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Autore: HamletRedDiablo    29/12/2013    8 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Quattordici: le Mani del Diavolo

 

 

La candela aveva quasi esaurito la cera.

Antonio la spense definitivamente, smorzando la fiamma con due dita, e continuò le sue riflessioni nel buio.

Il Figlio del Cielo li aveva riuniti sul ponte di comando, non appena erano rientrati dal pianeta dei Gunsmith. Se volevano approdare a Chugoku e tornarne vivi, avrebbero dovuto ascoltare i suoi avvertimenti.

Yao aveva sconsigliato a chiunque fosse sprovvisto di magia di mettere piede nel suo mondo. Gli incantatori orientali avevano una caratteristica non comune agli stregoni occidentali. I maghi nati al di fuori del Sistema Asean tendevano a plasmare il mondo con la propria magia, modificando cose esterne; al contrario, gli incantatori orientali preferivano agire all’interno della persona, sfruttando i suoi punti deboli per annientarla. Era una specie di ipnotismo, aveva semplificato Yao.

Solo chi possedeva a sua volta la magia era in grado di erigere uno scudo mentale sufficiente per difendersi dagli attacchi psichici degli stregoni Asean; per questo i normali marinai sarebbero rimasti sul vascello.

Il Figlio del Cielo aveva poi aggiunto una postilla al suo discorso:

«Se doveste incontrare il Samurai… non toccatelo. Devo affrontarlo io.»

«Perché?» aveva chiesto Gilbert.

«Non è un avversario semplice. È stato molto ben addestrato e non so se riuscireste a tenergli testa» aveva stimato con elegante spietatezza l’orientale. E aveva aggiunto, con una punta di rancore: «E poi, devo essere io a porre fine a questa faccenda.»

Nessuno aveva obiettato: ognuno di loro aveva un obiettivo simile. Lovino voleva essere la persona che avrebbe posto fine al delirio del padre, Antonio desiderava vendicare la sua gente e Gilbert il suo popolo divorato, Roderich chiedeva al Cielo la possibilità di disfare ciò che aveva fatto.

«Ognuno di noi ha un obiettivo in cui non sono previste interferenze» l’Accordatore esordì con garbo raffinato, in sintonia con il contegno regale dell’Asean. «E noi non ci intrometteremo nel vostro piano. Ma dovete metterci al corrente della vostra strategia, o non vi saremo di alcun aiuto.»

Il Figlio del Cielo aveva annuito e gli aveva esposto la sua tattica. I punti essenziali erano pochi: trovare il Marauder, chiedere il suo parere sull’estrazione e l’eliminazione di un demone da un corpo vivo, trovare il Samurai e sistemare i conti del passato; i dettagli da tenere a mente, in compenso, erano moltissimi. Fu tremendamente chiaro perché Chugoku fosse il caposaldo del sistema Asean: grazie alla memoria generazionale, il Figlio del Cielo aveva velocemente ripercorso tutti gli sbagli degli strateghi precedenti, ed elaborato nuove tattiche per evitare i loro errori. Era come sentir parlare un arsenale di generali militari nello stesso istante.

Antonio si stropicciò le palpebre chiuse con le dita ruvide, sminuzzando un sospiro con i denti. Non era sicuro di essere adatto alle Terre d’Oriente; sperava solo che la loro permanenza fosse breve e il meno dolorosa possibile. E poi…

La mente del capitano si paralizzò per un istante. Aveva passato tantissimi anni inseguendo il suo sogno di vendetta, e ora che era a un passo da lui gli sembrava quasi di essersi immerso in una fantasia troppo reale. Eppure, una volta conclusasi quella campagna a Chugoku, che li avrebbe portati – auspicabilmente – a riunirsi con Francis, gli Sparvieri avrebbero spiccato il volo per distruggere il Vaticano. E per liberare il fratello di Lovino.

La sua memoria si accoccolò sul volto del suo vice. Aveva osservato Lovino, durante tutti quegli anni: aveva visto il bambino spaurito diventare un adolescente fiero, e aveva aspettato che il ragazzo ignaro diventasse pian piano consapevole dei propri sentimenti per lui.

Lo aveva visto sbocciare e mutare, ma si chiedeva se sarebbe rimasto ancora con lui, una volta riunito al fratello. Non sarebbero tornati al Vaticano, questo era certo: un Asse fuggitivo e la Mano Sinistra del Diavolo non erano le persone più adatte per svolgere le funzioni clericali. Tuttavia, avrebbero potuto scegliere di ritirarsi su un pianeta remoto della Confederazione, dove nessuno li avrebbe cercati, e lì recuperare gli anni perduti. Lovino non aveva mai nascosto come ricongiungersi al fratello fosse il suo unico obiettivo.

Proprio in quel momento, la porta della sua stanza si aprì.

Antonio non ebbe bisogno di voltarsi: avrebbe riconosciuto quel passo tra mille, anche se quella sera era più cadenzato del solito.

«Lovi…» lo chiamò, ma il nome del giovane si ritorse sulla sua lingua e gli otturò la gola. Il passo del ragazzo era risuonato più ovattato perché era senza scarpe. E senza pantaloni: dalla camicia sporgevano solo un paio di gambe magre, rese ben visibili dalla luce della luna che le lambiva. O forse era solo la sua mente esagitata a focalizzarsi con troppa frenesia sulle cosce scoperte del giovane.

«Avevamo detto che avremmo parlato» annunciò brusco Lovino, togliendosi dalla traiettoria del suo sguardo allibito. Si arrampicò sul letto del capitano, e arruffò le lenzuola in modo che gli coprissero le gambe nude.

“Parlare”. Antonio sentì il suo autocontrollo ridere fragorosamente a quella prospettiva. “Parlare”; sarebbe stata sicuramente la sua prima intenzione con il ragazzo amato nella sua stanza. Nel suo letto. Seminudo.

«Ti ha visto qualcuno?» quella domanda gli costò un cuscino, implacabilmente diretto alla sua faccia.

«Ovviamente no. La mia cabina è qui di fianco» protestò Lovino, ritraendosi con la schiena al muro.

Antonio si avvicinò al letto - per risistemare il guanciale, solo per risistemare il guanciale – e si sedette sul materasso, di fianco al giovane.

«Di cosa volevi parlare?» domandò il capitano, inghiottendo saliva tra una parola e l’altra.

Lovino si abbracciò le gambe, stringendo le coperte su di esse, e ciondolò la testa prima di esordire:

«Volevo chiederti una cosa. Per quando torneremo da Chugoku.»

Antonio avvertì le sue previsioni di poco prima graffiargli il cervello. Si impose la calma e concesse, con voce ferma:

«Chiedi pure.»

Lovino tamburellò le dita sulle ginocchia, incerto, poi rovesciò fuori in un sol fiato:

«Quando il Marauder sarà con noi e sferreremo l’attacco al Vaticano e libereremo mio fratello… potrebbe rimanere anche lui sulla Reina

Lovino interpretò male il silenzio sbalordito del capitano, e fece piovere una cascata di giustificazioni:

«Non te lo sto chiedendo solo perché è mio fratello. È destinato a diventare Asse, i suoi poteri sono eccezionali. Non farebbero di certo male a questa ciurma. E poi, a Caina hai visto anche tu quanto sia bravo come guaritore, e…» le dita del capitano si appoggiarono sulle sue labbra, zittendolo.

«Perfetto» si congratulò Antonio. Il suo sorriso fendette la penombra della camera. «Ci sarà sempre spazio per il tuo gemello.»

«Cerca di non confonderci quando sarà qui, bastardo» Lovino schiaffò via la sua mano e si ritirò con la testa tra le spalle, come una tartaruga arrabbiata.

Antonio fece migrare le dita sulla testa del giovane, e gli accarezzò i capelli crespi. Non lo avrebbe mai scambiato per nessun altro: la sua scontrosità, e il suo modo bellicoso di arrendersi, erano inconfondibili. Il suo Lovino era unico.

«E poi» sbuffò il ragazzo. «Avevi promesso che mi avresti parlato della tua infanzia.»

«Era una promessa reciproca» gli ricordò il capitano. Se le gambe del giovane fossero rimaste coperte dalle lenzuola, sarebbe stato in grado di conversare normalmente. «Coraggio.»

Lovino attorcigliò quel suo unico ciuffo ribelle con le dita, ripescando nella memoria i ricordi più belli.

«Quando avevamo quattro anni» cominciò. «Ero contento perché avevo fatto un bel sogno. Non ti dirò di che sogno si trattava!» inveì improvvisamente, diventando paonazzo. Per un bambino era la quintessenza del Paradiso, ma la Mano Sinistra del Diavolo non poteva ammettere di aver sognato un paese di cioccolato e biscotti. «Sappi che c’era mio fratello e che eravamo contenti. Comunque, la mattina mi sono subito girato verso Feliciano e gliel’ho raccontato… e abbiamo scoperto di aver fatto lo stesso sogno. E da allora ne abbiamo fatti tantissimi insieme.»

«Ti piaceva fare questi sogni condivisi?»

Lovino annuì e avvalorò:

«Era confortante. Era come… non essere mai soli.»

«E non li hai più fatti?»

Il ragazzo si rabbuiò, sparendo quasi nella penombra.

«Il Palazzo di Quarzo lo isola totalmente» si voltò verso di lui e cambiò discorso: «Tu non avevi fratelli o sorelle?»

«Ero figlio unico» raccontò Antonio. «Ma non mi sono mai sentito incompleto, per questo. La casa era riempita da mio padre e da mia madre, e il giardino da Gilbert e Francis.»

«Siete amici da così tanto tempo?»

«Da quando Gilbird si è schiantato contro il nostro melo» un punto interrogativo galleggiò nelle iridi di Lovino, e Antonio fu costretto a raccontargli del loro primo, disastroso incontro.

«E voi dovevate essere le guide del vostro popolo?» fu il commento sarcastico di Lovino al termine.

«Siamo migliorati molto, negli anni a venire» si difese Antonio e deviò: «Non hai altri ricordi con tuo fratello?»

«Tantissimi» calcolò Lovino. «Passavamo insieme ogni giorno… abbiamo anche litigato, alcune volte. Non eravamo sempre gli angelici pueri del Vaticano. Però, anche litigare con Feliciano non era brutto: se litighi con una persona, vuol dire che ci tieni a lei. E se dopo le chiedi scusa, significa che la consideri più importante del tuo orgoglio. E se lei ti perdona, vuol dire che la cosa è reciproca.»

«Vuoi davvero un mondo di bene a tuo fratello» un pugno lo raggiunse alla spalla, e Lovino inabissò la faccia nelle ginocchia.

«Non dirlo in questo modo melenso! Che schifo!»

Lovino rimase immobile per qualche secondo, poi una domanda si fece strada oltre le sue ginocchia.

«Com’è… avere dei genitori che tengono a te sul serio?»

Antonio sentì una spina di tristezza pungergli il cuore. Nessuna sorpresa che Lovino avesse così caro il suo gemello: la madre era stata per lo più assente, e il padre non faceva che giudicarli per capire quale dei due fosse adatto a divenire Asse. Erano stati un tribunale, più che una famiglia. E Lovino aveva riversato sul fratello l’affetto che avrebbe provato anche per i genitori, se fossero stati più presenti: il suo gemello era tutta la sua famiglia. 

«Era come non essere mai soli» Antonio riutilizzò le parole del giovane per fargli comprendere cosa si provasse. «E anche quando mi sono ritrovato senza di loro… non ero solo. Loro mi avevano insegnato a vivere e, vivendo, sarebbero stati con me. E poi c’erano Gilbert e Francis; con due casinisti come loro, è impossibile sentirsi abbandonati.»

Lovino distese le gambe e il lenzuolo si mosse con esse, scoprendogli le cosce. Antonio dirottò lo sguardo verso il pavimento.

«Ho avuto una seconda famiglia piuttosto bizzarra, non trovi? Un acchiappa fantasmi e uno sterminatore di demoni…» sciorinò il capitano, tentando di focalizzarsi sulla conversazione. «Siamo andati fino a Caina per recuperare Gilbert, e adesso ci stiamo dirigendo a Chugoku per ritrovare Francis… non ci risparmieremo nemmeno per tuo fratello.»

«Voglio vedere il Vaticano tremare» asserì Lovino.

Antonio giocherellò per un po’ con le proprie dita, poi, con un sospiro che sapeva di sconfitta, confessò:

«Lovino… temo di non essere nelle condizioni ideali per parlare.»

«Perché no? Stai facendo dei discorsi più sensati del solito.»

Antonio scartò immediatamente l’ipotesi del candore: Lovino sapeva benissimo di mettere a dura prova il suo autocontrollo, con quell’abbigliamento succinto. Era una tortura intenzionale e premeditata.

Il capitano decise di essere ancora più chiaro:

«Tu sei mezzo nudo, nel mio letto, a un passo da me. E, per quanto mi piaccia parlare con te, ti assicuro che la conversazione è l’ultimo dei miei pensieri, adesso.»

Il ragazzo non si ritirò a riccio nelle coperte, gridandogli improperi come “maniaco” e sinonimi. Fece uscire le gambe dalle lenzuola, le incrociò e puntò le mani sulle caviglie. A dispetto della sua apparente arroganza, le parole incespicarono un poco mentre dichiarava:

«Te lo avevo promesso. Dopo il tuo ritorno da Britannia.»

La bocca si corrucciò nella solita smorfia indispettita, mentre le guance si coloravano di rosso.

Dovevano riconquistare il trono del Figlio del Cielo, trovare lo spirito reincarnato del Marauder e sconfiggere il Vaticano; gli pareva assurdo che, con una lista così altisonante di impegni, lui avesse trovato il tempo per interessarsi al sesso. Eppure, più diventava cosciente dei suoi sentimenti per Antonio, più si incuriosiva all’arte amatoria. All’inizio aveva scacciato a suon di scappellotti quei pensieri poco consoni; poi li aveva gradualmente accettati, notando che il pensiero dell’intimità lo ripugnava, se non era contemplato il capitano.

Era testardo, ma non era stupido. Aveva dovuto accettare quel desiderio di unirsi al suo compagno, per quanto la cosa lo facesse sentire umiliato: l’idea di essere la parte passiva non lo riempiva d’orgoglio.

Il capitano dovette aspettare qualche secondo prima che quelle parole fossero scomposte, analizzate e accettate dalle sue orecchie sorprese.

«Lovino… sei sicuro?» Antonio preferì sondare il terreno, prima di avvicinarsi al giovane. «Perché dubito che riuscirò a fermarmi, dopo…»

«Perché sei un animale» Lovino raccolse le ginocchia al petto, coprendole con le braccia.

«Perché sono innamorato di te. E ti ho aspettato così a lungo…» lo corresse con dolcezza l’altro.

Il ragazzo gli lanciò un’occhiata furiosa. Non capiva come quelle labbra che gridavano ordini e respiravano la polvere da sparo fossero in grado di srotolare discorsi simili. Pronunciati da chiunque altro lo avrebbero fatto ridere, ma non riusciva a ironizzare su quegli occhi verdi che lo fissavano come se fosse il tesoro più prezioso esistente al mondo.

Le mani dell’uomo scivolarono gentili a sciogliere la muraglia di braccia intorno alle sue ginocchia. Lovino guardò verso il materasso mentre i suoi polsi venivano portati ai lati dal viso e il corpo dell’uomo si avvicinava alle sue gambe, costringendolo ad aprirle per accoglierlo sul suo ventre.

Il giovane si morse il labbro inferiore. Non avrebbe mai immaginato che avere l’uomo così vicino a lui, petto contro petto e bacino contro bacino, sarebbe stato tanto imbarazzante. Strinse istintivamente i pugni quando sentì le labbra del compagno lambirgli la mascella, nel punto più vicino all’orecchio.

La bocca di Antonio percorse la linea del viso, risalendo il mento e fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra serrate.

La fronte dell’amante toccò la sua, e Lovino riaprì gli occhi che aveva chiuso quasi senza rendersene conto. C’era qualcosa, in quelle iridi verdi, che lo pungolava dritto al cuore: non aveva capito se fosse il loro vissuto comune – l’assenza di una famiglia, la solitudine, la vita da reietti – a farlo sentire così partecipe delle emozioni del compagno. O se fosse semplicemente lo smisurato affetto che permeava quegli occhi a far breccia nelle sue barriere.

Strinse le ginocchia contro il bacino del compagno, in un tentativo inutile di chiudere le gambe, quando la bocca del capitano si appoggiò sulla sua. Antonio attese che il giovane smettesse di mordersi le labbra, che deglutisse nervosamente un paio di volte e che chiudesse gli occhi prima di schiudere la sua bocca.

Lovino interruppe il bacio per strattonare i suoi polsi fuori dalla presa dell’uomo, e cingere il collo del compagno con le braccia. Ringhiò un “non sono un prigioniero, idiota” prima di ricominciare a baciarlo.

Sussultò così vistosamente da bloccare le mani che si stavano intrufolando sotto la sua camicia, accarezzandogli le cosce. Aveva immaginato quello che sarebbe successo assieme al capitano, ma sentire le dita dell’amante esplorarlo dove nessuno lo aveva mai toccato prima gli aveva iniettato una scarica elettrica nelle vene, facendolo trasalire.

«Hai le mani fredde» protestò, come scusa.

«Non sarà per molto» lo tranquillizzò Antonio, posandogli un bacio sullo zigomo.

Le unghie del ragazzo artigliarono le spalle del capitano quando le mani del compagno salirono, accorciando la camicia in un accatastamento di pieghe sui suoi polsi. Lovino si lasciò sfuggire un singulto di sorpresa, quando le dita del capitano lo pizzicarono dove il petto era più sensibile. Antonio sorrise della spontaneità del giovane, che cercò di spintonarlo via per l’imbarazzo.

L’uomo non si lasciò spostare, e intensificò quello strano attacco. Lovino si appiattì contro il muro quasi volesse fondersi con esso quando Antonio slacciò la sua camicia per viziare con le labbra quegli stessi punti che poco prima erano stati stimolati dalle sue dita. Il giovane si agitò senza sosta sotto quella dolce tortura: si sentiva un essere osceno a godere dei movimenti della lingua del capitano. Si tappò la bocca mordendosi il dorso della mano, cercando di contenere i versi vergognosi che zampillavano nella sua gola. Sapeva come funzionava il sesso tra uomini: i marinai glielo avevano spiegato tempo addietro, in modo piuttosto volgare, utilizzando anche la verdura in stiva per esemplificare. Ma nessuno gli aveva mai detto che ci fossero altri modi di appagare il compagno, oltre alla penetrazione.

Il segno dei denti rimase, rosso e visibile, quando rilasciò la morsa sulla sua mano. Antonio si staccò da lui, gli afferrò il polso e contemplò il danno.

«Non devi contenerti così tanto» lo rimproverò carezzevole.

«Devo!» obiettò inviperito Lovino. «Vuoi che senta tutto l’equipaggio?»

La bocca di Antonio si poggiò sul marchio dei denti, lambendo la pelle lesa. Lovino avvertì un brivido, e portò un lembo della camicia a coprire il petto ancora umido di saliva.

«Hai avuto… molte esperienze, prima?» volle sapere, serrando le dita sul tessuto. Circolavano innumerevoli voci sulle amanti – o gli amanti – che la Mano Destra del Diavolo aveva avuto. Il giovane le aveva sempre ascoltate senza troppa attenzione, consapevole che molte dicerie erano state gonfiate volando di bocca in bocca. Tuttavia, vedere Antonio così sicuro di sé mentre lui era sul punto di morire dall’imbarazzo gli aveva fatto ribollire la mente con mille interrogativi, uno più sgradevole dell’altro. Quali altre persone aveva preso allo stesso modo? Su quale corpo sconosciuto aveva già praticato le stesse cose che stava per fare a lui?

La risposta dell’uomo non lo tranquillizzò del tutto.

«C’è stata molta gente disposta a tenermi compagnia durante la notte.»

La stoffa si spiegazzò ulteriormente sotto la sua presa. Anche lui sarebbe stato un amante da dimenticare al mattino?

«Ma non ho mai aspettato una “compagnia” per quattro anni. Né ho sfidato il Custode dei Cancelli per lei. Né le ho mai chiesto di condividere le occasioni future. Né gli ho mai detto di essere innamorato di lei» posò un nuovo bacio sul dorso martoriato del giovane, quasi cavalleresco. «L’ho fatto solo per te.»

Lovino si aggrappò all’unica parte criticabile di quel discorso: non poteva permettersi di dare troppa soddisfazione a quel pirata lasciandogli intendere quanto quelle parole lo avessero lusingato.

«Quattro anni fa ero un bambino! Pervertito!»

«Eri meno bambino di quando sei arrivato.»

«Tu sei malato

«Ovvio. Altrimenti non potrei essere una delle due Mani del Diavolo, no?»

«Non…» Lovino brontolò, corrucciato. «Non siamo solo quello… siamo uomini, prima di tutto.»

Il sorriso di Antonio gli accarezzò il viso, e il capitano articolò sulla sua tempia:

«Hai ragione, Lovino…» si allontanò, come colpito da un pensiero improvviso: «Non sei scomodo, contro la paratia?»

«È colpa tua! Mi sei saltato addosso come una bestia!»

«Hai ragione…» concesse il capitano, senza perdere altro tempo. Abbracciò stretto il giovane, in modo che cadessero in sincrono sul materasso.

Lovino aprì le labbra per innalzare una protesta, ma le richiuse presto, fingendosi offeso. I suoi dubbi non erano spariti del tutto: avrebbe continuato a chiedersi quanti amanti avesse avuto il capitano, quanto lo avessero appagato, se pensasse ancora a loro. Ma non poteva farlo mentre quegli occhi verdi lo fissavano così da vicino: Antonio gli stava riversando addosso così tanto amore, con il solo sguardo, che il giovane avrebbe potuto affogarci dentro.

Gettò da un lato il lembo della camicia trattenuto fino a quel momento, per dichiarare la propria resa momentanea. Morse il polsino anziché la mano, quando la bocca dell’uomo scese di nuovo su di lui. Sobbalzò quando i denti si strinsero sul suo petto, e fremette quando il compagno gli segnò la pelle chiara con i marchi rossi dei succhiotti.

Antonio si adagiò sul suo ventre nudo, le mani infilate nei suoi capelli e la guancia contro la sua.

«Lovino…» c’era una nota di vergogna nella sua voce. «Volevo darti più tempo, ma… temo di aver raggiunto il mio limite.»

Il giovane appoggiò le mani sulla schiena dell’uomo, infilandole sotto la camicia aperta, e sentì i muscoli del compagno tremare sotto i suoi polpastrelli. Lo strinse a sé, guardando altrove per la vergogna. Si stava trattenendo con enorme sforzo, tanto da fremere come se fosse sul punto di spezzarsi, solo per non spaventarlo. Per fargli capire che lui non era la compagnia di una notte.

«Se mi fai male, ti ammazzo» fu il modo rude di Lovino per dargli il permesso di proseguire.

Antonio lo baciò di nuovo sulle labbra, lentamente, premendo con più forza nell’ultimo bacio prima che la sua mano scendesse verso il basso.

Lovino gli artigliò la schiena e serrò le ginocchia quando l’uomo lo sfiorò in mezzo alle natiche. Si contrasse su se stesso sentendo il suo interno violato dal dito del compagno. Antonio gli accarezzò le spalle, la schiena, la nuca e lo strinse forte a sé mentre aggiungeva un secondo dito, e lo baciò sul tutto il viso inserendo il terzo.

Si sollevò su di lui, lasciandogli un attimo per riprendere fiato. Lovino lo fissò dal basso, gli occhi liquidi e le labbra rosse per i morsi usati per contenersi, il corpo scomposto sul materasso. Il suo autocontrollo fu pugnalato al cuore dall’immagine intimorita e lasciva del giovane. Aveva desiderato per così tanto tempo di accarezzarlo in quel modo, prima che chiunque altro potesse farlo… ma la realtà non era paragonabile alla fantasia. Lambì con le mani quel corpo tanto bramato, sentendolo reagire al suo tocco ogni volta che sfiorava le zone più sensibili.

Gli solleticò l’interno coscia prima di divaricargli le gambe in modo da poter entrare in lui.

Lovino non riuscì a trattenere il gemito di dolore quando sentì il capitano farsi strada dentro il suo corpo. L’ansito gli scoppiò sulle labbra, che il giovane premette contro la spalla del capitano per evitare ulteriori fughe. L’uomo si fermò e gli baciò il viso: il petto di Lovino si sollevava contro il suo con un ritmo troppo frenetico.

«Respira a fondo» lo consigliò Antonio, quando assaporò il sale di una lacrima sulla guancia del giovane.

«Non sei tu ad avere…» quelle poche parole si trascinarono faticosamente nella gola ingolfata dal respiro spasmodico, e si acutizzarono improvvisamente in un insulto: «Idiota!»

Il capitano gli diede tempo per regolarizzare il respiro, e per guardarlo male dal basso.

«Dopo ti ammazzo» lo minacciò, prima di schiudere la bocca al bacio dell’amante.

Antonio fu delicato, per quanto il suo desiderio gli permise: cercò di rallentare le spinte, di tranquillizzare quel corpo vergine sotto di lui, di non essere troppo violento nel prenderlo fino in fondo.

Lovino morsicò tutti i gemiti, e si maledisse quando gliene sfuggì qualcuno. Razionalmente sapeva che quegli ansiti erano normali, in una situazione del genere, come gli scatti del suo bacino verso quello del capitano, quasi volessero spronarlo a continuare. Tuttavia, trovava vergognosa la distorsione della sua voce sotto il piacere, così come lo imbarazzavano i movimenti incontrollabili del suo corpo in risposta alle stimolazioni dell’amante.

Strinse gli occhi con tutte le sue forze, e un suono inarticolato trapelò dalle labbra contratte quando il proprio seme gli macchiò il ventre. Antonio chiamò il suo nome con voce rovente prima di liberarsi dentro di lui.

L’aria fu riempita solo dal loro ansimare, mentre i corpi sudati si adagiavano sulle lenzuola, ancora allacciati tra di loro.

Antonio scostò alcuni riccioli dalla fronte imperlata, per osservare meglio il suo amante: l’imbarazzo e il piacere avevano spruzzato di rosso le sue guance ansimanti, e le labbra vermiglie ancora tremavano per il loro primo orgasmo.

«Stai bene?» domandò, accostando le dita alla sua gota per accarezzarlo.

Lovino affossò la faccia nel cuscino e bofonchiò:

«Mi fa malissimo dall’ombelico in giù, imbecille» rialzò di scatto la testa, ordinando: «Dammi un asciugamano o qualcosa di simile. Ho bisogno di pulirmi. E non posso alzarmi per andare a prenderlo da solo.»

Antonio si risistemò i pantaloni prima di sedersi sul letto e allungarsi per raggiungere la brocca, il catino e il panno grezzo che usava per lavarsi alla mattina. Strizzò per bene l’asciugamano rudimentale prima di passarlo sull’addome del suo amante. Lovino provò a obiettare che poteva farlo da solo, i problemi motori interessavano solo la parte inferiore del suo corpo, ma Antonio non lo ascoltò nemmeno: lo ripulì con cura, bagnando e strizzando il panno più volte, finché non fu certo che il giovane non avrebbe avuto di che lamentarsi.

Lovino perforò con lo sguardo la paratia. Trovava quelle effusioni quasi più imbarazzanti di quello che avevano fatto prima. Vedere quanto il capitano si preoccupasse per lui lo faceva sentire quasi a disagio: era abituato a essere il gemello deludente, il figlio maledetto e la mano più debole del Diavolo. Essere la priorità assoluta del suo amante lo inorgogliva in un modo vergognoso.

Antonio si stese di fianco a lui, e lo trascinò amorevolmente contro di sé.

«Lovino» lo avvolse completamente con il suo abbraccio, e mormorò: «Sono felice di essermi innamorato di te.»

Il fronte del giovane si abbatté sulle sue clavicole, e ci fu un istante di immobilità prima che il ragazzo ringhiasse:

«Io invece detesto questa cosa» le spalle salirono fino alle orecchie, mentre il ragazzo inveiva a bassa voce: «Con tutte le persone che ci sono nella Confederazione… la più stupida, la più scellerata, la più sconsiderata…» Lovino si rannicchiò ulteriormente, masticando: «Perché dovevi essere proprio tu…»

Antonio non resistette all’impellenza di baciarlo; il giovane mugugnò qualcosa di adirato, ma il capitano continuò a vezzeggiare la sua bocca finché non sentì quella del compagno arrendersi alla sua insistenza.

Era una dichiarazione. Per quando scontrosa e irriverente, il ragazzo aveva appena ammesso di essere innamorato di lui. A modo suo, certo, e senza dirlo direttamente, ma lo aveva fatto. E gli aveva perfino donato la sua verginità, per farglielo capire.

Antonio sigillò quella felicità schioccandogli un ultimo bacio sulle labbra.

Rimase sveglio il più possibile, per osservare il viso del suo amato mentre le palpebre cedevano pian piano al sonno fino a chiudersi completamente, il respiro si appesantiva e le labbra si dischiudevano con una piega deliziosa.

Posò le labbra alla radice dei capelli del giovane, inspirando l’odore selvatico di quella chioma ramata. Aveva aspettato per così tanto tempo che arrivasse una persona capace di cancellare la sua solitudine, che vedesse Antonio al di là della Mano Destra del Diavolo…

«Non andartene mai più, Lovino.»

 

 

 

 

 

Innanzitutto… spero che abbiate passato un buon Natale<3<3<3 E che il signor Babbo Natale vi abbia portato un sacco di cose belle<3

E poi… wow… penso che questa sia una delle lemon più lunghe e più dettagliate che abbia mai scritto XD

E con questa scena d’amore Spamano si conclude quest’arco narrativo. Dal prossimo si va nel Sistema Asean<3

Ci rivediamo il prossimo anno, precisamente lunedì 6 gennaio<3

Passate delle buone feste e sbancate il cenone di Capodanno<3

Red

   
 
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