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Autore: HamletRedDiablo    23/12/2013    8 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo Tredici: Gunsmith

 

 

Ogni Hellsing deve avere un famiglio.

Per essere più precisi, ogni Hellsing creava il suo famiglio. Il primo degli sterminatori aveva tramandato quella tecnica, che richiedeva concentrazione, pazienza e, soprattutto, costanza: occorreva un mese intero per dare vita a un gregario degno. Quando un Hellsing riusciva a plasmare il proprio compagno di battaglia, passava dal grado di semplice cadetto a quello di sterminatore effettivo: dimostrando di essere in grado di padroneggiare la propria creatura, un combattente guadagnava il diritto di scendere sul campo di battaglia.

Lui era nato dalle mani di un Hellsing piuttosto bizzarro: usava uno strano strumento a forma di otto, per combattere. Quell’arma sembrava difettosa: era fatta di legno, e si lamentava ogni volta che l’archetto scivolava sulle sue corde. Tuttavia, il suo padrone era buono e gentile: aveva creato una superba spilla con la sua immagine, in cui lui riposava e da cui poteva sentire il suono di quella bizzarria di legno che chiamavano violino.

Un famiglio esiste per servire l’Hellsing che l’ha creato; nel momento in cui un Hellsing muore, muore anche il suo famiglio.

Il suo padrone non era propriamente morto, ma aveva tradito tutto il suo popolo: pur continuando a respirare, lo sterminatore gentile si era estinto. E lui non aveva più senso di esistere, senza un padrone.

Avevano cominciato a cadergli le piume, delle spesse graffiature gli facevano sanguinare il becco, e non riusciva più a mantenere dritto l’assetto di volo. Era atterrato malamente su un asteroide poco distante dal pianeta, in attesa della morte. E lì li aveva incontrati: altri cinque famigli che, come lui, avevano perso il loro Hellsing. Avevano combattuto a fianco del loro sterminatore finché i demoni non li avevano divorati tutti; poi, presi dal panico, erano fuggiti anziché seguire i loro padroni nel loro destino. Avevano solo posticipato l’inevitabile: senza un Hellsing da seguire, sarebbero avvizziti come una pianta senza nutrimento.

Non aveva intenzione di giudicarli per aver abbandonato il pianeta anziché farsi mangiare dai diavoli; si spostò in modo che i suoi cinque colleghi potessero accostarsi a lui, e si accovacciarono tutti insieme in silenzio, aspettando che la nera signora li falciasse uno per uno.

Passarono tre giorni prima che la speranza bussasse di nuovo alla loro porta.

Le piume erano cadute quasi completamente, lasciando scoperta la pelle desquamata; il becco era ingrigito e indebolito, come se un batterio sconosciuto lo avesse spolpato. Non avevano più la forza di alzarsi sulle zampe o di stendere le ali: ormai non mancava molto.

Un improperio troppo colorito per una bocca troppo giovane li scrollò dal loro torpore.

Il piccolo Hellsing, che un giorno sarebbe diventato la guida del loro popolo, stava prendendo a calci i sassi di quel pianeta, imprecando a gola spiegata. Un torrente di lacrime scorreva sulle sue guance da bambino, mentre malediceva tutti i demoni che si erano mangiati la sua gente.

Aprì il becco, e il suo gracchiare rauco fece voltare il bimbo che, in un moto di orgoglio infantile, sfregò la manica impolverata della camicia sulle lacrime; la polvere portata dal tessuto e il lungo pianto resero la cornea rossa quanto le sue iridi.

«Siete rimasti senza padrone?» si avvicinò fino a raggiungere la sua testa esausta, riversa a terra. Il famiglio annuì anche a nome degli altri.

Sul volto del bambino si lesse una rassegnazione terribile. Aveva assistito al massacro della sua gente, per questo non si era preso nemmeno il disturbo di chiedere se i loro padroni fossero da qualche parte. Il luogo in cui riposavano gli Hellsing erano gli stomaci dei demoni che li avevano divorati. Gilbert strinse i piccoli pugni, a quel pensiero.

Inoltre, le condizioni di quel sestetto di gregari erano troppo scalcinate per lasciare spazio ai dubbi: erano rimasti senza padrone, pronti a intraprendere una lenta discesa verso la morte.

Gilbert stese la mano e la appoggiò sul capo spiumato del più vicino dei famigli, un enorme gufo delle vette; dedusse la sua provenienza dalle poche piume ancora attaccate, candide come la neve.

«Voi siete gli unici sopravvissuti, insieme a me» rifletté, passando ad accarezzare la gigantesca civetta poco distante. «Ma non avete più un padrone…»

Il piccolo si rialzò, con una decisione ferrea a illuminargli il viso paffuto.

«So come si creano le spille. Mio padre me l’ha insegnato. Ma non posso lasciarvi in questa forma… senza padrone, siete destinati a morire» Gilbert passeggiò in cerchio, rimuginando elucubrazioni e teorie, finché la scintilla di un’idea non gli rischiarò la mente.

«Aspettatemi qui» si raccomandò, inutilmente: in quelle condizioni, non potevano muoversi in alcun modo. «Sarò di ritorno tra due giorni. Ve lo prometto.»

Richiamò Gilbird, gli montò in groppa e sparì nel cielo. Come promesso, due giorni dopo si ripresentò sull’asteroide, con uno zaino più grande di lui sulle spalle. Le sue gambette traballarono paurosamente, quando oscillò verso di loro sotto il peso del suo bagaglio.

«Sono stato dal fabbro del pianeta più vicino. Avevo bisogno della sua officina. E poi sono stato dal sarto» i famigli non compresero il senso delle sue parole finché non lo videro estrarre il contenuto dello zaino: stoffe, stoffe e ancora stoffe, tagliate e cucite in modo piuttosto spartano, e sei spille a forma di essere umano. Si vedeva la mano infantile, in quelle forme troppo tonde e con la testa sproporzionata rispetto al corpo.

Non si mosse, quando il piccolo gli avvicinò la punta della spilla al collo rinsecchito; emise appena un gracidio, quando lo punse. Poi, all’improvviso, tutto cambiò: dal collo partì una scarica elettrica che lo fece tremare in tutto il corpo; le membra si allungarono in forme a lui del tutto sconosciute, il becco si ritirò nella faccia, il piumaggio migrò tutto in cima alla testa.

La prima cosa che i suoi occhi nuovi misero a fuoco furono un paio di strane appendici dotate di dieci diramazioni secondarie.

«Ha funzionato!» festeggiò il bambino, lanciandogli addosso uno dei vestiti più grandi. «Sei diventato un essere umano!»

Aveva vissuto in mezzo agli Hellsing abbastanza a lungo da sapere come si infilavano quegli abiti, per cui riuscì a fare uscire testa, braccia e gambe dai buchi giusti. Gilbert osservò quel gigante d’uomo fasciato dai vestiti lievemente troppo stretti per lui: era alto e grosso come un orso, con un paio di spaesati occhi azzurri e un’irsuta chioma bionda.

«Ti ricordi il tuo nome?» domandò Gilbert, mentre si chinava sulla civetta per pungerla con la seconda spilla.

L’omone batté le palpebre sugli occhi sgranati, due volte, e boccheggiò, tre volte, prima di raspare, con voce cavernosa:

«Mi chiamo…»

 

***

 

«Mathias!»

L’uomo si alzò di soprassalto dal divanetto su cui non si era accorto di essersi appisolato.

Norge lo stava chiamando, con un’impazienza collerica negli occhi violacei.

«Che succede?» sbadigliò l’omone.

Il ragazzo gli assestò uno scappellotto sulla testa dura, e sparò:

«Oggi torna Gilbert! Hai finito di preparare le sue armi?»

Norge sistemò nervosamente la zazzera platino sotto il cappellino blu che indossava ogni giorno: era stata l’ultima cosa che Gilbert gli aveva messo addosso, quando si era trasformato in essere umano.

Mathias annuì mollemente con il testone, slogandosi la mascella in uno sbadiglio.

«Ho finito ieri, non appena Vash mi ha passato il fucile» si stiracchiò, mentre tranquillizzava il suo compagno.

Tra i Gunsmith, loro due erano la coppia addetta all’incantamento delle armi; Vash e Lily erano i fabbri, mentre Berwald e Tino si occupavano delle protesti.

L’Hellsing li aveva trasformati e vestiti, e li aveva accompagnati durante i primi mesi, in cui avevano faticato di più ad abituarsi a quel nuovo corpo: si muovevano come burattini cui erano stati tagliati i fili, tremendamente goffi, con le estremità che sfuggivano al loro controllo quasi avessero volontà propria. Gilbert li aveva aiutati ad acquistare confidenza con il loro nuovo corpo. La cosa che aveva loro creato più problemi era stato adattarsi ai nuovi occhi umani: le pupille riflettevano il mondo in un modo del tutto diverso, con una gamma di colori mai vista prima. Faticarono ad abituarsi ai nuovi colori del mondo, così come trasalirono tutti insieme nell’assaggiare il cibo umano: nella loro forma di famigli non avvertivano mai i morsi della fame. Avevano creduto che quel nuovo corpo fosse difettoso, quando avevano sentito i gorgoglii dello stomaco: poi Gilbert aveva portato un canestro pieno di leccornie, e avevano scoperto quanto appagare la fame potesse essere soddisfacente.

Ma nemmeno Gilbert era riuscito a consigliarli quando avevano avvertito una pulsione sconosciuta fargli tremare il cuore. E un’altra parte del corpo, aveva ammesso vergognosamente Mathias con se stesso. L’Hellsing era troppo piccolo per sapere cosa volesse dire innamorarsi, ma i sei famigli erano nell’età giusta; tuttavia, non avevano idea di cosa quei batticuori potessero significare: Tino aveva disseminato involontariamente il panico, quando aveva candidamente suggerito che forse erano l’anticamera dell’infarto. Erano state creature asessuate fino a poco tempo prima, e pensavano che le cose che avevano in mezzo alle gambe servissero solo come canale di scolo per le scorie.

Berwald aveva preso la questione di petto: un bel giorno, aveva afferrato Tino per le spalle e, dopo averlo mostrato a tutti, aveva dichiarato che, da quel momento, quel dolce ragazzo sarebbe stato sua moglie. La pelle bianca di Tino era esplosa in un rosso congestionato e, nei primi tempi, aveva protestato, pur mantenendo il suo atteggiamento docile - venato di timore per quel colosso con gli occhiali. Poi le lamentele cortesi si erano smorzate fino a spegnersi del tutto. Nessuno aveva indagato sul motivo, così come nessuno aveva chiesto perché alcune volte i due sparissero fino alla mattina.

Dopo era venuto il turno di Vash e Lily: l’unica femmina del gruppo aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo con la fronte perennemente corrugata che chiamava “fratellone”. Non avevano dichiarato nulla di plateale come Berwald, ma Vash aveva cominciato a dormire vicino a Lily, e a cacciare furiosamente chiunque si avvicinasse a loro. Infine, Mathias aveva iniziato a interessarsi a Norge; era stato un corteggiamento lungo e sofferto, specie perché il colosso, con il suo modo di fare da sempliciotto burlone, riusciva sempre a rovinare ogni momento potenzialmente romantico.

Gilbert aveva assistito con serenità alla realizzazione di quelle coppie; e quando anche Mathias e Norge erano diventati ufficiali, Gilbert gli aveva fatto un ultimo dono.

Li aveva portati su un pianeta inabitato, e lì li aveva aiutati, insieme a Gilbird, a costruire una casa. Poi, aveva annunciato il suo progetto: sarebbe tornato nel suo mondo per liberarlo da tutti i demoni.

Mathias lo aveva placcato, impedendogli fisicamente di muoversi, e gli aveva strappato un accordo: non avrebbe lasciato quel pianeta finché non avessero trovato un modo per ripagarlo, almeno un poco. Aveva dato loro la vita, li aveva assistiti nella crescita, e gli aveva trovato un nuovo posto in cui abitare.

Gilbert aveva così atteso, coccolato da Lily – entusiasta per la scoperta dell’istinto materno, sentimento sconosciuto a un famiglio creato artificialmente – e assistito dai maschietti. Non avevano impiegato molto tempo per imparare il loro nuovo mestiere: erano creature nate due volte dalla magia, i loro ritmi di apprendimento per le arti erano accelerati rispetto agli esseri umani. In pochi anni Vash e Lily avevano imparato a forgiare armi, Berwald e Tino a creare protesi, e Mathias e Norge a incantare i prodotti delle altre coppie. Avevano creato armi magiche per proteggere il loro angelo salvatore, e avevano salutato un Gilbert quattordicenne mentre partiva per la liberazione del suo pianeta.

«Un giorno ripagheremo il nostro debito» aveva proclamato Mathias.

«Questo è sicuro» aveva avvalorato Berwald, con la sua voce da lupo delle montagne.

«Fai attenzione, Gilbert» si raccomandò Lily, tormentando un fazzoletto.

L’Hellsing era sparito con il suo ghigno caratteristico, ed era ricomparso solo qualche giorno prima. Gli occhi erano più stanchi e il corpo era maturato in quello di un uomo, ma la furbizia che si annidava dietro il suo sorrisetto era rimasta immutata.

Mathias sentì Lily trafficare nella cucina, in balia del suo istinto materno che le imponeva di cucinare qualcosa per il loro pupillo. Tino stava spazzando per terra, Berwald e Vash osservavano quel delirio domestico a metà tra lo sconcertato e il timoroso, Norge aspettava ancora che lui schiodasse il coccige dal divano.

Mathias si alzò per accontentare il compagno, e batté le mani quando sentì bussare alla porta.

«Gilbert è arrivato!»

Lily arrotolò il grembiule e lo gettò su una sedia in cucina, Tino nascose la scopa e si mise in posizione vicino alla porta; gli altri quattro li raggiunsero e si prepararono ad accogliere il loro salvatore.

Il saluto si atrofizzò nell’aria, quando lo videro varcare la soglia assieme all’uomo responsabile della distruzione degli Hellsing. Tutti fecero un passo indietro, istintivamente, nel riconoscere l’assassino della loro specie; solo Mathias non si mosse, e fissò il compositore che avanzava faticosamente, sorretto da Gilbert.

«Roderich?» lo identificò.

L’uomo sollevò lentamente il volto su di lui, e una confusione totale vagò nelle iridi ametista.

«Ero il tuo famiglio. Mathias» svelò.

Il disorientamento tinse per qualche altro secondo gli occhi del violinista, prima che questi si spalancassero in una sorpresa morigerata.

«Mathias? Come è possibile? Un famiglio non sopravvive senza il suo Hellsing…» obiettò, garbato ed esausto.

«Gilbert l’ha salvato» telegrafò Vash.

«Ci ha salvati tutti» sottolineò Lily.

Gilbert mordicchiò il labbro inferiore. Stava per chiedere un favore enorme ai suoi vecchi amici: guardando Roderich, loro vedevano solo l’uomo responsabile dell’eccidio degli Hellsing. Ma sperava di cuore che accettassero comunque la sua richiesta: non aveva tempo di spiegare loro la situazione, la ferita di Roderich era troppo grave.

«Potete aiutarlo?» domandò, indicando con gli occhi il moncherino dell’uomo, malamente fasciato dai pirati.

I due Gunsmith responsabili delle protesi si fissarono per un attimo in silenzio – Berwald con gelida ostilità e Tino con allarme – prima di chinare entrambi il capo in un assenso: odiavano quell’uomo, ma la stima che nutrivano per Gilbert era troppo profonda. Doveva esserci una spiegazione a quella situazione, ed erano sicuri che l’Hellsing gliel’avrebbe fornita. Per il momento, dovevano solo fare il loro dovere.

 

***

 

Berwald e Tino si dimostrarono professionali e precisi come sempre, sebbene il loro paziente fosse una persona sgradita: il più piccolo dei due analizzò la lesione dell’Accordatore, e spiegò al collega che tipo di protesi occorresse. Berwald si ritirò in uno stanzino – la cui entrata era coperta da una pesante tenda di velluto blu – per alcuni minuti, durante i quali i presenti furono allietati dai suoni di seghe elettriche, tonfi e allacciature meccaniche.

L’omone riemerse esibendo un’impeccabile riproduzione di una mano umana: le giunture erano state ricreate con molle avvolte da una pasta di gomma morbida, le ossa di metallo e gli ingranaggi installati per permettere alle dita artificiali di muoversi correvano sotto il rivestimento di pelle sintetica, per evitare che i meccanismi prendessero polvere o ruggine.

«L’allacciamento farà male» avvertì Berwald con la sua voce baritonale, e sistemò gli occhiali prima di procedere alla congiunzione. Roderich contrasse tutto il volto quando gli aghi della protesi gli penetrarono la carne per allacciarsi ai muscoli e alle ossa.

Il Gunsmith lanciò un’occhiata eloquente al binomio addetto ai traffici magici: la protesi non era nulla, senza i loro pasticci sovrannaturali. Mathias accettò quell’onere: la nuvola scura scesa sul volto di Norge non prometteva nulla di buono, e non avrebbe costretto il suo compagno a lavorare controvoglia.

Si inginocchiò di fianco al suo ex-padrone, estrasse una fiala di liquido iridescente dal tascapane e la versò con dovizia sul punto di congiunzione: un sottile sfrigolio si propagò nell’aria, mentre la carne di fondeva completamente alla nuova appendice meccanica.

Roderich non emise un suono per tutto il tempo. Nel lungo svenimento seguito alla sua mutilazione, aveva rivissuto tutti i crimini perpetrati nel nome del Vaticano: l’Accordatore lo aveva fatto senza scrupolo e senza rimorso, ma l’Hellsing aveva sofferto per ogni singola goccia di sangue. Il ricordo che più lo tormentava, era quello della sua gente che si dibatteva nelle bocche dei demoni. E il viso di Elizabeta, che lo guardava con l’ombra di un sorriso nonostante lui le avesse appena squarciato il petto con la sua musica, come se fosse sicura che un giorno Roderich sarebbe tornato.

Quel giorno era venuto. Ma non c’era più nessuno ad aspettarlo.

«Come stai?»

Roderich testò la mobilità del nuovo arto per dissimulare un sorriso. No, qualcuno c’era. Il più tenace e testardo di tutti gli Hellsing.

«Mi occorrerà qualche giorno per imparare a muoverla correttamente» valutò, atono.

Gli occhi dei Gunsmith saettavano dall’Accordatore a Gilbert ai loro colleghi, incerti sul da farsi. Avevano compiuto il loro dovere, ma erano restii all’idea di permettere a quell’individuo di lasciare la loro casa. Caina era il giusto posto per quell’essere, o una delle altre due Prigioni.

La stigmate di argento, che si stava ossidando man mano che il potere dell’Accordatore scemava, bruciava sulla sua mano sinistra. Roderich la nascose con il nuovo arto, e pronunciò il duo discorso con enorme fatica.

«Anche se mi rendo conto che le scuse non sono sufficienti per rimediare a quanto ho fatto… mi dispiace profondamente di avervi arrecato tanto dolore» ogni vita che aveva strappato sembrava gravargli come uno spettro sulle spalle, opprimendogli il respiro. Prese un lungo fiato prima di proseguire: «Sono stato manipolato dal Vaticano. Mi hanno impiantato un potere che non era mio e che… non sono riuscito a controllare.»

I Gunsmith dirottarono la loro attenzione verso Gilbert, che confermò:

«Non era in lui quando ha liberato i demoni sul nostro pianeta. È tornato cosciente solo quando gli ho tagliato la mano, sul ponte della Reina de la Oscuridad

I Gunsmith annuirono all’unisono, e si fissarono un’ultima volta prima di emettere il loro verdetto.

«Il peso di ciò che hai fatto ti perseguiterà per tutta la vita» sentenziò Norge.

«E questa sarà la tua punizione» avvalorò Berwald.

«Non c’è bisogno di infleggertene un’altra» placò Mathias.

«Hai il nostro perdono» lo rincuorò Lily.

«Ma vedi di rigare dritto» ringhiò Vash.

Gilbert sembrò sollevato quanto Roderich nell’udire quella dichiarazione di clemenza. Era certo che fosse dovuta più alla venerazione che i Gunsmith nutrivano per lui che alla sincera volontà di perdonare il colpevole, ma non aveva importanza.

L’Hellsing si grattò la nuca e domandò all’unica donna presente:

«Lily… hai ancora quella cosa che ti avevo lasciato?»

Lei annuì, e sparì dietro una tenda di colore rosa. I Gunsmith attesero in silenzio che la donna facesse ritorno; Roderich non articolò una parola, anche se la sua bocca si spalancò per la sorpresa.

Lily aprì la custodia dalla forma inconfondibile, e l’uomo ringraziò di essere già seduto, altrimenti le sue ginocchia sarebbero venute meno.

Le dita della mano sana tremarono visibilmente nell’accarezzare le corde e il legno dello strumento. Le sue forme erano ancora levigate, e le corde perfettamente tese: quella donna si era presa cura del suo violino come si conveniva.

«Dove lo hai trovato?» riuscì a buttare fuori, quando ottenne di nuovo il controllo delle parole.

«Dove lo avevi lasciato» Gilbert evitò di specificare che lo aveva trovato vicino al corpo di Elizabeta, dove l’Accordatore lo aveva fatto cadere quasi si trattasse di pattume.

Roderich accarezzò lo strumento con devozione, prima di sollevarlo dalla custodia imbottita. Lo girò delicatamente, ed ebbe conferma che si trattava proprio del suo violino; in caratteri arabescati, era stato inciso un titolo: “Il diamante della battaglia”.

«Cosa hai fatto, in tutti questi anni?» chiese Lily a Gilbert, cercando di distogliere l’attenzione generale dal musicista troppo commosso per parlare.

L’Hellsing prese fiato e coraggio prima di rispondere:

«Mi sono ripreso il pianeta, anche se adesso è solo una landa gelata. Ho creato il mio fratellino minore. Sono stato rinchiuso a Caina nove anni. E…» Gilbert esitò prima di aggiungere l’ultima parte. «Ho incontrato una persona.»

Roderich ingoiò le lacrime per prestare attenzione al racconto del suo figlio adottivo, e i Gunsmith si sistemarono a semicerchio intorno a lui.

«E questa persona dov’è, adesso?» lo spronò dolcemente Lily.

Una saetta di dolore trafisse il volto spavaldo dell’Hellsing, che annunciò:

«Non so dove sia.»

I presenti lessero nell’espressione contrita dell’uomo il significato sottinteso di quelle parole: la persona da lui amata era morta.

Prima che Lily o chiunque altro potesse provare a consolarlo in qualche modo, Gilbert sfoderò il suo ghigno più plateale e proclamò:

«Ma so cosa sta facendo. Mi aspetta. Non è ovvio? Quando gli ricapita di trovare una persona meravigliosa come me?» il suo sorriso assunse una sfumatura più seria mentre concludeva: «Mi aspetta sempre. E un giorno lo ritroverò. Ma prima… devo fare il mio mestiere.»

«Ma i demoni si sono estinti. Tu li hai fatti estinguere» gli ricordò Norge.

«Sono rimasti i peggiori: uomini con il cuore da diavolo» Gilbert fece scivolare appena la scimitarra fuori dal fodero, in modo che emettesse un sottilissimo stridio metallico. «Solo dopo averli estirpati potrò andare da lui.»

Il suo discorso sarebbe stato commovente, se solo non fosse stato troncato sul finale da un tremendo frastuono di fronte al portone.

«Oh, ho dimenticato di avvisarvi» si ricordò Gilbert. «Anche Antonio e la sua ciurma hanno bisogno di farsi dare una revisionata alle armi.»

Vash chiuse gli occhi per evitare di rotearli al cielo: avrebbero passato la notte in officina per sistemare l’equipaggiamento di tutta la Reina.

I Gunsmith si diressero velocemente all’entrata per accogliere i nuovi visitatori; solo Norge rimase, e si accostò all’Hellsing, bisbigliandogli:

«Quando attaccherete il Vaticano, avvisateci. Combatteremo insieme a voi.»

«Non siete guerrieri.»

«No, ma siamo armaioli. E credimi, Gilbert, quando sferrerete il vostro attacco, vorrete avere l’Elfo al vostro fianco.»

«L’Elfo?»

«È il nome in codice» Norge se ne andò senza ulteriori spiegazioni.

Gilbert scosse la testa: quel giovane con i capelli di platino era sempre stato enigmatico. Solo Mathias riusciva a strappargli qualche parola in più.

Si mise a sedere di fianco al padre adottivo, che esordì pacato:

«Non ho molto da raccontare di questi anni in cui siamo stati separati. Ma sembra che tu abbia molto da narrare, invece.»

Roderich si appoggiò il violino sulle gambe e lo invitò, con la riservatezza cortese che lo aveva sempre distinto.

«Ti ascolto.»

Gilbert nascose un sorriso dietro uno sbuffo irriverente. La gentilezza di suo padre, a distanza di tanto tempo, era talmente bella da far male.

«C’era questo ragazzo…» cominciò.

«Come si chiamava?»

«Matthew. O, almeno, io lo chiamavo così…»

E decenni di lontananza si srotolarono nel lunghissimo racconto di Gilbert.

 

***

 

Ivan fissò con odio l’angolo del corridoio.

L’Hellsing era sceso nella Fortezza Errante quella mattina, per avvisarli che si sarebbero fermati sul pianeta dei Gunsmith. Il Custode aveva accettato la cosa con un silenzio tombale: la sua mazza ferrata non aveva bisogno di essere revisionata, e lui non sentiva la mancanza dei suoi ospiti.

Gilbert gli aveva indirizzato un’occhiata critica, e aveva commentato:

«Non permetti mai a Yao di uscire?»

Gli occhi ametista si erano abbattuti sull’Hellsing, mentre il gigante tuonava:

«Non ha bisogno di uscire.»

Le sopracciglia argentate di Gilbert si erano curvate nel biasimo, mentre la bocca arrogante lo accusava:

«Sembra più un tuo prigioniero che un tuo ospite.»

«Non preoccuparti di cose che non ti competono, Hellsing.»

L’ammonimento di Ivan risuonò cupo tra le mura mobili della Fortezza, e Gilbert alzò le braccia in segno di resa.

«Come vuoi. Ricordati solo che i prigionieri, prima o poi, scappano. Io sono la prova vivente.»

Non sapeva cosa avesse spinto l’Hellsing a fargli quel discorso. Forse era convinto che tutti dovessero vivere un amore come il suo, fatto di libertà e fiducia. Non gli pareva che lo sterminatore avesse ottenuto un gran risultato: il suo amato era morto suicida.

Preferiva tenere Yao segregato anziché perderlo. Inoltre, aveva fiducia nell’Asean, ma non nel resto del mondo: ci sarebbe stato sicuramente qualcuno pronto a rubarglielo o a sporcarlo, là fuori. Non lo avrebbe permesso: Yao era il suo sole personale. Suo soltanto.

Come evocato dai suoi pensieri, il Figlio del Cielo emerse dalla sua camera, e lo chiamò:

«Ivan. C’è qualcosa che ti turba?»

Il Custode non aveva ancora capito come Yao riuscisse a indovinare le sue espressioni anche quando erano impaludate dalla sciarpa. Non rispose alla sua domanda: si avvicinò a lui e strinse quel corpo tanto più piccolo del suo con le braccia forti.

L’Asean rimase qualche istante fermo, prima di circondargli il collo con le braccia.

«Va tutto bene?» domandò, allarmato dal gelo insolitamente pungente che trapelava dal cappotto dell’uomo.

«Tra pochi giorni approderemo a Chugoku» gli ricordò Ivan. «Come ti fa sentire? Tornare a casa, intendo.»

Sentì le braccia di Yao scivolare lungo le sue finché le mani affusolate gli circondarono i gomiti.

«C’è una cosa che devo raccontarti, Ivan» ammise il Figlio del Cielo. «Voglio che tu sappia esattamente chi dovremo affrontare.»

Il Custode dei Cancelli gli fece cenno di proseguire. Il racconto di Yao cominciò così:

«C’è stato un ragazzo, un tempo, che consideravo come un figlio…»

 

***

 

Il signor Vargas tamburellò le dita sulla scrivania, indeciso.

Era orgoglioso di Feliciano, il suo figlio perfetto che a breve sarebbe diventato il perno della Confederazione. Tuttavia, non poteva ignorare le ansietà del precedente Asse riguardo al suo successore.

Fissò di nuovo il biglietto su cui il vecchio aveva scritto la sua proposta.

Gli occhi si appuntarono sulla frase terminale.

E se il suo potere potesse essere staccato dal corpo?

 

Buonsalve a tutti<3

Ed eccoci arrivati ai Gunsmith… dovevo inserire i Nordici&Co., in qualche modo XD

E il prossimo capitolo… Spamano 8D Prima di tuffarsi nell’arco asiatico<3

Il prossimo capitolo sarà aggiornato di domenica, anziché lunedì, poi si tornerà all’aggiornamento canonico nel giorno della luna<3

A presto<3

Red

   
 
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