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Autore: VaVa_95    23/12/2013    2 recensioni
Come si sono incontrati Jon e Richie?
Sappiamo solo che è successo in un bar. Ma è davvero tutto qui?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jon Bon Jovi, Richie Sambora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'll be standing here for the next 100 years


 
 
 
I'm gonna hold you 'til your hurt is gone
Be the shoulder that you're leaning on
I'll be standing here for the next 100 years...
 

John non si era mai fidato di nessuno.
Quando era piccolo suo fratello maggiore Matthew gli aveva chiesto in prestito un cagnolino di peluche, il suo preferito, dicendogli che glielo avrebbe portato quella sera dopo averci giocato con alcuni amichetti. Il cagnolino di peluche tornò al suo posto, ovvero in camera sua, ma senza una zampa e con un occhio rattoppato.
Da quel momento, l'allora piccolo John aveva perso fiducia.
Per una cosa di così poco conto? Assolutamente si. Perché fin da quando era alto un metro e una nocciolina americana, lui era stato dannatamente permaloso, impaziente, una vera e propria testa calda. Insomma, era il bambino che tutti i genitori non volevano avere.
Non riuscire più a fidarsi di nessuno per colpa di un peluche forse era solo una scusa. Forse non aveva bisogno delle persone. Aveva elaborato questa teoria al liceo, quando non sentiva il bisogno né di una ragazza (anche se l'aveva trovata e in fretta anche), né di persone da frequentare in cortile o dopo le lezioni (neanche a dirlo, trovate anche quelle). Nonostante però fosse circondato da persone che, almeno all'apparenza, a lui tenevano davvero, John sentiva di non necessitare della loro presenza.
L'aveva sempre creduto.
Per il cagnolino di peluche? Anche.
Per il fatto che fosse il classico ragazzo ribelle e indisciplinato ma con un cuore d'oro? Probabilmente.
Perché aveva un carattere a dir poco schifoso e nessuno lo sopportava? Quella era l'ipotesi più quotata.
 

E allora, si chiedeva il giovane cantante, seduto su un tavolo di un bar nel pieno centro della città di Woodbridge, in New Jersey, cosa era cambiato? Perché era seduto lì a fissare la sua birra come se potesse parlare?
Un piccolo gruppo di ragazze gli passò accanto, fra risolini e ammiccamenti. Il ragazzo ridacchiò, facendo loro l'occhiolino.
Non aveva mai avuto problemi su cose del genere. Da sempre, John Franis Bongiovi Jr era stato un bel bambino, che poi si era trasformato in un bel ragazzo. I capelli biondi lunghi fino alle spalle erano scompigliati ad arte, aveva la pelle piuttosto scura per essere originario del New Jersey (sembrava costantemente abbronzato), il viso dai lineamenti duri, la mascella leggermente squadrata, il naso piccolo e leggermente sproporzionato rispetto al resto e due grandi pietre azzurre che mettevano luce al viso. Brillavano come diamanti, cosa che neanche a dirlo attirava gran parte della popolazione femminile di qualsiasi luogo si trovasse. Non che la cosa gli dispiacesse, al contrario. Adorava intrattenersi con una (o più) di loro, eppure... quel giorno non era lì per fare conquiste.
- Ehi, se continui a fissare ti cascherà la mascella. -
John si destò improvvisamente e alzò lo sguardo su un uomo di circa la sua età, alto circa un metro e ottanta (probabilmente qualcosa in più), dalla carnagione pallida, i lunghi capelli castani piuttosto crespi e il viso nascosto da un capello da cowboy che gli copriva alla perfezione gli occhi scuri. Tuttavia lui li aveva visti quegli occhi e capiva quindi il perché volesse nasconderli: sembravano il ritratto della purezza. Erano così grandi e innocenti che sembravano gli occhi di Bambi.
Non aveva mai amato Bambi, anzi, quel cerbiatto lo detestava. Ma aveva imparato a chiudere un occhio quando suo fratello minore da bambino si era così appassionato da avere il personaggio della Disney addirittura sulle coperte. Stupidi gadget.
Si, John non era mai stato un tipo particolarmente fine, o tollerante. E si vedeva solo in occasioni come quelle, dato che la maggior parte delle volte la gente notava solo il suo bel faccino e il suo corpo muscoloso.
- Non stavo guardando. -
- Certo, e io sono Babbo Natale. -
Il cantante ridacchiò.
Quel ragazzo gli stava davvero simpatico. L'aveva conosciuto qualche sera prima in un locale in zona. Era appena tornato in New Jersey dopo che lui e il suo ex compagno di scuola David avevano setacciato tutta l'East Coast degli Stati Uniti d'America alla ricerca disperata di un chitarrista per la loro band. L'impresa non era andata a buon fine e i due erano tornati a casa a mani vuote. Eppure, quando il destino, il karma, Dio o qualsiasi altra entità a cui si poteva credere ci metteva lo zampino, proprio quel che si cercava a volte veniva trovato quando si tornava al punto di partenza. E quello era proprio il suo caso.
Pochi giorni prima Alec, il bassista della loro band senza-un-chitarrista (l'avevano soprannominata così), l'aveva trascinato in locale di Woodbridge, cittadina distante una ventina di minuti da dove vivevano loro, ovvero Perth Amboy. Per quanto così vicine, lui non c'era mai stato. Sapeva che c'erano molti locali interessanti, ma non aveva mai pensato di andare in uno di quelli per cercare un chitarrista. Prima ne avevano uno e molto valido, di nome Dave, ma a lui non andava poi così a genio. Anzi, poteva dire che lo detestava proprio. Non facevano altro che contendersi il ruolo di leader, che dal canto suo John non era disposto a condividere né tantomeno a cedere. Era stato cresciuto per essere un vincente.
"Sabo, o ti sta bene o fai le valige", gli aveva detto. E non avrebbero certamente cercato un altro chitarrista se non le avesse fatte per davvero.
Tuttavia... in quel momento, era contento. Perché il ragazzo con il capello da cowboy calato sugli occhi, la giacca di pelle lunga fino ai piedi, gli stivali con gli spuntoni neanche fosse nell'antico West e i jeans attillati e stracciati aveva il più bello swing che avesse mai sentito. E anche una voce straordinaria. Sarebbe rimasto lì ad ascoltarlo per ore, ininterrottamente. Era... perfetto. E al diavolo, Sabo poteva fare tutte le valige che poteva.
Si chiamava Richard Stephen Sambora, ma per tutti era Richie. Anche il nomignolo era quasi innocente, come i suoi occhi.
- Io... ah, lascia perdere. -
Il chitarrista scoppiò a ridere, per poi sedersi affianco a lui e facendo un cenno al barista.
- Una birra - ordinò, per poi far girare lo sgabello fino a guardarlo negli occhi - allora, uomo delle meraviglie. Alec ha detto che avevi qualcosa per me. Che cosa? -
Uomo delle... che? Come lo aveva chiamato?
Quella spontaneità lo metteva quasi a disagio. Non aveva mai fatto caso a quanto lui fosse scontroso e sempre con il broncio, ma aveva capito che tutta quella confidenza non gli piaceva. Insomma, non si conoscevano nemmeno.
- Ecco... ti ho sentito suonare l'altra sera. -
Ci fu un attimo di pausa.
- Ah, meno male, per un attimo ho pensato non avessi le orecchie. -
Quest'ultima affermazione lo fece scoppiare a ridere. Nonostante tutto, quel tipo gli piaceva, gli piaceva per davvero. Era... particolare. E lo faceva sentire bene.
- Mi piace come suoni. Quindi... -
- Quindi? -
- Ho sentito i pezzi che hai fatto con il mio bassista quando facevate parte della stessa band, i Message. Mi hai colpito e volevo parlarti di... -
- Aspetta. Alec... Alec è il tuo bassista? -
- B-beh, si. -
- Ma tu guarda quel ragazzo dove si è piazzato! Con Jon Bon Jovi, addirittura? -
- Mi conosci? -
- E chi non conosce il ragazzo delle meraviglie del New Jersey? Pensavo marciassi da solo, soldato. Evidentemente mi sbagliavo. -
- Io... ho deciso di marciare con altri. -
- Beh, meglio soli che mal accompagnati. -
Il cantante sbuffò. Sembrava che non lo sorprendesse nulla.
- Ho bisogno di un chitarrista. -
- Sai, in una band non c'è un "io". -
Quello era vero, ma John non era disposto a dare troppo spazio al "noi". Non era credente, ma in quel caso la filosofia "ognuno per sé e Dio per tutti" faceva a caso suo.
Nessuno, nel corso della sua vita, gli aveva fatto credere che ne valesse la pena. Per tutto quanto. Essere felici, credere nell'amore, fidarsi... addirittura vivere.
E allora lui aveva perso ogni tipo di speranza e si era concentrato solo su sé stesso, su chi contava davvero.
Non che la cosa avesse funzionato. Quando vedeva i suoi demoni negli altri era più semplice, riusciva a dare la colpa a qualcuno... a qualcuno che non fosse lui, per lo meno.
Ma pian piano i suoi demoni avevano messo i braccioli. E a seguito avevano imparato a nuotare. Nemmeno le più terribili tempeste riuscivano a scacciarli via.
L'unico modo era non pensare. E lui, anche se non era mai stato bravo né attento a scuola, aveva sentito da qualche parte che per la mente umana era impossibile non pensare. Lo si faceva sempre, ventiquattr'ore su ventiquattro, anche di notte, dove il pensiero si manifestava sotto la forma di sogno. Si pensava, continuamente.
E solo (e qui il gioco di parole lo faceva quasi ridere) al pensiero di ciò, lui avrebbe preferito strapparsi il cervello e gettarlo in qualche luogo sconosciuto... quando tutto diventava pesante, così tanto da non riuscire a respirare. Quando era necessario nascondersi dietro una maschera piena di narcisismo e di autostima, con contorno di menefreghismo e apparente vita perfetta.
Ma erano maschere.
Non erano reali.
E lui stava passando la vita a immaginare di essere perfetto. A pensare a quanto fosse amato da persone a cui non importava niente e di non esserlo da persone che per lui potevano significare tutto.
- Forse si, forse no. -
- Sei un po' insicuro, John. -
- Come fai a dirlo? -
- Oh, non mi hai ancora guardato negli occhi. Ti faccio paura, anche se non so perché, in fondo la mia altezza non mi rende così imponente da sembrare cattivo... e poi, sono pure buffo. Insomma, guardami. Ho il naso da tucano. E gli occhi da cerbiatto. Volendo, potresti disintegrarmi. Ma non lo fai perché sei insicuro, hai capito che io invece sono tutto il contrario e hai paura a chiedermi un provino perché potrei fregarti il ruolo di leader, o sbaglio? -
- Veramente io... -
- Beh, tranquillo, non lo farò. So riconoscere un leader quando lo vedo. E tu, anche se ora come ora sei mister non-guardo-nessuno-negli-occhi, sei sicuramente più sicuro in altre occasioni. Quando si tratta della formazione di una band, per esempio. -
John ci pensò su. Aveva ragione.
Era perfettamente così. Ma come... come aveva fatto? Era come se fosse un indovino, quel ragazzo.
- Beh... me lo fai, il provino, vero? -
- Certo che te lo faccio, dimmi il posto e l'ora. Ma prima parlami un po' di te, offro io. -

 
John pensò di non aver mai riso tanto in vita sua.
Pensò di non aver mai trovato una persona che lo capisse così a fondo.
Pensò che a volte valeva la pena spezzarsi in due e nascondersi facendo finta che tutto andasse bene.
Pensò che, nonostante tutto, da qualche parte c'era qualcuno disposto a dare una mano.
- Allora ci vediamo venerdì, uomo delle meraviglie. -
- A venerdì. Ricordati la chitarra. -
- Ehi, va bene che sono distratto, ma non così tanto! - strillò il chitarrista, rimettendosi il capello da cowboy e cominciando a camminare dalla direzione opposta alla sua.
- Richie... -
- Si? -
- La chitarra. -
- Ma porca... ehm. Grazie. Allora... venerdì. -
- Già, venerdì. -
Mentre si allontanava, notò un piccolo adesivo sulla custodia diverso da tutti gli altri. Non era un logo di qualche band, non era il simbolo dell'anarchia, non era un pentagramma disegnato o una chiave di violino stilizzata. Era un cane. Un cane con un occhio malconcio, quasi rattoppato. Come il suo cane di peluche.
E solo allora John capì di aver trovato la sua metà migliore.



 
 
"Having Jon as my partner for 26 years I've been inspired and challenged to become a better musician, a songwriter, an artist and a human being. I've been blessed with Jon for these last 26 years and I've learned the meaning of trust, loyalty and brotherhood and my life is richer for it. Jon, you are beyond my brother" 
- Richie Sambora
 
"For 25 years, Richie has been my right hand - the brother, partner and friend you hope to one day find from the time when you're a kid. I tell people - and I mean this as the highest compliment - you would be lucky to call him your friend. He had the talent and desire that set him apart from the average guy slinging a six-string around. Sure, there are loads of guys who can play. There are lots of guys who can sing. But there is - and only ever will be - one Richie Sambora"
- Jon Bon Jovi



 
Note dell'autrice:
Saaaaaaaaaaaalve *le lanciano pomodori marci*
Devo dire che è dal un bel po' che non scrivo in questa sezione. O forse mi limito a cancellare le OS che pubblico perché fanno schifo, ma tant'è... ehm. 
Anyway. 
Oltre al fatto che non ho niente di meglio da fare, il che è a tratti piuttosto triste (diciamo anche parecchio, dipende sempre dai punti di vista), ero particolarmente ispirata a scrivere una OS su Jon e Richie perché... mah, non lo so il perché. Uno dei tanti attacchi di nostalgia, deduco. Mi manca vedere quei due insieme. Aggiungiamo anche la depressione della fine del tour di Because We Can... oh beh, lasciamo perdere, chi mi segue come autrice sa che semplicemente non ho una vita sociale e che l'unica cosa che faccio è scrivere-mangiare-scrivere-dormire-mangiare-scrivere. Ecco. 
Quindi... eccomi qui. 
Probabile che ci siamo parecchie discordanze tra ciò che è descritto e ciò che realmente è successo, come la dipartita di Sabo, ma c'è comunque da dire che questa è una fanfiction... si insomma, ammetto di essere la prima a non essere precisa su cose come queste, chiedo venia.
Beh... si. Ehm. Tolgo il disturbo prima che ai pomodori marci si aggiungano altre verdur... *le lanciano patate e lattughe*
Ecco, appunto.
Alla (speriamo di no per la vostra sanità mentale) prossima!
Kisses
Vava_95

P.S. nella storia c'è "John" perché non parlo della persona che sta sul palco e che ha un ego quanto un grattacielo (sorry Jon, ti amiamo così davvero), ma del comune mortale che si ritrova tutti i giorni a camminare tra... beh, le persone normali. 
P.P.S. per chi vuole seguirmi su twitter per sapere di più su aggiornamenti/trame/sviluppi delle mie altre storie, sono @SayaEchelon95 
  
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