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Autore: Subutai Khan    24/12/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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10 dicembre 2015.
“Otto anni. Otto lunghissimi anni” è il fastidioso lamento di Akane fra una sorsata e l’altra del suo caffè. Ha preso l’abitudine di consumarlo a colazione solo da poco tempo, un paio di mesi al massimo. Prima era più tradizionalista.
“Che c’è? Hai una crisi improvvisa?” la canzono, sempre fedele a me stesso e alla linea.
E l’intera famiglia, ovviamente radunata attorno al centenario tavolo del salotto, comincia a guardarmi di un male, ma di un male...
No, va beh. Se non ho diritto di battuta basta dirlo.
“Comincio a capirti, Akane. Non posso vantare una così lunga permanenza, però non mi sto facendo mancare niente neanch’io” commenta Ranma, cercando di poggiarle una mano sulla spalla e venendo rimbalzato scortesemente.
La zia non mi sembra di grande umore oggi. Fossi in te la lascerei nel suo brodo.
E nonostante questo noto che il viso di mia madre, come sempre impegnata a servire e spostare i piatti vuoti, è lieto. Sembra... felice per loro.
Mi sa che simili scenette le mancavano.
Ho riflettuto in merito e sono giunto a una conclusione: pur avendo vissuto dei momenti a dir poco scioccanti, io sono convinto che le due Tendo superstiti abbiano accolto questa cosa come una sorta di benedizione.
Sia chiaro: sia mamma, sia zia Nabiki che li guarda di traverso con il suo solito sorriso da iena, hanno sofferto. Molto. Non riesco neanche a immaginare quante difficoltà possano aver avuto ad abituarsi a tutto questo, a un Ranma in libertà e soprattutto a una sorella che è ripiombata nelle loro vite pur senza lasciare la sua comoda tomba.
Però non prendiamoci in giro. Si vede lontano un chilometro che, una volta lasciato alle spalle un periodo di aggiustamento, hanno accolto la novità con sollievo. E non le posso biasimare, penso farei lo stesso se succedesse qualcosa a Rei e fra trent’anni mi trovassi davanti una sua versione da un altro mondo.
E comunque posso dire che le capisco. Si respira aria gagliarda a questa tavolata, fra ammiccamenti velati e vetriolo lanciato sotto forma di missili terra-aria-acqua-cosmo. Prima non era così, e pur non preferendo lo stato di cose precedente... oh, vaffanculo. È complicato da spiegare e io non sono nelle mie migliori condizioni.
Proseguono allegri in frizzi, lazzi e ingestione di cibo. Volano insulti al sarcasmo, risposte pungenti e pure una bacchetta da parte di Ranma che, per sua fortuna, non se n’è privato prima di finire la sua scodella di riso. Posso dire di conoscerlo un po’ e la cosa non mi meraviglia troppo, avendo lui dimostrato un appetito sconfinato e la capacità digestiva di uno stormo di elefanti.
In tutto questo io dove e come mi inserisco? Eh, bella domanda. Io...
“Andiamo, Shinichi” ordina seccamente papà alzandosi, mentre provvede a baciare la sua sposa e a salutare calorosamente tutti i componenti del nucleo familiare.
Ecco, volevate sapere di me? Accontentati.
La mia vita è diventata lammerda.
Non sono più riuscito a entrare in una qualunque università, neanche nella più pidocchiosa e malfamata dell’intero paese. Mi dev’essere subentrato tipo un blocco psicologico o qualche cazzata del genere, altrimenti non me ne spiego il motivo.
Non sono cretino, porca troia. Sono solo un pochino sprovvisto di voglia di sbattermi. Sai che colpa grave.
Pertanto i miei, a ragione imbufaliti oltre la soglia di guardia, hanno ben pensato di punirmi in maniera appropriata e, sin dal giorno successivo all’ultima stampatura sbattuta in piena faccia, hanno trovato una condanna esemplare.
Obbligato a fare l’assistente di papà nel suo studio. Gratis.
“Oh sì, è proprio un lavoraccio Shinichi. Invidierai gli spazzacessi e quelli che cambiano i mutandoni ai vecchi”. Le sento le vostre voci ironiche, stronzi senza volto. E vi assicuro che non è la passeggiata di salute che potete credere.
Lavorare nell’ambulatorio del dottor Ono è massacrante. Date le sue indubbie doti, il signore qua ha sempre una quantità impressionante di clienti che entrano, ruttano, buttano le cartacce per terra, lasciano chili di fango sul pavimento e chi più ne ha più ne metta.
Uccidetemi. Lo preferisco.
“Se posso intromettermi...” dice zia Nabiki alzandosi.
Uh?
“Cosa c’è?” chiede papà, guardandola un po’ accigliato. Credo non abbia apprezzato l’intervento.
“Sia chiaro che non sto cercando di minare la tua autorità, caro cognatino. Ma spero non ti scocci se, per oggi, ti porto via il carcerato per qualche ora”.
“E perché lo vorresti fare?”.
“Ho programmato una scampagnata e lui mi serve”.
“Dove?”.
“Non si rovinano così le sorprese, suvvia. Non fare l’ammazzagioie”.
Interviene mamma: “Nabiki, cosa stai architettando?”.
“Niente di distruttivo, sorellina. Ti pare che rovinerei in maniera sconsiderata il mio nipote preferito?”.
“Grazie tante, zia. Grazie tante” borbotta Rei, comprensibilmente piccata.
“Maschio, intendevo nipote maschio. E comunque sei invitata anche tu. E pure voi” conclude indicando Ranma e Akane.
I due si guardano interdetti. “Tu hai idea di che si tratta?”. “A me lo chiedi? La sorella è la tua, mica la mia”. “Non è davvero mia sorella e lo sai”. “Va bene, ma è più tua sorella che mia”. “E se mio padre aveva le ruote era un trolley”. “Non sapevo che Soun fosse così pieno di optional”. “... vai a quel paese e restaci”. Tutto questo non se lo dicono parlando, ma solo a smorfie.
Ora comincio a essere incuriosito. Cosa può volere da noi quattro?
“Va bene, Nabiki. Sputa il rospo. E che sia una risposta soddisfacente”. Mi dimentico sin troppo spesso che mamma sa essere molto, molto forte se ci si mette. Per fortuna delle mie costole non le succede spesso.
“Ma in questa casa non si può far mai nulla di non catalogato. Che noia che barba che barba che noia. Di cosa hai paura, Kasumi?”.
“Non lo so, non sono mefistofelica come te”.
“Mi ricordi troppo Akira, in questo momento”.
“Scusa tanto se tengo alla salvaguardia dei miei figli, di nostra sorella e di Ranma. La prossima volta te li lascerò sbranare in pace”.
“Comunque no, non te lo dico. In compenso posso giurarti sulla cosa più preziosa che ho al mondo che non intendo torcere loro un solo capello, neanche come conseguenza involontaria”.
“Sarà meglio per te. Altrimenti neanche essere il megadirettore galattico della ditta per cui lavori potrà salvare la tua pellaccia”.
Non trattengo una risata. Mia madre e mia zia sanno sempre imbastire degli spettacolini spassosissimi.
“Allora è deciso: sequestro i quattro giovincelli per una mezza giornata e ve li riporto intonsi e lustrati, come se fossero appena usciti dalla concessionaria. Siamo tutti d’accordo? Rimostranze? Rimbrotti? Altre perdite di tempo?”.
C’è del parlottio fra i miei genitori, ma nessuno dei due sembra abbastanza cazzuto da volersi opporre con fermezza. E poi credo che le continue rassicurazioni li abbiano, nonostante tutto, messi abbastanza con l’anima in pace. La resa ufficiale arriva per bocca di papà, che concede a malincuore la propria benedizione.
Evviva. Si va a spasso con zia Nabiki.
Ci fa alzare e ci impone di uscire. Quando poi siamo all’esterno, appena oltre la soglia di casa, intona quello che appare come un discorso grave: “Molto bene, marmaglia. Vi starete chiedendo cosa mi frulla per la testa, no? Diciamo che ho avuto un’idea in parte terapeutica e in parte da pazzoide. Ma tutta questa situazione è da pazzoidi, alla fin fine. Comunque è presto detto: si va tutti assieme appassionatamente al cimitero”.
...
Ma vai a cagare.
“Ehi, cos’è ‘sto scherzo di pessimo gusto?” se ne esce Ranma, presto spalleggiato da tutti gli altri.
“Bamboccetto, abbassa la crestina. Non vuoi neanche sapere il perché di questa mia decisione?”.
“Ma guarda, non sono così interessato a scoprire i meandri di una mente psicotica”.
“Perché, hai addirittura dei motivi? Se non ti conoscessi giurerei che questa vuole solo essere una gigantesca presa per il culo” mi inserisco.
“Quand’ero più giovane, che tu ci creda o no, persino io ogni tanto mi concedevo qualche sfizio. Ma qui, anche se potrà sembrarvi assurdo, la questione è più importante di quanto può apparire ai vostri occhi”.
“E quale sarebbe questa oh così fondamentale causa?”.
“Akane, tu dovresti essere proprio l’ultima ad apostrofarmi con tanto sarcasmo. Ricordami un po’ da quant’è che sei bloccata qui”.
“Ma dici sul serio? Lo sai bene da quanto...”.
“Rispondimi”.
No, ok. Posso contare sulle dita di una mano monca le occasioni in cui Nabiki ha mostrato tutta questa serietà. Non le brillano gli occhi con l’istinto omicida del pescecane che sta per spolpare l’ennesimo malcapitato, non ha quella parvenza da femmina fatale, non si lecca lascivamente le labbra. Al contrario, è fredda e composta. Sa essere una bastarda totale anche da fredda e composta in realtà, ma percepisco una nota differente.
“A oggi... sono esattamente... otto anni” risponde l’interpellata, intimorita.
“Ecco. Otto anni. Ora, sono solo io a considerare come più probabile l’eventualità peggiore, cioè che voi due non riuscirete mai a tornare da dove venite?”.
Silenzio. Pesante.
“Come volevasi dimostrare. E allora ho pensato che forse sarebbe utile per voi realizzarlo definitivamente con un breve saluto alle vostre controparti di qui”.
Questa... è follia. Che cos’hai in quella testa, donna mia? Scarti radioattivi?
“Zia, scusami se mi permetto” mi anticipa Rei “ma io non ci vedo nulla di sensato in tutto ciò. E poi cosa c’entriamo io e Shinichi?”.
“Strettamente nulla, è vero. Ma volevo rendervi partecipi, anche per una piccola lezione sul mondo difficile, la vita intensa, la felicità a momenti e il futuro incerto. Male di certo non vi farà”.
Io non me la ricordavo mica così macabra, eh.
“Ammetto” esordisce d’improvviso Akane “che un paio di volte ho pensato di farmi accompagnare da qualcuno a visitare il luogo di riposo della me stessa di qui. Ma vuoi per paura e vuoi perché non lo ritenevo necessario, ho sempre preferito evitare. Messo in questi termini, però, non nego che il tuo ragionamento abbia un suo senso. Indubbiamente lugubre ma ce l’ha. Forse mi serviva solo una spinta esterna per farmene rendere conto appieno”.
“Mi fa piacere” risponde mentre si accende una sigaretta -catrame già di prima mattina, vai così- “che tu abbia compreso le mie ragioni. E per quanto riguarda il signorino ribelle con la barba, mh? Ancora contrario all’idea?”.
“Non... non lo so. Dopo che ti sei spiegata... anch’io devo concedere che se non altro non è uno dei tuoi squallidi trucchetti per trarne profitto”.
“In tal senso puoi stare tranquillo, Saotome. Non devi temere nessun tiro mancino da me. Come gli altri tre possono confermarti io, in questi otto anni, non ho mai attentato una sola volta al benessere di Akane e di chi era stato così sfortunato da condividere con lei questo destino infame. Aiuta anche il fatto che sono da queste parti solo per le vacanze natalizie... ma è il sentimento che conta. E quello è sincero, te lo posso giurare”.
Ok. Se non si convince dopo questa non si convince più. Mai, e non scherzo quando dico mai, ho sentito parlare zia Nabiki con simile solennità.
“Confermi quanto ha detto, Akane?”.
“Lo confermo. Non sai quanto questa cosa mi abbia spiazzata, ma non si è comportata in maniera equivoca una sola volta”.
Dopo qualche attimo di tentennamento le risponde: “E... e va bene. Hai vinto”.
“Eccellente. Voi, nipoti adorati? Vi aggregate?”.
Lascio che sia mia sorella a prendere per prima la parola, dandole anche una piccola pacca per esortarla: “Ribadisco che una trovata del genere è degna di uno squilibrato, ma...”.
“Ma?”.
“Ma... una parte di me è incuriosita. Parecchio incuriosita. E sta cercando di farmi cedere”.
“La sostengo con tutta me stessa. Credimi quando ti dico che, a parte un po’ di straniamento, una passeggiata al camposanto non è la tragedia che si può pensare. Inoltre, non vorresti andare a trovare il nonno? È molto che gli fai mancare la tua presenza e non è cortese. Nipote degenere”.
“Sì, hai ragione...”.
“E allora approfittane. Magari tu e Shinichi potete dedicarvi a lui, mentre i nostri clandestini sistemano le loro faccende”.
Insiste ancora un po’ e alla fine le strappa un sì.
Rimango solo io. Mi affretto ad accettare, che preferisco tutto a un turno di sedici ore nell’ambulatorio di papà. Anche una roba grama come il trekking in mezzo ai morti.
Ci avviamo.
Mentre camminiamo con passo rilassato mi accorgo che Ranma e Akane, un paio di metri davanti a me, sembrano molto... vicini. A quanto pare a lei è passato il malumore di prima, visto che non è avara di risolini e sguardi complici con il suo bel fusto.
A me nessuno dice più nulla in casa, non dopo quella sfilza di bocciature che mi hanno ridotto la vita al cumulo di letame fumante su cui sono seduto da sin troppo tempo. Ma mi sembra di aver origliato, non ricordo se direttamente dalla bocca degli interessati, di un loro strano accordo sul fatto che si sarebbero considerati niente più che amici. Quel che vedo mi pare raccontarmela diversamente.
Poi boh, non è che neanche me ne fotta qualcosa. Diciamo solo che è... curioso.
“Tutto bene, Shinichi?” mi chiede Rei, ridestandomi dai miei pensieri.
“Sì sì, ero solo distratto”.
“Sei sempre distratto, fratellone”.
“E fatti gli affaracci tuoi una volta tanto”.
“Ma guarda te che stronzo. Io mi preoccupo e lui fa lo snob di ‘stocazzo”.
So che è patetico, ma un po’ mi manca la Rei riverente e asservita che mi ronzava attorno anche solo qualche anno fa. Dal giorno in cui le abbiamo raccontato del Torneo se n’è andata e non è ritornata più. Me la sono voluta.
Dopo una decina di minuti abbondanti siamo a destinazione e zia Nabiki, com’è sua abitudine, prende in mano la situazione: “Shinichi, tu e tua sorella da nonno Soun. Io porto gli altri due dove devono stare. Ci si rivede qui all’ingresso fra una mezz’ora. Marsch”.
Li vedo allontanarsi e osservando le loro schiene mi vorticano infinite domande nel cervello. A cui rispondo con infiniti vaffanculo. 

Qui giace
Akane Tendo (
1973-1989)
L’ultima, la più valorosa
 

Ciao Akane.
Era da un po’ che meditavo di passare a porti il mio rispetto.
Se non fossi dove sei mi staresti chiedendo chi sono, da quale incubo esco e perché non ci torno.
Alla prima domanda ti rispondo agilissima: io sono te. In un certo senso. Lunga storia.
Alla seconda ti rispondo: non esco da un incubo, anche se per certi versi la mia esperienza si può considerare tale.
Alla terza ti rispondo: lo farei se potessi. Ma Shan-Pu ha deciso per me e non credo di potermene andare, a meno di insperati miracoli.
Accidenti, non è cosa da tutti i giorni poter guardare una lapide su cui c’è scritto il tuo nome. Scusami, mi sento scombussolata.
Nabiki si alterna nel fissare me e Ranma. Eh già, c’è pure lui. Un gran casino, vero? Non rovinerò quest’occasione speciale con il resoconto delle nostre disavventure, ti annoierei.
Accetta solo la mia esistenza, senza fare domande. È più pratico per entrambe.
Non... non so bene cosa dire. È dannatamente complesso da affrontare e metabolizzare.
Sono davanti a una tomba che potrebbe essere la mia, non lo è e in un certo senso lo è.
Devo dare atto alla tua sorella cannibale, aveva ragione: averti di fronte ora mi fa toccare con mano la mia realtà, cioè che ora sono l’Akane Tendo “ufficiale”.
Tranquilla che si fa per dire. Non rubo il posto agli eroi.
Una delle prime cose che mi hanno raccontato di te. Come hai preso di petto la prospettiva di morire per il bene del mondo, come sei riuscita a tenere testa a quel mulo di Ranma e come hai affrontato con immenso coraggio la tua prova finale. Kasumi è stata prodiga di particolari, pur nella sua limitata conoscenza, e si è premurata di spiegarmi per filo e per segno tutto quello che era in grado di dirmi sull’ultimo periodo che hai trascorso su questa terra. Senza contare quel che ho sentito dalla viva voce dell'unica testimone oculare.
Ti ammiro. Hai avuto una forza d’animo e uno spirito indomito che al momento a me mancano. Non riesco neanche ad affrontare come si deve la questione con Ranma. E sì, so bene che è difficile, fra viaggi nei mondi e situazioni al limite del film splatter, ma... vedo te e mi sento piccola, misera, incompleta.
E a soli sedici anni. Ricordo di aver pensato che forse lo avrei potuto fare anch’io, ma più passano i giorni e più realizzo che non ci sarei mai riuscita. Troppo grande il peso di cui mi sarei dovuta far carico, troppa responsabilità, troppa angoscia a rosicchiarmi e a farmi crollare pian piano, ora dopo ora. Anche il fatto che sei stata l’ultima e hai retto più di quattro mesi vedendo gli altri morirti attorno, uno dopo l’altro, non fa che confermare quanto cuore avevi.
Se avessi potuto essere testimone del tuo calvario io... io... io avrei finito col santificarti, o qualcosa del genere. Non sarei mai e poi mai rimasta indifferente. Presumo anche con i tuoi compagni, verso i quali non intendo mancare di rispetto perché il loro sacrificio vale tanto quanto il tuo, ma per te... beh, capirai da sola perché il tuo caso avrebbe avuto più valore ai miei occhi.
E invece sono qui a ventisei anni, dopo otto che mi trovo in una realtà non mia, a piangermi addosso e a non sapere cosa voler fare. Di me e di lui.
Abbi pazienza se ti uso come valvola di sfogo.
Forse ciò che ci differenzia è che io mi ero un po’ seduta sugli allori: avevo ottenuto la dichiarazione che tanto bramavo, l’amicizia di Ukyo e di tutti gli altri, una routine fatta di risate e facce allegre. A te tutto questo non era stato concesso e... non so, può darsi che quell’insoddisfazione latente ti abbia donato l’incoscienza necessaria per prendere una simile decisione e portarla fino alle sue estreme conseguenze.
Mi sembra quasi di sentirti, con la voce che ormai non è più cosa mia, mentre mi rimproveri: “Akane, santo cielo. Datti una svegliata. È vero che sei lontana da casa tua e probabilmente non ci potrai tornare mai più, ma c’è di peggio nella vita. Guarda me. Non voglio atteggiarmi da supereroina dei fumetti ma diamine, tu ci sei ancora. Respiri. Puoi ricostruirti. Avanzare. Concludere la tua vita guardandoti indietro e vedere più di sedici, brevi anni concitati. Non mi pento della mia scelta, era necessaria in quel momento. Ma sai benissimo, se io e te ci assomigliamo almeno un po’, quanto mi sia costato prenderla. Cerca di sfruttarla al meglio delle tue possibilità e rendimi orgogliosa di te”.
...
Mi chiedo se questo sia davvero un monologo.
In ogni caso grazie. Non credevo che una simile idea folle potesse avere tutti questi risvolti positivi.
Non reggo più e mi inginocchio, cercando di non disturbare la quiete del luogo sacro con le mie sciocche lacrime di bimba spaventata.
 

Qui giace
Ranma Saotome (1973-1989)
Il primo, il più sprezzante
 

Ehilà, ragazzo fortunato.
No, non ti sto prendendo in giro. So che può suonare così, ma no. Lo dico per un semplice motivo: ti invidio.
Sono qui da quattro anni, in questo mondo straniero dove tu e quell’altra suicida di Akane vi siete gettati di vostra volontà nella tazza del wc. Ebbene, neppure voi due potete sperare di competere con quanto è successo a me.
Va bene, va bene. Devo smetterla di prendere tutto come una sfida da vincere, è uno dei miei peggiori difetti. Però non lo si può negare neanche volendo che ti è andata ancora di lusso se ti paragoni con me.
Tu hai visto morire Akane? No, non ti è successo. E d’accordo, sei crepato per primo e non dev’essere stato piacevole, capisco.
Ripeto, al confronto sei stato fortunato.
Come se non bastasse la mia unica possibilità di... chiamamola rivalsa per mancanza di una parola migliore, mi è stata negata.
Inutile essere reticente con un te stesso morto, quindi te lo posso dire: io la amo. Amo Akane Tendo qualunque siano il suo mondo di provenienza, la lunghezza e il colore dei suoi capelli e l’eventuale presenza di cicatrici sul suo volto.
Amo quel suo carattere orgoglioso, testardo, indipendente.
Amo il fatto che non sia disposta a farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Nemmeno da me.
Amo il suo sorriso.
Lei lo sa. Lo sa benissimo. E guarda, con tutto quel che è capitato ad entrambi so che sto comunque accelerando i tempi e che ha bisogno di lasciarlo andare e che non posso pretendere troppo.
Mi indico la testa con un dito. Qua lo so.
Poi mi indico il cuore. Qua un po’ meno.
Cerco di fare del mio meglio per sopportarlo, e anzi la sto ringraziando silenziosamente ancora adesso per lo spiraglio che ha lasciato libero. Solo che fa tanto male comunque e tutto questo dolore comincia a pesare un po’ troppo, persino per un macho come il sottoscritto.
D’altro canto io non voglio tornare a casa. Cosa c’è per me là? Un metro e mezzo per un metro mezzo di puzza, topi morti agli angoli e un cappio desideroso di fare la mia conoscenza. Evito, grazie tante.
Qua invece, anche se non posso dire di vivere felice e contento, ho una possibilità. Un’ipotesi. Qualcosa a cui posso volermi aggrappare con la forza della disperazione, per quanto fragile e scivoloso.
Qua ho lei. Posso avere lei.
Sono stato un cretino spaziale nel non essere mai riuscito a dire niente alla mia Akane, neanche dopo che è stramazzata agonizzante ai miei piedi. E poi un gioco bizzarro e senza senso mi restituisce la voglia di vivere. Riscopro cosa significa non tirare avanti per inerzia, ma anzi con rinnovata speranza nel domani. Speranza in una sua parola a me favorevole, in un suo gesto distensivo, in un suo bacio.
Potrei non avere mai nulla di tutto questo. Ma preferisco una pur vaghissima opportunità al nulla assoluto, nero e vorace che mi attende oltre il muro.
Non mi starai capendo. Normale, è un discorso sin troppo complicato per chiunque. Figurati per uno al mio stesso livello d’intelligenza, quindi parecchi metri sotto terra.
Scusa, non avrei dovuto trasformare questo prezioso incontro in una lagna ripetitiva su come non sono corrisposto dalla persona per cui darei tutto. Cioè, non proprio da lei ma... insomma, fai sì con la testa.
Ti chiederei come ti va ma, incredibile, neppure io arrivo a tanto.
Comunque stai pur sicuro che non intendo mollare di un solo millimetro. Ho fiducia in me, in lei e in quello che ci lega. Magari non lega me e lei, ma lega comunque Akane Tendo e Ranma Saotome senza farsi fermare da stupide barriere dimensionali.
Va beh, non ho molto altro da dire. Quindi ti saluto e ti prometto che prima o poi tornerò a trovarti, sempre che tu voglia di nuovo la mia compagnia.

E allora? Vogliamo fare notte? Io e Rei siamo qui ad aspettare da quasi un quarto d’ora.
Ok, non ho neanche tutta ‘sta urgenza di concludere perché significherebbe tornare alle catene di papà, però mi scazza starmene qui fermo a far nulla.
Ecco, finalmente si degnano di tornare. Era pure ora.
“Com’è andata?” chiedo, fintamente interessato.
Nessuno dei due mi risponde, ma dai loro sguardi si capisce chiaramente che zia Nabiki non diceva palle. Hanno una strana espressione, tutti e due: Akane appare un po’ tirata ma nel complesso sembra a posto, anche se nei suoi occhi brilla qualcosa che non riesco a definire; Ranma invece è determinato, esattamente come appariva nelle poche foto che mamma mi ha mostrato.
Tutto commovente, gente. Ora vogliamo andarcene fuori dai coglioni?
No, a quanto pare no. Akane mi si avvicina, un sorriso malvagio.
SOCK.
“Adesso siamo pari, Shinichi. Ringrazia che te la sei sfangata per tutto questo tempo”.

   
 
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