Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Dynamis_    27/12/2013    1 recensioni
{ Questa fanfiction è dedicata a ChrisDaiki, che mi ha ispirata e sostenuta durante lo sviluppo della storia.
“Proprio nel momento in cui il moro esalò l'ultimo respiro, in cui l'ultimo soffio vitale abbandonò per sempre il petto di Marco, Jean sentì una stretta al cuore, senza riuscire a capire il perché.
Lo avrebbe compreso troppo tardi, quando non ci sarebbe stato ormai nulla da fare, quando avrebbe visto le ceneri del suo corpo mischiarsi a quelle di molti altri, quando avrebbe versato così tante lacrime che ne avrebbe avuto abbastanza per una vita intera.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Aveva pianto tutta la notte.
Aveva chiamato il suo nome così tante volte, sperando che gli rispondesse, che non era stato più nemmeno in grado di tenerne il conto.
E lui non aveva risposto.
Sebbene gli avesse detto che non lo avrebbe mai lasciato, che per lui ci sarebbe sempre stato, non aveva risposto al suo richiamo.
Aveva sentito l'altro lato del letto così freddo - il freddo della morte, lo stesso freddo che pervadeva il corpo straziato di Marco sotto la luce delle stelle maligne, sotto il ghigno della luna - che aveva cominciato a tremare, le dita arpionate sulle coperte, il cuscino tra i denti per soffocare i singhiozzi.
Si era voltato ben più di una volta sperando di vederlo varcare la porta, di vederlo scostare quelle coperte candide e stendersi accanto a lui, un braccio attorno al suo fianco e la testa poggiata sulla sua schiena.
Ma non era arrivato, nemmeno dopo quella estenuante attesa.
Semplicemente non voleva crederci, non voleva nemmeno pensare che quella parte del letto sarebbe rimasta vuota per sempre, che Marco avesse portato con sé non una parte del cuore, ma tutto se stesso, che non avrebbe più rivisto quelle lentiggini e quelle fossette che si formavano ai lati della sua bocca quando sorrideva con disinteresse, quando entrambi cadevano per terra stremati dalle troppe risate.
Jean non sapeva che la mattina successiva lo avrebbe rivisto, l'occhio roteato e la carne nettamente divisa in due, il sangue rappreso, ancora un'espressione beata sul viso perché aveva pensato a lui sino all'ultimo, perché era stato l'ultima parola che aveva sussurrato, il fiato persino più freddo del vento, molto più sottile e sommesso di quanto fosse lo Zefiro.
Jean non poteva sapere che Marco aveva pensato a lui fino all'ultimo, che non lo aveva abbandonato nemmeno in quel momento e che si trovava adesso accanto a lui, in quel letto troppo grande perché non lo condividesse con nessuno, in quella voragine troppo ampia perché non avesse una spalla sulla quale poter riversare il proprio dolore.
Marco era lì, sulla parte sinistra del letto inondato dalla luce della luna, a piangere per avergli fatto del male, per avergli lasciato un vuoto insanabile nel petto, quello stesso vuoto che provava adesso lui.
Marco piangeva perché non poteva toccarlo. Non ne era più capace.
Era soltanto un'ombra, un'impronta di ciò che era stato, lo specchio di sé stesso in un'altra realtà priva di senso, una realtà che non comprendeva lui.
E Jean continuava a piangere, il cuscino pregno delle sue lacrime, i tessuti strappati per la rabbia di aver perso tutto in un effimero attimo.
Piangeva e lo odiava perché lo aveva lasciato da solo, perché non aveva rispettato la sua promessa, perché avrebbe visto il futuro da solo e non lo avrebbe apprezzato, non quanto avrebbe voluto.
Si girò per l'ultima volta verso la parte sinistra del letto e tese una mano, proprio come aveva fatto la mattina precedente, abbracciando il cuscino, affondando il viso in esso: se chiudeva gli occhi, poteva pensare di averlo ancora accanto, era quasi facile, poteva persino udire il suo respiro regolare e i suoi brontolii nel sonno, poteva quasi avvertirne la presenza.
Respirò nuovamente quell'odore, tentando di non alterarlo con il proprio, altrimenti Marco lo avrebbe abbandonato di nuovo e non avrebbe potuto resistere questa volta.
Lo immaginò che gli scostava i capelli e che gli dava un timido bacio in fronte, arrossendo subito dopo, lo immaginò sussurrargli parole di conforto.
Ma Marco lo stava facendo.
«Dormi, Jean. Sono ancora qui al tuo fianco, come ti avevo promesso. Io non infrango mai le promesse.»
Lo aveva accarezzato e il biondo per un attimo lo aveva sentito, aveva spalancato gli occhi e urlato il suo nome contro l'aria, sollevandosi sui gomiti.
Ma non aveva scorto nessuno, nemmeno quella volta.
Aveva portato le mani a coprire il viso e aveva ripreso a singhiozzare, fino a che, sfinito, si era lasciato andare al sonno, incontrando Marco almeno lì dove poteva, una notte dopo l'altra per tutta la vita.

***

Lo aveva sognato quella notte, ed era stato bene per davvero.
Si era svegliato con il suo cuscino stretto ancora tra le braccia, stretto in quell'abbraccio a senso unico, senza che qualcuno potesse ricambiare la sua stretta, cercando conforto.
E lo aveva trovato, se pur vano, illusorio, fasullo e breve lo aveva trovato nella sua mente e nel suo cuore, un riparo nel quale sarebbe stato solito chiudersi spesso, da allora in poi.
Nel suo cuore Marco sarebbe stato sempre vivo, lo avrebbe ritrovato in ogni luogo, nelle forme che l'acqua assumeva, nel suo riflesso allo specchio, nella maglietta spiegazzata che gli apparteneva e che giaceva, senza essere toccata, sulla spalliera della sedia.
Nei suoi sogni avrebbero potuto incontrarsi ancora tante di quelle volte che Jean avrebbe sempre atteso con ansia l'arrivo della sera.
E se Jean fosse andato a trovare la sua lapide - il simbolo del 104º Corpo di Addestramento Reclute in bella vista - gli avrebbe raccontato ogni singolo momento, lo avrebbe reso partecipe ancora della sua vita, avrebbe atteso una sua risposta per sempre e la avrebbe avuta molti anni dopo, quando sarebbe stato troppo vecchio per trattenersi ulteriormente e si sarebbe congedato da questa vita.
Ormai non aveva più lacrime da versare, e non voleva farlo assolutamente, non più: sarebbe stato gli occhi di Marco, avrebbe visto per entrambi il futuro e gli avrebbe raccontato quanto fosse bello l'esterno, quanti colori esistessero, quali fiori avesse incontrato nel corso della sua vita, quanto ancora ci fosse da scoprire...
E Marco avrebbe sorriso ancora una volta, gli avrebbe teso la mano e lo avrebbe stretto a sé ancora tantissime volte, senza nessuna pretesa e senza risparmiarsi poiché di tempo ne avrebbero avuto a sufficienza, ne avrebbero avuto per sempre.
Nel frattempo avrebbe combattuto soprattutto per lui, li avrebbe annientati tutti quanti uno alla volta, nel petto due volontà ardenti che si mescolavano, negli occhi due pozzi colmi di dolore e determinazione.
Ancora poche ore e sarebbe tornato tra le braccia ammaliatrici del sonno, per adesso doveva soltanto sopravvivere, uscire fuori da quella stanza e combattere per un'altra giornata.

   
 
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