punto è: perché? ».

« Per tenerla sotto controllo ».

« Che cosa, Borgo Bozzetto? Un villaggio da dieci abitanti e mezzo? » mentre parlava scorse l’espressione accigliata della ragazza, compiacendosene « Non me la dai a bere ».

Chandelure scosse la testa, pur senza tradire alcuna emozione al di là di questo.

« Resterei qui a interrogarti per tutto il giorno, ma vedi, io e la mia amica qui avremmo anche da fare. Quindi ecco il piano: tu apri le tue porte, ritiri i tuoi Cofagrigus e insieme ve ne andate in vacanza in qualche posto, preferibilmente molto lontano da qui. Come ti sembra? ».

« Ho sentito i vostri discorsi. Siete disarmati, non avete modo di costringermi a farlo ».

« Ah! Ma ti sei sentito? Serena, l’hai sentito? » Bellocchio rise sonoramente « Io non dovrò costringerti a fare nulla, perché lo farai di tua spontanea volontà ».

« Non capisco ».

« Tu non sai chi sono io, vero? No, certamente. Altrimenti avresti già fatto i bagagli e prenotato l’agenzia di viaggio ».

« Il tuo nome è Bellocchio ».

« Oh, andiamo! Lo so bene che chiunque ti abbia mandato mi conosce, diamine, mi conoscono tutti! Avrò cambiato nome, ma non faccia! Ah, ho capito, devo fare tutto io ». Con passo convinto si avvicinò al lampadario animato e gli sussurrò qualcosa che Serena non riuscì a udire o intuire. L’unica cosa che poté constatare è che, di qualsiasi natura fosse stata l’informazione, aveva mutato radicalmente l’atteggiamento di Chandelure: da distaccato e superiore era passato a trasudare terrore da ogni poro.

« N-no… Non può essere! ».

« In carne e ossa. Quindi, cara la mia Fiamma Cremisi, ti darò un suggerimento da amico. Scappa ».

Il portone si spalancò con un sonoro rimbombo e tutte le luci di Villa Darbois si accesero nel medesimo istante. Il loro oppositore scomparve in una nuvola di fumo e un ghigno si dipinse sul volto di Bellocchio. Tutto era tornato in una frazione di secondo a un’irreale calma, un mutamento repentino e sconvolgente. Serena, dal canto suo, era esterrefatta a voler minimizzare.

« Tu… Come diamine hai… ».

Lui la prese per le spalle e la scrutò negli occhi « Starei volentieri a esporti tutto il mio acume, visto che mi piace farlo, ma non ho fatto tutta questa fatica per lasciarti sprecare l’occasione. Corri e vai a prendere quel Pokémon ».

La giovane, in preda a un’euforia che raramente aveva vissuto in tempi recenti, annuì con un sorriso e si voltò, slanciandosi a perdifiato verso l’uscita.

 

 

A Borgo Bozzetto c’è una collina particolare. Non ha un nome specifico, ma gli abitanti spesso si riferiscono a essa come il Colle degli Inizi. Circondata da una recinzione ferrea e abbellita da un solitario lampione che la sorveglia nelle ore notturne, volge a nord e offre agli spettatori un panorama mozzafiato consto di foreste, laghetti, nuvole e, molto in lontananza, i troneggianti grattacieli di Luminopoli.

Tutti gli Allenatori provenienti da questo villaggio sperduto nell’entroterra di Kalos ricordano bene il giorno in cui salgono sul Colle degli Inizi: perché quel giorno è anche il loro di inizio. L’inizio di una nuova avventura, di un viaggio che li condurrà ai confini della conoscenza.

Serena si stava dirigendo proprio lì. Correva senza fermarsi un secondo, temendo che anche quella breve pausa per riprendere fiato potesse rivelarsi fatale per lei. Non doveva fallire. Lo doveva a Bellocchio e a se stessa, per tutto quello che aveva passato per essere lì. Era il suo destino.

Quando le scale che scortavano al poggio comparvero di fronte a lei si sentì al settimo cielo. Si guardò attorno: non c’era nessuno che potesse rubarle il primo posto della fila. Il cielo limpido risplendeva nel fulgore mattutino di un sole non ancora del tutto sorto. Un celeste sbiadito, quasi ancora avvolto nelle tinte fosche del vespro. Serena inspirò profondamente e salì i gradini uno alla volta, solennemente.

In cima, dall’altro lato di uno spiazzo cementato, si trovava una ragazza. A occhio e croce aveva circa sedici anni, anche se in effetti avrebbero potuto essere di più, e indossava un abito turchino orlato di un blu scuro alle estremità delle maniche, nonché un brioso copricapo rosato che copriva in parte una lunga chioma castana sciolta sulle spalle. Era voltata verso il bordo della balaustra e si godeva il paesaggio.

« Mi scusi? ».

Quella si girò, osservandola con due luminosi occhi azzurri « Sì? ».

« Ah, salve… Lei è per caso l’inviata del professor Augustine Platan? ».

« Proprio io ».

« Ah! Piacere, il mio nome è Serena Williams ».

« Casey Dawning. Ma ti prego, dammi del tu » le sorrise stringendole la mano « So che non è affar mio, ma come mai giri in pigiama? ».

« Ah! » Serena arrossì vistosamente e desiderò con intensità di avere il potere di sparire a proprio piacimento. Era stata così terrorizzata dall’idea di non arrivare in tempo che si era completamente scordata dell’abbigliamento « È una lunga storia… ».

« Tu vivi qui, immagino ».

« Sì, ci sono nata ».

« Bel posto, Borgo Bozzetto » Casey tornò ad ammirare la veduta dalla collina « Mi ricorda la regione da cui vengo io. Sono qui in visita, sai, quando Platan è a corto di personale convoca Allenatori da luoghi lontani per assisterlo ».

« Ah, sì, a tal proposito… ».

« Sì, sì, capisco. Dunque, vuoi che porti un messaggio particolare al professore? ».

« Oh, ecco… » la ragazza era in preda a un imbarazzo senza precedenti « … In realtà io sono qui per i Pokémon, sa–– volevo dire, sai. Tu sei quella che li distribuisce, giusto? ».

« Ah… Sì… Scusa, è solo che… Per l’età, ecco, non credevo che fossi qui per quello ».

« Non importa, tranquilla… Quindi posso averli? ».

« Ecco… » Casey le mise una mano sulla spalla, e Serena si sentì sprofondare. Aveva già vissuto quella stessa sequenza di eventi tante, troppe volte. Nove anni. Non poteva stare succedendo di nuovo « … Sono finiti. Altri ragazzi li hanno presi prima di te. Mi dispiace davvero tanto… ».

Per un po’ le parve che il tempo si fosse fermato. Quella volta ci aveva creduto, ci aveva davvero creduto. Aveva affrontato una casa infestata e ne era uscita in tempo, era convinta di avercela fatta. E invece ancora una volta era stata beffata, ancora una volta era arrivata troppo tardi.

Ringraziò Casey con tutta la gentilezza che riuscì a mostrare, poi tornò sui suoi passi verso casa, cercando di imboccare le vie più solitarie che conosceva: un po’ per la vergogna di essere ancora in camicia da notte, un po’ perché non voleva incontrare più nessuno. Voleva solo sprofondare nel letto e lasciar perdere. Non aveva più senso cercare di essere un’Allenatrice.

Giunta al giardinetto della dimora le venne incontro Walt, il Rhyhorn di famiglia, segno che sua madre era rientrata. Per l’appunto la trovò nell’angolo della cucina, affaccendata a preparare un’abbondante prima colazione.

« Ciao, mamma » la salutò stancamente « Andata bene la gara? ».

« Serena! » la donna si staccò dai fornelli e l’abbracciò felicemente, con un sorriso a trentadue denti stampato in viso « Dov’eri stanotte? Sono tornata qualche ora fa e non ti ho trovata… Mi stavo preoccupando! ».

« Ah, scusa… Mi ero accampata al Colle degli Inizi per riuscire ad avere un Pokémon, almeno quest’anno… » improvvisò « Ma è stato tutto inutile ».

« Beh, certo che lo è stato » commentò sua madre sorpresa « Te l’hanno portato qua ».

Serena fu completamente colta di sorpresa e sgranò gli occhi « Come, scusa? ».

« È passato un giovanotto, circa un quarto d’ora fa… Ha detto di essere un inviato del professor Platan, e di averti portato un Pokémon direttamente da parte sua come regalo. In cambio ha chiesto solo dei vecchi vestiti di tuo padre, e lo capisco, messo male com’era. Chissà che gli era capitato… Comunque l’ha lasciato di sopra, in camera tua ».

« Scusa… Per caso ha lasciato un nome? ».

Un rumore di uova sbattute tornò a risuonare per il salotto « Sì… Belloccio, mi pare. Penso fosse un nome in codice ».

La ragazza esplose di felicità e incredulità mentre con rinnovata energia saliva le scale per la sua stanza. E la trovò lì, appoggiata sopra un letto rifatto dalla premurosa madre: una lucida Poké Ball rossa come la Fiamma Cremisi, ma cento volte più piacevole da ammirare; al suo fianco una bizzarra pietra semiopaca dalle tinte rosee, di cui non comprendeva però il senso – non che avesse importanza, al momento. Serena prese in mano la sfera stringendola, notando con stupore che non si trattava della stessa che aveva visto accogliere Sheila, e la lanciò con le mani tremanti.

Il suo ospite era una specie di fanciullina dalla lunga veste bianca la cui testa era coperta da un casco verdognolo con un paio di antenne che le conferivano un aspetto alieno. Era un Ralts.

Colta da un’euforia incomparabile Serena iniziò a saltellare per tutta la stanza, gridando a squarciagola la propria contentezza al mondo. Il suo amico, alla fine, aveva mantenuto la promessa fatta. Dopo nove lunghissimi anni anche lei aveva ottenuto il suo primo Pokémon.

Anche lei era diventata un’Allenatrice.

 

 

Spirava una piacevole brezza su Borgo Bozzetto. L’arco d’ingresso era alquanto promettente verso i nuovi visitatori: “Una città pronta a sbocciare”.

Un po’ gli dispiaceva, abbandonarla. Era stata una bella notte, dopotutto. Ma in fin dei conti senza Pokémon e con nessuna conoscenza nella regione non aveva molta scelta. Si diede un’occhiata compiaciuta: aveva preso in prestito un elegante completo marrone e un cappotto del medesimo colore, ma più chiaro, che gli arrivava alle ginocchia. Non il massimo della comodità, specie per la cravatta amaranto che gli procurava prurito al collo, ma aveva sempre amato quell’aria da signore distinto che conferiva quel tipo di abbigliamento.

« Ehi! Ehi, Bellocchio! » gli urlò dietro una voce. Il giovane sorrise e si voltò, osservando Serena che gli veniva incontro agitando la Poké Ball appena ricevuta. Notò con piacere che si era cambiata: i suoi lunghi e biondi capelli fluenti risaltavano ora contro il nero che caratterizzava il suo intero vestiario se si escludevano minigonna e cappello, entrambi di uno sgargiante color scarlatto. Si era anche portata dietro una borsa a completare il tutto, presumibilmente pronta per partire per il suo tanto agognato viaggio.

« Te ne vai senza salutare? ».

« Non ho mai amato i saluti. Sono sempre così tristi ».

« Come hai ottenuto la Ralts? Non l’avevi con te ».

Bellocchio si grattò la nuca, tentando di minimizzare « Quando sono tornato al villaggio dopo che tu te n’eri già volata via, ho visto tre ragazzini che parlavano dei loro nuovi Pokémon, e ho capito a cosa stavi andando incontro ».

« Sì, ma… Non ci sono Ralts, qui vicino ».

« No? Non conosco la zona. Ho incontrato un’Allenatrice vestita completamente di bianco, nella piazza principale, non ricordo il nome. Sembrava una brava persona, amorevole verso i suoi Pokémon… E molto interessata a Sheila ».

Serena si mise una mano sulla bocca per lo sconvolgimento, intuendo ciò che sarebbe seguito.

« Non ti preoccupare » la rassicurò l’uomo « Anche lei era d’accordo. Sheila, intendo. Ne avevamo vissute tante, insieme, ed era ora che ognuno andasse per la sua strada. Entrambi ci ricorderemo sempre di quello che abbiamo passato, e lei starà molto bene con quella donna. In cambio mi ha offerto i Pokémon più vari, ma quando ho visto quella Ralts ho capito che era perfetta per te ».

La ragazza era sul punto della commozione. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma sentì di non avere ancora quel tipo di confidenza e cercò nel possibile di mantenere un’aura di distacco simile alla sua « E la pietra? ».

« Già, la pietra. Ha insistito perché l’avessi, ha detto che era molto importante. Voleva saldare il debito, a suo dire era uno scambio impari. Alla fine l’ho accettata per cortesia ».

« E ora… Cosa farai? ».

« Adesso immagino che mi recherò a Luminopoli come mi ha consigliato quell’Allenatrice, e da lì prenderò un treno per tornare a Sinnoh. Tutto com’era prima, almeno per me ».

« Ah… Luminopoli… C’è una sola via rapida che porta là… Se vuoi potremmo… » Serena arrossì « V-voglio dire, siccome magari non sai arrivarci… ».

« È una linea retta, non sembra molto difficile ».

« Sì, s-sì, ma… Sei senza Pokémon, e c’è erba alta sulla strada, quindi potresti… » si fece forza « … venire con me? ».

Bellocchio assunse un’espressione divertita « Ma sì, perché no? A viaggiare da soli non c’è mai molto gusto ».

Il volto di Serena s’illuminò. Senza attenderlo iniziò a correre verso il Percorso 1, tagliando quell’arco che l’aveva confinata per diciannove lunghi anni. Il giovane invece rimase fermo per un po’, meditando sul cielo le cui nuvole della sera prima si erano dileguate.

Poi, come un fulmine silenzioso, intuì. Le parole di Chandelure iniziarono a girare in circolo nella sua testa, illuminate di un nuovo, pericoloso significato. Per tenerla sotto controllo, aveva detto, e lui aveva pensato che si fosse riferito a Borgo Bozzetto.

Com’era stato stupido. No, non era la città il punto: si era riferito a Serena.

Così, mentre la guardava partire verso la sua nuova avventura piena d’insidie e di gioie, di nuovi amici e nuovi nemici, avrebbe potuto dire tante cose. Ma essendo Bellocchio, solo una fu la frase borbottata tra sé e sé, a metà tra un monito e un augurio. Un tratto identificativo, se così si può dire.

« La cosa si fa intrigante ».

   
 
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