Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Dynamis_    25/12/2013    1 recensioni
{ Questa fanfiction è dedicata a ChrisDaiki, che mi ha ispirata e sostenuta durante lo sviluppo della storia.
“Proprio nel momento in cui il moro esalò l'ultimo respiro, in cui l'ultimo soffio vitale abbandonò per sempre il petto di Marco, Jean sentì una stretta al cuore, senza riuscire a capire il perché.
Lo avrebbe compreso troppo tardi, quando non ci sarebbe stato ormai nulla da fare, quando avrebbe visto le ceneri del suo corpo mischiarsi a quelle di molti altri, quando avrebbe versato così tante lacrime che ne avrebbe avuto abbastanza per una vita intera.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva mai pensato alla morte, o meglio, non aveva mai pensato che questa, tra tutti, potesse cogliere proprio lui.
Da lì riusciva a scorgere tutte le casette ammucchiate e diroccate, e i soldati che, come formiche, tentavano di arrestare l'avanzata di un nemico troppo grande, troppo potente per essere abbattuto.
Ecco cos'erano: solamente formiche.
Lo capiva dall'olezzo del fiato del gigante che adesso lo fissava bramoso, lo capiva dalla pressione sul suo corpo che gli impediva di muoversi e reagire, lo capiva da quella mano serrata attorno a sé: erano formìche tra le mani dilaniatrici della morte, non avrebbero potuto far nulla.
Dall'alto gli sembrava tutto più semplice, era logico dopotutto: non ce l'avrebbero mai fatta; se lo avesse capito prima avrebbe gettato le armi e avrebbe trascorso quegli ultimi momenti con lui, non si sarebbe gettato tra le grinfie dei titani, non avrebbe combattuto una battaglia persa in partenza.
Adesso che era a un passo dalla morte, gli parve di osservare tutto da un punto di vista diverso, quasi disinteressato - dopotutto non era più sua quella realtà, la sentiva distante e aliena, era al mondo dei morti che apparteneva, era da quello che proveniva il richiamo che sentiva, sempre più forte e inarrestabile come un'eco ridondante.
Non sentiva nemmeno quel corpo come proprio, non riusciva a trovare la volontà di muoverlo, ma stette lì, malfermo, aspettando che giungesse la sua fine, che il respiro abbandonasse una volta per tutte i suoi polmoni.
Se per qualche strano caso del destino fosse riuscito a sopravvivere - ne dubitava - avrebbe preso per mano Jean e lo avrebbe trascinato via con sé senza mai voltarsi, lontano dal terrore e dal vuoto - dalla Morte.
Eppure, la giornata era iniziata nel migliore dei modi: si era svegliato accanto al suo compagno, le lenzuola tese sui loro corpi nudi; aveva spinto la mano verso lui - lo ricordava bene - e lo aveva accarezzato con immensa dolcezza; gli aveva sussurrato di amarlo oltre ogni misura e gli aveva detto che sarebbe stato solamente suo, che non avrebbe desiderato mai nessun altro.
Se c'era qualcosa che né la Morte né i titani avrebbero portato con sé erano i sentimenti che Marco provava per Jean, quell'amore così sincero che gli seccava la gola e gli faceva sentire le farfalle allo stomaco ogni volta che lo scopriva mentre lo fissava, ogni volta che sentiva sfiorarsi con la punta delle sue dita, ogni volta che lo rendeva veramente suo.
La Morte non avrebbe cancellato né questo né la percezione e il ricordo che Jean aveva di lui.
Non gli dispiaceva nemmeno di morire in un certo senso, aveva dato e ricevuto amore, gli sarebbe stato accanto lo stesso, giorno per giorno, lo avrebbe visto innamorarsi di qualcun altro, una donna magari, avrebbe visto crescere i suoi figli, lo avrebbe visto piegarsi sotto il peso degli anni e pensare al suo amico e compagno d'armi, al ragazzo con il quale più di una volta aveva consumato quell'amore totalizzante e perfetto, quell'amore che era stato eclissato dal tempo.
Una lacrima di amarezza solcò il suo viso, scese fino sul collo senza arrestare la sua avanzata.
No, non era questo che voleva per sé, non era questo che voleva per entrambi, sebbene se ne volesse convincere. Eppure non vedeva alcuna via di fuga, nessuna scappatoia o scorciatoia: era da solo adesso, insieme alle braccia eternatrici dell'oblio.
Chiuse totalmente gli occhi per non provare paura, convincendosi che quello fosse uno dei suoi soliti e vividi sogni e sorrise: Jean era ancora accanto a lui nel letto, non lo aveva mai abbandonato, Marco non si era ancora alzato quella mattina. Immaginò le sue labbra, ricordò perfettamente i suoi contorni e il loro colorito, la loro consistenza. Ricordò la notte precedente, come entrambi avevano goduto appieno dei loro sentimenti, come si erano resi un'unica cosa, un unico essere.
Sorrise appena, Marco: era felice, lo era davvero, anche se sapeva benissimo che la sua fine era ormai prossima.
Sorrise perché mai prima di allora era stato amato così tanto, perché sapeva che qualcuno - lui - lo avrebbe ricordato, avrebbe posato un timido fiore sulla pietra con su inciso il suo nome, lo avrebbe sognato, magari, avrebbe ripensato al suo sorriso e al rossore delle sue gote quando lo fissava, quando gli sussurrava dolci parole all'orecchio solleticandolo con il suo respiro.
Lo avrebbe rivisto nei volti dei passanti, nelle forme che assumevano le nuvole o nelle costellazioni che lambivano il cielo la sera.
E Marco ci sarebbe stato ogni singolo momento, la sera avrebbe sentito il proprio nome uscire dalle sue labbra ben più di una volta, lo avrebbe consolato quietamente e silenziosamente, interrompendo i suoi incubi e donandogli la pace che avrebbe meritato. Lo avrebbe protetto comunque, senza chiedere nulla in cambio se non la sua sopravvivenza e lo avrebbe aspettato fino a quando non fosse giunto anche il suo tempo.
Il suo volto era totalmente umido e rigato, ma un nuovo sorriso, una nuova speranza, traspariva dalla sua espressione.
Non sentì nemmeno dolore quando i denti del titano affondarono nella sua carne, strappandola da parte a parte, non percepì paura o terrore quando si sentì finito e abbandonò questa realtà, lasciando i suoi affetti - lasciando Jean - dietro di sé.

***



Dall'altro lato del campo la battaglia imperversava, ma lui era ancora vivo, contro ogni aspettativa.
Ancora poco tempo e avrebbe rivisto Marco, sarebbero tornati entrambi illesi dalla loro prima battaglia, si sarebbero curati le ferite a vicenda e avrebbero trascorso quella notte insieme, squassati dagli incubi ricorrenti.
Avrebbe affrontato quella notte di dolore con lui, era quello a farlo andare avanti, non aveva bisogno di nessun ulteriore incentivo o spinta per reagire.
Proprio nel momento in cui il moro esalò l'ultimo respiro, in cui l'ultimo soffio vitale abbandonò per sempre il petto di Marco, Jean sentì una stretta al cuore, senza riuscire a capire il perché.
Lo avrebbe compreso troppo tardi, quando non ci sarebbe stato ormai nulla da fare, quando avrebbe visto le ceneri del suo corpo mischiarsi a quelle di molti altri, quando avrebbe versato così tante lacrime che ne avrebbe avuto abbastanza per una vita intera.
Affondò ancora una volta la lama nelle carni di un titano, proprio mentre il corpo di Marco - spezzato - cadeva per terra con un tonfo, facendo ondeggiare l'aria.
No, Marco non sarebbe più tornato, ma lui non poteva sapere, non era a conoscenza del fatto che avrebbe per sempre ricordato le parole di quella mattina con una stretta allo stomaco, che lo avrebbe aspettato per una vita intera senza riuscire ad amare nessun altro.
Non ne era per niente consapevole: per questa ragione continuò a lottare con un sorriso sulle labbra, attendendo di ricongiungersi con lui perché mai nulla avrebbe reso quella sopravvivenza ancor più voluta e agognata.

***

Il corpo di Marco giaceva al suolo, dimenticato.
Non era questa la fine che si era aspettato, non pensava di morire senza gloria né onore, non riconosciuto nemmeno dai suoi compagni, strappato via da un'esistenza che aveva ancora molto da offrirgli.
Continuava a stare lì, in una pozza di sangue, aspettando che qualcuno si ricordasse di quel ragazzo con le lentiggini, che il suo Jean tornasse e gli desse la giusta pace.
Era paziente, Marco, ancor di più di fronte alla prospettiva dell'eternità: tra tutte avrebbe aspettato la sua voce, la avrebbe riconosciuta al di sopra delle altre e allora sarebbe stato ricordato, lo sapeva.
Aspettava incessantemente, certo che la sua attesa, un giorno, sarebbe stata ripagata.
Sarebbe stato ritrovato.

   
 
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