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Autore: cup of tea    29/12/2013    1 recensioni
Inghilterra, 1848. L’istruito e razionale Blaine Anderson viene assunto nella casa del riservato e di ampie vedute signor Hummel, come gestore della biblioteca della sua tenuta nella brughiera. La casa però, nasconde un segreto: ogni tanto si sentono delle urla di donna. Le signorine Rachel, Santana, Brittany e Mercedes saranno le sue colleghe e il Signor Hummel forse più di un semplice datore di lavoro.
Dal capitolo 4:
“Signor Hummel,” cominciò la ragazza, “lei ha davanti a sé un futuro colorato. Vedo del verde… e un'altra sfumatura, più scura e calma. Ma è lontana al momento. Un impedimento. Vedo un impedimento. Come un’ombra che incombe."
Genere: Dark, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Sebastian Smythe, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Blaine/Sebastian
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 6

 


Dormire sul divano non era stata una grande idea.

Quel cuscino così duro poteva anche essersi conficcato nella schiena di Blaine, e, se fosse stato davvero così, sarebbe stato bizzarro chiamare il cerusico per farglielo estrarre.

Decise di mettersi seduto, piano piano.

Aveva addosso una coperta con la quale non ricordava di essersi protetto.

Era notte fonda, non c’era nessuno in giro.

Dovevano averlo lasciato lì, per paura di disturbarlo.

Beh, non che così sia stato meglio.

Tastò sul tavolino alla ricerca di una candela, dopodiché, una volta trovata, la accese con i resti ardenti del focolare. Uscì dal salotto e salì la scalinata dell’atrio, diretto verso la sua camera, che, pensò amaramente, sarebbe stata gelata.

I gradini, in quel buio, sembravano infiniti. La schiena gli doleva incredibilmente.

E poi si sentì il grido.

Blaine si bloccò sulle scale, agghiacciato. Non si era ancora abituato, né era riuscito ad darvi una spiegazione razionale. Si affrettò e arrivò su in cima, fino alla porta della sua camera. La aprì e vi si chiuse dentro. Il vento fischiava forte contro i vetri e il temporale appena cominciato – chissà se la pioggia avrebbe mai lasciato quel luogo? – scrosciava incessante contro le fronde degli alberi, sul terreno, contro le mura di Hummel Place. Lo trovò d’un tratto un posto inquietante e oscuro.

Si mise a letto, ma sentì dei passi, fuori dalla porta.

Tranquillo, Blaine, i fantasmi non camminano! Ma che dico, i fantasmi non esistono nemmeno!

Qualcuno bussò. Blaine trasalì.

Si alzò lentamente, e afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro e che potesse sembrare almeno vagamente ad un’arma di difesa: il suo catino pieno d’acqua. Meglio di niente. Sicuramente avrò l’effetto sorpresa.

Mise con cautela un piede dopo l’altro, fino alla porta.

La aprì con un rapido gesto e rovesciò – lanciò – l’acqua addosso al presunto malintenzionato.

“AHHHHH!” Urlò una vocina ben conosciuta. “Signor Blaine! Che diamine le prende?! Che significa?! La mia camicia da notte…!”

“Oh, signorina Rachel, mi deve scusare… Non avevo idea che fosse lei! Venga dentro, tenga un asciugamano! Le chiedo immensamente perdono.” Fece ammenda Blaine, desolato.

La signorina Rachel prese l’asciugamano che le aveva offerto e si tamponò i capelli – per una volta non costretti nella solita cuffia – e la veste da camera. Fatto ciò, disse: “Signor Blaine, ero venuta alla sua porta per trovare conforto. Ha sentito il grido? Non mi spaventa mai, quando lo sento… ma così, nel pieno della notte…! Oh, ero terrorizzata! Sono uscita dalla mia stanza, e ho visto una luce di candela nella sua, e ho pensato di venire da lei. Pensavo di farmi un tè, per rilassarmi, ma ora sono tutta bagnata...”

“Non si preoccupi. Vada a cambiarsi, al tè ci penso io. E’ il minimo che possa fare.”

 
***
 
La signorina entrò in cucina giusto quando l’acqua nel pentolino stava cominciando a bollire.

“Venga, è quasi pronto.” La invitò.

“La ringrazio.” Rispose lei, sedendosi al tavolo.

Blaine portò teiera e tazze e versò il tè prima in quella della ragazza, accompagnandola con uno spicchio di limone.

“Quando sono in pena, il tè al limone è l’unica cosa che mi calma. Come faceva a saperlo?” Chiese la signorina Rachel.

“Fortuna, credo. Ad ogni modo, piace molto anche a me, e io offro solo cose buone quando voglio fare un’offerta di pace.”

“Non deve scusarsi di niente, stia tranquillo. In effetti avrei reagito allo stesso modo, se avessero bussato alla mia porta dopo un grido straziante. Magari non avrei usato dell’acqua, quello no.”

“Sono desolato…”

“Sto scherzando, Blaine! Aiuta a sdrammatizzare. Allora… lei e il signor Hummel, eh?”

Blaine bevve un sorso dalla sua tazza pensando bene a cosa dire.

La signorina Rachel era la persona con cui aveva legato di più, in quella casa, e, nonostante fosse molto tardi – o molto presto? – decise che una chiacchierata tra “amiche” era quello che ci voleva. Avrebbe calmato i loro animi turbati e giovato a entrambi.

“Rachel”, cominciò, “è molto dolce da parte sua adoperarsi con tanto entusiasmo per la felicità mia e del signor Hummel, ma lasci che le dica una cosa… è più complicato di quel che sembra”.

La signorina Rachel parve perplessa. Blaine si affrettò a continuare, prima che lei potesse chiedere i dettagli. Con “chiacchierata tra amiche” Blaine non intendeva certo dire che avrebbero parlato di lui. “Ad ogni modo, anch’io mi preoccupo della sua felicità, sa? Non mi guardi così, dico sul serio. E’ sempre stata molto carina con me, e vorrei restituirle il favore.”

“Non deve restituirmi niente, Blaine, lo sa.”

“Oh, certo che no. Però lo voglio fare. Mi dica come posso renderla felice.”

“Io sono felice”.

“Andiamo, Rachel. Lei non è fatta per essere una semplice governante. La sento cantare, ogni tanto, quando fa le pulizie.”

Blaine percepì che la signorina Rachel stava arrossendo, seppur nascosta dalla luce della candela posta sul tavolo davanti a loro.

“Ha una splendida voce. La più bella che io abbia sentito. E non lo dico solo perché l’unica persona che io abbia mai sentito cantare è quella campana stonata di mia cugina Mary Jane, affatto. Sono sicuro che anche dopo aver sentito milioni di persone cantare, io continuerei a pensare che la sua voce sia la migliore.”

Probabilmente l’elogio sincero funzionò, perché la signorina Rachel cominciò a parlare un poco di sé.

“Sicuramente saprà che volevo fare l’attrice.”

“Voleva? Ora non più?”

“Perché dovrei? Sto bene qui. Ho persone che mi vogliono bene e sono molto brava nel mio lavoro.”

“Quindi mi sta dicendo che se le venisse offerto il ruolo principale in una grande opera teatrale, lei rifiuterebbe perché le piace fare la governante?”

La signorina Rachel sembrava pronta a rispondere affermativamente, ma si bloccò.

“Un’opera come Romeo e Giulietta?”

“Perché no? Sarebbe una magnifica Giulietta Capuleti.”

“L’ho letto, sa? Non ho resistito, dopo che lei me l’ha spiegato così bene. Adorerei essere Giulietta… ma questo non significa che ci riuscirò.”

“Mi delude, signorina Berry. La credevo molto più ambiziosa.”

“N-non mi chiami più così… la prego.”

“Ambiziosa? “

“No… ‘Signorina Berry’. Prima mi ha chiamato solo Rachel ed è stato molto dolce.”

Blaine rifletté un momento. Era vero. Per la prima volta da quando era lì, aveva lasciato perdere le formalità e si era appellato alla sua amica con le maniere socievoli che si hanno solo con coloro a cui ci si sente legati da particolare affetto, e lo aveva fatto in un modo così naturale che non vi aveva fatto neppure caso.

Al che rispose: “Bene, Rachel, io continuerò a chiamarla solo Rachel se lei mi promette che mi starà a sentire. Forse ho un piano per farle ottenere qualche chance per diventare attrice.”

Rachel sembrò pensarci un po’ su, ma solo perché chiunque sarebbe stato meravigliato da una proposta del genere.

“Affare fatto.”

 
***
 
Era già l’alba, e, ormai, tanto valeva rimanere svegli.

Prepararono la colazione per tutti, che, appena scesi in sala da pranzo, parvero sopresi di vederli già all’opera.

“Non avete sentito le urla, questa notte?” Chiese Rachel.

Il signor Hummel si irrigidì visibilmente.

Mai parlare delle urla in presenza del signor Hummel, aveva detto la signorina Santana. Forse la risposta al mistero del fantasma infestante si sarebbe risolto chiedendo direttamente e semplicemente al padrone di casa. Quella tensione che sembrava averlo pervaso era un chiaro segno del fatto che poteva saperne più di chiunque altro.

“No, Berry. Niente di niente.” Tagliò corto la cameriera ispanica.

Rachel colse il rimprovero muto della collega e cambiò argomento. “Chi vuole del tè? Abbiamo anche uova fresche e pane morbido.”

Ma la tensione rimase anche durante la colazione. Magari lui e Rachel non erano stati gli unici a dormire male, pensò Blaine.

“Blaine, oggi riesco che riesco a mettere giù la caviglia, ci terrei a vedere la biblioteca, se non le spiace.” Se ne uscì a un certo punto il Signor Hummel.

Per qualche ragione Blaine arrossì. Forse era l’idea di passare un altro intero pomeriggio in compagnia di quell’uomo, loro due da soli. D’altra parte, anche se i commenti che aveva sentito nel dormiveglia gli avevano fatto piacere, non era sicuro che fossero stati sinceri: il signor Hummel voleva che la loro amicizia fosse una farsa e probabilmente anche le sue parole lo erano state, solo per zittire Rachel.

“Come vuole, signore. Ma mi deve lasciare qualche momento per sistemare le poche cose che ho lasciato in giro. Per via delle ferie immagino che i volumi che ho lasciato sui tavoli si siano riempiti di polvere.”

“Ma certo, Blaine. Tutto il tempo che le serve.”

 
***
 
Così Blaine passò quella mattina a spolverare, riordinare i volumi ancora sparsi, sbattere i tappeti e passare la scopa sul pavimento. Voleva che la biblioteca si presentasse al meglio per la persona che gli aveva commissionato un lavoro importante come il riportare in voga il lavoro di una madre generosa e sventuratamente deceduta.

O forse voleva solo fare bella figura con in signor Hummel.

Qualunque fosse il motivo, appena dopo pranzo tutto era pronto per quella visita.

Blaine aiutò il signor Hummel a fare le tre rampe di scale che separavano il piano terra da quello della biblioteca e, fortunatamente, non lo lasciò neanche una volta aperta la porta di quella stanza così preziosa: al signor Hummel cedettero le ginocchia per l’emozione, ma Blaine lo stava ancora sorreggendo.

Uno scambio di sguardi e di sorrisi.

Poi, finalmente, entrarono.

“Che meraviglia…!” Commentò il signor Hummel, più a sé stesso che a Blaine.

“Sì, beh, mi manca ancora tutto questo lato e anche quelle mensole, e-“

“Non dica altro.” Lo interruppe il padrone di casa. “Sarà tutto perfetto. E’ già tutto perfetto.” Continuò, sfiorando il pianoforte lucido e pulito. Liberò i tasti dalla loro copertura di legno e ne pigiò uno. Scoprì con sorpresa che era anche perfettamente accordato. Sorrise di nuovo. “Mi aiuti a sedermi sul divano, ora, la prego. La gamba comincia ad essere stanca.”

“Oh, ma certo.” Si affrettò Blaine. Rinnovò la presa sul fianco del signor Hummel e lo accompagnò fino al piccolo divano di velluto verde ortica, adibito alla lettura.

“Eccoci.” Disse Blaine. Fece per lasciare il braccio del signor Hummel ma questi lo bloccò.

“Blaine…”

“Mi dica, signore.” Blaine era decisamente sorpreso e curioso.

“Vorrei chiederle una cosa.”

“Ma certo. Quale cosa?”

“Più che una cosa… si tratta di un favore. Sì, sì, un favore.”

“Oh, okay.” Ma il signor Hummel non diceva niente, perciò Blaine cominciò a tirare a indovinare – anche perché il silenzio si stava facendo imbarazzante. “Devo sprimacciarle il cuscino? O aprire un po’ le tende? Questa stanza è molto buia…”

“No, no. Niente di tutto questo. Io volevo chiederle se aveva voglia di leggermi qualcosa.”

Oh.

“Rachel mi ha detto che sa molte cose sulla letteratura.” Spiegò il signor Hummel, come a volersi giustificare per una richiesta tanto bizzarra. “Come attore di successo immagino che sapere quante più cose possibili sulle grandi opere in poesia e in prosa sia alquanto auspicabile. La cultura sta alla base di tutto.” Continuò, tutto impettito.

A Blaine fece tenerezza. Quell’uomo, così austero da risultare perfino forzato, aveva in realtà un cuore dolce come il miele e morbido come il burro, e faceva perfino fatica a nasconderlo. Il grande affetto per le sue sottoposte era stato già un segnale evidente della sua vera natura, ma ora, di fronte a una richiesta così umile, poteva essere chiaro anche a un cieco che ciò di cui il signor Hummel aveva bisogno era semplicemente essere coccolato. Blaine non credeva di essere la persona più indicata per quello, ma finché si trattava di leggere un libro a voce alta, poteva cavarsela.

“Signor Kurt, lasci perdere i paroloni. Mi dica solo quale libro prendere e glielo leggerò fino a che non riterrà noioso il suono della mia voce.

Il signor Hummel sorrise. Forse arrossì, addirittura.

“C’era un libro che mia madre mi leggeva sempre, quando ero piccolo. Non ricordo il titolo, ma ricordo che mi faceva sempre ridere per i nomi così strani dei luoghi e dei personaggi. Parlava di un uomo che viaggia tra i mondi e incontra personaggi bizzarri.”

“Uhm, okay… nomi strani, viaggio tra mondi e personaggi bizzarri… forse mi sono fatto un’idea. Torno subito.”

Blaine si avventurò tra gli scaffali e raggiunse la sezione della letteratura sul viaggio. Scorse tra i titoli e gli autori e poi lo trovò: I viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift, 1726.

Prima ancora di tornare dal signor Hummel, cominciò a leggere a voce alta: “PARTE PRIMA: IL VIAGGIO A LILLIPUT. Mio padre aveva una piccola proprietà nel Nottinghamshire: ero il terzo di cinque figli.”

“Oh, è proprio lui!” Esclama il signor Hummel. “Come ha fatto a capirlo?!”

“Mi intendo di letteratura, come dice Rachel.” Rispose Blaine facendo spallucce, una volta tornato al divanetto.

“E’ una divertente favola per bambini, non trova?” Chiese il signor Hummel.

“Sa, non è solo questo. E’ una di quelle opere che vanno bene per tutte le età, perché può essere letta a più livelli. Come favola per bambini, certo, ma è anche un’allegoria politica, una satira. I quattro viaggi che Gulliver compie, hanno tutti un significato.”

“Per esempio?”

“Beh, i piccoli ‘Lilliputians’, che Gulliver incontra nel primo viaggio, stanno a rappresentare la crudeltà e la meschinità che, secondo Swift, erano proprie dell’Inghilterra di oltre cent’anni fa. Se guardiamo invece al secondo viaggio,” Blaine girò la pagina sulla pagina desiderata e la mostrò al signor Hummel, “si può notare che i giganti di Brobdingnag rappresentano la vanità umana e l’amore per sé stessi. Per la loro forma enorme, Gulliver prova fascinazione ma anche disgusto e, mettendosi a confronto con loro, capisce come i Lilliputians dovevano averlo visto.”

“E’ davvero affascinante.” Commentò il signor Hummel. “Si sieda qui accanto a me e continui, la prego.”

Blaine occupò titubante il posto che il signor Hummel gli aveva appena fatto sul divanetto. Constatò che era più piccolo di come sembrava, date le loro ginocchia a contatto. Si schiarì la voce e cercò di concentrarsi per continuare.

“Nel terzo viaggio, Gulliver approda sull’isola volante di Laputa, la cui capitale Lagado è popolata da filosofi e scienziati. In questo Swift fa una parodia delle pretese del pensiero intellettuale astratto, senza alcuna connessione con la realtà. Probabilmente si riferiva alla Royal Society, di cui faceva parte anche Newton.”

“Sono nomi davvero divertenti, non trova?” Disse il signor Hummel, ridacchiando.

In effetti, avevano un che di buffo, doveva riconoscerlo.

“Aspetti di sentire allora il nome del popolo della quarta terra esplorata dal nostro protagonista: Houyhnhnms.”

“Come?” Il signor Hummel ora rideva di gusto.

“Houyhnhnms.”

Il signor Hummel rise ancora più forte. “Lo ripeta, la prego! E’ impronunciabile!” Si asciugò perfino una lacrima.

Ripeterlo di nuovo creò non pochi problemi a Blaine. Cominciò a ridere anche lui, perché il suono era davvero esilarante oltre che stravagante. “Houyhnhnms! Houyhnhnms! Houyhnhnms! Lo ripeta con me!” Lo esortò allora Blaine.

Il signor Hummel non seppe mai quale fosse l’interpretazione del quarto viaggio di Gulliver, perché si fermarono a ripetere i nomi delle popolazioni così a lungo che persero la cognizione del tempo.

Il libro conteneva anche molte immagini che commentarono insieme. Condividere lo stesso libro – per metà aperto sulla gamba di Blaine, per l’altra sulla gamba sana del signor Hummel – non sembrava strano a nessuno dei due. Le loro dita si erano perfino sfiorate in alcuni momenti, quando uno voleva gira la pagina e l’altro voleva indugiarvi ancora, o quando indicavano lo stesso punto sulle figure.

Ma Blaine cominciava ad accusare la stanchezza accumulata dalla notte precedente, così tormentata e soprattutto breve. Si accorse di stare lentamente scivolando verso la spalla del signor Hummel, incapace com’era di sorreggere la propria testa. La tirò su un paio di volte, ma della terza non si accorse. Aveva chiuso gli occhi, mentre il signor Hummel stava ancora commentando l’immagine di un Gulliver che osserva un gigante Brobdingnag. Sentiva le parole dell’amico – sì, amico, non padrone di casa, né datore di lavoro – in lontananza, soffici e vellutate. Erano come una ninna nanna, e non perché stesse dicendo cose noiose. Semplicemente, la voce del signor Hummel era un suono che cullava, la sua spalla ossuta un sostegno per le sue membra stanche e il calore che così vicini stavano emanando entrambi, creavano l’ambiente perfetto per sprofondare in un sonno quieto e sereno.

Così quieto e così sereno che, ancora oggi, Blaine potrebbe giurare di aver sentito una mano accarezzargli il viso.
 
 


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La tavola di cup of tea

Ciao a tutti! Procedono bene le vacanze? Io sto mangiando decisamente troppo! X)

Le precisazioni di oggi sono legate per lo più a “I Viaggi di Gulliver”. Ebbene, la citazione che ho riportato è tratta dall’edizione del suddetto testo (oh, cielo, parlo come Blaine) in allegato a Onda Tv Magazine (2003), che non sapevo nemmeno di avere. Per quanto riguarda l’interpretazione del quarto viaggio – per chi fosse interessato – si può dire che sia una critica verso il genere umano in generale. La terra che Gulliver esplora è guidata da cavalli intelligenti chiamati Houyhnhnms, e questi sono serviti e riveriti da una razza bestiale e subumana, gli Yahoos. Gulliver, un essere umano fatto e finito, cerca di spiegare agli Houyhnhnms che lui non è selvaggio come gli Yahoos, ma, dal punto di vista degli Houyhnhnms, il ritratto che Gulliver fa della violenta e viziosa società dalla quale proviene conferma semplicemente che gli esseri umani non siano migliori degli Yahoos, ma semplicemente più sofisticati nelle loro barbarie.

Con questo, chiedo ufficialmente scusa a Swift per aver insistito sulla ridicolezza dei nomi da lui inventati – ma, andiamo, Houyhnhnms!

Per il resto, voglio ringraziare voi che leggete, recensite, preferite, ricordate e seguite.

Devo però avvisarvi che, probabilmente, la pubblicazione di domenica prossima potrebbe saltare. Domani parto e torno proprio domenica, ma non ho idea dell’orario. Sarò senza computer fino ad allora e col tablet faccio una fatica tremenda; quindi, onde evitare di pubblicare il ricettario di mia mamma invece del capitolo 7, preferirei tornare a casina prima di farlo. Ad ogni modo, vi farò sapere!

Intanto vi mando un caldo abbraccio, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
A presto!
Cup of tea
 
   
 
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