Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Miss One Direction    23/12/2013    18 recensioni
- No, ragazze, no! Non lo voglio conoscere! - urlai in preda alla disperazione.
- Tu lo conoscerai e basta! - risposero in coro.
- E se poi è un secchione, asociale, con gli occhialoni, i brufoli, i peli e passa le giornate a mangiare schifezze e leggere libri di fantascienza che si capiscono solo loro? - chiesi terrorizzata, rabbrividendo al solo pensiero.
- Tu non stai bene ma non fa niente. Lo conoscerai, vi metterete insieme e vivrete felici e contenti - esclamò Daniela, con aria sognante.
E poi ero io quella che non stava bene...
_________________________________________________________
- No, ragazzi, no! Non la voglio conoscere! - urlai, preso dalla disperazione.
- Non fa niente, la conoscerai e basta! - urlarono loro a tono.
- E se poi è una racchia con i brufoli, gli occhialoni, asociale oppure una snob con un carattere orribile? - chiesi terrorizzato, schifandomi al solo pensiero.
- No! È bellissima, dolcissima... forse un po' strana, ma perfetta per te quindi, caro il mio Harold Edward Styles, dimostra di avere le palle e conoscila! - alzò la voce Louis, afferrandomi per le spalle.
E poi ero io quello strano...
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=RVqNKUOLIAQ
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










Dieci giorni, secondo alcuni dei pensieri ottimistici che più conoscevo, per molti possono rappresentare un asso di tempo a dir poco insignificante. «Sai quante cose possono succedere da un momento all'altro?» non avevo fatto altro che sentirmi ripetere fino alla nausea, e fino ad allora ero riuscita quasi a convincermene anch'io: in realtà, tutto sembrava improvvisamente sgretolarsi, se paragonato a quegli infiniti giorni che mi ero appena lasciata alle spalle. Decisamente, i più lunghi della mia vita.
Ero rimasta rinchiusa in camera mia ogni singolo istante, escluse le scappatelle al gabinetto per estremi bisogni fisici e le rare volte in cui mi ero avventurata al piano di sotto per rifilare qualche schifezza da mettere sotto i denti, a deprimermi con Io & MarleyUpHachikoLa Volpe e la Bambina e così tante serie TV da non riuscire nemmeno a nominarle tutte senza dimenticarne qualcuna. Avevo la testa così piena di nomi, trame e intrighi che ricordavo a mala pena la mia data di nascita.
Ma, in fondo, era stato proprio quello il mio scopo. L'unico mezzo a mia disposizione, tralasciando la musica al massimo volume proveniente dal mio telefono, per dimenticare qualcosa di estremamente sconvolgente o improvviso nel corso dei miei giorni: il bacio di Harry mi era sembrato un avvenimento fin troppo sconvolgente per non aggiungerlo alla lista.
Eppure, dopo essere sopravvissuta a tanto, in quel momento ero lì: intenta ad infilarmi una Converse maledettamente determinata a non voler accogliere il mio piede, la mattina del matrimonio del mio ex ragazzo. Nick si sarebbe dovuto sposare poche ore dopo e io, giusto per non smentirmi mai, ero rimasta ormai l'unica a finire di prepararmi.
Me ne convinsi, una volta per tutte, solo quando le ragazze fecero irruzione nella stanza come delle furie, esclamando in contemporanea: - Sei ancora in pigiama! -. Poggiai di nuovo il piede a terra, dopo aver perso dieci anni di vita per la loro entrata in scena così improvvisa, prima di alzare un sopracciglio nella loro direzione.
Da quando in là, un leggins con Converse e maglione poteva considerarsi un pigiama? Io, per dormire, avevo indossato sempre e solo pigiamoni di due taglie maggiori alla mia, con figure di cartoni animati stampati sopra.

- Per quale assurdo motivo mi state accusando di indossare il pigiama ad un matrimonio? - chiesi, profondamente offesa, prima di sentire un leggero ticchettio sul pavimento dovuto ai loro tacchi.

Non avevo nemmeno molta voglia di andarci, per via della mia depressione post-illusione, ma sapevo anche che, se non mi fossi presentata affatto, avrei tenuto quel giorno sulla coscienza per il resto della mia vita: motivi conclusivi della mia scelta, un po' troppo poco impegnativa, dal mio armadio. In più, un ulteriore matrimonio non avrebbe potuto far altro che giovare alla mia futura carriera di Wedding Planner.
Le mie amiche, forse, erano seriamente convinte che mi sarei resa conto da sola della mia completa sciatteria, con le loro espressioni accigliate e le braccia incrociate sotto al seno: peccato che, dalla mia parte, non ottennero altro che un cipiglio ancora più determinato del loro.
Prima di mandarmi al diavolo anche verbalmente, oltre che col pensiero, l'unico briciolo di pena ancora presente nei loro corpi le portò a mostrarmi un vestito a dir poco improponibile alla sottoscritta: la scollatura a trapezio, priva di spalline, era rifinita da una piccola fascia nera, mentre il resto del corpetto rosa cipria e la gonna del medesimo colore avrebbero dovuto ricadere morbidi sul corpo della ragazza che sarebbe dovuta entrare in quella massa di femminilità e sensualità. Ovvero, me.
L'unico punto a sfavore di quel vestito era il colore: avevo convissuto con il rosa fin dalla nascita, portandomi ad odiarlo sempre di più nel corso degli anni, e non ero esattamente entusiasta di dover sembrare una bambolina per un evento a cui non volevo nemmeno partecipare. Per il resto, osservandolo meglio, non sembrava poi così orribile.
Il vero problema? Io non potevo indossare vestiti. Da piccola, fino all'età di cinque anni circa, mia madre non aveva fatto altro che conciarmi come desiderava lei: vestitini, scarpine abbinate, completini orribili che, a solo rivederne le foto, non riuscivo a spiegarmi come non avessi osato ribellarmi già da allora. Verso i sei/sette anni, il mio culetto così delicato e apprezzato da tutti aveva iniziato a sporgere leggermente all'indietro fino a raggiungere la cosiddetta forma "a mandolino", un po' come quello di Louis. Era un buon alleato per ricevere complimenti o occhiate da parte del pubblico maschile, ma non mi aveva mai reso vita facile con i vestiti e o le gonne. "Con il sedere sporgente che ti ritrovi, quando cammini, l'orlo di dietro del vestito (o della gonna) si alza e ti si vede tutto!": testuali parole della donna che mi aveva messa al mondo diciannove anni prima. Continue tiratine verticali da parte di mia madre, durante la mia infanzia, costituivano la causa di quel mio vero e proprio terrore verso tutto ciò che mi arrivasse a metà coscia.

- Dai, sappiamo che ti piace! - esclamò Mara allegra, prima di scappare in camera sua per prendere una delle sue numerose, ed enormi, trousse.

Mi risvegliai all'istante, cercando di scacciare da davanti agli occhi i fin troppi episodi dove la mano di mia madre mi abbassava da dietro l'orlo di una gonna in pubblico, e scossi la testa centinaia di volte in un minuto. - Non indosserò mai quella... cosa. Mi spiegate perché non posso indossare dei semplici pantaloni eleganti come Dani e Margaret? -.
Io e Mara saremmo state le uniche ad indossare un vestito (il mio cipria, il suo nero): le altre due, per loro estrema fortuna, avevano optato per dei pantaloni rispettivamente beige e blu, molto eleganti, con dei tacchi vertiginosi sotto e delle camicette abbastanza semplici sopra.

- Perché tu non indossi mai vestiti e, chissà, magari farai colpo su qualche amico di Nick - continuò Mara, rivolgendomi un occhiolino complice.

Abbassai gli angoli della bocca, trasformando la mia espressione determinata in una completamente disperata, prima di affidarmi alle mani esperte delle mie migliori amiche.
Sentivo la paura impossessarsi delle mie ossa, ogni secondo di più. 






                                                                                                           *****





- Ma la sposa quando arriva? -.

La palpebra destra iniziò a vibrarmi per il nervoso, non appena risentii quel sussurro per la centesima volta alle mie spalle, e cercai seriamente di trattenermi dal dire a quella signora di fare silenzio. Eravamo arrivate in chiesa mezz'ora prima e, dal momento preciso in cui ci eravamo accomodate su uno dei tanti banchi addobbati di tulipani tutti colorati, una donna sulla sessantina, tutta agghindata con un cappellino di piume giallo canarino in testa, non aveva fatto che "sussurrare" di continuo all'orecchio di una ragazza proprio accanto a lei. Il vero problema? Non stava sussurrando affatto.
"Ma quando arriva la sposa?", "Come sarà il vestito, secondo te?", "Guarda quant'è nervoso Nick!", "Ma quando andiamo a mangiare?", "Chi ha organizzato tutto?", "La sposa ci sta mettendo parecchio... E se non dovesse arrivare?", "E se si è dimenticata che oggi si sposa? Mamma mia, pensa che imbarazzo per il povero Nick!", "Ma quando arriva?".
Più la sentivo blaterare e più mi saliva una voglia irrefrenabile di farle mangiare i tulipani.
Per chiudere in bellezza, il mio abbigliamento mi rendeva estremamente insicura e nervosa: a casa, dopo l'intera trasformazione con trucco quasi naturale e capelli raccolti all'indietro, mi ero quasi autoconvinta di stare abbastanza bene. Mio malgrado, avevo abbandonato l'idea non appena ci eravamo ritrovate davanti la chiesa, sotto gli occhi indiscreti di ogni singolo essere umano di sesso maschile. Le mie guance avevano raggiunto una tonalità così accesa di rosso che, per la vergogna, mi ero coperta il viso con la pochette ed ero letteralmente scappata all'interno.
Sentivo le occhiate incuriosite addosso da parte di tutti i parenti del mio ex ragazzo, di sicuro straniti dalla mia presenza al suo matrimonio, ma cercai di concentrarmi sui vari addobbi sparsi in giro, sforzandomi di non farci caso. Andare a quella maledetta celebrazione si stava rivelando, ogni secondo di più, un'idea a dir poco ridicola.

- Ma quando arriva? - sentii di nuovo alle mie spalle, perdendo ogni briciolo di calma trattenuta fino ad allora.

La mia reazione fu a dir poco istintiva, girandomi verso la copia uscita male di Tweety, prima di rivolgerle il sorriso più falso che mi fosse mai uscito. - Senta, mia cara signora: siamo nella casa del Signore quindi, se riuscisse a chiudere il becco per soli cinque minuti, non ha idea dei miracoli che potrebbero capitarle da questo istante in poi -.
Rimase a dir poco sconcertata da quella minaccia indiretta e, dopo essersi lisciata la stola in pelliccia (cosa che iniziò a farmela odiare maggiormente), mi osservò ancora più indignata, prima di chiedermi scusa. Ma non feci in tempo nemmeno a rigirarmi che la sentii borbottare di nuovo, con tono indignato: - Questi giovani d'oggi -.
Fu il quel preciso istante che non ci vidi più, motivo per cui mi alzai dal posto e le rivolsi tutta la mia attenzione, prima di alzare la voce: - Lei non fa altro che parlottare in un luogo sacro e io sarei la maleducata?! Ma si vada a comprare un cappello decente, piuttosto che uccidere altri poveri uccelli innocenti e rompere a me! -.
Sentii l'orlo della gonna tirato verso il basso, segno che Mara stesse cercando di farmi tornare a sedere e, a confermarmelo, furono anche tutte le occhiate accusatorie di ogni singolo presente in chiesa. Recuperai una piccola quantità di calma solo quando ritoccai di nuovo il legno con il sedere, ignorando completamente la predica sussurrata delle ragazze accanto a me: ero riuscita già da sola a fare la parte della bambina maleducata.
Tirai un sospiro di sollievo vero e proprio nel preciso istante in cui le note dell'organo si iniziarono a propagare ovunque e tutti si alzarono in piedi, girandosi verso l'entrata per ammirare la sposa appena arrivata: quando Nick mi aveva invitata al matrimonio, forse per distrazione, non mi aveva neanche rivelato il nome della ragazza che, in quel momento, stava percorrendo la navata verso il mio ex. Era un'altissima bionda, con un profilo a dir poco scolpito, due occhi azzurri molto espressivi e il fisico perfettamente paragonabile a quello di una modella. In quattro parole: il mio completo opposto.
Il vestito era tendente al bianco antico, coperto di pizzo in ogni angolo, con delle maniche a tre quarti e una scollatura a barca; le scarpe bianche, leggermente a punta, uscivano alla luce solo di tanto in tanto.
Mentre la sposa avanzava a passo lento verso Nick, mi girai proprio verso quest'ultimo, per vedere la sua reazione: si stava mordendo il labbro sorridendo, sull'orlo di commuoversi e, non appena socchiusi leggermente gli occhi per guardarlo meglio - brutta miopia del cavolo -, giurai di aver notato una lacrimuccia scendergli lungo la guancia. A quella vista, non riuscii a trattenere un sorriso spontaneo, e provai un vero e proprio senso di felicità in ogni singolo centimetro di pelle: quell'armadio vivente era stata la mia prima storia, vero, ma non avrei mai potuto sostituire la causa di quel luccichio nei suoi occhi. Non ne avrei avuto neppure il coraggio.
Non appena la regina del giorno arrivò al suo promesso sposo, con un sorriso da orecchio a orecchio persino più grande di quello di Nick, a ogni singolo invitato fu ordinato di sedersi per iniziare la cerimonia vera e propria. Come al solito, non mi ci volle molto prima che la mente iniziasse a viaggiare per conto suo, facendomi comparire davanti gli occhi tutte le immagini e le aspettative del mio, di matrimonio. Decorazioni azzurre ovunque, l'organo, lo sposo commosso ad aspettarmi, le ragazze vestite di azzurro prima del mio ingresso lungo la navata, i ragazzi vestiti di tutto punto accanto al mio futuro marito come testimoni e ogni altro singolo dettaglio del mio matrimonio da sogno iniziarono ad affollarmi completamente la testa. L'unica incognita? L'identità dell'uomo impaziente ma entusiasta. Per quanto mi sforzassi, il volto di Nick non riusciva più ad appropriarsi dello sconosciuto in questione. Al contrario, scossi la testa per davvero nell'esatto momento in cui non notai Harry tra la schiera immaginaria di testimoni: perché non faceva parte dei miei filmini mentali? Perché lo avevo tagliato involontariamente fuori dalla lista degli invitati?
Mi resi conto di non aver dovuto nemmeno nominare lo spilungone nel preciso istante in cui il mio matrimonio da sogno venne accantonato e sostituito dal bacio maledetto di dieci giorni prima. Mi sembrò quasi di sentire ancora le sue labbra morbide sulle mie. Mi salì un brivido lungo la schiena al solo ripensare all'intera scena ma fui risvegliata poco dopo, dagli applausi scroscianti di ogni singolo presente nella chiesa. Mi guardai intorno confusa, iniziando a battere le mani d'istinto, prima di riportare l'attenzione sugli sposi, intenti a scambiarsi un tenero e casto bacio.

- È già finita? - chiesi a Mara, continuando ad applaudire insieme agli altri.

La mia amica di girò verso di me con un'espressione scioccata, prima di sussurrarmi: - Lo sai che è durata quasi un'ora e mezza? -. Alzai un sopracciglio, credendo che stesse scherzando, ma, non appena notai la sua espressione, capii di aver fantasticato fin troppo: dovevo seriamente imparare a non farmi trasportare così tanto dai miei filmini mentali.
Successivamente, gli sposi iniziarono il servizio fotografico all'interno della chiesa mentre tutti noi altri ci prestavamo ad uscire dalla chiesa per poter lanciare loro dei coni pieni di riso, un fatto che mi lasciò un po' perplessa: non mi sarei di certo mai immaginata una cerimonia talmente cattolica, soprattutto da parte del mio ex.
Non appena intravedemmo i novelli sposini venire verso di noi, si sollevò nell'aria un'enorme nuvola di riso e coriandoli gialli che finì dritta in testa a Nick e sua moglie, facendoli ridere. A quel punto, ogni singolo famigliare e amico iniziò a spingere per poter salutare la nuova coppia ufficiale mentre noi ragazze fummo, forse, le uniche a metterci in un angolino: non avevo alcuna voglia di fare la conoscenza della novella sposa del mio ex, per principio. Le ragazze, invece, mi avevano assicurato dall'inizio di essere venute al matrimonio solo per pura noia e cibo gratis : da quando mi era spuntato un paio di piccole corna in testa, per colpa dell'armadio vivente, le mie amiche non avevano voluto sentirlo neppure più nominare.
Pigiai il tasto centrale del mio cellulare per controllare l'ora, mentre Margaret si accese una sigaretta e Mara e Daniela iniziarono a commentare l'abito della sposa, prima che una voce fin troppo conosciuta si avvicinasse sempre di più: - Manu! Ragazze! -.
Rimisi il telefono in borsa, sussurrando un "Carine e coccolose, per favore" alle altre, e mi impegnai nel sorriso più finto della mia vita. - Nick! -.
Le ragazze si sistemarono dietro di me pochi istanti dopo, concentrate nel far sembrare reali i loro sorrisi, nonostante fossero più falsi di quelli delle Barbie, e continuammo a fare gli auguri a Nick fino a quando un'altra voce non si aggiunse: - Amore, non mi presenti le tue amiche? -.
Lo sposo si girò subito, sorridendo subito alla vista della nuova signora Jonas a pochi passi di distanza, e non perse tempo a cingerle il fianco con un braccio. - Ma certo! Loro sono Daniela, Mara, Margaret e M- -.

- Manuela, immagino – concluse la bionda, rivolgendo un sorriso a tutte, prima di squadrarmi per bene.

Alzai un sopracciglio, sorpresa del fatto che fosse anche solo a conoscenza del mio nome, prima di continuare a sorriderle e chiederle: - Ci conosciamo? -.

- Personalmente no, ma Nick mi ha raccontato di te - rispose sorridendo, guardando per un attimo il suo sposo. - E, sai, ero molto curiosa di conoscerti: che tu ci creda o meno, sono sempre più sicura del fatto che abbiamo gusti molto simili, in fatto di uomini -.

A quel punto, non riuscendo a capire fino in fondo cosa stesse insinuando, alzai entrambe le sopracciglia: stessi gusti in fatto di uomini? Ma chi ti ha mai vista.
Fu in quel preciso istante che mi si accese una sorta di lampadina nel cervello e iniziai a guardarla meglio; in effetti, per quanto fossi convinta di non averci mai avuto a che fare prima di allora, ebbi la strana sensazione di averla già vista da qualche parte.

- Comunque, Taylor - continuò, porgendomi una mano, che subito strinsi.

Continuammo a chiacchierare del più e del meno per i pochi istanti successivi, prima che il fotografo chiamasse tutti a raccolta per una foto di gruppo: non riuscii a capire come quest'ultimo pretendesse di far entrare ben centocinquanta persone in una semplice foto, ma obbedimmo e ci sistemammo stretti stretti, per cercare di far entrare tutti, fino al momento del flash. Al termine, gli sposi entrarono nella loro elegantissima macchina d'epoca color panna, adornata da qualche fiore giallo sugli specchietti, diretti verso il secondo servizio fotografico mentre noi altri (tanto per specificare la quasi evidente differenza di "rango") iniziammo ad avviarci verso il ristorante. Il problema? Io e le mie amiche non avevamo la più pallida idea di dove si trovasse.

- Ragazze, forza, seguiamo i parenti – esclamò Mara, iniziando a camminare verso la massa indefinita di persone dirette verso le proprie macchine.
- E la macchina? - chiesi innocentemente, infilandomi una giacca di pelle che mi ero portata per una possibile emergenza-freddo improvviso di novembre.

La mattinata, fino ad allora, era stata dominata da un sole abbastanza pallido, ma novembre non era di certo il mio mese preferito.

- A casa e lì rimane - si intromise Margaret, raggiungendo Mara.

Eravamo arrivate fino alla chiesa con un taxi ma, con l'ora di punta alle porte, sarebbe stato un vero e proprio miracolo trovarne uno libero, in mezzo al traffico impraticabile di Londra. In più, sarebbe stato un suicidio tornare a casa, fare il doppio del tragitto e, per di più, imbottigliate tra le altre macchine in coda. Eppure, per quanto entrambe le opzioni non mi entusiasmassero più di tanto, mi rifiutai comunque categoricamente di dover camminare per chissà quanto tempo con tacchi alti ben tredici centimetri che sì, mi rendevano magicamente più alta e slanciata, ma stavano iniziando a litigare seriamente con i miei piedi. - Io non ho intenzione di avventurarmi per la città, senza istruzioni precise e, per di più, vestita così -.

- Togliti le scarpe, non appena senti dolore - mi suggerì Mara, girandosi verso di me. - Ma se preferisci restare qui, al freddo, da sola, con pedofili e maniaci ovunque, prego -.

Il solo pensiero di essere agganciata da un possibile maniaco, un po' com'era successo in montagna, mi fece saettare verso le mie amiche e, a braccetto con Daniela, mi misi finalmente l'anima in pace anche a causa di un'altra forza maggiore: il mio stomaco stava letteralmente gridando di dolore, al solo immaginarsi le delizie che ci avrebbero aspettate al ristorante. *






                                                                                            ******





- Sistah, quanto manca? -.
- Quattro passi in meno rispetto a un minuto fa, Sistah – risposi, cercando di non urlare per il dolore terribile ai piedi.

Io e Daniela non ne potevamo seriamente più, a causa delle maledette scarpe che eravamo state costrette ad indossare. Avrei dato qualsiasi cosa, pur di sostituire quelle specie di trappole mortali con un bel, e soprattutto comodo, paio di Converse. Invece Mara, forse l'unica del gruppo abituata a quella tortura, continuava nella sua camminata da perfetta modella di Victoria's Secret lungo il marciapiede, senza proferire nulla, se non incoraggiamenti e richiami verso di noi. Non riuscivo davvero a capire come diamine ci riuscisse.
Stavamo cercando di seguire le auto che ci sembravano familiari (ovvero, quelle con un fiocco giallo sul tettuccio), non trovando però il coraggio di chiedere un effettivo passaggio a qualche invitato. Ogni volta che avevamo sorpassato un cantiere o qualche parcheggio, erano scattate, puntuali come un orologio svizzero, occhiate indecenti e fischiatine da parte di ogni singolo essere umano di sesso maschile: inutile dire che, giusto per non darla vinta a nessuno, il dito medio da parte della sottoscritta era sempre scattato come una molla.
In quel momento, dopo quella che mi sembrava la nostra trentesima pausa in un'ora e mezza, Mara stava cercando un punto dove la rete telefonica prendesse perfettamente, per far funzionare bene Google Maps e quindi scoprire quanto mancasse effettivamente, mentre io e Daniela cercavamo di trattenere le lacrime dal dolore e Margaret era poggiata ad un lampione, rilassata anche lei. Comode le ballerine, eh?

Ragazze? - richiamò la nostra attenzione Daniela. - Non potrebbe essere quello? -.

Tutte e tre ci voltammo verso la direzione da lei indicata e, non appena riconobbi la macchina degli sposi in lontananza, dovetti trattenermi dall'urlare di felicità. Ormai esausta, e con vesciche enormi sui piedi, mi tolsi finalmente le scarpe e iniziai, letteralmente, a correre verso quella specie di paradiso terrestre: l'intero palazzo, poco distante da una zona ancora in costruzione, rifletteva ogni singola lucina posta sul tronco delle palme del giardino, accanto a una piscina leggermente più in basso al punto dove ci trovavamo noi, piena di candele ancora spente che galleggiavano sull'acqua. Mi rinfilai i tacchi ai piedi solo quando mancò davvero poco all'entrata e, giusto per non dover entrare da sola, aspettai anche le mie amiche.
L'ennesima fregatura? La scalinata, degna del palazzo di Cenerentola, che avremmo dovuto affrontare per arrivare alla sala principale dove, giusto per farmi salire maggiore ansia, erano accomodati quasi tutti gli invitati. Mai, come in quel momento, desiderai correre a casa a gambe levate.
Le altre, nel frattempo, erano giunte già a metà scalinata, lasciandomi in cima come una perfetta idiota, mentre il mio sguardo era alla disperata ricerca di un corrimano salvavita: avevo dato per scontato dal principio che, se mi fossi avventurata davvero lungo la sala da sola, sarei finita per terra anche prima di poter solo imprecare in qualche modo.
Erano ostinate a volermi "regalare" il mio momento di gloria ed ero convinta fosse un pensiero molto dolce, tralasciando il fatto che la sottoscritta non avesse chiesto nulla a nessuno. Ingoiai un po' di saliva, cercando di fermare il tremolio alle gambe, prima di poggiare un piede sul primo scalino e via dicendo, avvicinandomi sempre di più a destinazione: non avevo idea di come stessi affrontando l'intera situazione, né della mia espressione o della mia postura, ma in quel momento desideravo solo sedermi su una benedetta sedia e togliermi le scarpe sotto il tavolo, nascosta sotto la tovaglia chilometrica color avorio.
Una volta toccato il pavimento, mi guardai intorno incredula, non riuscendo a credere di essere riuscita nell'impresa, e mi avviai verso il tavolo dove le ragazze si erano accomodate. I centrotavola erano imponenti, con dei piccoli diamanti in mezzo ai tulipani, mentre i segnaposto consistevano in semplici cartoncini bianchi con su scritto il nome di ogni partecipante. A intrattenere l'intera sala, una band era posizionata su uno spazio leggermente rialzato, intenta nell'esecuzione di Don't Worry, Be Happy di Bobby McFerrin; per quello che mi riguardava, avrei scelto un DJ, giusto per movimentare un po' di più le cose.
Il pranzo durò, all'incirca, quattro ore che trascorsi, a piedi nudi dietro la tovaglia, chiacchierando e scherzando serenamente con le mie amiche e qualche parente di Nick, seduti al nostro stesso tavolo: alcuni di loro avevo avuto già il piacere di conoscerli, ma non persi un attimo a fare "amicizia" anche con gli altri perché, in fondo, quella del mio ex era sempre stata una famiglia gentile ed educata, nessuno escluso. L'unica nota stonata dell'intera giornata si dimostrò il cibo, visto che gli sposi avevano optato per un menù completamente a basa di pesce: sushi, zuppa di pesce, salmone norvegese e tante altre "prelibatezze" che mi rifiutai anche solo di guardare. Quella del "vietato pesce" era stata una mia caratteristica sin da piccola: non ero mai riuscita a capire se dipendesse dal fatto che fossi nata sotto il segno dei Pesci ma, ogni volta che le mie narici avvertivano anche solo una punta di odore di un qualsiasi pesce, anche da lontano, il mio stomaco iniziava, puntualmente, ad emettere versi decisamente strani e poco invitanti. Così, mentre osservavo tutti con la pancia piena e decisamente soddisfatti, pregavo che i crampi famelici nel mio stomaco mi dessero una tregua, anche solo per pochi minuti.
Ma il vero campanello salvavita arrivò quando un cameriere annunciò, con voce suadente: - Gentili invitati, sono qui per annunciarvi che il buffet dei dolci è stato appena allestito -.
La velocità con cui mi infilai di nuovo le scarpe, lasciandole leggermente lente sul cinturino, e mi precipitai a quella tavolata di puro paradiso, mi sembrò inspiegabile; fui la prima invitata a fiondarsi sul buffet ma, dopo pochi istanti, riuscii a distinguere perfettamente il rumore di innumerevoli tacchi a spillo sul pavimento, segno che molte signore, comprese le mie amiche, mi avessero presa come esempio. Afferrai un piattino in un soffio, spizzicando un po' di tutto: partii dai cupcakes, optando per quelli al cioccolato, e proseguii con fragole coperte di cioccolato, nonostante non fosse nemmeno stagione, confetti, caramelle e tante altre squisitezze che, da un momento all'altro, avrebbero trovato rifugio nel mio stomaco. Il poco spazio a disposizione sulla mia mano si riempì così tanto che, durante il percorso di ritorno al nostro tavolo, dovetti stare attenta a non macchiare il vestito.
Una volta seduta, non persi tempo ad affondare i denti in ogni cosa avessi davanti, non prestando attenzione a niente e nessuno intorno a me, finché la pancia non alzò una bandiera bianco latte: diamine, avevo decisamente esagerato.
Margaret, dopo aver messo il suo cellulare in stand-by, fu la prima ad accorgersene, infatti: - Santo cielo, Manu, tutto okay? - esclamò, attirando l'attenzione di tutti i presenti al nostro tavolo.
Mi mantenni lo stomaco, gonfiando per un attimo le guance, prima di rispondere: - Credo di aver mangiato troppi dolci, troppo velocemente -. Il tremendo gonfiore che provai in quegli istanti, mi fece arrivare a due possibili conclusioni: mi sarebbe potuto scappare un rutto ultra-mega galattico, capace di spegnere le candele di quasi tutti i tavoli, o avrei rimesso tutto ai piedi di qualche cameriere. Mi salii un brivido lungo la spina dorsale al solo pensiero di entrambe.
Mi alzai di nuovo, chiedendo scusa a tutti, e, dopo essermi infilata la giacca, uscii per prendere una boccata d'aria; attraverso la porta-finestra nella sala principale, mi ritrovai davanti alla piscina interamente illuminata. Mi avvicinai al bordo, concentrandomi sul profumo inebriante delle candele accese sull'acqua, e, nonostante il cielo fosse già di un blu molto scuro e l'aria si fosse raffreddata leggermente, mi ritrovai comunque a chiudere gli occhi, rilassata. Il gonfiore allo stomaco iniziò ad affievolirsi sempre di più, fino a scomparire quasi del tutto.
All'improvviso, con gli occhi ancora chiusi, iniziai a sentire la guancia appena sfiorata da qualcosa, come se qualcuno mi stesse sfiorando, ma fu solo quando sentii sussurrare: - Guarda, guarda chi si rivede - che sollevai le palpebre di scatto. Mi girai il secondo dopo, facendo entrare in collisione il nero con il verde, e le labbra mi si schiusero quasi d'istinto.

- C-Cosa ci fai qui? - mormorai, iniziando a sentire il respiro pesante a causa della vicinanza, prima che due fossette profonde catturassero il mio sguardo. - Sono stato invitato anch'io al matrimonio -.
- Ma va? Pensavo fossi il prete – risposi d'istinto, facendolo sorridere ancora di più.

Mi attirò a lui in un istante, dove persi letteralmente la cognizione del tempo, prima che: - 1) Ho semplicemente risposto a una domanda che tu stessa mi hai posto - rispondesse. - 2) Non è poi così scontato, visto che la sposa è la mia ex -.
Ritrovarsi tra le braccia di Harry, dopo l'enorme casino che avevamo combinato più di una settimana prima, fu un'emozione talmente grande che non seppi descrivere. Non avevo mai amato le rimpatriate improvvise dopo un litigio: la sola idea che alcune persone potessero risolvere una situazione, semplicemente ignorando l'intero accaduto e comportandosi come se nulla fosse accaduto, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Eppure, stretta tra le braccia dello spilungone, il mio cervello sembrò scollegare ogni cosa: gli unici organi ancora funzionanti furono i polmoni, occupati a farmi respirare a pieno quel Blue De Chanel che riusciva tanto a mandarmi fuori di testa, e il cuore, impegnato a battere talmente forte da farmi quasi temere che riuscisse a spezzarmi le costole. 






HARRY'S POV.


L'invito al matrimonio di Taylor era arrivato circa una settimana prima, come un terremoto durante un uragano: il solo pensiero di dover partecipare alla cerimonia della mia ex, dover conoscere il suo nuovo marito ma, soprattutto, dover affrontare il tutto senza il supporto morale di una certa nanetta di appena un metro e e sessanta, mi aveva reso un fascio di nervi fino alla mattina incriminata. I ragazzi avevano cercato di consolarmi, ripetendomi che, forse, doveva andare in quel modo e altre frasi talmente stereotipate che, al solo ripensarci, mi sarebbe venuta voglia di correre in bagno e vomitare l'anima. Ma avevo apprezzato il gesto, davvero.
Il vero momento clou dell'intera giornata era avvenuto all'entrata della chiesa, quando ogni singolo presente si era girato verso un gruppo di quattro ragazze appena arrivate: al veder apparire Manuela a pochi metri da me, con un vestito corto, truccata e perfettamente curata, mi era quasi sembrato di sentire il cemento a contatto con la mandibola. Ero rimasto talmente paralizzato, con gli occhi fissi sulla sua piccola figura leggermente slanciata, che i miei amici si erano trovati costretti a schiaffeggiarmi, per avvertirmi dell'arrivo imminente della mia ex. La prima cosa che avevo fatto, una volta aver messo piede all'interno della chiesa, era stato cercare un piccolo confetto in mezzo a ben centocinquanta invitati: ero riuscito a scorgerlo solo dopo l'ingresso di Taylor, quando si era girato verso la sposa per guardarla come tutti gli altri. Per tutta la cerimonia, nonostante il mio subconscio mi avesse ripetuto milioni di volte di prestare attenzione, mi ero ritrovato decine e decine di volte a guardare nella sua direzione, sperando di far entrare di nuovo in collisione il nero con il verde, ma gli applausi improvvisi di tutti mi avevano riportato alla realtà così bruscamente da avermi fatto sentire smarrito per qualche minuto. Dopo di che, non appena gli invitati avevano iniziato a sparpagliarsi un po' ovunque, avevo iniziato a sentirmi un pulcino separato dalla madre: non solo avevo perso di vista Manuela e le ragazze nell'arco di due minuti, ma avevo trovato difficoltà anche a rimanere dietro i miei amici, nell'impresa di uscire dalla chiesa.
Nel parcheggio, al momento di dover andare al ristorante, non avevo avvistato da nessuna parte una Fiat '500 di un azzurro acceso, motivo per cui avevo iniziato seriamente a domandarmi come le ragazze avrebbero fatto a raggiungerci a destinazione. Ma tutta l'ansia e l'agitazione, per quando l'avrei rivista, aveva iniziato a dissolversi nel preciso istante in cui avevo visto Mara, Daniela e Margaret al ristorante, davanti alle scale, a pochi metri dal tavolo mio e dei ragazzi. Era stata solo questione di istanti prima che anche la mia protagonista avesse fatto il suo ingresso trionfale, con passo incerto e un po' a papera, causa della mia gola incredibilmente secca. Le palpebre erano rimaste paralizzate per tutto il tempo, mentre il cuore aveva minacciato seriamente di uscirmi dalla bocca e correre da lei. Ma, per l'ennesima volta, nel giro di attimo di distrazione da parte mia, si era volatilizzata magicamente. Stiamo giocando a 'La caccia al tesoro', vero? avevo pensavo, cercandola di nuovo con lo sguardo. Nulla.
Avevo passato il resto della giornata scambiando quattro chiacchiere con qualche parente di Taylor conosciuto al momento, sgridando Louis sul fatto di non alzare troppo la voce e mangiando giusto il minimo indispensabile. Il mio pensiero si era incentrato tutto il tempo su Manuela: il motivo della sua presenza al matrimonio, un metodo per cercare di rimediare all'intero casino che era successo dieci giorni prima e la scusa, sicuramente insensata, per la quale, fino ad allora, avesse sempre nascosto il suo corpo dietro felpe pari al suo triplo. Tutti interrogativi a cui non ero riuscito a trovare risposta e che mi avevano mandato in confusione sempre di più.
Al momento del buffet dolce avevo deciso di rimanere seduto, con l'intenzione di spizzicare qualcosa dai piatti dei miei amici, e, dopo averlo fatto davvero, avevo ricominciato a dare un'occhiata alla sala, quasi senza speranze: poteva essersene andata da un pezzo, senza che me ne fossi nemmeno accorto, esattamente come avrei potuto continuare a non trovarla per il resto della serata.
Eppure, nell'esatto momento in cui avevo intravisto una testolina castana dirigersi verso la porta-finestra, la reazione mi era sembrata quasi istintiva: mi ero alzato di colpo, scusandomi con tutti gli invitati al mio tavolo, per poi dirigermi a passo spedito verso l'esterno. E l'avevo finalmente trovata lì, a meno di tre metri da me, intenta a guardare prima la piscina illuminata e poi il cielo, completamente senza stelle. Mi ero avvicinato così lentamente che, per un istante, avevo persino iniziato a temere che fosse potuta andarsene o scomparire all'improvviso da sotto i miei occhi. Non appena le avevo sfiorato la guancia con i capelli, ritrovandoci subito dopo l'uno di fronte all'altra, il respiro mi si era mozzato: il trucco, per quanto leggero, le ingrandiva leggermente gli occhi, rendendoli ancora più pericolosi per i miei, e mi resi conto di quanto mi fosse mancata solo quando sentii il suo respiro caldo sulle labbra.
Stringerla a me fu come abbracciare un orsacchiotto morbidissimo durante una fredda notte d'inverno. Non avevo mai visto di buon occhio le rimpatriate improvvise ma, ormai, con quella nanetta la ragione aveva deciso di arrendersi a priori. Avremmo avuto tempo per sistemare, a costo di continuare a rincorrerla come avevo fatto per l'intera giornata, ma non in quel momento: i nostri corpi stretti l'uno all'altro erano abbastanza per entrambi.

- Credo che gli sposi si stiano cimentando nel loro primo ballo - esclamò ad un certo punto, dopo aver notato qualche nota lenta provenire dalla sala alle nostre spalle.
- Già - risposi, alzando il braccio leggermente per farla piroettare. - Ma a noi non interessa, vero? -.

Una volta stretta di nuovo a me, la sentii scuotere la testa leggermente; la poca e soffusa luce delle candele e le note di un'improvvisa Fix You all'interno della sala furono le circostanze perfette per spingermi a fare una cosa che, nemmeno due settimane prima, non mi sarebbe nemmeno passata per l'anticamera del cervello. - Sarebbe così gentile da concedermi questo ballo, milady? -.
Manuela abbassò lo sguardo per qualche istante, con le guance sempre più rosse, prima di sorridermi e concentrarsi sul mio papillon. Fu in quel momento che altre mille domande mi attraversarono il cervello: le piaceva o preferiva la cravatta? Ero ancora presentabile o, durante la giornata, mi ero trasformato in un parente stretto del Grinch senza nemmeno essermene accorto? Mi sentii un adolescente in piena crisi ormonale ma non mi importò, non sotto il suo sguardo così profondo e misterioso.

- Ti dico di sì solo perché i papillon mi fanno impazzire - rispose dopo un po', sollevando un angolo della bocca, prima di intrecciare le dita di una mano con le mie a mezz'aria e posizionare l'altra sulla mia spalla.

Sorrisi di gusto, sempre più felice del fatto che la ragazza davanti a me sarebbe stata sempre un passo avanti rispetto al sottoscritto e tutti gli altri, e, al solo sentir gli spazi tra le dita riempiti dalle sue, giurai di aver sentito distintamente un brivido lungo la spina dorsale.
Non essendo un ballerino provetto, giusto per non dire di essere un completo disastro, non mi esibii in una performance da capogiro: le cullai semplicemente tra le mie braccia, spostando il peso da un piede sull'altro, sperando che potesse apprezzare. Sentii il collo sfiorato da qualcosa di morbido e, non appena mi resi conto delle sue labbra aperte in un sorriso contro la mia pelle, socchiusi gli occhi quasi d'istinto.
Respirai a pieni polmoni il suo fresco profumo, convincendomi di non aver sentito mai nulla di così buono in tutta la mia vita, prima che l'intera magia venisse spezzata da numerosi applausi provenienti dalla sala: le note della canzone cessarono, gli invitati continuarono a fischiare e applaudire per minuti interi e noi, nonostante le mie mani fossero rimaste ancorate rispettivamente alla sua vita e alle sue dita fino alla fine, fummo costretti a separarci. La sensazione che provai nell'istante in cui non sentii più il corpo vicino al suo fu di smarrimento totale: la leggera brezza autunnale quella sera non era poi così fastidiosa ma, per quello che mi riguardava, riuscii comunque a percepire un vento gelido nel preciso istante in cui l'intera magia venne spezzata.
Gli invitati, lentamente, iniziarono a raggiungerci all'esterno, concentrandosi principalmente sull'enorme torna super decorata dall'altra parte della piscina, e le mani iniziarono a fremermi leggermente: volevo di nuovo quella sensazione di pienezza di poco prima, con le sue dita incrociate alle mie e, ad impedirlo, c'erano solo pochi centimetri.

- Attenzione! I testimoni hanno organizzato una piccola sorpresa per i novelli sposi - annunciò un cameriere, attraverso un microfono. - Vi pregherei di girarvi tutti verso il panorama -.

Centocinquanta persone si girarono contemporaneamente verso la vista mozzafiato su cui il resort si affacciava e, all'improvviso, il cielo si illuminò completamente di fuochi d'artificio di ogni possibile colore e forma. Mi arrivarono alle orecchie i sospiri meravigliati di tutti e, nel vedere le reazioni di Taylor e Nick, mi ritrovai a sorridere per davvero: era stata una sorpresa anche per loro e, così stretti l'uno all'altra, ero convinto che avrebbero potuto sbaragliare chiunque su una qualsiasi rivista di moda. Erano felici e, nonostante l'amaro in bocca per la precedente relazione con l'ormai novella sposa, non potei fare altro che augurare il meglio ad entrambi col pensiero.
Nel bel mezzo dei fuochi pirotecnici, osservai la ragazza accanto a me con la coda nell'occhio, notando il suo sguardo puntato verso il cielo e l'azione successiva mi uscii quasi spontanea: le sfiorai le dita leggermente, per poi incrociare perfettamente le nostre mani. Fu questione di istanti prima che sorridesse, con gli occhi ancora puntati verso i fuochi, e io mi sentii magnificamente frastornato.
La strascinai letteralmente via, subendomi persino un: - Dove mi stai portando? - con una risata nascosta, ma non mi importò. Continuammo a "correre", per quanto Manuela riuscisse a starmi dietro con quei tacchi, fino all'entrata dell'intero resort. La zona era completamente isolata, nessun invitato o cameriere sembrava essere in vista.

- Cosa ci facciamo qui? - mi chiese, guardandosi intorno, con la mano ancora serrata nella mia.

Alzai l'angolo della bocca, facendo poggiare delicatamente quella bambolina di porcellana al muro, accanto all'insegna di marmo illuminata, prima di baciarla improvvisamente: in una situazione del genere, parlare sarebbe stato letteralmente inutile. Volevo solo le sue labbra sulle mie, accarezzare quelle guance così morbide e non pensare più a nient'altro: niente Taylor, niente matrimonio, niente fuochi, niente litigi. Solo noi.
Ricambiò all'istante, chiudendo gli occhi subito dopo di me, lasciandomi solo immaginare la sua gote diventata, sicuramente, di una tonalità di rosso fin troppo simile a quella di un pomodoro maturo. Sorrisi più volte sulla sua bocca, causando vari morsi da parte sua, ma non potei fare a meno di trarre una conclusione: - Per quanto può sembrare smielato da dire... - iniziai, sollevando di poco le palpebre. - sto iniziando seriamente a pensare che le mie labbra siano state create apposta per combaciare con le tue -.






MANUELA'S POV.


La teoria delle mille cose che possono succedere in appena dieci minuti? Se ne avessi avuto l'occasione (anche se avrebbe significato staccarmi dalle labbra di Harry, quindi no), avrei donato all'inventore di quella tesi un applauso lungo e pieno di stima. Allo spilungone erano bastati dieci minuti quasi contati per avermi fatta sciogliere: mi aveva colta di sorpresa con la sua presenza al matrimonio, seguita in piscina, ballato con me, fatto incrociare le nostre mani insieme e, come se fino a quel momento non fosse bastato, mi aveva anche "rapita". Dopo non molto ci sarebbe stato il taglio della torta, per non parlare delle foto, dei balli, della consegna delle bomboniere e il lancio del bouquet, ma a Harry non importava, e tanto meno a me.
Continuammo a baciarci per un tempo indefinito, con le labbra a fuoco e i battiti così veloci da farci quasi entrare entrambi in tachicardia, le mani intrecciate e i respiri affannati: giurai in quello stesso istante di non aver mai provato così tante emozioni fino ad allora. I fuochi d'artificio sembravano aver smesso di illuminare il cielo: al posto delle classiche e scontate farfalle, ero più che convinta che si fossero tutti trasferiti all'interno del mio stomaco.
Sentivo la pelle bruciare, al di sotto del suo tocco così delicato e leggero, ma non capii bene il motivo per cui non volesse trattenere le mani su un solo punto: passava dalla schiena alle guance, ai fianchi per poi di nuovo al mio viso. Riuscivo a sentirlo dappertutto, in ogni singolo lembo di epidermide, e mi sembrò di non aver mai trovato nient'altro di più giusto.
Purtroppo, fu la mia suoneria fin troppo assordante ad interrompere tutto, facendomi sbuffare leggermente a pochi millimetri dalla sua bocca; sentii le nostre labbra sfiorarsi, non appena sussurrò: - Non rispondere - e mi scappò un ennesimo sorriso. Piegai la testa di lato, permettendogli di baciarmi meglio la guancia e il collo, prima di sfilare il cellulare dalla tasca della giacca e sbloccare lo schermo, dove una foto di Daniela mi osservava impaziente: per quanto amassi Nicki Minaj, in quel momento dovetti ammettere che, nel contesto generale, non c'entrasse assolutamente nulla. - Pronto? -.

- Ti lamentavi tanto del fatto che tua madre, al supermercato, avesse la capacità di sparire in appena due minuti - cominciò la mia amica, facendomi alzare gli occhi al cielo. - Ma non credo tu sia poi così diversa, cara! -.
- Che ci vuoi fare? Sono capacità di famiglia - risposi ridacchiando, portandomi dietro anche lo spilungone. Continuai ad accarezzargli i capelli, sentendo la mandibola sempre più umida a causa dei suoi baci insistenti, e dovetti letteralmente combattere contro me stessa per non esplodere.
- Il verbo "avvertire" non ha significato per te?! - si aggiunse Mara, facendomi intuire la presenza del viva-voce dall'altra parte. - Stiamo per tagliare la torta e tu ti sei volatilizzata nell'aria! -.

Sbuffai leggermente, facendole continuare a predicare, prima di lasciare un morbido e silenzioso bacio sulle labbra perfette di Harry: quella sottospecie di "scappatella segreta" rendeva il tutto ancora più eccitante e divertente. Ma, ad un certo punto, decisi di porre fine a quel monologo infinito delle mie amiche con una scusa quasi convincente: - Sono su un taxi verso casa, i piedi mi stavano letteralmente sanguinando dal dolore e stavo per rimettere tutti i dolci in piscina -. Una bugia detta a fin di bene, se per bene si intendeva altri baci con lo spilungone.

- Avresti potuto avvisarci, saremmo venute con te - rispose Margaret, sospirando. - Appena arrivi, chiuditi dentro -.

Sospirai anch'io, consapevole della reale preoccupazione delle ragazze, ma desiderai comunque che la conversazione non si tirasse per le lunghe: tra i baci bollenti di Harry, le sue mani quasi sul fondo schiena e il suo respiro caldo ero letteralmente sul punto di impazzire.

- Comunque noi abbiamo trovato  i ragazzi, pazzesco - continuò Daniela, sviando l'argomento. - Ma manca Harry: mica è lì con te o lo hai visto? -.

Guardai il diretto interessato negli occhi, non sbattendo nemmeno le palpebre, prima di rispondere senza un briciolo di coscienza: - Da quando in qua lo spilungone è il centro della mia vita? -. Ero perfettamente consapevole del fatto di non aver detto una cosa molto carina, soprattutto davanti a lui, ma il suo sorriso mi rassicurò all'istante: forse, piano piano, anche Harry stava imparando a conoscermi.

- Hai ragione, domanda inutile - continuò Daniela, soffocando una risata. - Senti, noi stasera restiamo a dormire dai ragazzi: ti veniamo a prendere così andiamo tutti insieme? -.
- E cercare di prendere sonno mentre venite tutti e sei quasi contemporaneamente? Ehm... no - risposi, scoppiando a ridere. - Per stanotte passo -.

Harry, davanti a me, cercò in tutti i modi di restare composto e trattenersi ma, a giudicare dalle labbra attirate dai denti, sapevo che sarebbe scoppiato a ridere da un momento all'altro. Dal telefono, nel frattempo, provenne solo un "Manuela!" talmente sconvolto che mi fece subito capire ogni cosa: non appena mi ricordai del viva-voce da parte delle ragazze, immaginando ben quasi centocinquanta teste girate nella loro direzione, spalancai gli occhi, iniziai a battere le mani ripetutamente e fui perfino costretta a piegarmi sulle ginocchia per le troppe risate. Lo spilungone, nel frattempo, si lasciò finalmente andare in una risata silenziosa a pieni polmoni, strizzando gli occhi, prima di collassare con la schiena contro il muro d'entrata: il tutto continuò per alcuni minuti, finché non mi rialzai e riportai il cellulare all'orecchio.

- Hai finito? No perché, sai, ora dobbiamo rimediare alla madornale figuraccia che ci hai fatto fare! - sbottò Margaret. - Credo sia meglio per te, se domani non ti fai proprio trovare! -.

Terminai la chiamata, solo per cercare di smettere di ridere ma, dopo aver guardato in faccia Harry, scoppiammo finalmente entrambi anche peggio di prima. Mi sembrò di non aver mai sentito la risata così piena del ragazzo davanti a me e, non appena mi beai di quel suono così divertente ma meraviglioso, un sorriso mi rimase incollato sul volto fino a farmi provare dolore agli zigomi. Lui, non appena se ne accorse, ricambiò immediatamente e mi raggiunse, per poi intrecciare le mani dietro la mia schiena, e io rimasi di nuovo incantata da quegli smeraldi che gli erano stati donati, prima che un dolore incredibile non mi attraversasse di nuovo la spina dorsale, mozzandomi il fiato.

- Merda - sussurrai, chiudendo gli occhi.

Harry mi guardò stranito, controllandosi l'alito, prima di rivolgere di nuovo l'attenzione su di me: - Ho ancora l'alito di pesce? Diamine, ho persino mangiato delle fragole col cioccolato sopra! -.
Mi scappò un mezzo sorriso, nel vederlo così imbarazzato e in ansia, ma non persi tempo a tranquillizzarlo: - Non c'entra il tuo alito, è colpa di queste cose maledette! - e così dicendo, mandando al diavolo qualsiasi principio di femminilità e cose varie, mi sfilai le scarpe una volta per tutte, strizzando gli occhi non appena poggiai i piedi doloranti sulla ghiaia.
Harry continuò a guardarmi con un angolo della bocca alzato, prima di afferrarmi e farmi rimanere letteralmente senza parole: mi aveva appena presa in braccio stile principessa e le guance mi si incenerirono quasi completamente, al solo sentire i palmi delle sue mani a contatto con la schiena e le cosce. Ma, durante il tragitto verso la macchina, la mia attenzione fu attirata solo dalle sue fossette, ancora non completamente sparite, e le labbra mi si schiusero quasi istintivamente, mentre una parte del viso entrò in contatto con il tessuto morbido della sua giacca. Mi lasciai cullare per tutto il tempo, con le palpebre abbassate, ma mi sembrò un vero e proprio sogno solo quando lo sentii aprire la portiera e poggiarmi delicatamente sul sedile accanto a quello di guida.

Gentiluomo fino al midollo, eh, Styles?

Aspettai che raggiungesse il posto accanto al mio e, durante l'intero tragitto verso casa, nessuno dei due osò pronunciare qualcosa: la radio rimase spenta per tutto il tempo, facendo aleggiare un completo silenzio che però, stranamente, non mi sembrò così imbarazzato come mi ero aspettata. Cercai il suo sguardo con la coda dell'occhio e, soffermandomi per un po' sulle sue mani, rimasi quasi senza parole, non appena notai l'incredibile grazia naturale con la quale svolgeva ogni singola cosa: persino sterzare o cambiare marcia, se compiute da lui, sembravano azioni del tutto inappropriate per qualsiasi altro essere umano.
Soprattutto per me, prendendo il considerazione il fatto che, alla guida, sembrassi più una vichinga che una principessa dalle manine delicate.
Io e Harry avremmo dovuto parlare di tante cose, forse anche troppe, ma il pensiero di doverlo fare quella sera non mi sfiorò nemmeno l'anticamera del cervello: mi rifiutai categoricamente di dover rovinare quei momenti o quelli che sarebbero arrivati successivamente, semplicemente parlando. Ma quello che mi preoccupò davvero fu il pensiero su cosa fare, nell'esatto momento in cui intravidi casa mia dal finestrino: avrei dovuto baciarlo o far finta di niente? Farlo entrare o scendere dalla macchina alla velocità della luce, così da impedire una qualsiasi  figuraccia?
Sussurrai un: - Eccoci qua - non appena fermò la macchina proprio davanti il mio vialetto e mi sembrò quasi di sentire un: - Già -, strafogato di imbarazzo, da parte sua. Mi irrigidii sul sedile, non sapendo proprio cos'altro dire e lasciando la patata bollente a Harry ma, a giudicare dal rumorino delle sue dita picchiettate contro il volante, intuii che nemmeno lui avesse molto da aggiungere.

- Ti va di, uhm... - cercai di aggiungere, continuando a guardare davanti a me. - Entrare? -.

La serata si sarebbe potuta concludere come in un perfetto americano, dove il ragazzo accetta la proposta e i protagonisti si ritrovano a darci dentro sul tavolo della cucina, ma il solo pensiero mi fece sentire le orecchie bollenti anche più delle guance. Harry sembrò della stessa opinione, a giudicare dalla sua figura irrigidita quasi quanto la mia, ma cercò comunque di rispondermi: - Non vorrei, uhm... disturbare, ecco -.

- Non sei tu che disturbi - risposi istintivamente, dopo essermi dimenticata di connettere la bocca col cervello prima di parlare. - Solo che i piedi mi fanno un male atroce e penso che stiano sanguinando per davvero -.

Conclusi la frase ridendo, portandomi dietro anche lui, prima di rigirarmi le scarpe tra le mani e ripiombando di nuovo nel silenzio più totale. La decisione finale arrivò da parte mia, quando mi auto-convinsi che dileguarsi sarebbe stata la scelta migliore, e afferrai la maniglia per poter finalmente uscire da quella situazione così imbarazzante. La voglia di baciare di nuovo quelle labbra così perfette ed essere stretta tra le sue braccia mi fece quasi annebbiare la vista: avvenimento che successe per davvero, non appena la sua presa delicata mi fece tornare perfettamente seduta, con le nostre bocche perfettamente combaciate tra loro. Ricambiai il bacio all'istante, sentendomi al settimo cielo per tutto il tempo, e le mani sembrarono prendere vita propria, intrecciate meccanicamente tra i suoi capelli ormai completamente scompigliati; esattamente come al resort, sentii l'intero volto a contatto con i suoi polpastrelli e giurai, sul mio pupazzo preferito di Pikachu, che sarei potuta rimanere così fino alla fine dei tempi, senza pronunciare un solo lamento.
Fummo costretti a staccarci solo quando ci ritrovammo entrambi senza fiato, continuando a tenere gli occhi fissi in quelli dell'altro/a, prima che sussurrassi un "Notte" talmente impercettibile da farmi persino chiedere se lo avesse sentito. Ma ottenni la risposta non appena sorrise di nuovo, ricambiando il saluto, prima di accarezzarmi dolcemente la guancia con l'indice.
Una volta uscita a tutti gli effetti dalla macchina, con i piedi a contatto con le mattonelle umide del mio vialetto, feci davvero fatica a rimanere in posizione eretta e concentrata a non barcollare troppo fino alla porta: il tutto, con un sorriso da tremenda ebete incollato in faccia. 






 
                                                                       My lips've been created especially to be merged with yours







*episodio tratto da una (quasi) storia vera.



Spazio Autrice: Hola, belle pimpe!
Prima cosa da dire: scusate il ritardo;
Seconda cosa da dire: è il capitolo più lungo che abbia mai scritto fino ad ora - quasi una ventina di pagine di Word -.
Amo letteralmente ricevere le vostre recensioni e la storia sta diventando sempre più popolare = questa ragazza più felice! Domande del giorno:
1) cosa ne pensate?
2) se aveste la possibilità di dare un consiglio a Harry su come comportarsi con Manuela, cosa gli direste?
3) qual è il momento che vi ha fatto più emozionare?
Chiedo scusa per eventuali errori e nulla, alla prossima! (Si spera il più presso possibile).
Peace and Love
Xx Manuela


 
   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Miss One Direction