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Autore: Emera96    26/12/2013    5 recensioni
Sono passati dieci anni dalla guerra che rivoluzionò Panem.
Katniss e Peeta vivono insieme, ma a Peeta questo non basta.
Per questo, chiederà a Katniss di sposarlo in un modo tutto suo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11.
 

Note dell'autrice:
Ebbene sì, dopo tre lunghissimi mesi sono tornata.
Dire che mi dispiace e che vorrei non essere sparita di nuovo è riduttivo e non voglio essere ripetitiva.
Mi sorprende vedere che nonostante tutto mi seguite in 54, e che 30 persone mi hanno messo tra le preferite. (o al contrario, non ricordo bene!)
Che dire? Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se più lungo e un po ' diverso dal solito. Con un finale decisamente da me!

 






Pov Katniss.




Il tempo mi terrorizza. Perché? Perché è una delle poche cose che non sono mai stata in grado di controllare in vita mia.
Non era nelle mie mani da piccola, quando, dopo una dozzina di anni passati a sorridere insieme, il tempo stesso decise di strappare via la vita di mio padre.
Non era in mio possesso quando una dannata bomba zittì Prim per sempre, senza darle l'occasione di combattere per una guerra che io avevo causato.
Morta per colpa mia, per la brama di un potere che ha saputo accecarmi, morta per colpa di Gale, di quell'uomo che vive indisturbato a pochi passi da me.
E il tempo adesso è qui, dentro di me, poco sopra il mio stomaco, appena sotto al cuore che batte.
Un qualcosa che cresce, che chiede di poter vivere tranquillo.
Peeta lo aveva sempre desiderato.
Un piccolo lui - o una piccola me, nel peggiore dei casi - da poter guardare con occhi che brillano. Con lo sguardo che mi aveva fatto scegliere.
Tre mesi sono passati, il matrimonio si fa vicino e la paura cresce al passo col bambino che porto in grembo.
"Pronta per l'ecografia?" mi chiede Peeta, accarezzando piano la pancia, appena rigonfia.
"Diciamo di sì. Sicuro di non poter venire?" chiedo di rimando io. Il solo pensiero di affrontare tutto da sola mi fa venire l'acqua alla gola.
"Purtroppo no, ho qualche commissione da sbrigare. Ma tranquilla, non sarai sola!"
Peeta mi rivolge un occhiolino fulmineo, senza dare spiegazioni, prima di aprire alla porta.
Prima ancora che possa chiedergli chi mi accompagnerà in quel tunnel degli orrori, tra mamme entusiaste e discorsi su pannolini, vedo Haymitch entrare in casa. Non c'è mai fine al peggio.
"Haymitch, puoi scusarci un attimo?" dico, fingendo un sorriso che il mio vecchio mentore non riesce nemmeno a cogliere.
Trascino Peeta per il bavero della giacca, fino ad arrivare nella camera più vicina che trovo. Lo faccio sedere sul pavimento del bagno senza troppa delicatezza.
Peeta, dal canto suo, mi guarda stordito, come se non sapesse nemmeno dove si trova e per quale oscuro motivo.
"Ma che ti prende?" Il suo tono sorpreso, quasi caduto dalle nuvole, non fa che aumentare la mia irritazione.
"Prima mi esasperi per questo dannato bambino e quando dovresti esserci mandi Haymitch? Non hai trovato un rimpiazzo migliore?" urlo a perdifiato.
Non cerco di mascherare la mia rabbia dietro la scusa degli ormoni. Mi costringo a non provare neanche un briciolo di compassione per il ragazzo del pane.
Peeta sembra vergognarsi per un momento della sua scelta, si guarda i piedi desiderando soltanto di sprofondare nel pavimento, di essere inghiottito senza mai tornare più.
"Credevo di farti un piacere. Effie si era offerta subito, ma avrebbe parlato di tutte quelle cose che tu normalmente detesti."
La sua voce si incrina appena, in una nota di dispiacere che è capace di farmi accusare il colpo. Ancora una volta, la mia forza distruttiva ha avuto la meglio.
"Scusa, non l'avevo considerato sotto questa prospettiva."
"Non importa, sono gli ormoni, no?" suggerisce lui, scusandomi ancora. Così come lo avevo portato lì, lo afferro per il colletto, avvicinandolo a me.
Non lo lascio andare prima di avergli estorto un bacio lieve, soffuso come le luci di una giornata che sta già volgendo al termine. "Ti amo, lo sai?" gli ricordo, prima di lasciarlo andare via. Haymitch, con la naturalezza che lo contraddistingue, mi prende sottobraccio, accompagnandomi in quella che si prospetta come una lunga, lunghissima giornata.



 
*****
 
Cammino con gli occhi bassi, senza proferire parola. Osservo il lastricato che si srotola sotto i miei piedi con una cura impressionante.
Haymitch non accenna a voler parlare, se ne sta a un metro da me, apparentemente così vicino da poter sentire l'alito colmo d'alcool, ma allo stesso tempo così lontano. Eccoci: due scorbutici, vecchi spiriti solitari. Un attimo prima sotto le luci della ribalta, un attimo dopo nascosti nel proprio bozzolo incrollabile.
"E comunque, dolcezza, dovresti imparare ad abbassare il tono. Le pareti di casa vostra sono sottilissime." mi fa notare con la solita punta di sarcasmo.
"Ti prego, almeno tu non dirmi cosa devo fare. Ultimamente Peeta mi tratta come se potessi rompermi da un momento all'altro." replico, acida.
Penso ai giorni passati, alla voglia di Peeta di starmi vicino, alla sua premura incontrollabile nei miei confronti.
Ai suoi continui "come stai?", alla sua voglia di essere padre.
Penso a quanto tutto mi stia sfuggendo di mano negli ultimi mesi. Penso ad un paio d'occhi grigi che, troppo tempo fa, mi ero promessa di dimenticare.
Arriviamo dal dottore nel giro di un quarto d'ora, e in un batter d'occhio siamo circondati da occhi curiosi. Gli occhi di chi, guardandomi, nota subito la mia pancia. Haymitch riesce ad allontanarmi in tempo dalle domande che sicuramente mi sarebbero piombate addosso, facendomi entrare in una sala d'attesa  poco meno affollata. Gli bisbiglio un "grazie" striminzito, sperando che se lo farà bastare.
La porta a lato della mia sedia si apre, ne fa capolino un uomo distinto, un vecchio dottore che ricordo di aver visto, in una veste più giovane, all'ospedale del Distretto 13. "Signorina Everdeen, tocca a lei!" urla, pur essendomi davanti.
Chiedo, con un cenno della mano, ad Haymitch di accompagnarmi e sento la sua stretta sulla mia spalla, come a sorreggermi.
Il dottore, senza nemmeno presentarsi, mi fa stendere su un lettino asettico, sciancato dalle tante persone che negli anni si erano posate sopra. Lo sento scricchiolare sotto il mio peso.
L'uomo mi chiede di alzarmi la maglia mentre Haymitch, istintivamente, si volta dall'altra parte, fissando la porta bianca per evitare di guardarmi.
"Signor Abernathy, se vuole può avvicinarsi." mormora all'improvviso il vecchio dottore, invitandolo a non allontanarsi ulteriormente.
Mi basta vedere la faccia di Haymitch, a metà tra l'imbarazzato e l'esausto, per capire quanto non vorrebbe trovarsi qui con me oggi.
Dopo tanti anni passati a casa con Effie, ha imparato milioni di modi per esprimere esasperazione soltanto utilizzando la mimica facciale.
Il dottore, una volta avvicinato un sempre più irritato Haymitch, spalma una sostanza gelatinosa sulla mia pancia, noncurante del brivido che essa mi provoca all'istante.
"Tranquilla Katniss, il gel non piace a nessuno. E dove avete lasciato Peeta?" chiede, curioso come le donne incinte nell'altra sala.
"In un posto sicuramente migliore di questo, dottore." risponde Haymitch, al posto mio.
Il dottore si limita a sorridere, incerto sul da farsi. "Vorresti sapere il sesso del bambino?"
Mi accorgo di aver annuito solo quando il dottore, con aria complice, mi dice: "Complimenti, Katniss, è una bambina."
"Speriamo non prenda dalla mamma!" ribatte Haymitch, divertito dal siparietto.
Sento un calore strano avvolgermi il petto, la stessa strana sensazione che ho provato in una grotta, e poi su una spiaggia bianchissima, e ancora e ancora.
Una sensazione che le persone comuni chiamano "amore" o "felicità", una sensazione che scelgo di non nominare in nessun modo, che ho voluto provare con Peeta e solo con lui.
...O forse no?

 
 
   
 
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