Maestrale
Sporto
dal ponte di comando, Arthur assistette allo
spettacolo della ciurma che riempiva la stiva, come faceva sempre prima
di un
lungo viaggio.
In
mezzo ai membri più consumati dell’equipaggio
zampettava
Lovino, che quasi spariva dietro le casse che trasportava. Di sicuro
non gli
mancava la forza di volontà per diventare un bravo marinaio.
Appoggiò i gomiti
al
parapetto e lanciò uno sguardo verso il basso: le onde si
arricciavano contro
le possenti fiancate della nave, e le più audaci arrivavano
a spazzare la
passerella che collegava la Queen of Pirates
al molo. Un vento allegro scompigliava le frange bianche dei flutti in
piccoli
spruzzi: quell’aria sarebbe stata l’ideale per
gonfiare le loro vele, una volta
giunti al largo.
Spinse
la sua attenzione oltre i coriandoli di spuma marina,
sul litorale e poi sul porto, dove alcuni paesani si erano riuniti per
salutare
il famoso corsaro e il suo seguito. Ma non distinse alcun uomo
appoggiato ad un
bastone.
Gli
occhi verdi vagarono oltre, alla ricerca della sagoma
della locanda. Antonio aveva una camera con vista sul mare: sicuramente
era
affacciato ad una finestra per salutare il suo ultimo affetto che
partiva.
Arthur
passò una mano tra i capelli, pensoso: non era venuto
perché lui aveva detto di non voler più vedere la
sua faccia abbattuta?
«Maledetto
filantropo» grugnì.
«Tutti
a bordo!» sberciò la vedetta, non appena i viveri
furono immagazzinati.
I
marinai si affrettarono a risalire la passerella e a
prendere posto sulla nave.
Solo
una figuretta si attardò, calamitata dalla città
che si
svegliava in lontananza. Il vento agitò i capelli,
cospargendoli di riflessi
autunnali, e ingrossò i vestiti troppo larghi, ma non smosse
di un millimetro
il ragazzo, immobile a fissare una piccola locanda persa in una foresta
di
costruzioni.
«Ehi,
scricciolo, dobbiamo levare l’ancora!»
abbaiò il
timoniere, mettendo le mani a coppa attorno alla bocca.
«Sbrigati a salire!»
Lovino
si voltò quasi perplesso, come se non capisse
perché
cercassero proprio lui; si volse di nuovo, a baciare con gli occhi
l’alberghetto bianco, poi diede le spalle alla spiaggia e
cominciò a salire.
Il
vento ruggì, e la passerella ondeggiò tanto che
Lovino fu
costretto ad abbassarsi per non essere disarcionato. I flutti
tutt’attorno si
ingrossarono rombando, ed esplosioni di schiuma candida deflagrarono
dal
profilo aguzzo degli scogli.
«E’
bello quel paesino, vero?» gridò Arthur sopra gli
ululati delle folate aggressive. «Dispiace quasi
lasciarlo.»
La
natura si rabbonì all’improvviso: le onde
tornarono a
sciamare con grazia, guidate dalle maree, e il vento scemò
in una brezza
morigerata.
Lovino
non udì le sue parole, o fece finta di non averle
sentite: si rialzò sulla passerella e ricominciò
a salirla.
Ma
ebbe di nuovo un istante di esitazione sull’ultima asse
di legno. Non si voltò a guardare il litorale, ma lo vide
anche senza girarsi:
le lingue di sabbia, la strada che portava alla locanda e che
proseguiva verso
il mercato… la finestra da cui lui stesso aveva osservato
tante volte il mare…
«E’
un vero peccato lasciarlo, non è così?»
Arthur
non precisò l’oggetto della sua domanda.
A
chi si riferiva l’inglese? Al paese o ad una persona in
particolare?
Il
capitano buttò fuori un rivolo di rimpianto con un
sospiro: nemmeno quella volta avrebbe potuto fare niente per il suo
amico.
Lovino
aveva compiuto anche l’ultimo passo. Ormai era a
bordo della nave.
***
Antonio
aveva avvicinato una sedia alla finestra, poiché
sapeva che le sue gambe non avrebbero retto un secondo addio, dopo
quello al
mare.
Guardò
tutto, come aveva fissato il bisturi mentre sradicava
la pallottola dal suo muscolo sanguinante, anni prima.
Osservò l’equipaggio che
caricava la nave, il galeone che si riempiva di merci e di persone, e,
infine,
la partenza.
Anche
senza distinguere i dettagli, aveva immaginato tutto:
l’ancora che veniva sollevata, le vele spiegate, il timone
strattonato verso la
rotta stabilita.
E
Lovino che se ne andava.
Passò
una mano sugli occhi. Era stanco. Terribilmente
stanco.
Chiamò
Consuelo per farle sapere che quel giorno non sarebbe
sceso poiché le sue condizioni di salute non erano delle
migliori. La cameriera
accettò le sue disposizioni con un inchino e se ne
andò, angustiata.
Antonio
appoggiò il bastone alla parete, e restò a
fissare
il galeone che si rimpiccioliva fino a sparire. Il mare gli
sembrò tremendamente
vuoto, quando il vascello fu sparito.
«Dea
del Mare» esalò. «Non ti è
bastato prenderti la mia
prima vita? Dovevi strapparmi anche la seconda?»
Chiuse
le palpebre, esausto. No, non era colpa della Dea: se
avesse voluto Lovino accanto a sé, avrebbe dovuto insistere
maggiormente
affinché restasse. Aveva deciso di non farlo, e quello era
il risultato della
sua scelta: un mare sterile ed un letto vuoto.
Ma Lovino era felice.
Forse, una lontanissima eco della sua gioia sarebbe arrivata fino a
lui,
trasportata dalle onde: si sarebbe fatto bastare quel baluginio di
contentezza
per tirare avanti.
Non
si accorse di essersi addormentato finché un gran putiferio
al piano di sotto non lo destò: aveva passato le notti
precedenti in un’agitata
insonnia, per cui non era stato troppo complicato cedere alle seduzioni
di
Morfeo.
Faticò
non poco per togliersi dalle spalle quel pesante intontimento.
Afferrò l’impugnatura del bastone per sollevarsi
dalla sedia; dal pian terreno
si levava un tramestio di voci concitate, ed un rumore acquoso si
faceva strada
sulle scale.
Antonio
non riuscì a capire di cosa si trattasse finché
la
porta non venne spalancata.
«Che
il diavolo ti fulmini!» sbraitò una strana
creatura,
chiudendo con violenza l’uscio. «Tutta questa
fatica per un idiota!»
I
capelli come alghe rossicce, gli indumenti ridotti ad un
agglomerato di stoffe fradice ed una grossa pozza che si allargava ai
suoi
piedi: Antonio impiegò qualche istante a distinguere
qualcosa in quello strano
essere.
Ma
quando lo riconobbe non trascorse un secondo prima che
l’ex-capitano, dimentico del suo bastone e del suo zoppicare,
corresse da lui e
lo circondasse con un abbraccio.
«Mi
soffochi!» s’incaponì il gocciolante
individuo.
«Perché
sei tornato?» esultò Antonio, stringendolo con
tanta
forza da stritolarlo.
La
voce non era solo roca: si sbriciolava nelle corde vocali
dell’uomo per l’emozione. La gioia di Antonio era
tale che debordò come un lago
arginato da una diga troppo piccola, sommergendo anche il ragazzo che
cingeva
con le braccia.
«Non
fare domande idiote» bofonchiò contro la sua
spalla
Lovino, che ancora non aveva ricambiato l’abbraccio.
«Ti sto bagnando» gli fece
notare, poiché il compagno sembrava non curarsi affatto dei
vestiti che si
impregnavano d’acqua.
«Lovino!»
festeggiò Antonio, baciandolo sullo zigomo, sul
mento, sulla fronte. Gli indumenti di entrambi erano ormai zuppi, e le
labbra
dell’uomo si bagnarono nel percorrere il viso lucido di mare
del ragazzo, ma
Antonio non se ne preoccupò: la sua percezione del mondo si
limitava al giovane
che brontolava contro il suo petto.
Lovino
si zittì, e si arpionò alla camicia umida del
compagno. Non gli avrebbe detto di come la nostalgia lo avesse
pungolato,
convincendolo a girarsi di nuovo; non gli avrebbe rivelato che,
voltandosi,
aveva intravisto il suo viso alla finestra; soprattutto, non avrebbe
mai saputo
che si era sentito perduto al pensiero che, se fosse partito, non gli
sarebbe
bastato volgere lo sguardo per incontrare il suo volto.
La
Queen of Pirates non
poteva certo fare inversione solo per lui, né calare una
scialuppa di
emergenza. Così Lovino aveva fatto l’unica cosa
possibile, e anche la più
pazza: aveva scavalcato il parapetto e si era tuffato, nello sgomento
dei
marinai e nel giubilo del capitano, che lo aveva incitato a nuotare
più veloce.
Aveva
raggiunto la riva a nuoto, agevolato dalla calma del
mare, quasi docile durante la frenetica traversata del giovane.
Ed
eccolo lì, selvatico e piovoso, aggrappato al motivo che
lo aveva fatto tornare sulla terraferma.
«Non
partire più» bisbigliò Antonio,
avvicinandosi alla sua
bocca. Lovino schiuse le labbra, assaporando il gusto della sua scelta.
Il
materasso sembrò più soffice delle volte
precedenti,
quasi gioisse anche lui del ritorno del giovane.
Il
ragazzo non inscenò alcuna guerriglia, quel giorno, e non
scalciò contro l’uomo che si adagiava su di lui.
Trattenne il respiro quando i
bottoni si separarono dalle asole, e lo liberò in un ansito
nell’avvertire la
bocca del compagno sul suo petto infreddolito.
I
vestiti non riuscirono a bagnare il materasso: raggiunsero
il pavimento in poco tempo, e dovettero accontentarsi di inzuppare
delle misere
assi di legno. I capelli di Lovino, al contrario, formarono una
frastagliata
ghirlanda umida sul cuscino.
Le
mani e gli occhi dell’uomo esplorarono tutto il corpo del
giovane, come se lo scoprissero per la prima volta. Partirono dai
capelli
arruffati dalla nuotata e li accarezzarono piano, come una seta
pregiata. Poi
scesero sul viso, dove le dita si soffermarono sulle labbra arrossate e
gli
occhi sui loro gemelli castani.
La
bocca dell’uomo si attardò sulla pelle morbida del
collo,
e le mani proseguirono fino ad incontrare la consistenza tenera delle
cosce.
Ripeté
il suo nome, la voce ridotta ad un bisbiglio rauco, e
Lovino rispose facendo strisciare le gambe contro i suoi fianchi e le
braccia
attorno al suo collo.
Com’era
bello, il suo Lovino, nonostante i capelli
scompigliati e le labbra screpolate dall’aggressione della
salsedine. Non era attraente
perché i suoi lineamenti fossero perfetti, o il suo fisico
scultoreo. Era come
il mare, forte e fiero fino all’arroganza, affascinante anche
nei suoi lati più
aspri. Ma Lovino era infinitamente superiore all’oceano: era
un amico dalle
lunatiche premure, un lavoratore fidato e un amante litigioso. Era una
persona
viva, un innamorato pronto a gettarsi in mare per non perdere chi amava.
Lo
baciò ancora mille volte, insaziabile del gusto salato
delle sue labbra.
Le
braccia di Antonio lo serrarono con forza mentre i loro
corpi si univano, come se l’uomo volesse immergersi
direttamente nel suo
spirito. Lovino cercò un appiglio nelle sue spalle per
rispondere al desiderio
che si faceva strada in lui, represse con veemenza le lacrime e si
lasciò
modellare dalla volontà dell’amante, pronto a
condividere anche l’anima: si era
legato a quell’uomo precludendosi le libertà che
l’oceano gli offriva, per cui
non avrebbe risparmiato nemmeno una cellula del suo essere nel vivere
quell’amore.
Immerse
le dita nei capelli scuri come le profondità marine,
respirò il profumo intenso del compagno, premette le labbra
sulla pelle
bollente. Non gli importava dove tutto quello lo avrebbe condotto: per
quanto
il sentiero potesse diventare periglioso, Antonio sarebbe stato con
lui. Aveva
scorto un inespresso giuramento negli occhi verdi che lo lambivano
adoranti, e
quel giuramento gli garantiva che non sarebbe mai più stato
solo: l’ex-capitano
non gli avrebbe permesso di chiudersi di nuovo dentro se stesso.
I
muscoli dell’uomo si irrigidirono dalla sorpresa quando
Lovino sollevò il capo dal guanciale per baciarlo di sua
sponte; lo stupore
durò per un secondo prima che Antonio ricambiasse la
piacevole caparbietà del
giovane.
Lovino
si premette contro di lui, ansando piano nelle sue
labbra calde.
Quello
era il legame per cui era pronto a mettere in gioco
il proprio cuore.
Per
Antonio, era disposto a rischiare.
***
La
vista era davvero stupenda, da quella camera.
Capiva
perché Antonio l’avesse voluta per sé:
di notte, la
luna arrivava a trovarsi esattamente al centro della finestra, come un
quadro
orientale.
Lovino
si spostò cauto sotto le lenzuola, cercando di non
svegliare Antonio. Uno zefiro notturno gli scivolò sulla
pelle nuda, facendolo
rabbrividire, e il ragazzo si avvicinò di nuovo al compagno
assopito per
acciambellarsi nel suo calore.
Si
sentiva la risacca del mare, in lontananza. Quella sera
avrebbe dovuto udirla più distintamente, accucciato nella
pancia di una nave, separato
da lei solo da un rivestimento di legno e pece. Invece
ascoltò il suo canto
sdraiato in un letto comodo, abbracciato da una coperta e dal suo
amante.
Non
era stato il mare a strapparlo da un padrone violento, a
dargli una casa e un lavoro, ad innamorarsi di lui. Era stato Antonio.
Solo
Antonio.
«Sarà
per la prossima volta» soffiò in direzione delle
onde
danzanti.
Si
sollevò appena per osservare il suo compagno: Antonio
dormiva sereno, le braccia attorno ai suoi fianchi, la corporatura
solida messa
in risalto dalle luci di mezzanotte, la cicatrice che raggrinzava la
linea della
coscia.
Sicuro
che l’ex-capitano non si sarebbe svegliato, Lovino
allungò la mano per sfiorare la pelle in rilievo. In un
certo senso, era in
debito con la malasorte che aveva bloccato sul litorale il coraggioso
corsaro.
Se le cose fossero andate diversamente, lui sarebbe rimasto sotto le
bastonate
del fruttivendolo, e Antonio non avrebbe mai saputo della sua esistenza.
Risalì
il contorno del corpo dell’uomo, poggiò i palmi
sul
suo petto e la guancia sulle nocche.
«Non
parto più» sbuffò, tra il risentito e
il mansueto.
«Perciò tu non lasciarmi andare.»
Nel
sonno, Antonio strinse la presa attorno alla sua vita e
immerse il viso nei suoi capelli, per poi tornare immobile.
Lovino
lo abbracciò a sua volta e usò il suo petto come
cuscino per addormentarsi.
Non
gli sarebbero servite stelle polari ad indicargli la
strada, porti in cui attraccare e avventure per le quali imbarcarsi.
Con
lui c’era Antonio.
Non
aveva bisogno di altro.
***
Il
pubblico femminile espresse il suo consenso con un lungo
applauso, che Francis sorbì con la soddisfazione dipinta sul
volto.
«Quindi
sono rimasti insieme?» gorgheggiò la bimba con le
trecce.
«Ovviamente,
mia diletta» confermò Francis.
«E
sono ancora là?» cinguettarono le tredicenni.
«Ma
certo, signorine. Se capitate in Spagna, assicuratevi di
soggiornare alla locanda di Antonio Fernandez Carriero, e potrete
conoscere lui
e la sua dolce metà. Anche se…» si
stuzzicò la barba, alzandosi con un sorriso
criminale: «Forse vi sembrerà un pochino
più mascolina rispetto a
come ve l’ho descritta io.»
Francis
tornò al suo tavolo, lasciando il pubblico attonito
per quell’affermazione.
Non
si preoccupò di risolvere il loro interrogativo: il
tempo del narratore era finito. Era tornato il francese devoto solo
alla
contemplazione estetica.
Sollevò
il calice, brindando intimamente ai due innamorati
nell’assolata baia spagnola, alle risate di Antonio e ai
bronci di Lovino.
«Chiederò
ad Arthur di raccontarmi qualche altra storia
interessante, non appena si fermerà in
Francia…» rifletté, gustando il vino.
Quella
sorsata recava con sé il gusto della nebbia inglese,
dei profumi di Spagna e dei roseti di Francia.
Francis
sorrise, vuotando il bicchiere.
Per
quella sera, non vi erano altre storie che valesse la
pena di raccontare.
Sequel di Rosa de los Vientos: Rosario Cuentas