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Autore: Frayx9    26/12/2013    1 recensioni
“Allora, vieni?”
Chiusi gli occhi. Dovevo decidere. Me o Stefan? Andarci o no? Sì o no?
Al diavolo.
“Sì” sussurrai con voce flebile. Annuii, per convincere me stessa a stare bene per un po’ di tempo. Chissà- magari questa uscita mi avrebbe schiarito le idee.
Damon mi baciò l’altro zigomo, e potevo essere sicura di aver percepito un suo sorriso sulla mia pelle. Cercai di non svenire al tocco delle sue labbra e istintivamente chiusi le mie, come se ciò potesse proteggermi.
“Ti vengo a prendere tra poco. Tu preparati. Ah ed Elena…grazie.”
Genere: Generale, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 01.

She closed her eyes.


 

Il petto si abbassa e si alza ritmicamente.
Il cuore pulsa senza sosta nella gola.
Le palpebre improvvisamente si fanno pesanti.
Le braccia diventano ingombranti.
Le mani che dapprima gesticolavano nervosamente, adesso sono chiuse in piccoli pugni.
Le unghie penetrano sempre più nei palmi. Ma non mi curo del dolore che esse possono provocare-anzi infliggere- volontariamente: l'epicentro di un dolore incomparabile proviene dall'interno del mio corpo, e lo sento crescere e crescere, crescere alimentato da parole immagazzinate nella mente.
Un...buco. Una...voragine.
Il mio stomaco è risucchiata da essa. Sento di esserne quasi priva.
Il tremolio delle labbra diventa ingestibile.
Gli zigomi- oh, zigomi. Probabilmente sono loro la causa della mia malsanità temporanea!
Bruciano. Bruciano. Bruciano. B r u c i a n o con passione, loro.
Il fiammifero che ha dato vita all'incendio sono sempre loro; piccoli rivoli di acqua! Scendono fluide, senza alcun pudore o ritegno, le lacrime, ignare di ciò che stanno causando: echi.
Echi di sentimenti repressi, echi di parole mai dette, echi di immagini sfocate.
Echi...di echi già ascoltati.
Echi già conusciuti.
Sento la mia faccia contrarsi sempre più, in una maschera che potrebbe incutere paura o ironicamente somigliante una di quelle faccine che vedo spiaccicate sulle maglie del momento. Ma qui non c'è nulla di ironico. O forse sì; forse sono io l'elemento ironico!
Un fascio di dita si scioglie e si assembla nuovamente, incastonando questa volta un ciondolo diventato insostenibile e ostroibile per la respirazione.
Lo afferra quasi con violenza, quella mano destra, e lo stringe acquisendo l'impressione di poterlo modellare come fosse mastice, o pongo; assomiglia ad un altro cuore, quel ciondolo: è caldo, pulsa. Oh no. Un ciondolo non può pulsare. Ma è il metallo pressato su quel palmo che mi permette di controllare le pulsazioni vivaci.
E i rivoli scendono, scendono.
E il mio corpo dalla morsa glaciale si scioglie, abbandonandosi alla volontà di smettere, quasi fosse sollevato dell'atto in svolgimento.
E le palpebre si alzano come i sipari di un teatro; la vista sfocata mi mette a disagio, pensando alle orbite nere che avrò creato. Sbatto quelle palpebre due o tre volte, prima di riconoscere nel buio il profilo vicino del mio letto.
Il petto in tempo debito riacquista la sua sequenza temporale consueta e pian piano anche le mani si smembrano sui ginocchi piegati. La flebile luce lunare attraversa la finestra scoperta permettendomi di notare un quadrato scuro poggiato sulle mie coscie: il mio diario. La penna intrappolata tra le pagine segna la fine del mio ultimo racconto e l'inizio di uno in procinto di essere scritto. Ma non ho lo forza di scrivere.
Non così, non dopo...questo prima.
Eppure una frase esce di getto dalla mia testa, facendomi dischiudere la bocca seccata; sento il dovere di...di scriverla su quel foglio. Il pianto è arrivato prima, e ha avuto la precedenza ma ora, ritornata a farsi ricordare, ha tutto il diritto di essere scritta. E la scrivo poco dopo, con lentezza paziente da parte dei miei muscoli; bastano quelle semplici parole, poste sotto la data a poter dare un senso a quella notte.
'5 maggio. Notte fonda, in un posto non considerato della mia stanza.'
E la testa si posa sul vetro, si gira lievemente, guardando il cielo punto dalle stelle.
Ritorna al punto di partenza- leggo e rileggo quell'insieme di sillabe, portavoce del centro dei miei pensieri. Cerco di ripeterla, sebbene con voce flebile, per capacitarmi delle ultime azioni compiute.
Per convincermi che è un motivo valido.
Per convincere il buio ad impossessarsi di me, prima che i ricordi riaffiorino con violenza.
E improvvisamente il buio mi appartiene, dopo qualche decina di volte in cui i miei occhi si stropicciano e le mie pupille si focalizzano su quell'insieme storto, man mano diventato a macchie, e poi indistinto, e poi a colori per mano della mia mente. Non mi importa dell'angolo in cui riposerò, non mi importa di desiderare la morbidezza del mio letto.
E la sognerò, quella frase. Ne sono certa. Come sono certa che i problemi, e i panti liberatori che silenziano quell'uccello che si dimena e si sbatte contro i pali sottili di ferro che lo imprigionano, non siano ancora del tutto finiti. E per l'ennesima volta, lasciandomi abbattere da quella convinzione, un'immagine si forma chiara dietro ai miei occhi.
Mi sveglio di soprassalto, con il rumore del cellulare che vibra sul comodino.
Ho il fiatone, una mano sul cuore, il respiro che cerca di ritornare normale.
Volto la testa verso quel detestabile oggetto.
Potessi uccidere con lo sguardo, quel telefono sarebbe incenerito da un pezzo!
Sospiro richiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo, realizzando ciò che era successo qualche ora prima.
L'amore non è mai come ce lo descrivono.
Non vedi arcobaleni e cieli rosei, non vedi felicità da ogni dove.
Non è un sentimento facile con cui dialogare.
Si forma involontariamente, cresce e viene spinto da certi determinati dettagli ad esser quel che veramente è: un terremoto.
Una spaccatura della crosta terrestre.
Un temporale violento in alto mare durante una gita a largo.
Un fenomeno anomalo.
Non ti coglie all'improvviso, non è un colpo di fulmine a ciel sereno: l'amare richiede tempo. Richiede dedizione.
Richiede cura.
Richiede di essere nutrito, e una volta saziato a sufficienza, non aspetta altro che esplodere.
Come una bomba a mano.
Come la p a s s i o n e: una volta che essa scoppia, è difficile non cedervi.
Ma l'amore è più complicato: coinvolge troppi sentimenti interessanti.
Si viene a conoscenza del freddo, dei brividi, degli zigomi incandescenti, dei desideri. Desideri di crescente intensità.
Si desidera prima una carezza da poter conservare segretamente. Si desidera poi il calore di un abbraccio. Si desidera inalare nelle narici il...suo profumo. Si desidera perdersi nei...suoi occhi. Si desidera scostargli i capelli, passare le nocche sulle...sue guance, sfiorare con i pollici le...sue labbra. E poi...il desiderio di averlo per sempre con te. Poi...il desiderio di essere qualcosa di importante quanto lo è lui stesso.
E poi...il desiderio del volerlo accanto supera quello del contatto fisico e si è attratti dalla sua personalità, dalla sua mente, dai suoi gesti premurosi affettuosi violenti che siano.
Poi...il desiderio svanisce.
Come i sipari che separano la fine di una scena con l'inizio di un'altra, ad entrare per protagonista è la consapevolezza.
La consapevolezza semplice di essere innamorata di lui sempre più, sempre più, sempre più, sempre più...fino a impazzire. Diventa difficile, dopo che sei consapevole, sopravvivere, perché sei tentata a dire cose che porrebbero fine al tuo unico rapporto con quella persona.
Diventi orgogliosa, e dichiarare quanto lo desideri ti sembra sciocco: che lui possa o non possa ricambiare, che lui ricambi o non ricambi, che lui non ti respinga o ti respinga, non vuoi rischiare.
E diventi insicura nel modo di atteggiarti, di parlare, di vestirti in un look particolare, di uscire di casa, diventi insicura anche psicologicamente: i tuoi pensieri non sono più gli stessi.
L'amore viene considerato dunque come una punizione divina; io sono alquanto convinta di questo, per certi versi.
Sottolineo, per certo versi: nonostante ti cambi radicalmente, nonostante ti porti a non sentirti sicura, nonostante tutto, ti riconosci come una persona migliore, perché quella persona riesce a fare uscire il meglio di te, perché ti fa rischiare la sanità mentale, perché per raggiungerlo stai camminando sul filo di un rasoio. Ti senti unica, nonostante i tuoi equilibri siano modificati.
Ti senti viva.
Vedi il mondo come veramente appare.
Non sei più cieca, ora ci vedi: sono stati risvegliati in te sensazioni sepolte da tempo, o forse nemmeno mai provate. Per alcuni per queste ragioni amare è doppiamente inutile e doloroso, per altre è la scoperta di sé stessi.
In quest’ultimo caso, ti fortifichi.
Ciò che ti spaventava prima ora è insignificante.
Succede a tutti di innamorarsi.
E a me è successo.
Sta succedendo.
Sono già consapevole.
Ciò non è illegale, amare due persone si intende, tutto può succedere nella natura umana.
È un istinto: sei sempre in cerca di quel qualcuno che può sconvolgerti. O può anche accadere che questa persona arrivi nel momento meno opportuno, nel momento in cui tu sei già innamorata, e non la stai cercando.
E io sono stata trovata.
Due volte.
Erano più vicine di quanto potessi immaginare.
E...sono consapevole, di conseguenza, riguardo ciò che sto per dire.
Io amo te, Stefan Salvatore.
E amo te, Damon Salvatore.
Lentamente poso la mia attenzione sul diario ancora aperto all'ultima pagina calcata nel buio: quelle parole fanno bella mostra di sé, vantandosi del dolore che stanno provocando alla ragazza che ha impugnato la penna per scriverle. Lo ammetto, tendo a volte ad avere uno stile simile alle protagoniste dei film che, frustate da una giornata scolastica deprimente o da una cotta che sembra non finire, -ogni riferimento è puramente casuale- si distendono sul letto ed esprimono le loro indignazioni con parole pressoché teatrali....Ma ora come ora quelle parole non sono mai state più azzeccate.
Sospiro ancora una volta chiudendo distrattamente il diario e posandolo sul muretto di marmo che precede la finestra. Mi volto sedendomi per bene, con le gambe a penzoloni, mentre distendo il collo aiutandomi con le mani.
Momenti di quiete precedono un altro rumore, lo stesso di prima.
Sbuffo, e portando un piede dopo l'altro raggiungo il comodino accanto al matrimoniale, dove mi siedo nuovamente a gambe incrociate. Il display si illumina senza sosta e implora pietà, mentre lo raccolgo dalla superficie lignea per porre fine a quella tortura da parte di entrambi. Lo sblocco, impiego due secondi per realizzare ciò che mi si poneva davanti: un...messaggio. Un sms. Un... Un...
Deglutisco e accedo alla lettura del testo, e per poco non mi sento morire.
Le gambe pur stando a riposo diventano percettibilmente molli, le mani non esistono, l'aggeggio cade per terra.
"Io. Te. Parlare. Tra poco."
Semplice, preciso, schietto.
Damon.
Comincio a tremare vistosamente e sento il bisogno di alzarmi.
Cerco di tranquillizzarmi, di ricordare come si respira, ma è tutto inutile.
Un lieve rumore mi richiama alle spalle.
Mi giro lentamente.
Sulla finestra di casa mia, ha appena bussato un corvo.

 

  
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