Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: TeenSpiritWho_    27/12/2013    5 recensioni
Il futuro può essere cambiato anche solo dal più piccolo errore, e Duncan lo scoprirà presto. Verrà trascinato in un luogo sconosciuto e dovrà lottare contro chi amava per salvare chi ama. Perché non sempre le persone di cui ti fidi si conoscono del tutto...
Genere: Azione, Guerra, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Geoff, Gwen, Un po' tutti | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il colpo del ragazzo mi prese in pieno volto, talmente forte che caddi a terra a faccia in giù.

Cercai di non badare al dolore bruciante che immediatamente mi pervase, e tentai di risollevarmi sui gomiti. Lui, però, mi spinse nuovamente a terra con un calcio.

-Ma guarda guarda chi abbiamo qui.-

Si accovacciò accanto a me, studiandomi con espressione divertita. Io gemetti dal dolore, portandomi una mano allo sterno e lanciandogli un'occhiata piena d'odio.

Lui ignorò il mio sguardo -Ezekiel,- chiamò -vieni subito!-

Il viso smagrito e pallido di un ragazzo, non più che adolescente, fece capolino dalla soglia della porta che dava sulla stanza accanto.

-Che c'è, che hai trovato?- chiese, curioso, spostandosi da davanti agli occhi una ciocca di lunghi capelli castani e unti.

Fece per venire verso il suo amico, ma quando mi vide restò bloccato. Mi indicò, spalancando la bocca.

-Ma... Lightning, è lui?-

-Lui in persona.-

-Duncan Cooper?-

-Ci puoi scommettere.-

Ezekiel scoppiò in una fragorosa risata, sguaiata e fastidiosa.

-Siamo ricchi! Ricchi da fare schifo!-

-Più ricchi della regina d'Inghilterra, proprio così!- disse Lightning con un ghigno. Si rialzò in piedi, pulendosi i pantaloni impolverati, e disse all'amico -Adesso dobbiamo solo trovare un...-

Non gli feci finire la frase. Gli afferrai la caviglia e lo trascinai a terra insieme a me. Lui gridò, ruzzolando fragorosamente sul pavimento. Scattai in piedi e mi voltai verso uno sbalordito Ezekiel.

Il ragazzino aveva gli occhi spalancati in un'espressione di terrore e indietreggiò di qualche passo, ma non riuscì a schivare il mio pugno, che lo fece finire con la schiena contro al muro. Sentii un movimento dietro di me e mi abbassai appena in tempo per evitare il cazzotto di Lightning, che nel frattempo era riuscito a rialzarsi. Mi voltai verso di lui e mi preparai a difendermi, le braccia strette contro il torace e i pugni chiusi, quando, all'improvviso, mi tornò alla mente un'altra occasione in cui mi ero dovuto difendere allo stesso modo.

Gwen.

Quel pensiero mi sferzò come una ventata di aria gelida.

Ripensai al mio primo allenamento al Rifugio, quando avevo dovuto combattere contro Gwen. E ripensai a quanto mi mancava.

Mi ero distratto e Lightning non perse l'occasione. Mi afferrò un braccio per tenermi fermo e mi colpì dritto sullo stomaco, bloccandomi il respiro per un istante. Poi mi afferrò i capelli e tirò verso di lui, obbligandomi a guardarlo negli occhi.

-Fai un'altra cosa del genere e ti spedisco all'inferno a calci in culo.-

Mi spinse nuovamente a terra e mi tirò un calcio allo stomaco. Il dolore fu talmente forte da accecarmi per un momento.

Spero che le mie costole siano ancora tutte intere, pensai, quando tornai lucido.

Mi rannicchiai su un fianco con un gemito e tossii, macchiando il pavimento di sangue.

Brutto segno.

-Muoviti Zeke, alzati. Sarà meglio che lo portiamo al campo prima che combini altri guai.- fece qualche passo verso di me e esclamò -Shabam!-

Poi ancora dolore, e tutto si fece nero.

 

-Duncan! Duncan!-

Le grida di Gwen erano disperate ormai. Correva tra gli alberi del bosco poco lontano dal quartiere degli sfollati, ansimante, incurante del freddo. Dopo ore e ore di ricerche era giunta a una conclusione: o Duncan era morto o era in grave pericolo.

Non avrebbe mai potuto abbandonarla per tutto quel tempo senza farsi più sentire. Si fermò e alzò lo sguardo sul cielo tinto di arancione che si poteva intravedere tra gli alberi. Era il tramonto ormai, era passato quasi un giorno da quando se n'era andato.

Gwen si coprì la bocca con una mano e trattenne un singhiozzo di disperazione. Le mancava immensamente. Litigare con sua madre l'aveva fatta sentire come una bambina e tutto quello che voleva era poterlo riabbracciare e confidarsi con lui. Duncan era l'unica persona al mondo con cui Gwen era mai riuscita a parlare sul serio, l'unica persona a cui aveva raccontato della sua turbolenta infanzia. Lui sarebbe sicuramente riuscito a farla sentire meglio. Le avrebbe dato un bacio, le avrebbe accarezzato i capelli e tutto sarebbe svanito.

Ma lui non c'era.

La prima lacrima calda rigò la guancia di Gwen, seguita poco dopo da un'altra e un'altra ancora. Senza nemmeno accorgersene aveva cominciato a piangere, silenziosamente.

Una mano si posò sulla sua spalla. La ragazza sobbalzò, spaventata, e si voltò di scatto. Geoff era davanti a lei, gli occhi stanchi cerchiati da grosse occhiaie scure dovute alla mancanza di sonno delle ultime ore.

-Gwen, stai bene?-

Lei annuì velocemente, distogliendo lo sguardo. Il ragazzo le sollevò il mento con la mano, costringendola a guardarlo negli occhi.

-Gwen.-

-Mi manca così tanto...- mormorò la ragazza, senza più tentare di nascondere il pianto -Gli è successo qualcosa di brutto, me lo sento. E non posso sopportare di stare qui con le mani in mano mentre lui è là fuori, chissà dove!-

Lo sguardo di Geoff si addolcì, e il biondo abbozzò un sorriso -Avanti, non essere così pessimista. Scommetto che è in giro con Noah, staranno risolvendo il loro piccolo... diverbio. Magari sono già tornati a casa di tua madre.-

Gwen si asciugò gli occhi -Non avete trovato neanche Noah?-

Geoff scosse la testa, affranto. Restarono così per qualche secondo, lui con lo sguardo fisso nel vuoto e una mano sulla spalla della ragazza, lei che si asciugava le lacrime con lenti gesti della mano.

Poi il ragazzo spezzò il silenzio, dicendo -Dovresti chiederle scusa, sai.-

Gwen alzò gli occhi su di lui, interrogativa -Cosa?-

-Tua madre, dico. Dovresti chiederle scusa.-

Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo -Geoff, per l'ultima volta...-

-... non sono affari miei, lo so, lo so. Ma l'hai davvero ferita, Gwen. E non è solo colpa sua. Dopotutto le madri sono fatte così, è il loro dovere ficcare il naso negli affari delle figlie.-

La ragazza si scostò dalla mano di Geoff, ancora sulla sua spalla -Hai ragione, abbiamo fatto male a tenervi nascosta la nostra “relazione”. Ma hai visto cos'è successo appena Noah l'ha scoperto, esattamente l'opposto che volevamo accadesse. E hai ragione, ho ferito mia madre, la colpa non è solo sua. Ma non è solo per questo che mi sono sfogata così con lei ieri. Noi abbiamo... dei trascorsi, per così dire. Cose successe in passato.- deglutì, nervosa.

-Credevo che voi due aveste un buon rapporto, sembrate così unite!-

Gwen sorrise -E lo siamo. Se avessi passato tutto quello che abbiamo passato io e la mia famiglia insieme anche tu saresti unito. Ma ci sono cose che non le ho mai perdonato, neanche col passare degli anni...-

 

All'epoca Gwen aveva solo 16 anni.

Lei, la madre e il fratellino vagavano da un luogo all'altro da giorni, in cerca di un po' di cibo. Ma non potevano entrare nelle città, era un rischio troppo grande. Da quando il padre di Gwen era morto loro erano in fuga perché lui aveva aiutato dei ribelli e, di conseguenza, anche la sua famiglia era un pericolo e andava eliminata. Entrando in una città sarebbero sicuramente stati visti dai Grigi e a quel punto nessuno avrebbe più potuto salvarli. Ma se continuavano a viaggiare per le campagne c'era la speranza che trovassero un accampamento di profughi come loro, i quali, se Dio voleva, li avrebbero accolti.

Ma dopo quasi una settimana di cammino non avevano trovato nessun accampamento e le loro già misere scorte di cibo cominciavano a scarseggiare. Non avrebbero resistito ancora a lungo.

Camminando sul bordo di un sentiero sterrato Gwen intravide una casetta circondata da un ampio campo, modesta ma apparentemente abitata, e quello le bastava.

-Mamma! Joel! Di qua, venite!-

Marilyn si voltò verso di lei e chiese speranzosa -Cosa, cosa c'è?-

-C'è qualcuno in quella casa. Ci daranno qualcosa da mangiare!- rispose la ragazza.

Si sistemò lo zaino contenente i suoi pochi averi sulla spalla e si avviò verso la casa, seguita dalla madre, che teneva per mano un bimbo di appena 7 anni.

La ragazza bussò alla porta, insistentemente.

-Ehi! Ehi, c'è qualcuno?-

Silenzio. Dalle finestre, coperte dalle tende, si intravedeva la luce di una candela accesa. Gwen aggrottò la fronte.

-Forza, lo so che sei lì dentro! Abbiamo bisogno di aiuto!-

Sentì un movimento, e un'ombra passò dietro la tenda.

-Ma cosa...- bisbigliò la ragazza.

Bussò di nuovo, questa volta con più forza.

-Apri, figlio di puttana! Stiamo morendo di fame, dannazione, c'è un bambino piccolo con noi!-

Marilyn le sussurrò, agitata -Gwen, modera il linguaggio! Non essere scortese.-

Gwen scoppiò in una risata sarcastica -Cosa? Io scortese?! Qui non sono io ad essere scortese, ma l'idiota che abita qui dentro! Avanti, dov'è la tua umanità? Non puoi lasciarci morire di fame!-

All'improvvisò la porta si spalancò. Un uomo di alta statura uscì sullo zerbino, puntando un fucile dritto sulla fronte della ragazza. Marilyn urlò, stringendo più forte a sé il figlio minore.

Gwen si immobilizzò, spaventata, ma un istante dopo la rabbia ebbe di nuovo la meglio e lanciò un'occhiata fulminante all'uomo.

-Ragazzina, vattene di qui, tu e il resto della tua famiglia di pezzenti. Altrimenti non dovrete preoccuparvi di morire di fame perché vi farò fuori prima io.- ringhiò lui, continuando a tenerle il fucile puntato sulla fronte.

-Gwen, spostati, andiamocene!- le gridò la madre, in lacrime. Anche il fratellino aveva cominciato a piangere, pur non avendo compreso appieno la situazione.

La ragazza, al contrario, fece un passo avanti, in modo che la canna del fucile fosse appoggiata alla sua testa.

-Avanti, spara. Fallo.-

L'uomo rimase immobile, continuando a fissarla, ma i suoi occhi tradivano lo sgomento che stava provando.

-No!- gridò la madre, ma la ragazza la ignorò.

-Puoi uccidermi, ma questo non cambierà niente. Verrà altra gente alla tua porta un giorno, e cosa farai? Sparerai anche a loro? Potresti patire anche tu la fame un giorno, ti piacerebbe che ti accadesse lo stesso?- disse, con fredda calma -Siamo persone comuni, proprio come te, non hai nessun motivo valido per ucciderci.-

-Ho appena abbastanza cibo per sfamare me stesso, non posso darne anche a ogni mendicante che viene a elemosinarmene.- rispose l'uomo, a denti stretti.

-Ma non è colpa nostra. È colpa di Courtney O'Donnell e della sua crudele dittatura, non credi?-

L'uomo rabbrividì e si guardò furtivamente intorno, senza abbassare il fucile -Zitta, se loro ti sentono parlare così ci uccideranno tutti!-

-Ma non puoi negarlo. Siamo dalla stessa parte, tu e noi. Dovresti aiutarci, non combatterci.-

L'uomo sembrò esitare, ma la disperazione ebbe la meglio.

-Andatevene da qui e non vi farò nulla.-

Gwen incrociò le braccia sul petto -Io non vado da nessuna parte.-

-Ti do' dieci secondi.-

-Te l'ho detto, non mi muovo. Tanto se non mi uccidi tu morirò comunque di fame.-

L'uomo sembrava indeciso, ma evidentemente era troppo disperato per preoccuparsi degli altri. Si sistemò meglio il fucile tra le mani.

-Uno... due...-

-Gwen, ti prego, andiamocene, troveremo un altro posto...- la supplicò Marilyn.

-Tre... quattro...-

-Sai benissimo che non è così, mamma. E io sono stanca di dover lottare anche contro chi è nella nostra stessa situazione. Andatevene, andate via.- rispose la figlia, con decisione.

-Mai!-

-Invece si! Andate via!-

-Gwennie!- la chiamò Joel. Marilyn lo sollevò e lo prese in braccio e, tra i singhiozzi, gli nascose il viso tra i propri capelli, impedendogli di vedere.

-Cinque... sei...- la voce dell'uomo era tremante, ma lui continuava il suo conto alla rovescia, imperterrito.

Gwen non aveva idea di cosa stesse facendo. Forse sperava che dopo un po' l'uomo si sarebbe pentito e si sarebbe fermato,e magari gli avrebbe anche offerto qualcosa da mangiare. O forse era solo stanca di lottare.

-Sette... otto...-

Sentiva sua madre piangere. Le dispiaceva immensamente farla soffrire, ma sentiva che in qualche modo il suo sacrificio avrebbe fatto la differenza nella vita di qualcuno. Forse in quella dell'uomo, oppure in quella della madre, o magari in quella del fratello. Forse morire in quel modo era come un modo di ribellarsi a quella società sporca, piena di gente che avrebbe ucciso una povera ragazzina piuttosto che farsi mancare una cena.

-Nove...-

Chiuse gli occhi.

-Abbassa quel fucile.-

Era una voce maschile, ma non era più quella dell'uomo. Gwen riaprì gli occhi.

Un altra persona era in piedi dietro all'uomo, e gli puntava una pistola contro la tempia. Era vestito con una tuta da militare e, stretta intorno al braccio, aveva una fascia di un verde intenso.

-Ti ho detto di abbassare quel fucile, o ti sparo in testa.-

L'uomo, terrorizzato, abbassò il fucile e lo posò a terra, poi alzò le mani in segno di resa.

-Ora va meglio.- il tipo con la fascia verde si chinò a terra e raccolse il fucile -Questo lo prendo io.-

Uscì dalla casa, continuando a tenere la pistola puntata. Un altro ragazzo arrivò da dietro l'uomo: era più giovane, con i capelli rossi, il viso pieno di lentiggini e un'espressione sfacciata. Lo afferrò per le spalle, cogliendolo alla sprovvista e facendolo sobbalzare, e gli si avvicinò all'orecchio, sussurrandogli -Per questa volta ti è andata bene, ma prenditela ancora con un innocente e quel fucile te lo infiliamo da un'altra parte.-

L'uomo balbettò -M-ma... da dove siete entrati?-

-Dalla porta d'ingresso posteriore, naturalmente. Siamo dei gentiluomini, non entriamo dalle finestre.- il rosso rivolse un'occhiata a Gwen e le fece un occhiolino scherzoso. Lei era ancora un po' scioccata per il repentino cambiamento della situazione, ma ricambiò con un sorriso.

Poi lanciò un'occhiata alla madre, talmente pallida da sembrare sul punto di svenire, chiedendole con lo sguardo “tutto bene?”. La donna annuì, tremante ma sollevata.

-C-cosa mi farete?- balbettò l'uomo, tremante.

Il giovane dai capelli rossi scambiò un'occhiata col collega, quello con la fascia verde legata al braccio, ed entrambi scoppiarono a ridere.

-Dio, non siamo mica dei giustizieri!- esclamò lui.

-Non possiamo decidere il tuo destino, la tua vita o la tua morte. Nessuno dovrebbe poterlo fare.- disse l'altro, lanciando un'evidente frecciatina all'uomo.

E fu proprio quello che fecero. Niente. Lasciarono l'uomo nella sua casa, solo, sconvolto e in preda ai sensi di colpa.

Fu invece la vita di Gwen e la sua famiglia che cambiò radicalmente. Dopo aver lasciato la casa dell'uomo, una casa che la giovane ragazza non avrebbe mai dimenticato, i due accompagnarono la famiglia in quello che chiamavano “rifugio”. Non sembrava molto sicuro a prima vista, ma sicuramente era un luogo che nessuno avrebbe sospettato: un grosso edificio, che presumibilmente era stato una scuola, dai muri grigi e scoloriti crollati in più punti a causa di battaglie e bombardamenti. Ma una volta entrati ci si accorgeva che quel palazzone tetro era pieno di vita. Uomini e donne correvano da tutte le parti, tra le mani fogli e mappe strategiche, mentre altri caricavano armi o discutevano di sommosse e rivoluzioni. Dappertutto erano appese bandiere di un unico colore: uno splendente, brillante verde, lo stesso della fascia dell'uomo che aveva salvato Gwen.

Quell'uomo si chiamava Tyler. Era stato uno dei fondatori di quel gruppo di “ribelli”, o così si facevano chiamare. Il loro compito era quello di aiutare i più poveri, aiutarli a sopravvivere, e nel frattempo fare tutto quello che era in loro potere per sabotare il Governo.

-Benvenuti nella nostra umile dimora!- esclamò, allargando le braccia per mostrare l'ampio salone principale. Marilyn e Joel si guardarono attorno, affascinati, ma Gwen aveva occhi solo per l'uomo dalla fascia verde, da quando l'aveva salvata.

Tyler si accorse del suo sguardo e la osservò a sua volta -Ehi, il tuo mi sembra un viso familiare. Tuo padre... tuo padre era il Dottore Lewis? E' così?-

Gwen fece un sorriso amareggiato -Già, è così.-

Tyler ridacchiò -Non posso crederci, siete la famiglia del Doc! Era un grand'uomo. E' famoso, sapete? Una leggenda tra i Ribelli. Il suo aiuto come medico, ma anche come compagno, è stato inestimabile.- posò una mano sulla spalla di Gwen, con fare paterno -Gli assomigli molto, sai? Non intendo solo fisicamente, hai lo stesso coraggio, la stessa determinazione, la stessa luce che ti brilla negli occhi.-

La ragazza si sentì pervadere da un senso di compiacimento e felicità. Aveva sempre ammirato suo padre in tutto quello che faceva, in come rischiava la vita per aiutare gli altri, e si ispirava sempre a lui.

-Mi ha davvero impressionato il tuo comportamento oggi, ragazza. Hai lo spirito di una Ribelle.- sorrise -Chissà, potresti anche diventare una dei nostri.-

E all'improvviso Gwen sapeva cosa avrebbe fatto della sua vita. Ne era certa, quella era la sua strada.

Ma Marilyn non era d'accordo -Lasci stare mia figlia, non le metta in testa strane idee.-

Gwen si voltò verso di lei di scatto -Mamma!-

Tyler si affrettò a scusarsi -Oh no, signora, non volevo dire...-

La donna gli puntò contro un dito, fumante di rabbia -Stammi bene a sentire. Tu e i tuoi “ribelli”, per così dire, avete già fatto ammazzare mio marito, non voglio che succeda lo stesso anche a mia figlia.-

Tyler sembrava stupefatto e mortificato allo stesso tempo.

-Mamma, stai esagerando. Non è stata colpa loro, non l'hanno obbligato ad aiutarli.-

Il capo dei Ribelli tentò di intromettersi nella conversazione, ma Marilyn lo interruppe di nuovo, furiosa.

-Non difendere questa gente, Gwendolyn. E' colpa loro se tuo padre non è più con noi, solo loro. Ed è colpa loro se dobbiamo passare la nostra vita a vagare da un accampamento di profughi all'altro elemosinando cibo!-

Tyler rimase in silenzio qualche secondo, fissando la donna negli occhi, poi disse, con freddezza -Mi dispiace molto che la pensi così. Voglio che sappia che noi abbiamo sempre stimato molto suo marito e mai avremmo voluto causargli guai. Ma se volete possiamo aiutarvi: possiamo darvi una delle camere destinate alle reclute, e potrete mangiare nella mensa...-

-Mai e poi mai permetterò ai miei figli di vivere in mezzo a voi.- sibilò Marilyn.

-Bene, allora.- continuò Tyler, a denti stretti -A ovest del Lago Ontario c'è un quartiere che abbiamo costruito per gli sfollati. Farò in modo di trovare una truppa che vi scorti laggiù, dove troverete un appartamento tutto per voi. Non ci faremo più sentire, se è questo che vuole.-

-Benissimo.-

Si scambiarono uno sguardo gelido mentre Gwen, che aveva assistito all'intera conversazione a bocca aperta, gridò -No!-

Tutti si voltarono verso di lei.

-Non puoi decidere per me. E se volessi fare questo nella vita? Papà amava questo lavoro.- disse, rivolta alla madre.

-Sarà, ma hai visto anche tu come è andata a finire.-

Gwen scosse la testa, contrariata -Almeno è morto facendo quello che amava, non scappando e nascondendosi nell'ombra, come facciamo noi.-

Marilyn la afferrò per un braccio e la tirò verso di sé, come se fosse una bambina capricciosa -Sentimi bene. Noi ci scappiamo per sopravvivere. Io non voglio che succeda qualcosa di male a nessuno di voi due, quindi continueremo a fare così. E non ti permetto di disubbidirmi.-

Gwen sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi lo abbassò, con le lacrime agli occhi per il senso di umiliazione che stava provando. Con uno strattone si liberò dalla presa della madre, in silenzio. Ormai quasi tutti i Ribelli si erano fermati a osservare il litigio, incuriositi.

Aveva l'impressione che la madre fosse diventata un po' iperprotettiva, dopo la morte del marito, quasi paranoica. Aveva smesso di lottare, era diventata vuota, depressa, mentre per lei era stato il contrario: quell'evento l'aveva segnata profondamente, riempiendola di rabbia e frustrazione. Non poteva accettare quella imposizione.

-Non sono più una bambina.- ringhiò a testa bassa.

-Si invece, hai 16 anni.-

-Non trattarmi come se fossi una stupida.-

Tyler le mise una mano sulla spalla, per fermarla.

-Gwen, fa' quello che dice tua madre.-

Lei alzò la testa verso l'uomo, delusa. Si sarebbe aspettata man forte da lui, invece non aveva fatto nulla. Era come tutti gli altri.

Quelle erano state le ultime parole che gli aveva sentito dire. Dopodiché una truppa li aveva portati fino al quartiere degli sfollati. Per giorni Gwen non aveva rivolto una parola alla madre, ma con il tempo aveva dovuto accettare la cosa, e tutto era tornato quasi alla normalità. Ma da quel giorno, un muro di diffidenza si era alzato tra le due, un tempo strette come sorelle. Non avevano più parlato di Ribelli o di rivoluzione. Poi era scoppiata l'Ultima Guerra, e tutti i gruppi di Ribelli erano stati spazzati via, in seguito a una sanguinosa rivolta finita male. Non aveva più sentito parlare di Tyler.

 

-E poi? Come hai trovato DJ? Perché il loro gruppo di Ribelli non era stato eliminato come gli altri?- chiese Geoff, visibilmente preso dalla storia.

Gwen sorrise -Beh, il gruppo di DJ è stato formato dopo l'Ultima Guerra, e finora lui è stato abbastanza astuto da fare in modo che nessuno lo trovasse. Comunque, mia madre non avrebbe di sicuro appoggiato la mia scelta, ma avevo deciso di diventare una di loro da molto, molto tempo. Scappai di casa. Viaggiai di città in città per giorni, senza una meta precisa, con una fascia verde stretta intorno al braccio. DJ mi vide, riconobbe il significato della fascia e mi portò al Rifugio. Quando qualche settimana dopo ebbi completato il mio allenamento tornai a casa a fare visita a mia madre, che ormai non poteva farci più niente: ero entrata nei Ribelli. Siamo riuscite a ricucire il rapporto, con il tempo. Beh, più o meno. In ogni caso, questa è un'altra storia.-

La ragazza rabbrividì. Stava facendo buio, e una brezza fresca aveva cominciato a sfiorarle la pelle. Ma il freddo vento invernale non era l'unica causa. Il ricordo del padre le faceva sempre quell'effetto, e ogni volta le sembrava più doloroso.

Geoff si sfilò la giacca e gliela sistemò delicatamente sulle spalle.

-Ecco, tieni.-

-Grazie.-

Il ragazzo si mordicchiò il labbro, indeciso su cosa dire -Io... mi dispiace, non immaginavo che ne avessi passate così tante. Sono d'accordo con te, tua madre ha sbagliato a essere così possessiva nei tuoi confronti. Ma ora si è pentita, le cose si sono sistemate tra di voi, no? Non voglio che tu le chieda scusa se non ti senti di farlo, ma abbiamo bisogno di lei.-

Gwen abbassò la testa, pensosa, e guardò l'erba che si muoveva seguendo la spinta del vento, con leggerezza.

-D'accordo. Troviamo gli altri e torniamo all'appartamento.-

Geoff le rivolse un sorriso gioioso e le mise un braccio intorno alle spalle, incamminandosi -Così si fa, Gwennie.-

Gwen ridacchiò, seguendolo -Ti ringrazio, Geoffy.-

 

*comincia a intonare canti natalizi *

Buon Natale a tutti! In ritardo, come mio solito.

Lo so, ci ho messo un'eternità a scrivere questo capitolo, ma le ultime settimane sono state un infeeeerno! Prendetelo come un regalo di Natale (in ritardo) da parte mia :3

Cooomunque.

In questo capitolo ho deciso di raccontare un po' il passato di Gwen, giusto per non vedere la storia sempre Spero si sia capito qualcosa e che io non abbia fatto solo una gran confusione come sempre, lol

Dite la vostra! Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto? Sarebbe meglio se andassi a zappare i campi?

Eee vabè.

Al prossimo capitolo, buone feste a tutti ♥  

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: TeenSpiritWho_