Capitolo
Quattordici: le Mani
del Diavolo
La
candela aveva quasi esaurito la cera.
Antonio
la spense definitivamente, smorzando la fiamma con
due dita, e continuò le sue riflessioni nel buio.
Il
Figlio del Cielo li aveva riuniti sul ponte di comando,
non appena erano rientrati dal pianeta dei Gunsmith. Se volevano
approdare a
Chugoku e tornarne vivi, avrebbero dovuto ascoltare i suoi
avvertimenti.
Yao
aveva sconsigliato a chiunque fosse sprovvisto di magia
di mettere piede nel suo mondo. Gli incantatori orientali avevano una
caratteristica non comune agli stregoni occidentali. I maghi nati al di
fuori
del Sistema Asean tendevano a plasmare il mondo con la propria magia,
modificando cose esterne; al contrario, gli incantatori orientali
preferivano
agire all’interno della persona, sfruttando i suoi punti
deboli per
annientarla. Era una specie di ipnotismo, aveva semplificato Yao.
Solo
chi possedeva a sua volta la magia era in grado di
erigere uno scudo mentale sufficiente per difendersi dagli attacchi
psichici
degli stregoni Asean; per questo i normali marinai sarebbero rimasti
sul
vascello.
Il
Figlio del Cielo aveva poi aggiunto una postilla al suo
discorso:
«Se
doveste incontrare il Samurai… non toccatelo. Devo
affrontarlo io.»
«Perché?»
aveva chiesto Gilbert.
«Non
è un avversario semplice. È stato molto ben
addestrato
e non so se riuscireste a tenergli testa» aveva stimato con
elegante
spietatezza l’orientale. E aveva aggiunto, con una punta di
rancore: «E poi,
devo essere io a porre fine a questa faccenda.»
Nessuno
aveva obiettato: ognuno di loro aveva un obiettivo
simile. Lovino voleva essere la persona che avrebbe posto fine al
delirio del
padre, Antonio desiderava vendicare la sua gente e Gilbert il suo
popolo
divorato, Roderich chiedeva al Cielo la possibilità di
disfare ciò che aveva
fatto.
«Ognuno
di noi ha un obiettivo in cui non sono previste
interferenze» l’Accordatore esordì con
garbo raffinato, in sintonia con il
contegno regale dell’Asean. «E noi non ci
intrometteremo nel vostro piano. Ma
dovete metterci al corrente della vostra strategia, o non vi saremo di
alcun
aiuto.»
Il
Figlio del Cielo aveva annuito e gli aveva esposto la sua
tattica. I punti essenziali erano pochi: trovare il Marauder, chiedere
il suo
parere sull’estrazione e l’eliminazione di un
demone da un corpo vivo, trovare
il Samurai e sistemare i conti del passato; i dettagli da tenere a
mente, in
compenso, erano moltissimi. Fu tremendamente chiaro perché
Chugoku fosse il
caposaldo del sistema Asean: grazie alla memoria generazionale, il
Figlio del
Cielo aveva velocemente ripercorso tutti gli sbagli degli strateghi
precedenti,
ed elaborato nuove tattiche per evitare i loro errori. Era come sentir
parlare
un arsenale di generali militari nello stesso istante.
Antonio
si stropicciò le palpebre chiuse con le dita ruvide,
sminuzzando un sospiro con i denti. Non era sicuro di essere adatto
alle Terre
d’Oriente; sperava solo che la loro permanenza fosse breve e
il meno dolorosa
possibile. E poi…
La
mente del capitano si paralizzò per un istante. Aveva
passato tantissimi anni inseguendo il suo sogno di vendetta, e ora che
era a un
passo da lui gli sembrava quasi di essersi immerso in una fantasia
troppo
reale. Eppure, una volta conclusasi quella campagna a Chugoku, che li
avrebbe
portati – auspicabilmente – a riunirsi con Francis,
gli Sparvieri avrebbero
spiccato il volo per distruggere il Vaticano. E per liberare il
fratello di
Lovino.
La
sua memoria si accoccolò sul volto del suo vice. Aveva
osservato Lovino, durante tutti quegli anni: aveva visto il bambino
spaurito
diventare un adolescente fiero, e aveva aspettato che il ragazzo ignaro
diventasse pian piano consapevole dei propri sentimenti per lui.
Lo
aveva visto sbocciare e mutare, ma si chiedeva se sarebbe
rimasto ancora con lui, una volta riunito al fratello. Non sarebbero
tornati al
Vaticano, questo era certo: un Asse fuggitivo e la Mano Sinistra del
Diavolo non
erano le persone più adatte per svolgere le funzioni
clericali. Tuttavia,
avrebbero potuto scegliere di ritirarsi su un pianeta remoto della
Confederazione,
dove nessuno li avrebbe cercati, e lì recuperare gli anni
perduti. Lovino non
aveva mai nascosto come ricongiungersi al fratello fosse il suo unico
obiettivo.
Proprio
in quel momento, la porta della sua stanza si aprì.
Antonio
non ebbe bisogno di voltarsi: avrebbe riconosciuto
quel passo tra mille, anche se quella sera era più cadenzato
del solito.
«Lovi…»
lo chiamò, ma il nome del giovane si ritorse sulla
sua lingua e gli otturò la gola. Il passo del ragazzo era
risuonato più
ovattato perché era senza scarpe. E senza pantaloni: dalla
camicia sporgevano
solo un paio di gambe magre, rese ben visibili dalla luce della luna
che le
lambiva. O forse era solo la sua mente esagitata a focalizzarsi con
troppa
frenesia sulle cosce scoperte del giovane.
«Avevamo
detto che avremmo parlato» annunciò brusco Lovino,
togliendosi dalla traiettoria del suo sguardo allibito. Si
arrampicò sul letto
del capitano, e arruffò le lenzuola in modo che gli
coprissero le gambe nude.
“Parlare”.
Antonio sentì il suo autocontrollo ridere
fragorosamente a quella prospettiva. “Parlare”;
sarebbe stata sicuramente la
sua prima intenzione con il ragazzo
amato nella sua stanza. Nel suo letto. Seminudo.
«Ti
ha visto qualcuno?» quella domanda gli costò un
cuscino,
implacabilmente diretto alla sua faccia.
«Ovviamente
no. La mia cabina è qui di fianco»
protestò
Lovino, ritraendosi con la schiena al muro.
Antonio
si avvicinò al letto - per risistemare il guanciale,
solo per risistemare il guanciale
– e
si sedette sul materasso, di fianco al giovane.
«Di
cosa volevi parlare?» domandò il capitano,
inghiottendo
saliva tra una parola e l’altra.
Lovino
si abbracciò le gambe, stringendo le coperte su di
esse, e ciondolò la testa prima di esordire:
«Volevo
chiederti una cosa. Per quando torneremo da
Chugoku.»
Antonio
avvertì le sue previsioni di poco prima graffiargli
il cervello. Si impose la calma e concesse, con voce ferma:
«Chiedi
pure.»
Lovino
tamburellò le dita sulle ginocchia, incerto, poi
rovesciò fuori in un sol fiato:
«Quando
il Marauder sarà con noi e sferreremo l’attacco al
Vaticano e libereremo mio fratello… potrebbe rimanere anche
lui sulla Reina?»
Lovino
interpretò male il silenzio sbalordito del capitano,
e fece piovere una cascata di giustificazioni:
«Non
te lo sto chiedendo solo perché è mio fratello.
È
destinato a diventare Asse, i suoi poteri sono eccezionali. Non
farebbero di
certo male a questa ciurma. E poi, a Caina hai visto anche tu quanto
sia bravo
come guaritore, e…» le dita del capitano si
appoggiarono sulle sue labbra,
zittendolo.
«Perfetto»
si congratulò Antonio. Il suo sorriso fendette la
penombra della camera. «Ci sarà sempre spazio per
il tuo gemello.»
«Cerca
di non confonderci quando sarà qui, bastardo»
Lovino
schiaffò via la sua mano e si ritirò con la testa
tra le spalle, come una
tartaruga arrabbiata.
Antonio
fece migrare le dita sulla testa del giovane, e gli
accarezzò i capelli crespi. Non lo avrebbe mai scambiato per
nessun altro: la
sua scontrosità, e il suo modo bellicoso di arrendersi,
erano inconfondibili.
Il suo Lovino era unico.
«E
poi» sbuffò il ragazzo. «Avevi promesso
che mi avresti
parlato della tua infanzia.»
«Era
una promessa reciproca» gli ricordò il capitano.
Se le
gambe del giovane fossero rimaste coperte dalle lenzuola, sarebbe stato
in
grado di conversare normalmente. «Coraggio.»
Lovino
attorcigliò quel suo unico ciuffo ribelle con le
dita, ripescando nella memoria i ricordi più belli.
«Quando
avevamo quattro anni» cominciò. «Ero
contento perché
avevo fatto un bel sogno. Non ti dirò di che sogno si
trattava!» inveì
improvvisamente, diventando paonazzo. Per un bambino era la
quintessenza del
Paradiso, ma la Mano Sinistra del Diavolo non poteva ammettere di aver
sognato
un paese di cioccolato e biscotti. «Sappi che c’era
mio fratello e che eravamo
contenti. Comunque, la mattina mi sono subito girato verso Feliciano e
gliel’ho
raccontato… e abbiamo scoperto di aver fatto lo stesso
sogno. E da allora ne abbiamo
fatti tantissimi insieme.»
«Ti
piaceva fare questi sogni condivisi?»
Lovino
annuì e avvalorò:
«Era
confortante. Era come… non essere mai soli.»
«E
non li hai più fatti?»
Il
ragazzo si rabbuiò, sparendo quasi nella penombra.
«Il
Palazzo di Quarzo lo isola totalmente» si voltò
verso di
lui e cambiò discorso: «Tu non avevi fratelli o
sorelle?»
«Ero
figlio unico» raccontò Antonio. «Ma non
mi sono mai
sentito incompleto, per questo. La casa era riempita da mio padre e da
mia
madre, e il giardino da Gilbert e Francis.»
«Siete
amici da così tanto tempo?»
«Da
quando Gilbird si è schiantato contro il nostro
melo» un
punto interrogativo galleggiò nelle iridi di Lovino, e
Antonio fu costretto a
raccontargli del loro primo, disastroso incontro.
«E
voi dovevate essere le guide del vostro popolo?» fu il
commento sarcastico di Lovino al termine.
«Siamo
migliorati molto, negli anni a venire» si difese
Antonio e deviò: «Non hai altri ricordi con tuo
fratello?»
«Tantissimi»
calcolò Lovino. «Passavamo insieme ogni
giorno…
abbiamo anche litigato, alcune volte. Non eravamo sempre gli angelici pueri del Vaticano.
Però, anche
litigare con Feliciano non era brutto: se litighi con una persona, vuol
dire
che ci tieni a lei. E se dopo le chiedi scusa, significa che la
consideri più
importante del tuo orgoglio. E se lei ti perdona, vuol dire che la cosa
è
reciproca.»
«Vuoi
davvero un mondo di bene a tuo fratello» un pugno lo
raggiunse alla spalla, e Lovino inabissò la faccia nelle
ginocchia.
«Non
dirlo in questo modo melenso! Che schifo!»
Lovino
rimase immobile per qualche secondo, poi una domanda
si fece strada oltre le sue ginocchia.
«Com’è…
avere dei genitori che tengono a te sul serio?»
Antonio
sentì una spina di tristezza pungergli il cuore.
Nessuna sorpresa che Lovino avesse così caro il suo gemello:
la madre era stata
per lo più assente, e il padre non faceva che giudicarli per
capire quale dei
due fosse adatto a divenire Asse. Erano stati un tribunale,
più che una famiglia.
E Lovino aveva riversato sul fratello l’affetto che avrebbe
provato anche per i
genitori, se fossero stati più presenti: il suo gemello era
tutta la sua
famiglia.
«Era
come non essere mai soli» Antonio riutilizzò le
parole
del giovane per fargli comprendere cosa si provasse. «E anche
quando mi sono
ritrovato senza di loro… non ero solo. Loro mi avevano
insegnato a vivere e,
vivendo, sarebbero stati con me. E poi c’erano Gilbert e
Francis; con due
casinisti come loro, è impossibile sentirsi
abbandonati.»
Lovino
distese le gambe e il lenzuolo si mosse con esse,
scoprendogli le cosce. Antonio dirottò lo sguardo verso il
pavimento.
«Ho
avuto una seconda famiglia piuttosto bizzarra, non
trovi? Un acchiappa fantasmi e uno sterminatore di
demoni…» sciorinò il
capitano, tentando di focalizzarsi sulla conversazione.
«Siamo andati fino a
Caina per recuperare Gilbert, e adesso ci stiamo dirigendo a Chugoku
per
ritrovare Francis… non ci risparmieremo nemmeno per tuo
fratello.»
«Voglio
vedere il Vaticano tremare» asserì Lovino.
Antonio
giocherellò per un po’ con le proprie dita, poi,
con
un sospiro che sapeva di sconfitta, confessò:
«Lovino…
temo di non essere nelle condizioni ideali per
parlare.»
«Perché
no? Stai facendo dei discorsi più sensati del
solito.»
Antonio
scartò immediatamente l’ipotesi del candore:
Lovino
sapeva benissimo di mettere a dura prova il suo autocontrollo, con
quell’abbigliamento succinto. Era una tortura intenzionale e
premeditata.
Il
capitano decise di essere ancora più chiaro:
«Tu
sei mezzo nudo, nel mio letto, a un passo da me. E, per
quanto mi piaccia parlare con te, ti assicuro che la conversazione
è l’ultimo
dei miei pensieri, adesso.»
Il
ragazzo non si ritirò a riccio nelle coperte, gridandogli
improperi come “maniaco” e sinonimi. Fece uscire le
gambe dalle lenzuola, le
incrociò e puntò le mani sulle caviglie. A
dispetto della sua apparente
arroganza, le parole incespicarono un poco mentre dichiarava:
«Te
lo avevo promesso. Dopo il tuo ritorno da Britannia.»
La
bocca si corrucciò nella solita smorfia indispettita,
mentre le guance si coloravano di rosso.
Dovevano
riconquistare il trono del Figlio del Cielo,
trovare lo spirito reincarnato del Marauder e sconfiggere il Vaticano;
gli
pareva assurdo che, con una lista così altisonante di
impegni, lui avesse
trovato il tempo per interessarsi al sesso. Eppure, più
diventava cosciente dei
suoi sentimenti per Antonio, più si incuriosiva
all’arte amatoria. All’inizio
aveva scacciato a suon di scappellotti quei pensieri poco consoni; poi
li aveva
gradualmente accettati, notando che il pensiero
dell’intimità lo ripugnava, se
non era contemplato il capitano.
Era
testardo, ma non era stupido. Aveva dovuto accettare
quel desiderio di unirsi al suo compagno, per quanto la cosa lo facesse
sentire
umiliato: l’idea di essere la parte passiva non lo riempiva
d’orgoglio.
Il
capitano dovette aspettare qualche secondo prima che
quelle parole fossero scomposte, analizzate e accettate dalle sue
orecchie
sorprese.
«Lovino…
sei sicuro?» Antonio preferì sondare il terreno,
prima di avvicinarsi al giovane. «Perché dubito
che riuscirò a fermarmi, dopo…»
«Perché
sei un animale» Lovino raccolse le ginocchia al
petto, coprendole con le braccia.
«Perché
sono innamorato di te. E ti ho aspettato così a
lungo…» lo corresse con dolcezza l’altro.
Il
ragazzo gli lanciò un’occhiata furiosa. Non capiva
come
quelle labbra che gridavano ordini e respiravano la polvere da sparo
fossero in
grado di srotolare discorsi simili. Pronunciati da chiunque altro lo
avrebbero
fatto ridere, ma non riusciva a ironizzare su quegli occhi verdi che lo
fissavano come se fosse il tesoro più prezioso esistente al
mondo.
Le
mani dell’uomo scivolarono gentili a sciogliere la
muraglia di braccia intorno alle sue ginocchia. Lovino
guardò verso il
materasso mentre i suoi polsi venivano portati ai lati dal viso e il
corpo
dell’uomo si avvicinava alle sue gambe, costringendolo ad
aprirle per
accoglierlo sul suo ventre.
Il
giovane si morse il labbro inferiore. Non avrebbe mai
immaginato che avere l’uomo così vicino a lui,
petto contro petto e bacino
contro bacino, sarebbe stato tanto imbarazzante. Strinse istintivamente
i pugni
quando sentì le labbra del compagno lambirgli la mascella,
nel punto più vicino
all’orecchio.
La
bocca di Antonio percorse la linea del viso, risalendo il
mento e fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra serrate.
La
fronte dell’amante toccò la sua, e Lovino
riaprì gli
occhi che aveva chiuso quasi senza rendersene conto. C’era
qualcosa, in quelle
iridi verdi, che lo pungolava dritto al cuore: non aveva capito se
fosse il
loro vissuto comune – l’assenza di una famiglia, la
solitudine, la vita da
reietti – a farlo sentire così partecipe delle
emozioni del compagno. O se
fosse semplicemente lo smisurato affetto che permeava quegli occhi a
far
breccia nelle sue barriere.
Strinse
le ginocchia contro il bacino del compagno, in un
tentativo inutile di chiudere le gambe, quando la bocca del capitano si
appoggiò sulla sua. Antonio attese che il giovane smettesse
di mordersi le
labbra, che deglutisse nervosamente un paio di volte e che chiudesse
gli occhi
prima di schiudere la sua bocca.
Lovino
interruppe il bacio per strattonare i suoi polsi
fuori dalla presa dell’uomo, e cingere il collo del compagno
con le braccia.
Ringhiò un “non sono un prigioniero,
idiota” prima di ricominciare a baciarlo.
Sussultò
così vistosamente da bloccare le mani che si
stavano intrufolando sotto la sua camicia, accarezzandogli le cosce.
Aveva
immaginato quello che sarebbe successo assieme al capitano, ma sentire
le dita
dell’amante esplorarlo dove nessuno lo aveva mai toccato
prima gli aveva
iniettato una scarica elettrica nelle vene, facendolo trasalire.
«Hai
le mani fredde» protestò, come scusa.
«Non
sarà per molto» lo tranquillizzò
Antonio, posandogli un
bacio sullo zigomo.
Le
unghie del ragazzo artigliarono le spalle del capitano
quando le mani del compagno salirono, accorciando la camicia in un
accatastamento di pieghe sui suoi polsi. Lovino si lasciò
sfuggire un singulto
di sorpresa, quando le dita del capitano lo pizzicarono dove il petto
era più
sensibile. Antonio sorrise della spontaneità del giovane,
che cercò di
spintonarlo via per l’imbarazzo.
L’uomo
non si lasciò spostare, e intensificò quello
strano
attacco. Lovino si appiattì contro il muro quasi volesse
fondersi con esso
quando Antonio slacciò la sua camicia per viziare con le
labbra quegli stessi
punti che poco prima erano stati stimolati dalle sue dita. Il giovane
si agitò senza
sosta sotto quella dolce tortura: si sentiva un essere osceno a godere
dei
movimenti della lingua del capitano. Si tappò la bocca
mordendosi il dorso
della mano, cercando di contenere i versi vergognosi che zampillavano
nella sua
gola. Sapeva come funzionava il sesso tra uomini: i marinai glielo
avevano spiegato
tempo addietro, in modo piuttosto volgare, utilizzando anche la verdura
in
stiva per esemplificare. Ma nessuno gli aveva mai detto che ci fossero
altri
modi di appagare il compagno, oltre alla penetrazione.
Il
segno dei denti rimase, rosso e visibile, quando rilasciò
la morsa sulla sua mano. Antonio si staccò da lui, gli
afferrò il polso e
contemplò il danno.
«Non
devi contenerti così tanto» lo
rimproverò carezzevole.
«Devo!»
obiettò inviperito Lovino. «Vuoi che senta tutto
l’equipaggio?»
La
bocca di Antonio si poggiò sul marchio dei denti,
lambendo la pelle lesa. Lovino avvertì un brivido, e
portò un lembo della
camicia a coprire il petto ancora umido di saliva.
«Hai
avuto… molte esperienze, prima?» volle sapere,
serrando
le dita sul tessuto. Circolavano innumerevoli voci sulle amanti
– o gli amanti
– che la Mano Destra del Diavolo aveva avuto. Il giovane le
aveva sempre
ascoltate senza troppa attenzione, consapevole che molte dicerie erano
state
gonfiate volando di bocca in bocca. Tuttavia, vedere Antonio
così sicuro di sé
mentre lui era sul punto di morire dall’imbarazzo gli aveva
fatto ribollire la
mente con mille interrogativi, uno più sgradevole
dell’altro. Quali altre
persone aveva preso allo stesso modo? Su quale corpo sconosciuto aveva
già praticato
le stesse cose che stava per fare a lui?
La
risposta dell’uomo non lo tranquillizzò del tutto.
«C’è
stata molta gente disposta a tenermi compagnia durante
la notte.»
La
stoffa si spiegazzò ulteriormente sotto la sua presa.
Anche lui sarebbe stato un amante da dimenticare al mattino?
«Ma
non ho mai aspettato una “compagnia” per quattro
anni.
Né ho sfidato il Custode dei Cancelli per lei. Né
le ho mai chiesto di
condividere le occasioni future. Né gli ho mai detto di
essere innamorato di
lei» posò un nuovo bacio sul dorso martoriato del
giovane, quasi cavalleresco.
«L’ho fatto solo per te.»
Lovino
si aggrappò all’unica parte criticabile di quel
discorso: non poteva permettersi di dare troppa soddisfazione a quel
pirata
lasciandogli intendere quanto quelle parole lo avessero lusingato.
«Quattro
anni fa ero un bambino! Pervertito!»
«Eri
meno bambino
di quando sei arrivato.»
«Tu
sei malato!»
«Ovvio.
Altrimenti non potrei essere una delle due Mani del
Diavolo, no?»
«Non…»
Lovino brontolò, corrucciato. «Non siamo solo
quello…
siamo uomini, prima di tutto.»
Il
sorriso di Antonio gli accarezzò il viso, e il capitano
articolò sulla sua tempia:
«Hai
ragione, Lovino…» si allontanò, come
colpito da un
pensiero improvviso: «Non sei scomodo, contro la
paratia?»
«È
colpa tua! Mi sei saltato addosso come una bestia!»
«Hai
ragione…» concesse il capitano, senza perdere
altro
tempo. Abbracciò stretto il giovane, in modo che cadessero
in sincrono sul
materasso.
Lovino
aprì le labbra per innalzare una protesta, ma le richiuse
presto, fingendosi offeso. I suoi dubbi non erano spariti del tutto:
avrebbe
continuato a chiedersi quanti amanti avesse avuto il capitano, quanto
lo
avessero appagato, se pensasse ancora a loro. Ma non poteva farlo
mentre quegli
occhi verdi lo fissavano così da vicino: Antonio gli stava
riversando addosso
così tanto amore, con il solo sguardo, che il giovane
avrebbe potuto affogarci
dentro.
Gettò
da un lato il lembo della camicia trattenuto fino a
quel momento, per dichiarare la propria resa momentanea. Morse il
polsino
anziché la mano, quando la bocca dell’uomo scese
di nuovo su di lui. Sobbalzò
quando i denti si strinsero sul suo petto, e fremette quando il
compagno gli
segnò la pelle chiara con i marchi rossi dei succhiotti.
Antonio
si adagiò sul suo ventre nudo, le mani infilate nei
suoi capelli e la guancia contro la sua.
«Lovino…»
c’era una nota di vergogna nella sua voce. «Volevo
darti più tempo, ma… temo di aver raggiunto il
mio limite.»
Il
giovane appoggiò le mani sulla schiena dell’uomo,
infilandole
sotto la camicia aperta, e sentì i muscoli del compagno
tremare sotto i suoi
polpastrelli. Lo strinse a sé, guardando altrove per la
vergogna. Si stava
trattenendo con enorme sforzo, tanto da fremere come se fosse sul
punto di
spezzarsi, solo per non spaventarlo. Per fargli capire che lui non era
la
compagnia di una notte.
«Se
mi fai male, ti ammazzo» fu il modo rude di Lovino per
dargli il permesso di proseguire.
Antonio
lo baciò di nuovo sulle labbra, lentamente, premendo
con più forza nell’ultimo bacio prima che la sua
mano scendesse verso il basso.
Lovino
gli artigliò la schiena e serrò le ginocchia
quando
l’uomo lo sfiorò in mezzo alle natiche. Si
contrasse su se stesso sentendo il
suo interno violato dal dito del compagno. Antonio gli
accarezzò le spalle, la
schiena, la nuca e lo strinse forte a sé mentre aggiungeva
un secondo dito, e
lo baciò sul tutto il viso inserendo il terzo.
Si
sollevò su di lui, lasciandogli un attimo per riprendere
fiato. Lovino lo fissò dal basso, gli occhi liquidi e le
labbra rosse per i
morsi usati per contenersi, il corpo scomposto sul materasso. Il suo
autocontrollo fu pugnalato al cuore dall’immagine intimorita
e lasciva del
giovane. Aveva desiderato per così tanto tempo di
accarezzarlo in quel modo,
prima che chiunque altro potesse farlo… ma la
realtà non era paragonabile alla
fantasia. Lambì con le mani quel corpo tanto bramato,
sentendolo reagire al suo
tocco ogni volta che sfiorava le zone più sensibili.
Gli
solleticò l’interno coscia prima di divaricargli
le
gambe in modo da poter entrare in lui.
Lovino
non riuscì a trattenere il gemito di dolore quando
sentì il capitano farsi strada dentro il suo corpo.
L’ansito gli scoppiò sulle
labbra, che il giovane premette contro la spalla del capitano per
evitare
ulteriori fughe. L’uomo si fermò e gli
baciò il viso: il petto di Lovino si
sollevava contro il suo con un ritmo troppo frenetico.
«Respira
a fondo» lo consigliò Antonio, quando
assaporò il
sale di una lacrima sulla guancia del giovane.
«Non
sei tu ad avere…» quelle poche parole si
trascinarono
faticosamente nella gola ingolfata dal respiro spasmodico, e si
acutizzarono
improvvisamente in un insulto: «Idiota!»
Il
capitano gli diede tempo per regolarizzare il respiro, e
per guardarlo male dal basso.
«Dopo
ti ammazzo» lo minacciò, prima di schiudere la
bocca
al bacio dell’amante.
Antonio
fu delicato, per quanto il suo desiderio gli
permise: cercò di rallentare le spinte, di tranquillizzare
quel corpo vergine
sotto di lui, di non essere troppo violento nel prenderlo fino in fondo.
Lovino
morsicò tutti i gemiti, e si maledisse quando gliene
sfuggì qualcuno. Razionalmente sapeva che quegli ansiti
erano normali, in una
situazione del genere, come gli scatti del suo bacino verso quello del
capitano, quasi volessero spronarlo a continuare. Tuttavia, trovava
vergognosa
la distorsione della sua voce sotto il piacere, così come lo
imbarazzavano i
movimenti incontrollabili del suo corpo in risposta alle stimolazioni
dell’amante.
Strinse
gli occhi con tutte le sue forze, e un suono
inarticolato trapelò dalle labbra contratte quando il
proprio seme gli macchiò
il ventre. Antonio chiamò il suo nome con voce rovente prima
di liberarsi
dentro di lui.
L’aria
fu riempita solo dal loro ansimare, mentre i corpi
sudati si adagiavano sulle lenzuola, ancora allacciati tra di loro.
Antonio
scostò alcuni riccioli dalla fronte imperlata, per
osservare meglio il suo amante: l’imbarazzo e il piacere
avevano spruzzato di
rosso le sue guance ansimanti, e le labbra vermiglie ancora tremavano
per il
loro primo orgasmo.
«Stai
bene?» domandò, accostando le dita alla sua gota
per
accarezzarlo.
Lovino
affossò la faccia nel cuscino e bofonchiò:
«Mi
fa malissimo dall’ombelico in giù,
imbecille» rialzò di
scatto la testa, ordinando: «Dammi un asciugamano o qualcosa
di simile. Ho
bisogno di pulirmi. E non posso alzarmi per andare a prenderlo da
solo.»
Antonio
si risistemò i pantaloni prima di sedersi sul letto
e allungarsi per raggiungere la brocca, il catino e il panno grezzo che
usava
per lavarsi alla mattina. Strizzò per bene
l’asciugamano rudimentale prima di
passarlo sull’addome del suo amante. Lovino provò
a obiettare che poteva farlo da
solo, i problemi motori interessavano solo la parte inferiore del suo
corpo, ma
Antonio non lo ascoltò nemmeno: lo ripulì con
cura, bagnando e strizzando il
panno più volte, finché non fu certo che il
giovane non avrebbe avuto di che
lamentarsi.
Lovino
perforò con lo sguardo la paratia. Trovava quelle
effusioni quasi più imbarazzanti di quello che avevano fatto
prima. Vedere
quanto il capitano si preoccupasse per lui lo faceva sentire quasi a
disagio: era
abituato a essere il gemello deludente, il figlio maledetto e la mano
più
debole del Diavolo. Essere la priorità assoluta del suo
amante lo inorgogliva
in un modo vergognoso.
Antonio
si stese di fianco a lui, e lo trascinò
amorevolmente contro di sé.
«Lovino»
lo avvolse completamente con il suo abbraccio, e
mormorò: «Sono felice di essermi innamorato di
te.»
Il
fronte del giovane si abbatté sulle sue clavicole, e ci
fu un istante di immobilità prima che il ragazzo ringhiasse:
«Io
invece detesto questa cosa» le spalle salirono fino alle
orecchie, mentre il ragazzo inveiva a bassa voce: «Con tutte
le persone che ci
sono nella Confederazione… la più stupida, la
più scellerata, la più
sconsiderata…» Lovino si rannicchiò
ulteriormente, masticando: «Perché dovevi
essere proprio tu…»
Antonio
non resistette all’impellenza di baciarlo; il giovane
mugugnò qualcosa di adirato, ma il capitano
continuò a vezzeggiare la sua bocca
finché non sentì quella del compagno arrendersi
alla sua insistenza.
Era
una dichiarazione. Per quando scontrosa e irriverente,
il ragazzo aveva appena ammesso di essere innamorato di lui. A modo
suo, certo,
e senza dirlo direttamente, ma lo aveva fatto. E gli aveva perfino
donato la
sua verginità, per farglielo capire.
Antonio
sigillò quella felicità schioccandogli un ultimo
bacio sulle labbra.
Rimase
sveglio il più possibile, per osservare il viso del
suo amato mentre le palpebre cedevano pian piano al sonno fino a
chiudersi
completamente, il respiro si appesantiva e le labbra si dischiudevano
con una
piega deliziosa.
Posò
le labbra alla radice dei capelli del giovane,
inspirando l’odore selvatico di quella chioma ramata. Aveva
aspettato per così
tanto tempo che arrivasse una persona capace di cancellare la sua
solitudine,
che vedesse Antonio al di là della Mano Destra del
Diavolo…
«Non
andartene mai più, Lovino.»
Innanzitutto…
spero che abbiate passato un buon Natale<3<3<3 E
che il signor Babbo
Natale vi abbia portato un sacco di cose belle<3
E
poi… wow…
penso che questa sia una delle lemon più lunghe e
più dettagliate che abbia mai
scritto XD
E
con questa
scena d’amore Spamano si conclude quest’arco
narrativo. Dal prossimo si va nel
Sistema Asean<3
Ci
rivediamo il
prossimo anno, precisamente lunedì 6 gennaio<3
Passate
delle
buone feste e sbancate il cenone di Capodanno<3
Red