Capitolo
Tredici: Gunsmith
Ogni
Hellsing
deve avere un famiglio.
Per
essere più precisi, ogni Hellsing creava
il suo famiglio. Il primo degli sterminatori aveva
tramandato quella tecnica, che richiedeva concentrazione, pazienza e,
soprattutto,
costanza: occorreva un mese intero per dare vita a un gregario degno.
Quando un
Hellsing riusciva a plasmare il proprio compagno di battaglia, passava
dal
grado di semplice cadetto a quello di sterminatore effettivo:
dimostrando di
essere in grado di padroneggiare la propria creatura, un combattente
guadagnava
il diritto di scendere sul campo di battaglia.
Lui
era nato dalle mani di un Hellsing piuttosto bizzarro:
usava uno strano strumento a forma di otto, per combattere.
Quell’arma sembrava
difettosa: era fatta di legno, e si lamentava ogni volta che
l’archetto
scivolava sulle sue corde. Tuttavia, il suo padrone era buono e
gentile: aveva
creato una superba spilla con la sua immagine, in cui lui riposava e da
cui poteva
sentire il suono di quella bizzarria di legno che chiamavano violino.
Un
famiglio
esiste per servire l’Hellsing che l’ha creato; nel
momento in cui un Hellsing
muore, muore anche il suo famiglio.
Il
suo padrone non era propriamente morto, ma aveva tradito
tutto il suo popolo: pur continuando a respirare, lo sterminatore
gentile si
era estinto. E lui non aveva più senso di esistere, senza un
padrone.
Avevano
cominciato a cadergli le piume, delle spesse
graffiature gli facevano sanguinare il becco, e non riusciva
più a mantenere dritto
l’assetto di volo. Era atterrato malamente su un asteroide
poco distante dal
pianeta, in attesa della morte. E lì li aveva incontrati:
altri cinque famigli
che, come lui, avevano perso il loro Hellsing. Avevano combattuto a
fianco del
loro sterminatore finché i demoni non li avevano divorati
tutti; poi, presi dal
panico, erano fuggiti anziché seguire i loro padroni nel
loro destino. Avevano
solo posticipato l’inevitabile: senza un Hellsing da seguire,
sarebbero
avvizziti come una pianta senza nutrimento.
Non
aveva intenzione di giudicarli per aver abbandonato il
pianeta anziché farsi mangiare dai diavoli; si
spostò in modo che i suoi cinque
colleghi potessero accostarsi a lui, e si accovacciarono tutti insieme
in
silenzio, aspettando che la nera signora li falciasse uno per uno.
Passarono
tre giorni prima che la speranza bussasse di nuovo
alla loro porta.
Le
piume erano cadute quasi completamente, lasciando
scoperta la pelle desquamata; il becco era ingrigito e indebolito, come
se un
batterio sconosciuto lo avesse spolpato. Non avevano più la
forza di alzarsi
sulle zampe o di stendere le ali: ormai non mancava molto.
Un
improperio troppo colorito per una bocca troppo giovane
li scrollò dal loro torpore.
Il
piccolo Hellsing, che un giorno sarebbe diventato la
guida del loro popolo, stava prendendo a calci i sassi di quel pianeta,
imprecando a gola spiegata. Un torrente di lacrime scorreva sulle sue
guance da
bambino, mentre malediceva tutti i demoni che si erano mangiati la sua
gente.
Aprì
il becco, e il suo gracchiare rauco fece voltare il
bimbo che, in un moto di orgoglio infantile, sfregò la
manica impolverata della
camicia sulle lacrime; la polvere portata dal tessuto e il lungo pianto
resero
la cornea rossa quanto le sue iridi.
«Siete
rimasti senza padrone?» si avvicinò fino a
raggiungere la sua testa esausta, riversa a terra. Il famiglio
annuì anche a
nome degli altri.
Sul
volto del bambino si lesse una rassegnazione terribile.
Aveva assistito al massacro della sua gente, per questo non si era
preso nemmeno
il disturbo di chiedere se i loro padroni fossero da qualche parte. Il
luogo in
cui riposavano gli Hellsing erano gli stomaci dei demoni che li avevano
divorati. Gilbert strinse i piccoli pugni, a quel pensiero.
Inoltre,
le condizioni di quel sestetto di gregari erano
troppo scalcinate per lasciare spazio ai dubbi: erano rimasti senza
padrone,
pronti a intraprendere una lenta discesa verso la morte.
Gilbert
stese la mano e la appoggiò sul capo spiumato del
più vicino dei famigli, un enorme gufo delle vette; dedusse
la sua provenienza
dalle poche piume ancora attaccate, candide come la neve.
«Voi
siete gli unici sopravvissuti, insieme a me»
rifletté,
passando ad accarezzare la gigantesca civetta poco distante.
«Ma non avete più
un padrone…»
Il
piccolo si rialzò, con una decisione ferrea a
illuminargli il viso paffuto.
«So
come si creano le spille. Mio padre me l’ha insegnato.
Ma non posso lasciarvi in questa forma… senza padrone, siete
destinati a morire»
Gilbert passeggiò in cerchio, rimuginando elucubrazioni e
teorie, finché la
scintilla di un’idea non gli rischiarò la mente.
«Aspettatemi
qui» si raccomandò, inutilmente: in quelle
condizioni, non potevano muoversi in alcun modo.
«Sarò di ritorno tra due
giorni. Ve lo prometto.»
Richiamò
Gilbird, gli montò in groppa e sparì nel cielo.
Come promesso, due giorni dopo si ripresentò
sull’asteroide, con uno zaino più
grande di lui sulle spalle. Le sue gambette traballarono paurosamente,
quando
oscillò verso di loro sotto il peso del suo bagaglio.
«Sono
stato dal fabbro del pianeta più vicino. Avevo bisogno
della sua officina. E poi sono stato dal sarto» i famigli non
compresero il
senso delle sue parole finché non lo videro estrarre il
contenuto dello zaino:
stoffe, stoffe e ancora stoffe, tagliate e cucite in modo piuttosto
spartano, e
sei spille a forma di essere umano. Si vedeva la mano infantile, in
quelle
forme troppo tonde e con la testa sproporzionata rispetto al corpo.
Non
si mosse, quando il piccolo gli avvicinò la punta della
spilla al collo rinsecchito; emise appena un gracidio, quando lo punse.
Poi,
all’improvviso, tutto cambiò: dal collo
partì una scarica elettrica che lo fece
tremare in tutto il corpo; le membra si allungarono in forme a lui del
tutto
sconosciute, il becco si ritirò nella faccia, il piumaggio
migrò tutto in cima
alla testa.
La
prima cosa che i suoi occhi nuovi misero a fuoco furono
un paio di strane appendici dotate di dieci diramazioni secondarie.
«Ha
funzionato!» festeggiò il bambino, lanciandogli
addosso
uno dei vestiti più grandi. «Sei diventato un
essere umano!»
Aveva
vissuto in mezzo agli Hellsing abbastanza a lungo da
sapere come si infilavano quegli abiti, per cui riuscì a
fare uscire testa,
braccia e gambe dai buchi giusti. Gilbert osservò quel
gigante d’uomo fasciato
dai vestiti lievemente troppo stretti per lui: era alto e grosso come
un orso,
con un paio di spaesati occhi azzurri e un’irsuta chioma
bionda.
«Ti
ricordi il tuo nome?» domandò Gilbert, mentre si
chinava
sulla civetta per pungerla con la seconda spilla.
L’omone
batté le palpebre sugli occhi sgranati, due volte, e
boccheggiò, tre volte, prima di raspare, con voce cavernosa:
«Mi
chiamo…»
***
«Mathias!»
L’uomo
si alzò di soprassalto dal divanetto su cui non si
era accorto di essersi appisolato.
Norge
lo stava chiamando, con un’impazienza collerica negli
occhi violacei.
«Che
succede?» sbadigliò l’omone.
Il
ragazzo gli assestò uno scappellotto sulla testa dura, e
sparò:
«Oggi
torna Gilbert! Hai finito di preparare le sue armi?»
Norge
sistemò nervosamente la zazzera platino sotto il
cappellino blu che indossava ogni giorno: era stata l’ultima
cosa che Gilbert
gli aveva messo addosso, quando si era trasformato in essere umano.
Mathias
annuì mollemente con il testone, slogandosi la
mascella in uno sbadiglio.
«Ho
finito ieri, non appena Vash mi ha passato il fucile» si
stiracchiò, mentre tranquillizzava il suo compagno.
Tra
i Gunsmith, loro due erano la coppia addetta
all’incantamento delle armi; Vash e Lily erano i fabbri,
mentre Berwald e Tino
si occupavano delle protesti.
L’Hellsing
li aveva trasformati e vestiti, e li aveva
accompagnati durante i primi mesi, in cui avevano faticato di
più ad abituarsi
a quel nuovo corpo: si muovevano come burattini cui erano stati
tagliati i
fili, tremendamente goffi, con le estremità che sfuggivano
al loro controllo
quasi avessero volontà propria. Gilbert li aveva aiutati ad
acquistare
confidenza con il loro nuovo corpo. La cosa che aveva loro creato
più problemi
era stato adattarsi ai nuovi occhi umani: le pupille riflettevano il
mondo in
un modo del tutto diverso, con una gamma di colori mai vista prima.
Faticarono
ad abituarsi ai nuovi colori del mondo, così come
trasalirono tutti insieme
nell’assaggiare il cibo umano: nella loro forma di famigli
non avvertivano mai
i morsi della fame. Avevano creduto che quel nuovo corpo fosse
difettoso,
quando avevano sentito i gorgoglii dello stomaco: poi Gilbert aveva
portato un
canestro pieno di leccornie, e avevano scoperto quanto appagare la fame
potesse
essere soddisfacente.
Ma
nemmeno Gilbert era riuscito a consigliarli quando
avevano avvertito una pulsione sconosciuta fargli tremare il cuore. E
un’altra
parte del corpo, aveva ammesso vergognosamente Mathias con se stesso.
L’Hellsing era troppo piccolo per sapere cosa volesse dire
innamorarsi, ma i
sei famigli erano nell’età giusta; tuttavia, non
avevano idea di cosa quei batticuori
potessero significare: Tino aveva disseminato involontariamente il
panico,
quando aveva candidamente suggerito che forse erano
l’anticamera dell’infarto.
Erano state creature asessuate fino a poco tempo prima, e pensavano che
le cose
che avevano in mezzo alle gambe servissero solo come canale di scolo
per le
scorie.
Berwald
aveva preso la questione di petto: un bel giorno,
aveva afferrato Tino per le spalle e, dopo averlo mostrato a tutti,
aveva
dichiarato che, da quel momento, quel dolce ragazzo sarebbe stato sua
moglie.
La pelle bianca di Tino era esplosa in un rosso congestionato e, nei
primi
tempi, aveva protestato, pur mantenendo il suo atteggiamento docile -
venato di
timore per quel colosso con gli occhiali. Poi le lamentele cortesi si
erano
smorzate fino a spegnersi del tutto. Nessuno aveva indagato sul motivo,
così
come nessuno aveva chiesto perché alcune volte i due
sparissero fino alla
mattina.
Dopo
era venuto il turno di Vash e Lily: l’unica femmina del
gruppo aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo con la fronte
perennemente
corrugata che chiamava “fratellone”. Non avevano
dichiarato nulla di plateale
come Berwald, ma Vash aveva cominciato a dormire vicino a Lily, e a
cacciare
furiosamente chiunque si avvicinasse a loro. Infine, Mathias aveva
iniziato a
interessarsi a Norge; era stato un corteggiamento lungo e sofferto,
specie
perché il colosso, con il suo modo di fare da sempliciotto
burlone, riusciva
sempre a rovinare ogni momento potenzialmente romantico.
Gilbert
aveva assistito con serenità alla realizzazione di
quelle coppie; e quando anche Mathias e Norge erano diventati
ufficiali,
Gilbert gli aveva fatto un ultimo dono.
Li
aveva portati su un pianeta inabitato, e lì li aveva
aiutati, insieme a Gilbird, a costruire una casa. Poi, aveva annunciato
il suo
progetto: sarebbe tornato nel suo mondo per liberarlo da tutti i demoni.
Mathias
lo aveva placcato, impedendogli fisicamente di
muoversi, e gli aveva strappato un accordo: non avrebbe lasciato quel
pianeta
finché non avessero trovato un modo per ripagarlo, almeno un
poco. Aveva dato
loro la vita, li aveva assistiti nella crescita, e gli aveva trovato un
nuovo
posto in cui abitare.
Gilbert
aveva così atteso, coccolato da Lily – entusiasta
per la scoperta dell’istinto materno, sentimento sconosciuto
a un famiglio
creato artificialmente – e assistito dai maschietti. Non
avevano impiegato
molto tempo per imparare il loro nuovo mestiere: erano creature nate
due volte
dalla magia, i loro ritmi di apprendimento per le arti erano accelerati
rispetto agli esseri umani. In pochi anni Vash e Lily avevano imparato
a
forgiare armi, Berwald e Tino a creare protesi, e Mathias e Norge a
incantare i
prodotti delle altre coppie. Avevano creato armi magiche per proteggere
il loro
angelo salvatore, e avevano salutato un Gilbert quattordicenne mentre
partiva
per la liberazione del suo pianeta.
«Un
giorno ripagheremo il nostro debito» aveva proclamato
Mathias.
«Questo
è sicuro» aveva avvalorato Berwald, con la sua
voce
da lupo delle montagne.
«Fai
attenzione, Gilbert» si raccomandò Lily,
tormentando un
fazzoletto.
L’Hellsing
era sparito con il suo ghigno caratteristico, ed
era ricomparso solo qualche giorno prima. Gli occhi erano
più stanchi e il
corpo era maturato in quello di un uomo, ma la furbizia che si annidava
dietro
il suo sorrisetto era rimasta immutata.
Mathias
sentì Lily trafficare nella cucina, in balia del suo
istinto materno che le imponeva di cucinare qualcosa per il loro
pupillo. Tino
stava spazzando per terra, Berwald e Vash osservavano quel delirio
domestico a
metà tra lo sconcertato e il timoroso, Norge aspettava
ancora che lui
schiodasse il coccige dal divano.
Mathias
si alzò per accontentare il compagno, e batté le
mani quando sentì bussare alla porta.
«Gilbert
è arrivato!»
Lily
arrotolò il grembiule e lo gettò su una sedia in
cucina, Tino nascose la scopa e si mise in posizione vicino alla porta;
gli
altri quattro li raggiunsero e si prepararono ad accogliere il loro
salvatore.
Il
saluto si atrofizzò nell’aria, quando lo videro
varcare
la soglia assieme all’uomo responsabile della distruzione
degli Hellsing. Tutti
fecero un passo indietro, istintivamente, nel riconoscere
l’assassino della
loro specie; solo Mathias non si mosse, e fissò il
compositore che avanzava
faticosamente, sorretto da Gilbert.
«Roderich?»
lo identificò.
L’uomo
sollevò lentamente il volto su di lui, e una
confusione totale vagò nelle iridi ametista.
«Ero
il tuo famiglio. Mathias» svelò.
Il
disorientamento tinse per qualche altro secondo gli occhi
del violinista, prima che questi si spalancassero in una sorpresa
morigerata.
«Mathias?
Come è possibile? Un famiglio non sopravvive senza
il suo Hellsing…» obiettò, garbato ed
esausto.
«Gilbert
l’ha salvato» telegrafò Vash.
«Ci
ha salvati tutti» sottolineò Lily.
Gilbert
mordicchiò il labbro inferiore. Stava per chiedere
un favore enorme ai suoi vecchi amici: guardando Roderich, loro
vedevano solo
l’uomo responsabile dell’eccidio degli Hellsing. Ma
sperava di cuore che
accettassero comunque la sua richiesta: non aveva tempo di spiegare
loro la
situazione, la ferita di Roderich era troppo grave.
«Potete
aiutarlo?» domandò, indicando con gli occhi il
moncherino dell’uomo, malamente fasciato dai pirati.
I
due Gunsmith responsabili delle protesi si fissarono per
un attimo in silenzio – Berwald con gelida
ostilità e Tino con allarme – prima
di chinare entrambi il capo in un assenso: odiavano
quell’uomo, ma la stima che
nutrivano per Gilbert era troppo profonda. Doveva esserci una
spiegazione a
quella situazione, ed erano sicuri che l’Hellsing
gliel’avrebbe fornita. Per il
momento, dovevano solo fare il loro dovere.
***
Berwald
e Tino si dimostrarono professionali e precisi come
sempre, sebbene il loro paziente fosse una persona sgradita: il
più piccolo dei
due analizzò la lesione dell’Accordatore, e
spiegò al collega che tipo di
protesi occorresse. Berwald si ritirò in uno stanzino
– la cui entrata era
coperta da una pesante tenda di velluto blu – per alcuni
minuti, durante i
quali i presenti furono allietati dai suoni di seghe elettriche, tonfi
e allacciature
meccaniche.
L’omone
riemerse esibendo un’impeccabile riproduzione di una
mano umana: le giunture erano state ricreate con molle avvolte da una
pasta di
gomma morbida, le ossa di metallo e gli ingranaggi installati per
permettere
alle dita artificiali di muoversi correvano sotto il rivestimento di
pelle
sintetica, per evitare che i meccanismi prendessero polvere o ruggine.
«L’allacciamento
farà male» avvertì Berwald con la sua
voce
baritonale, e sistemò gli occhiali prima di procedere alla
congiunzione.
Roderich contrasse tutto il volto quando gli aghi della protesi gli
penetrarono
la carne per allacciarsi ai muscoli e alle ossa.
Il
Gunsmith lanciò un’occhiata eloquente al binomio
addetto
ai traffici magici: la protesi non era nulla, senza i loro pasticci
sovrannaturali. Mathias accettò quell’onere: la
nuvola scura scesa sul volto di
Norge non prometteva nulla di buono, e non avrebbe costretto il suo
compagno a
lavorare controvoglia.
Si
inginocchiò di fianco al suo ex-padrone, estrasse una
fiala di liquido iridescente dal tascapane e la versò con
dovizia sul punto di
congiunzione: un sottile sfrigolio si propagò
nell’aria, mentre la carne di
fondeva completamente alla nuova appendice meccanica.
Roderich
non emise un suono per tutto il tempo. Nel lungo
svenimento seguito alla sua mutilazione, aveva rivissuto tutti i
crimini
perpetrati nel nome del Vaticano: l’Accordatore lo aveva
fatto senza scrupolo e
senza rimorso, ma l’Hellsing aveva sofferto per ogni singola
goccia di sangue.
Il ricordo che più lo tormentava, era quello della sua gente
che si dibatteva
nelle bocche dei demoni. E il viso di Elizabeta, che lo guardava con
l’ombra di
un sorriso nonostante lui le avesse appena squarciato il petto con la
sua
musica, come se fosse sicura che un giorno Roderich sarebbe tornato.
Quel
giorno era venuto. Ma non c’era più nessuno ad
aspettarlo.
«Come
stai?»
Roderich
testò la mobilità del nuovo arto per dissimulare
un
sorriso. No, qualcuno c’era. Il più tenace e
testardo di tutti gli Hellsing.
«Mi
occorrerà qualche giorno per imparare a muoverla
correttamente» valutò, atono.
Gli
occhi dei Gunsmith saettavano dall’Accordatore a Gilbert
ai loro colleghi, incerti sul da farsi. Avevano compiuto il loro
dovere, ma
erano restii all’idea di permettere a
quell’individuo di lasciare la loro casa.
Caina era il giusto posto per quell’essere, o una delle altre
due Prigioni.
La
stigmate di argento, che si stava ossidando man mano che
il potere dell’Accordatore scemava, bruciava sulla sua mano
sinistra. Roderich
la nascose con il nuovo arto, e pronunciò il duo discorso
con enorme fatica.
«Anche
se mi rendo conto che le scuse non sono sufficienti
per rimediare a quanto ho fatto… mi dispiace profondamente
di avervi arrecato
tanto dolore» ogni vita che aveva strappato sembrava
gravargli come uno spettro
sulle spalle, opprimendogli il respiro. Prese un lungo fiato prima di
proseguire: «Sono stato manipolato dal Vaticano. Mi hanno
impiantato un potere
che non era mio e che… non sono riuscito a
controllare.»
I
Gunsmith dirottarono la loro attenzione verso Gilbert, che
confermò:
«Non
era in lui quando ha liberato i demoni sul nostro
pianeta. È tornato cosciente solo quando gli ho tagliato la
mano, sul ponte
della Reina de la Oscuridad.»
I
Gunsmith annuirono all’unisono, e si fissarono
un’ultima
volta prima di emettere il loro verdetto.
«Il
peso di ciò che hai fatto ti perseguiterà per
tutta la
vita» sentenziò Norge.
«E
questa sarà la tua punizione» avvalorò
Berwald.
«Non
c’è bisogno di infleggertene
un’altra» placò Mathias.
«Hai
il nostro perdono» lo rincuorò Lily.
«Ma
vedi di rigare dritto» ringhiò Vash.
Gilbert
sembrò sollevato quanto Roderich nell’udire quella
dichiarazione di clemenza. Era certo che fosse dovuta più
alla venerazione che
i Gunsmith nutrivano per lui che alla sincera volontà di
perdonare il
colpevole, ma non aveva importanza.
L’Hellsing
si grattò la nuca e domandò all’unica
donna
presente:
«Lily…
hai ancora quella cosa
che ti avevo lasciato?»
Lei
annuì, e sparì dietro una tenda di colore rosa. I
Gunsmith attesero in silenzio che la donna facesse ritorno; Roderich
non
articolò una parola, anche se la sua bocca si
spalancò per la sorpresa.
Lily
aprì la custodia dalla forma inconfondibile, e
l’uomo ringraziò
di essere già seduto, altrimenti le sue ginocchia sarebbero
venute meno.
Le
dita della mano sana tremarono visibilmente
nell’accarezzare le corde e il legno dello strumento. Le sue
forme erano ancora
levigate, e le corde perfettamente tese: quella donna si era presa cura
del suo
violino come si conveniva.
«Dove
lo hai trovato?» riuscì a buttare fuori, quando
ottenne di nuovo il controllo delle parole.
«Dove
lo avevi lasciato» Gilbert evitò di specificare
che lo
aveva trovato vicino al corpo di Elizabeta, dove
l’Accordatore lo aveva fatto
cadere quasi si trattasse di pattume.
Roderich
accarezzò lo strumento con devozione, prima di
sollevarlo dalla custodia imbottita. Lo girò delicatamente,
ed ebbe conferma
che si trattava proprio del suo violino; in caratteri arabescati, era
stato
inciso un titolo: “Il diamante della battaglia”.
«Cosa
hai fatto, in tutti questi anni?» chiese Lily a
Gilbert, cercando di distogliere l’attenzione generale dal
musicista troppo
commosso per parlare.
L’Hellsing
prese fiato e coraggio prima di rispondere:
«Mi
sono ripreso il pianeta, anche se adesso è solo una
landa gelata. Ho creato il mio fratellino minore. Sono stato rinchiuso
a Caina
nove anni. E…» Gilbert esitò prima di
aggiungere l’ultima parte. «Ho incontrato
una persona.»
Roderich
ingoiò le lacrime per prestare attenzione al
racconto del suo figlio adottivo, e i Gunsmith si sistemarono a
semicerchio
intorno a lui.
«E
questa persona dov’è, adesso?» lo
spronò dolcemente Lily.
Una
saetta di dolore trafisse il volto spavaldo
dell’Hellsing, che annunciò:
«Non
so dove sia.»
I
presenti lessero nell’espressione contrita
dell’uomo il
significato sottinteso di quelle parole: la persona da lui amata era
morta.
Prima
che Lily o chiunque altro potesse provare a consolarlo
in qualche modo, Gilbert sfoderò il suo ghigno
più plateale e proclamò:
«Ma
so cosa sta facendo. Mi aspetta. Non è ovvio? Quando gli
ricapita di trovare una persona meravigliosa come me?» il suo
sorriso assunse
una sfumatura più seria mentre concludeva: «Mi
aspetta sempre. E un giorno lo
ritroverò. Ma prima… devo fare il mio
mestiere.»
«Ma
i demoni si sono estinti. Tu li hai
fatti estinguere» gli ricordò Norge.
«Sono
rimasti i peggiori: uomini con il cuore da diavolo»
Gilbert fece scivolare appena la scimitarra fuori dal fodero, in modo
che
emettesse un sottilissimo stridio metallico. «Solo dopo
averli estirpati potrò
andare da lui.»
Il
suo discorso sarebbe stato commovente, se solo non fosse
stato troncato sul finale da un tremendo frastuono di fronte al portone.
«Oh,
ho dimenticato di avvisarvi» si ricordò Gilbert.
«Anche
Antonio e la sua ciurma hanno bisogno di farsi dare una revisionata
alle armi.»
Vash
chiuse gli occhi per evitare di rotearli al cielo:
avrebbero passato la notte in officina per sistemare
l’equipaggiamento di tutta
la Reina.
I
Gunsmith si diressero velocemente all’entrata per
accogliere i nuovi visitatori; solo Norge rimase, e si
accostò all’Hellsing,
bisbigliandogli:
«Quando
attaccherete il Vaticano, avvisateci. Combatteremo
insieme a voi.»
«Non
siete guerrieri.»
«No,
ma siamo armaioli. E credimi, Gilbert, quando
sferrerete il vostro attacco, vorrete avere l’Elfo al vostro
fianco.»
«L’Elfo?»
«È
il nome in codice» Norge se ne andò senza
ulteriori
spiegazioni.
Gilbert
scosse la testa: quel giovane con i capelli di
platino era sempre stato enigmatico. Solo Mathias riusciva a
strappargli
qualche parola in più.
Si
mise a sedere di fianco al padre adottivo, che esordì
pacato:
«Non
ho molto da raccontare di questi anni in cui siamo
stati separati. Ma sembra che tu abbia molto da narrare,
invece.»
Roderich
si appoggiò il violino sulle gambe e lo invitò,
con
la riservatezza cortese che lo aveva sempre distinto.
«Ti
ascolto.»
Gilbert
nascose un sorriso dietro uno sbuffo irriverente. La
gentilezza di suo padre, a distanza di tanto tempo, era talmente bella
da far
male.
«C’era
questo ragazzo…» cominciò.
«Come
si chiamava?»
«Matthew.
O, almeno, io lo chiamavo così…»
E
decenni di lontananza si srotolarono nel lunghissimo
racconto di Gilbert.
***
Ivan
fissò con odio l’angolo del corridoio.
L’Hellsing
era sceso nella Fortezza Errante quella mattina,
per avvisarli che si sarebbero fermati sul pianeta dei Gunsmith. Il
Custode
aveva accettato la cosa con un silenzio tombale: la sua mazza ferrata
non aveva
bisogno di essere revisionata, e lui non sentiva la mancanza dei suoi
ospiti.
Gilbert
gli aveva indirizzato un’occhiata critica, e aveva
commentato:
«Non
permetti mai a Yao di uscire?»
Gli
occhi ametista si erano abbattuti sull’Hellsing, mentre
il gigante tuonava:
«Non
ha bisogno di uscire.»
Le
sopracciglia argentate di Gilbert si erano curvate nel
biasimo, mentre la bocca arrogante lo accusava:
«Sembra
più un tuo prigioniero che un tuo ospite.»
«Non
preoccuparti di cose che non ti competono, Hellsing.»
L’ammonimento
di Ivan risuonò cupo tra le mura mobili della
Fortezza, e Gilbert alzò le braccia in segno di resa.
«Come
vuoi. Ricordati solo che i prigionieri, prima o poi,
scappano. Io sono la prova vivente.»
Non
sapeva cosa avesse spinto l’Hellsing a fargli quel
discorso. Forse era convinto che tutti dovessero vivere un amore come
il suo,
fatto di libertà e fiducia. Non gli pareva che lo
sterminatore avesse ottenuto
un gran risultato: il suo amato era morto suicida.
Preferiva
tenere Yao segregato anziché perderlo. Inoltre,
aveva fiducia nell’Asean, ma non nel resto del mondo: ci
sarebbe stato
sicuramente qualcuno pronto a rubarglielo o a sporcarlo, là
fuori. Non lo
avrebbe permesso: Yao era il suo sole personale. Suo soltanto.
Come
evocato dai suoi pensieri, il Figlio del Cielo emerse
dalla sua camera, e lo chiamò:
«Ivan.
C’è qualcosa che ti turba?»
Il
Custode non aveva ancora capito come Yao riuscisse a
indovinare le sue espressioni anche quando erano impaludate dalla
sciarpa. Non
rispose alla sua domanda: si avvicinò a lui e strinse quel
corpo tanto più
piccolo del suo con le braccia forti.
L’Asean
rimase qualche istante fermo, prima di circondargli
il collo con le braccia.
«Va
tutto bene?» domandò, allarmato dal gelo
insolitamente
pungente che trapelava dal cappotto dell’uomo.
«Tra
pochi giorni approderemo a Chugoku» gli ricordò
Ivan. «Come
ti fa sentire? Tornare a casa, intendo.»
Sentì
le braccia di Yao scivolare lungo le sue finché le
mani affusolate gli circondarono i gomiti.
«C’è
una cosa che devo raccontarti, Ivan» ammise il Figlio
del Cielo. «Voglio che tu sappia esattamente chi dovremo
affrontare.»
Il
Custode dei Cancelli gli fece cenno di proseguire. Il
racconto di Yao cominciò così:
«C’è
stato un ragazzo, un tempo, che consideravo come un
figlio…»
***
Il
signor Vargas tamburellò le dita sulla scrivania,
indeciso.
Era
orgoglioso di Feliciano, il suo figlio perfetto che a
breve sarebbe diventato il perno della Confederazione. Tuttavia, non
poteva
ignorare le ansietà del precedente Asse riguardo al suo
successore.
Fissò
di nuovo il biglietto su cui il vecchio aveva scritto
la sua proposta.
Gli
occhi si appuntarono sulla frase terminale.
E
se il suo
potere potesse essere staccato dal corpo?
Buonsalve
a
tutti<3
Ed
eccoci
arrivati ai Gunsmith… dovevo inserire i Nordici&Co.,
in qualche modo XD
E
il prossimo
capitolo… Spamano 8D Prima di tuffarsi nell’arco
asiatico<3
Il
prossimo
capitolo sarà aggiornato di domenica, anziché
lunedì, poi si tornerà
all’aggiornamento
canonico nel giorno della luna<3
A
presto<3
Red