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Autore: Misaki Ayuzawa    26/12/2013    3 recensioni
Chi è Tessa Gray? Ve lo dico subito. Tessa Gray è una povera sedicenne in crisi. Perchè, non solo frequenta il terzo anno di liceo, e si sa, il liceo è un problema per tutti, ma anche perchè non riesce a trovare il libro giusto... si avete capito, è una lettrice appassionata che non riesce a trovare un libro appassionante e questo è un problema per qualunque lettore che si rispetti! Questa, signori è la storia di Tessa Gray e della sua caccia alla "trama perfetta" ma non solo la sua perchè compariranno, con la stessa importanza, gli altri personaggi che fanno di Shadowhunters il ciclo di romanzi che è!
Dal 7° cap.: Il blu si fuse col grigio per diventare tempesta.
Dal 9° cap.: "E che cosa cerchi?"
"Romanzi. Ce ne sono pochissimi. O poesie ... Ci sono soltanto enciclopedie e storici!"
Will si sentì ferito nell'orgoglio. Quella era la sua biblioteca e nessuno la poteva offendere!
Dal 13° cap.: "Ah non preoccuparti! In caso scacciamo via Will!"
"Chissà perchè non credo prenderebbe la cosa con diplomazia ..."
"Mmmm ... forse no" Rise.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Theresa Gray, William Herondale
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 23: Nuovo docente

“Sophie? Sophie dove sei? Oh eccoti qua!” Charlotte dopo aver girato in lungo e in largo l’istituto trovò la cameriera intenta a pulire il pavimento della sala da musica.
Sophie le si avvicinò e annuì, invitandola a continuare.
“Io ed Henry stiamo uscendo. Se hai bisogno di qualcosa chiamami al cellulare, d’accordo?” Charlotte sorrideva. Non era qualcosa che succedeva spesso, quella di vedere quella donna serena, dato tutte le responsabilità che gravavano sulle sue spalle, e Sophie si odiò per quello che doveva dirle.
“Ma … signorina Fairchild … Tra non molto non doveva arrivare il nuovo insegnante?”
Charlotte si battè la mano sulla fronte. “Hai ragione, Sophie! Che farei senza di te” e le strinse il braccio riconoscente.
Si affrettò fuori dalla porta e la cameriera la sentì mormorare qualcosa, seguita dalla risposta di Henry, che diceva che non c’era problema e che avrebbero potuto anche posticipare.
Sophie la raggiunse e schiarendosi la gola e spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro, disse “E’ Natale, uscite. Posso anche occuparmene io. Lo accolgo, gli do le chiavi e lo accompagno nella sua stanza”.
Charlotte scosse la testa vigorosamente “E’ bello da parte tua ma io sono la direttrice dell’istituto. Non posso essere via quando arriva un nuovo membro del corpo docenti”.
Dopotutto, innamorata o no, Charlotte Fairchild restava pur sempre Charlotte Faichild, figlia di suo padre.

Erano più o meno le dodici e mezzo, e i pochi studenti rimasti a scuola per le vacanze erano tutti in mensa, quando il campanello del cancello squillò.
Charlotte corse al citofono e vide che sullo schermo dell’apparecchio era comparso un giovane uomo che non poteva assolutamente essere più grande di lei. Nonostante la telecamera in bianco e nero, riuscì a capire che aveva i capelli chiari. Premette il pulsante di apertura e il volto del ragazzo, i cui occhi continuavano a ruotare verso destra e poi verso sinistra con fare impaziente, scomparve.
Lo vide pochi secondi dopo “dal vivo” percorrere il cortile nella sua direzione e pur vedendola, non si sprecò in alcun segno di saluto.
Charlotte aveva visto giusto, aveva i capelli biondo sabbia e, una volta avvicinatosi, potè scorgere il verde foresta dei suoi occhi.
Il ragazzo fece un lieve cenno e tese la mano. Una volta che Charlotte ebbe accettato la stretta, costatando che il nuovo arrivato doveva allenarsi un sacco, dato che sotto la camicia leggera bianca si intravedevano i muscoli ben lavorati, senza però essere esagerati, questi si presentò, con una voce scura e alquanto brusca “Gideon Lightwood, piacere. Voi dovete essere la signorina Fairchild, giusto?”
“Si. Molto piacere di conoscerla. Suo padre mi ha parlato molto di lei e ha insistito molto affinchè le dessi questo lavoro”
“Lo so”.
Charlotte rimase interdetta da quel “lo so”. Benedict Lightwood le aveva fatto intendere che il figlio nutriva grandi speranze di ottenere quel posto e ora quello stesso ragazzo si comportava come se stesse andando incontro ad una morte non voluta e non accettata. Ma cosa ci si poteva aspettare d’altronde da un Lightwood? Benedict non era mai stato particolarmente gentile con lei, tranne quando appunto le aveva parlato del figlio maggiore, e il minore, Gabriel Lightwood, studente della London Institute, era un damerino montato e così orgoglioso del suo nome antico e dell’importanza della sua famiglia all’interno della catena degli Institute che Charlotte non si sarebbe affatto stupefatta se da un momento all’altro la sua testa si fosse staccata dal corpo, fin troppo colma di un tale compiacimento di sé.
“Bene. Ho fatto preparare già una stanza per lei. Ora sarà accompagnato lì in modo che si possa sistemare. Poi le farò fare un giro dell’istituto e le consegnerò il blocco con le normative scolastiche e tutta la burocrazia. Oh, ha già mangiato?” Charlotte tentava di essere il più professionale ma accogliente possibile. Non voleva che poi un Lightwood si andasse a lamentare di lei al Consiglio, magari direttamente con il presidente Wayland!
“No, non ne ho avuto il tempo. L’aereo è atterrato un’ora fa e poi ho dovuto prendere il pullman per venire qui”
“Gli altri professori hanno già mangiato. Le farò portare qualcosa tra un’oretta e poi discuteremo di lavoro. Va bene?”
“Mi sembra perfetto” ma dal suo tono non sembrava affatto perfetto.
Charlotte lo accompagnò fino alla presidenza e consegnò a Gideon le chiavi. Infine fu scortato fino alla sua stanza da Sophie.
La presidenza era al secondo piano, insieme alla segreteria, alla sala da pranzo per i docenti e gli alloggi per il personale della scuola, mentre le stanze dei docenti si trovavano allo stesso piano di quello per gli alunni, solo in un’ala diversa del primo piano.
Essendo l’ascensore proprio davanti la presidenza, Sophie guidò meccanicamente il signor Lightwood in quella direzione ma quello la bloccò dicendo “Non ci sono delle scale? Anche poco fa sono salito in ascensore ma ho bisogno di orientarmi, non di riposarmi”
Sophie si inalberò un po’. Dato che portava lei la valigia del signor Lightwood non aveva proprio voglia di andare a piedi ma di certo non poteva contraddirlo.
Senza dire nulla la cameriera girò a destra e proseguì il corridoio, sentendo i passi del professore dietro di lei, fino a quando non giunsero al ballatoio, da dove partiva la scala.
Gideon parve accorgersi del fatto che Sophie, tenace e senza lamentele, tentava di reggere il suo pesante borsone.
“Dios mio, que soy un idiota!” Giunse a fianco di Sophie e, nell’atto di toglierle la valigia dalle mani vide la cicatrice che percorreva il lato sinistro del suo volto e il suo sguardo ci si fermò un po’ più del dovuto, pur non assumendo nessuna emozione particolare. In un certo senso Sophie gliene fu grata. Capiva bene che a vedere una cicatrice del genere chiunque l’avrebbe osservata, ma in molti avrebbero fatto domande. Questo invece non accadde. Semplicemente il signor Lightwood afferrò il suo pesante borsone e se lo buttò sulle spalle larghe e muscolose quasi come pesasse quanto un petalo di rosa.
Il tragitto fu alquanto silenzioso e durante il quale Sophie si chiese perché mai avesse parlato in spagnolo. Sapeva bene che i Lightwood erano una famiglia di origini britanniche.
Giunti davanti alla porta Gideon ringraziò Sophie, la quale si ritirò dopo aver fatto un cenno col capo, e aprì la porta.

Sophie, mentre preparava il pranzo per i signor Lightwood, ascoltava Agatha che si lamentava per la quantità di stoviglie sporche che ancora doveva lavare.
Quando il pasto fu pronto, una scodella di brodo caldo, anche se dalla camicia leggera che il professore portava aveva dedotto che non soffrisse tanto il freddo, una fetta di carne accompagnata da purè e infine un mezzo bicchiere di vino bianco e un altro vuoto, nel quale avrebbe potuto versare l’acqua contenuta nella brocca di cristallo.
Mise tutto sul carrello di plastica bianco e, grazie alle sue benedette ruote, lo portò in ascensore e infine, fermandosi davanti la porta del nuovo professore bussò.
Dopo qualche attimo il signor Lightwood venne ad aprire. Rimase alquanto sorpreso nel vedere Sophie con quell’enorme carrello. Evidentemente aveva passato troppo tempo sotto la doccia e cercò di ignorare il fatto che, mentre la cameriera entrava con il carrello disponendo ordinatamente i cibi e le bevande sul tavolo, indossava solo un asciugamano tenuto in vita e retto dalla sua mano destra, mentre quella sinistra gli portava all’indietro i capelli biondi bagnati, più per fare qualcosa che per effettiva necessità.
Sophie invece trasudava indifferenza. Praticamente non lo aveva neanche guardato. Non che Gideon si considerasse un adone ma, insomma, quando una ragazza vede un ragazzo con un fisico niente male e per di più bagnato, la reazione naturale sarebbe quella di sgranare gli occhi estasiata, quanto meno.
La cameriera, sempre tenendo stretto il suo carrello ormai vuoto, gli si pose nuovamente davanti.
“Quando posso venire a riprendere i piatti?” I suoi occhi erano puntati in quelli di Gideon, senza indugiare su altre parti del corpo.
Gideon ci mise qualche secondo a decifrare la domanda. Poi, maledicendosi per la figura da babbeo che stava facendo rispose in fretta
“Puoi-“ accorgendosi dell’occhiataccia della cameriera, rettificò “Può passare tra trenta minuti. Si, si. Trenta minuti vanno benissimo”.

Gideon Lightwood, con la sua imponente stazza, sovrastava Charlotte Fairchild di una testa, mentre accanto a lei, visitava la London Institute e memorizzava le aule, le varie stanze e i corridoi. A giro concluso, durante il quale la direttrice era stata piuttosto gentile, anche se era arrivato nel giorno di Natale possibilmente rovinando qualche programma, ma allo stesso tempo in quella creatura minuta c’era qualcosa che lo aveva intimidito e che gli imponeva di riserbarle un certo rispetto.
“Allora, Gideon, posso chiamarti Gideon vero? Tu puoi chiamarmi Charlotte, comunque” proseguì ad un cenno di lui “E’ molto diverso qui da Madrid?”
Charlotte sapeva che nell’anno precedente era stato insegnante all’Instituto de Madrid.
“Non molto. Così ad occhio mi sembra tutto alquanto simile. Là la gestione era eccellente e non mi sembra che qui pecchiate di qualcosa. Di certo non ci sono problemi né con la cucina né con la pulizia”.
Charlotte parve molto soddisfatta del commento.
“Riferirò”.

 Angolino dell'autrice: Si si, lo so ... sto pubblicando a velocità supersonica ma sto approfittando di queste vacanze per portarmi avanti con la storia ^^ Con questo capitolo ci allontaniamo un pò dai personaggi principali, ma mi auguro che abbiate gradito lo stesso :) 
Ringrazio tutti quelli che recensiscono e che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, e ovviamente tutti quelli che leggono e silenziosamente continuano a seguire questo racconto. Vi adoro! :)

 

  
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