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Autore: Shainareth    20/05/2008    6 recensioni
[Mai Otome - anime] Akira sospirò, tornando a guardare avanti a sé, il viso ancora rosso per l’imbarazzo. «Se tua sorella sapesse che genere di sogni fai, non sarebbe più tanto fiera del suo caro fratellino» lo prese in giro per pura vendetta.
(Sequel di "Otome? No, grazie!")
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Otome? No, grazie!'
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Equivoci

 

 

Il bimbo allungò una manina e le offrì una margherita. Lei fissò il fiore con stupore. Quindi domandò: «Perché me la regali?»

   «Perché Akira-kun si è fatta male per colpa mia» rispose lui con aria afflitta, gli occhioni blu al cerotto che l’amica aveva al ginocchio.

   Akira sospirò. «Stupido» sentenziò con tono solenne, incurante del fatto che le avessero insegnato a portare rispetto al principe del suo regno. «Il mio compito è quello di proteggerti, quindi non ha importanza se mi faccio male al posto tuo.»

   «Ma Akira-kun è mia amica!» protestò il bimbetto, scandalizzato.

   Sebbene anche lei fosse appena un soldo di cacio, Akira aggrottò le sottili sopracciglia scure con severo rimprovero. «Questo non ha importanza» stabilì irritata. «E poi non si regalano i fiori ai maschi.»

   L’altro rimase interdetto per alcuni istanti, fissandola con rispettoso timore. Infine, quando si persuase di essere nel giusto, ribatté: «Ma Akira-kun è una femminuccia.»

   Piccata, la bambina sbuffò ed alzò gli occhi al cielo con fare teatrale, muovendo le manine per enfatizzare il proprio disappunto. «Ti ho già detto che…»

   Il piccolo prevenne la sua risposta con un sorriso. «Akira-kun è come la mamma e Onee-chan, lì sotto» esclamò tutto felice nella propria innocenza. «Non ha il…»

   «Zitto!» gli intimò Akira, dotata di un minimo di pudore da che il papà le aveva detto che non poteva più fare il bagno insieme all’amichetto. «Non si parla così ad una femminuccia!»

   Lui sorrise più di prima e tornò ad offrirle la margherita. «Akira-kun non deve dire le bugie» concluse, allora, soddisfatto.

   La bimba chinò lo sguardo, mortificata. Suo padre le aveva anche detto di parlare di se stessa come di un maschio. Confusa per quell’incoerenza di fondo, tese la manina e accettò il fiore, soffermandosi a scrutarne con attenzione il candore dei petali. «Grazie» pigolò poi con un sorriso imbarazzato.

 

Riaprì gli occhi mentre la leggera, piacevole brezza estiva gli accarezzava il viso. Steso sul tatami, Takumi non si era avveduto di essere sprofondato nel sonno. Il tintinnio del campanellino appeso alla tettoia, sull’uscio della portafinestra che affacciava sul giardino, richiamò la sua attenzione. Scorse la figura di una ragazza, intenta in qualcosa che il giovane non poteva vedere perché lei gli dava le spalle. Si alzò quindi a sedere, lo sguardo ancora appannato dal sonno, la mente intorpidita; e non appena la fanciulla si volse nella sua direzione, chiese: «Akira-kun… da quant’è che non facciamo il bagno insieme?» Fu solo quando notò che la ragazza irrigidiva le membra e diventava paonazza che si rese conto di aver detto qualcosa di equivoco. «S-Scusa, stavo sognando e…» I furiosi occhi violetti di lei lo misero a tacere. Takumi si schiarì la gola, svegliandosi del tutto. «Quel che intendevo dire,» prese allora a spiegare nel goffo tentativo di salvare la situazione, «è che mi sono tornati alla mente alcuni ricordi del passato, e così…»

   Akira sospirò, tornando a guardare avanti a sé, il viso ancora rosso per l’imbarazzo. «Se tua sorella sapesse che genere di sogni fai, non sarebbe più tanto fiera del suo caro fratellino» lo prese in giro per pura vendetta.

   «Akira-kun!» Takumi sorrise e si avvicinò a lei carponi. Si sedette al suo fianco e finalmente gli riuscì di vedere cosa stesse facendo: ferma sotto al porticato, l’album da disegno sulle ginocchia alzate al petto, la ragazza aveva impiegato il tempo a fare degli schizzi in attesa che il suo signore si svegliasse.

   «Avevamo cinque anni» mormorò Akira, continuando a muovere con maestria la matita sul foglio, così da tratteggiare al meglio il chiaroscuro del cespuglio di margherite bianche che aveva deciso di disegnare.

   Lui inarcò la schiena all’indietro e poggiò i palmi delle mani in terra per sostenersi. «E’ passato così tanto tempo?» rifletté, fissando le iridi chiare al cielo sgombro di nubi.

   «Mio padre diceva che era disonorevole che continuassimo» proseguì la kunoichi, le gote ancora graziosamente pennellate di rosa.

   «Ma con mia sorella ho continuato a fare il bagno ancora per qualche tempo» replicò Takumi, al quale parve evidentemente giusto paragonare le due ragazze.

   «Ma io non sono tua sorella, stupido!» sbottò la moretta, stizzita, mentre lui tornava a stendersi.

   «Non ti ho mai considerata tale» la informò, facendola calmare all’istante. «Come non sono mai riuscito a considerarti un maschio, checché tu ne dicessi» aggiunse. Ruotò di nuovo gli occhi azzurri verso di lei e sorrise, senza però dire più nulla.

   Anche Akira rimase in silenzio, ma ora la mano con cui reggeva la matita non si muoveva più. «Meglio così,» esordì poi, «perché non avrei gradito affatto di essere imparentata con uno stupido.»

   Takumi rise. Tese un braccio verso di lei, agguantò l’ampia manica del suo kimono e la strattonò verso di sé, facendola sbilanciare all’indietro. L’album con gli schizzi ricadde sulle tavole di legno del porticato, la matita rotolò accanto ad esso, e Akira si ritrovò stesa sul fianco, accanto al suo signore, una mano aperta sul suo petto, la fronte poggiata contro la sua spalla.

   «Che ti salta in mente?!» annaspò, avvampando quando si rese conto della situazione. Provò ad allontanarsi, ma lui la cinse fra le braccia. «Ta-Takumi…?» tartagliò in preda al panico, i pugni stretti contro il petto di lui e che spingevano in cerca di libertà. Fu quando il giovane poggiò le labbra sulla sua corta frangetta scura che la ragazza smise goffamente di dibattersi, arrendendosi alla voglia di rimanere dov’era.

   «E’ anche da tantissimo che non dormiamo insieme» biascicò lui, chiudendo gli occhi, la voce di nuovo assonnata.

   «Stupido» farfugliò Akira per l’ennesima volta, sempre più vittima dell’imbarazzo in cui lui la faceva precipitare inconsapevolmente tutte le volte che apriva bocca. Sapeva infatti che in quello che Takumi faceva o diceva non c’era alcuna traccia di malignità, lo conosceva troppo bene per poter credere che lo facesse di proposito. «Non dovresti dire certe cose ad un uomo.»

   Lo sentì ridere di nuovo. «Akira-kun non è un uomo.»

   «In ogni caso, stavolta non ti basterà un fiore per farti perdonare» ribatté la fanciulla, mostrando tutta la propria indignazione.

   «Non è mia intenzione donartene uno, sta’ tranquilla. Anche perché altrimenti rischierei di rovinare il tuo bel disegno.» Lei non fiatò, pur riprendendo a lottare debolmente per riottenere la libertà, e Takumi si sentì in diritto di continuare. «Ciò che vorrei darti, in realtà, qualora tu volessi accettarlo, è ben altro.»

   Akira s’acquietò del tutto, in attesa che il suo signore proseguisse, senza però avere il coraggio di alzare lo sguardo su di lui. Sentiva il suo respiro, lieve e gentile, fra i capelli lisci, il battito del cuore contro il palmo della mano: era accelerato quanto il suo, ma non attribuendo la cosa ad un particolare stato d’animo, iniziò a preoccuparsi. «Takumi… stai bene?»

   Il ragazzo schiuse le palpebre. «Mai stato meglio» la rassicurò, senza però aggiungere altro che potesse dissipare i dubbi dell’amica, ora preoccupata che lui potesse nascondere un qualche malessere per non allarmarla.

   «Takumi,» insistette infatti, muovendosi nel suo abbraccio per farlo stendere supino e per poterlo fronteggiare puntellandosi nuovamente con le mani sul suo petto, «vuoi che vada a prendere le tue medicine?»

   Lui la scrutò pensieroso. «Non ero io, l’ottuso, fra noi due?» le domandò, spiazzandola. Rise per la terza volta, allentando la stretta attorno alla sua vita, e le prese il viso fra le mani chiuse a coppa. Akira si paralizzò, avvampando più di prima. «Ricordi il suggerimento che mi diedero durante la nostra ultima visita a Windbloom?» iniziò a spiegarle, riferendosi ovviamente alle parole di sua sorella, la quale gli aveva consigliato caldamente di prendere in sposa la sua guardia del corpo.

   Takumi ci aveva pensato, tanto. In seguito a tutte le insinuazioni fatte dagli altri, da quel pomeriggio trascorso al Gardrobe due mesi prima, si era infine convinto che l’amica d’infanzia nutriva nei suoi confronti sentimenti d’amore, puri ed incondizionati al punto che lei si era dichiarata disposta a tutto pur di rimanergli accanto come aveva sempre fatto, persino a rinunciare alla propria felicità di donna. E così lui aveva iniziato a riflettere seriamente su se stesso e sul proprio futuro, arrivando non solamente alla conclusione che senza Akira si sarebbe sentito perduto, ma anche e soprattutto che quel sentimento di forte amicizia che aveva sempre avuto per lei si era infine trasformato in qualcosa di più profondo, dandogli la certezza di poter ricambiare appieno il suo amore.

   «Sarebbe il caso di metterlo in pratica, non credi anche tu?» concluse quindi, sicuro del proprio cuore.

   «STUPIDO!» fu invece l’aggressiva risposta che ricevette quel suo slancio di coraggio, causandogli una doccia fredda, al punto che il sorriso gli si congelò sul volto. Esagitata, Akira riuscì infine a rimettersi seduta sulle ginocchia, recuperando così una certa distanza fra loro. «Anche se non ho la minima voglia di accettare il tuo stipendio, ciò non significa che tu possa permetterti di proporre certe cose e di dare ascolto a consigli di quel genere!» gli urlò contro, quasi volesse mangiargli la faccia, il viso in fiamme per la rabbia e l’imbarazzo, gli occhi lucidi per l’umiliazione.

   Frastornato da tale reazione, Takumi batté le palpebre più volte, cercando di capire cosa ci fosse di così sbagliato in quella proposta di matrimonio. Infine, colto stranamente da un’illuminazione, la sua mente volò al suggerimento poco ortodosso che il Quarto Pilastro del Gardrobe, Juliet Nao Zhang, gli aveva dato al termine della loro visita alla scuola di Otome. Il giovane scoppiò allora a ridere molto più di prima, al punto che iniziò quasi a rotolarsi per terra, facendo crescere l’ira e la mortificazione della ragazza.

   La quale, giustamente, subito reagì. «Che diavolaccio hai da ridere, idiota?!»

   Con uno sforzo enorme, Takumi cercò di soffocare le risa per recuperare fiato, e quando vi riuscì, tornò a fissare Akira negli occhi, ora brillanti di un’infinita gamma di sentimenti negativi. «Io sarò ottuso, ma tu continui a fraintendere tutto quel che dico» prese allora a spiegare, fissandola con tenerezza, mentre lo sguardo di lei iniziava a velarsi d’inquietudine, segno ch’ella era in procinto di pentirsi di quanto gli aveva appena ringhiato contro.

   «Sei tu che parli in modo equivoco!» tentò di giustificarsi, imbronciata. Avrebbe voluto avallare la propria tesi riportandogli le parole da lui pronunciate pochi minuti prima – “Ciò che vorrei darti, in realtà, qualora tu volessi accettarlo, è ben altro” – ma la timidezza congenita glielo impedì. Se solo avesse avuto il Quarto Pilastro sotto mano…!

   Il principe si issò a sedere di fronte a lei e, continuando a sorridere seppur con aria sconsolata, sospirò: «Temo che non arriveremo mai ad un punto d’incontro, noi due…»







Domanda del secolo: riusciranno mai a trovare un accordo?
Frattanto che si aprono le scommesse, vi annuncio che l'ispirazione è più violenta del solito, ultimamente, tanto che non soltanto mi istiga a scrivere una volta al giorno, ma ultimamente anche due shot alla volta. Mi vedrete morta, considerato anche il fatto che devo studiare... sigh!
Grazie come sempre a tutti ed un bacio a NicoDevil, Hinata_chan, Chiarucciapuccia, Atlantislux e Gufo_Tave per le ultime recensioni. Perdonatemi se continuo a postare sciocchezze, ma per una long fic con i controfiocchi (per quanto le idee ci siano) non mi sento ancora pronta. Sorry. ^^;
Shainareth





  
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