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Autore: FALLEN99    28/12/2013    2 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~Capitolo 3.

– E per terminare il nostro giro questo è il laboratorio di chimica della scuola, dove passerai circa la metà delle ore settimanali data la tua scarsa attinenza alle scienze. – Shannon sembrava cambiare tono ad ogni stanza che mo-strava ad Amalia, tanto che la ragazza cominciò a pensare che oltre la sua pungente ironia Shannon possedesse anche seri problemi di bipolarismo.
La coordinatrice chiuse la porta del laboratorio con un tonfo, ridestandola dai suoi pensieri.
– Bene, ed ora che abbiamo finito, puoi anche iniziare le le-zioni.– disse, frugando nella borsa a tracolla, da cui estras-se un foglio con sopra appuntati vari orari in una calligrafia elegante.
Lo porse ad Amalia, che lo guardò disorientata.
– Qui hai segnato l’orario delle lezioni di questa settimana con di fianco la rispettiva ubicazione nell’edificio. Mi augu-ro che tutto ti sia chiaro – con un colpo d’anca scansò Amalia, ignorando l’espressione perplessa della ragazza, che la  fissava, timorosa di rivolgerle la domanda che aveva sulla labbra.
– In caso contrario, te la dovrai cavare da sola.– fu l’ultima cosa che disse la rossa prima che il trillo della campanella vibrasse nell’aria, scatenando nel corridoio un afflusso in-credibile di persone.
L’orda di studenti inghiottì Shannon in pochi istanti, fa-cendo diventare l’immagine della ragazza una fra le tante; una macchia d’inchiostro in un calamaio enorme.
Amalia strinse il foglio fra la meni, tentando di restare in piedi alla corrente di magliette e spalle, che cercava di farla cadere a terra.
“Amalia, sei davvero fortunata oggi. Prima ti fai quasi vio-lentare da uno sconosciuto che scompare nel nulla e poi ti fai mettere in riga da una schizzata bipolare. Fantastico!” si disse, il nervosismo che le segnava le gote di rosso.
Recuperò il briciolo di dignità che le restava riuscendo a raggiungere la porta che si ricordava essere quella del ba-gno delle ragazze.
Appena la sua immagine fu riflessa sullo specchio, Amalia fece una smorfia. Si era completamente dimenticata del fango che le impregnava la divisa e i capelli.
Tentando di mantenere la calma si sciacquò il viso, senten-do le gocce fredde accarezzarle la pelle e risanarla.
Dopodiché slego i capelli e li raccolse nuovamente, questa volta in una treccia approssimata che nascondeva i milioni di nodi che li stringevano.
Trasse un lungo sospiro e guardò il foglio.
Storia; Professor Anderson, aula 34, piano terzo.
Uscì dal bagno e cercò di orientarsi seguendo i numeri se-gnati in oro sulle porte. Si trascinò per i corridoi e dopo cinque minuti si ritrovò davanti all’entrata dell’aula che presumeva essere quella giusta.
Inspirò con decisione tutta l’aria possibile.
“Coraggio Amalia.” Pensò prima di girare la maniglia e var-care la soglia della stanza, trovandosi addosso venti paia di occhi che la scrutavano come le spie di telecamere scanda-listiche, pronte a rilevare la minima imperfezione.
Amalia fece scivolare lo sguardo sul pavimento e proseguì a testa bassa verso la cattedra, dove un uomo sulla quarantina, mascella squadrata a capelli brizzolati, la stava aspettando.
– Ben arrivata Amalia. Ti stavamo spettando.– l’uomo le sorrise e la fece firmare sul registro di classe.
– Ti avranno spiegato che questa scuola è molto rigida, ma non ti preoccupare, se segui con attenzione ce la farai. Sei una ragazza intelligente Amalia, i tuoi occhi me lo dicono.– disse ed Amalia desiderò non averceli, gli occhi.
L’uomo le strinse poi la mano e lei, su suo ordine, prese posto su una sedia all’ultimo banco, di fianco ad una figura avvolta da una pesante felpa nera.
Sistemò  i libri che servivano per la lezione sul banco, cer-cando di evitare le continue occhiate che i compagni le ri-volgevano. “Ma non avete altro da fare?” avrebbe voluto di-re, ma si trattenne; non voleva farsi riconoscere subito.
Il professor Anderson iniziò a esporre l’argomento della le-zione, che riguardava fatti accaduti troppi anni orsono per-ché potessero catturare l’attenzione della ragazza, il cui sguardo converse fuori dalla finestra, dove la pioggia cade-va fitta, formando un muro d’acqua che impedì ad Amalia di scorgere l’orizzonte.
D’un tratto il suo compagno di banco si mosse, muovendo un braccio verso di lei e facendola sobbalzare.
Il cappuccio gli copriva il volto, rendendolo inquietante-mente simile all’uomo che Amalia aveva sognato la notte prima.
Stranamente, però, quando il ragazzo la toccò, le sensazioni che la pervasero non furono come quelle destate dell’incappucciato. L’esatto contrario. Fu come sfiorare il sole ed essere inondata dal suo calore per poi precipitare nelle profondità più oscure della terra, da cui non vi era ri-torno.
Amalia scacciò la sensazione ma quando gli occhi del gio-vane conversero nei suoi, essa si intensificò fino a diventare insopportabile, costringendola ad interrompere il contatto.
– Ci si rivede, ragazzina.– quella voce le vibrò nei timpani qualche istanti prima che lei la riconoscesse ed un brivido le marcasse la pelle.
Sobbalzò, suscitando l’attenzione del professore, che inter-ruppe la spiegazione per guardarla.
– Qualche problema, Amalia?– le chiese, il libro aperto in mano e lo sguardo che indagava prepotentemente nel suo.
Amalia deglutì e rispose, esitante. – No, tutto a meraviglia.
Raymond sorrise. – Magari se apri il libro riuscirai a seguire meglio, che dici?
La ragazza, rossa in volto, eseguì l’ordine e si gettò nelle righe del testo nel vano tentativo di scomparire.
– Sei davvero carina quando ti imbarazzi, sai?
Amalia ignorò quella stupida provocazione e tentò di seguire le date che il professore scriveva senza un apparente connessione logica alla lavagna.
– Taci. – disse, laconica.
– Oh–oh la ragazzina tira fuori le unghie. Sei davvero irri-conoscente, Amalia. – pronunciò il suo nome a un centimetro dal suo orecchio, destandole una lingua di fuoco sulla guancia. – Non mi hai nemmeno ringraziato per il passaggio che ti ha salvata dall’oblio.
Amalia strinse i pugni e si morse la lingua.
– Grazie. Ora zitto.
Il ragazzo sorrise, divertito. – Non è così che si ringrazia le gente, lo sai?
– No. Come non so quanto sono carina quando mi imba-razzo e come non so come tu faccia ad apparire e scomparire così all’improvviso.– disse le parole con vigore, quasi le vomitò da quanto venivano dal profondo.
– C’è un’altra cosa che non sai. – asserì lui.
Amalia incrociò il suo sguardo con uno di fuoco. – Ah sì? Quale?
– Il mio nome.
– Non credo mi possa interessare.
Gli occhi del ragazzo furono attraversati da un guizzo mali-zioso e la pioggia fuori dalla finestra sembrò rallentare la sua forsennata discesa.
– Se ti ritroverai ancora nei guai ti servirà sapere il nome del tuo salvatore.
Amalia ridacchiò. – Non penso proprio.
– Sei carina quando ostenti sicurezza.
–E tu sei inquietante quando appari all’improvviso e tenti di rifilarmi informazioni di cui non mi importa un fico sec-co. – ribatté, trovando una lugubre conferma nelle sue pa-role.
 
L’autobus sembrava procedere a passo d’uomo da quanto andava lento, ed Amalia rimpianse la velocità con cui lo sconosciuto l’aveva portata a scuola, mordendosi la lingua per aver anche solo pensato a lui.
Appoggiò la testa al finestrino per distrarsi dai suoi occhi verdi, il cui colore però continuava a comparire fra le chiome degli alberi, scosse dalla pioggia e dal vento cre-scenti. Sbuffò e tirò i capelli di lato per non sentire il freddo contatto con il vetro.
Quella giornata l’aveva travolta e privata delle già poche energie che aveva in corpo, lasciandola inerte come un gu-scio vuoto da cui si ha attinto fino all’ultima goccia.
Shannon e il motociclista erano stati due personaggi davvero strani con cui fare i conti; entrambi irritanti e sicuri sé, i due giovani erano stati capaci di fare una cosa che nemmeno i suoi genitori riuscivano a fare: tenerla in riga.
Sin da piccola Amalia era stata uno spirito ribelle, tanto che Erureka e Maxus avevano minacciato più volte di mandarla in un collegio, non portando a termine la promessa solo per l’attaccamento viscerale che nutrivano nei suoi confronti.
Se c’era una cosa che non le stava bene, Amalia lo diceva esplicitamente, senza curarsi delle conseguenze che le sue parole scatenavano attorno a lei. Questo non le era mai giocato a favore, molte delle sue ex compagne la evitavano proprio perché temevano il suo giudizio e le sue parole ta-glienti come lame, che riuscivano a ridurre in lacrime chiunque.
Era come se Amalia possedesse dentro di sé qualcosa che la induceva a ribellarsi a qualsiasi cosa le venisse imposta; che fosse un nuovo vestitino o un trasloco improvviso, lei doveva sempre dire la sua.
Il colore dei suoi capelli avrebbe dovuto essere rosso come il fuoco che le ardeva dentro ogni volta che apriva la bocca, ma per qualche strano motivo la sua chioma di ricci era nera come ossidiana, uguale a quella di sua nonna, che aveva lasciato in California.
Scacciò una lacrima che, infida, le stava per scivolare sulla guancia. La nostalgia che aveva della donna era profonda come una voragine, ed ogni volta che ad Amalia tornavano in mente i suoi occhi di ghiaccio una fitta le lacerava lo stomaco, inducendola a reprimere l’immagine di Emily.
Lo fece anche in quella circostanza, cercando di pensare a qualsiasi altra cosa che non fossero le onde cristalline della California che s’infrangevano in spumeggianti risacche sul-la costa.
L’autobus frenò all’improvviso ed Amalia per poco non cadde in avanti.
– La signorina Jones è pregata di scendere – gracchiò l’altoparlante che stava sopra la sua testa, facendola sob-balzare. Amalia afferrò la borsa e, sotto gli occhi di tutti, scese dalla vettura.
Mentre l’autobus riprendeva la sua corsa, la ragazza si ri-trovò addosso due occhi verdi che conosceva fin troppo be-ne. La fissavano dal sedile del passeggero, freddi e affilati come coltelli che ti penetrano per poi non uscire più.
Amalia avrebbe voluto non provare quelle sensazioni in-crociandoli, ma essi sembravano possedere un languido fa-scino su di lei, tanto che la ragazza sentì un scarica di geli-da energia percuoterla.
“Per oggi ne hai avuto abbastanza, Amalia” si disse voltando le spalle a quegli occhi, che avvertì pesarle sulle spalle per tutto il tragitto che la separava da casa.

Qualcuno la seguiva. Sentiva il suo respiro sulla schiena come una lama di gelido ghiaccio che le torturava la pelle.
Ma non si girò; troppa era la paura che l’attanagliava, rendendola simile ad una bambina timorosa dei mostri sotto il letto.
Il suo corpo era come congelato, un blocco di pietra in balìa di una pioggia così rabbiosa da eroderlo dall’interno.
– Amalia…– sentì il suo nome ed un brivido la vibrò nelle viscere.
– Chi…chi sei?– chiese flebilmente, la voce ridotta ad un sussurro.
Una mano le sfiorò i fianchi. – Tu chi vuoi che io sia?
Quella domanda la spiazzò. Quale assassino interagiva con la sua vittima?
– Rispondi, Amalia, il tempo scorre e la tua fine è sempre più vicina…– la pioggia prese a scendere con vigore, fru-standole il volto e entrandole fin dentro vestiti, facendola tremare.
Amalia rifletté, ma il terrore le impediva di esternare ciò che la sua mente formulava, lasciandola senza fiato.
Due occhi rossi come braci sfavillarono nel buio, illuminando davanti a lei una strada sconnessa e tortuosa.
– Tic–tac–tic–tac…– l’aggressore fece aderire le sue labbra al collo della ragazza. – il tempo è vita, Amalia,  e tu lo stai sprecando...– dopo quella frase due mani forti l’afferrarono e la sbatterono con forza contro un albero, immobilizzandola.
Amalia cacciò un grido, che fu però inghiottito dal rombo assordante dei tuoni, che avevano preso a risuonare nella valle privi di controllo.
– Lasciami! – riuscì a balbettare, ma lo sconosciuto sembrò non sentirla.
– Non hai ancora risposto alla mia domanda, Amalia.– dis-se, gli occhi che fendevano quelli della ragazza come pu-gnali acuminati.
Lacrime amare le rigarono le guance, mentre singhiozzi incontrollati la scuotevano, facendole inarcare la schiena contro la ruvida corteccia dell’albero.
– Tempo scaduto.– disse l’aggressore, ed un fulmine cadde a qualche metro da loro, inondandola di luce.
L’uomo sorrise e una lama le perforò lo sterno, mentre rivoli scarlatti si diramavano sulle sue gambe.
L’aggressore indagò con un dito la sua carne, bagnandolo di sangue e portandolo al naso, inebriato da quella sostanza che sembrava bramare come nettare.
– Tu non immagini nemmeno lontanamente cosa nascondi dentro di te.– disse, misterioso, leccando il suo sangue.
Un conato di vomito la risalì la gola ed un’altra lama la colpì al volto.
Poi tutto fu buio.

Si svegliò urlando, il sudore che le impregnava la fronte.
Eureka era già accanto a lei, le mani unite a quelle del ma-rito, che la guardava con sospetto.
– Amalia…– cominciò la madre – un altro incubo?
La ragazza annuì, trafelata. I genitori presero a bisbigliare troppo debolmente perché Amalia riuscisse a sentirli. Il cuore le pompava il suo rapido battito nelle orecchie, rendendole impossibile percepire  qualsiasi suono.
La madre le porse uno strano liquido che Amalia bevve senza fare domande. Sentì un intenso calore pervaderla e appesantirle le palpebre.
Si addormentò di nuovo, non sapendo che quello era solo l’inizio del suo incubo peggiore.

   
 
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