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Autore: FALLEN99    30/12/2013    2 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~Capitolo 4
Ogni mensa in cui era stata sembrava servire il peggior cibo del Paese, ma quella in cui si trovava seduta Amalia in quel momento superava di gran lunga le sue peggiori aspettative.
La poltiglia che ribolliva nel pentolone davanti ai suoi occhi le destò un conato di disgusto che le risalì repentino la gola. La sua mascella si serrò ed Amalia ebbe il presentimento che sarebbe stato molto difficile riaprirla di nuovo.
Si costrinse ad allungare il piatto crepato che reggeva in mano alla cuoca, una donna sulla cinquantina il cui buon gusto doveva essersi estinto con i dinosauri.
Portava i capelli raccolti in un crocchio orribile, che lascia-va penzolare alcune ciocche più unte dell’olio con cui Ama-lia vedeva il padre friggere le patatine nel suo vecchio risto-rante in California. Gli occhi erano marcati da una spessa linea di eyeliner, che li rendeva inquietantemente simili a quelli di un membro della banda bassotti. Le labbra, già carnose, erano messe erroneamente in risalto da un rosset-to che Amalia avrebbe sicuramente scambiato per un evi-denziatore. 
– Cosa ti do, tesoro? – asserì la donna, facendola riaffiorare dalla trance in cui la ragazza era caduta fissandola.
Amalia ci pensò qualche istante, decidendo di non usare mezzi termini come suo solito.
– Qualunque cosa di cui possa indentificare i componenti con certezza – rispose, gelida, fissando la donna negli oc-chi.
Wanda, così si chiamava la cuoca, annuì, facendo scivolare lo sguardo via da quello di Amalia, troppo intenso ed inqui-sitore.
Si affannò dietro il bancone, impallidendo mentre consta-tava con disgusto che niente in quella cucina aveva la caratteristiche elencate da Amalia.
La guardò timorosa, ed Amalia sorrise, soddisfatta.
– Starò volentieri a digiuno – disse avviandosi, teatrale, verso i tavoli della mensa, sistemati, equidistanti, dietro di lei. 
Si sedette ad uno che dava sul giardino, ridotto dal rigido autunno irlandese ad un ammasso d’erba gelida e arbusti secchi e disidratati.
Restò a guardarlo per alcuni minuti, fino a che la pancia non le borbottò, riportandole alla mente la sua mancata colazione. Gettò uno sguardo alle pietanze esposte sul bancone, scartando completamente l’ipotesi di attingerne per placare la sua fame.
Valutò le diverse ipotesi che le affollarono la mente, deci-dendo di dar retta all’ultima: uscire dalla scuola e mangiare qualcosa alla prima tavola calda che avrebbe trovato nel raggio di un kilometro.
Si alzò facendo stridere la sedia sul vecchio pavimento in linoleum ed indesideratamente si ritrovò addosso gli occhi di tutti i presenti, che oscillavano da lei al suo piatto vuoto.
“Penseranno che sia un’anoressica, fantastico!” si disse prima di uscire dalla stanza, attraversandola a grandi e studiate falcate.
Non appena se la lasciò alle spalle, si sentì inondare le membra di sollievo. Era sola.
Appoggiò la schiena al muro e accese il cellulare, control-lando su di esso la posizione del bar più vicino.
Ma mentre lo faceva, si accorse che un paio di occhi indesi-derati la stavano fissando dalla fine del corridoio, divorando la distanza che li divideva da lei in pochi istanti.
Rabbrividì e tentò di non dar loro troppe attenzioni, ma es-si si avvicinavano sempre più rapidi, inondando l’ombra in cui era immerso il corridoio di riflessi verdastri.
Sentì una tenaglia stringersi attorno alla sua gola quando li incrociò, constatando amaramente chi ne era il proprieta-rio.
– Mi spii per caso?– disse, scocciata, distogliendo lo sguar-do dal cellulare.
Una mano guantata si poggiò sul muro alle sue spalle, fa-cendola irrigidire.
– No, ma che ti salta in mente? – la sua voce le vibrò nei timpani, ed una risposta pronta le uscì in simultanea dalle labbra. – Beh, mi chiedevo come fai a incrociarmi sempre. –rispose, gli occhi indagatori come lame.
Il ragazzo sorrise ed aprì la bocca per parlare, ma Amalia lo precedette.
– Fammi indovinare, sesto senso?
La risata di lui si espanse cristallina nel corridoio. – Indo-vinato. Vedo che stai imparando.
– Imparando cosa?
– Molte informazioni sul mio conto che ti risulteranno utili in futuro.
Amalia rise di gusto. – Ovvio, perché il tuo sesto senso esi-ste veramente.
– Hai per caso dei dubbi? – domandò lui, facendo leva sul suo braccio per avvicinare la sua bocca all’orecchio di Amalia, che sussultò a quell’avvicinamento inaspettato.
Imbarazzata, cercò di allontanarsi, ma qualcosa nel modo in cui il ragazzo si muoveva le rendeva impossibile riuscire nel suo intento.
– Sì, e molti.– trovò il fiato di parlare, sottrattole dalla te-naglia che le cingeva energicamente lo stomaco da quando lui era arrivato.
Lo sconosciuto rifletté qualche istante facendo appello ai ricordi dei giorni precedenti in cui Amalia si trovasse.
Vittorioso, attinse a quello giusto. – Secondo te come ho fatto a scoprire il tuo nome, Amalia Lizbeth Jones?
Il rossore prese possesso delle sue guance. – Forse perché sai leggerei cartellini? – ribatté, divertita dall’ovvietà e sen-satezza della sua risposta.
Le labbra del ragazzo s’incurvarono di nuovo e una luce maliziosa sembrò avvolgerle.
– Mmm…allora come credi che sappia anche il nome di tua nonna?
Sbiancò ma riprese subito colore, sicura che fosse tutto un bluff.
– E quale sarebbe?
Il ragazzo la guardò dritta negli occhi, e le sue pupille si in-grandirono, come a divorare quelle di Amalia.
– Emily Katherine Rosemberg.
“Okay, Amalia, respira…” si disse nel constatare che i pol-moni non avevano la minima intenzione di lasciare libera l’aria imprigionata dentro di essi.
Strinse i pugni, sconvolta, fissando qualsiasi cosa che non le ricordasse il colore nauseante di quegli occhi.
– Ora credi nel mio sesto senso?
Amalia non avrebbe voluto, ma quel monosillabo sfuggì al-le sue labbra. – Sì…
La sua prima reazione fu quella di scappare, ma la voce del ragazza la trattenne.
– Il gatto ti ha mangiato la lingua, Amalia?
– No, ma qualcos’altro mangerà la tua!– disse, gettandosi a peso morto verso di lui, mossa dall’inquietudine che quell’informazione le aveva destato nel cuore.
Il ragazzo, colto di sorpresa, non riuscì ad evitare il corpo di Amalia, che sia abbatté sul suo, facendolo sbilanciare e poi cadere all’indietro.
L’attrito con il vecchio linoleum che ricopriva il pavimento rimbombò nel corridoio, risultando lugubre come l’incrociarsi di due spade.
– Come fai a sapere il nome di mia nonna!?– gridò Amalia allungando un pugno sull’addome del giovane, che trovò muscoloso al contatto.
– Rispondi!– ribadì, sferrando un altro pugno, che questa volta fu però fermato dal ragazzo, sorridente più che mai.
– Dimmi, cosa ti diverte tanto? Eh, brutto stalker!? – stril-lò, furente dentro e fuori.
– Vuoi davvero saperlo?
– Sì. Come voglio sapere il tuo nome per denunciarti alla polizia!– ruggì, la lingua che colpiva i suoi denti come una frusta sibilante.
La risata inaspettata del ragazzo la colse impreparata, la-sciandola senza parole.
– Sapevo che prima o poi avresti voluto conoscere il nome.
Amalia si morse la lingua, desiderando di essere stata zitta.
L’atmosfera fra i due si fece ancora più tesa quando una folla di curiosi, richiamati dalle urla, si dispose attorno a loro, quasi a formare le pareti una gabbia. 
Gli occhi degli studenti oscillavano rapidi dal corpo dello sconosciuto riverso a terra a quello di Amalia, che lo sovra-stava. La scena poteva risultare piuttosto equivoca, e quan-do Amalia se ne rese conto, decise di reagire.
Raccolse la dignità che le restava – rimasta relativamente poca – e si tirò in piedi, mentre lo sguardo dl giovane scat-tava come un dardo nel suo, come a trattenerla.
“Col cavolo che resto qui con te a far credere a tutta la scuola che stavamo pomiciando sul pavimento!” si disse, desiderando che quel tacito messaggio giungesse alle sue orecchie, imprimendosi a fuoco in esse.
Girò i tacchi e, con gli occhi di tutti puntati sulla schiena, procedette fino a dove il corridoio trovava culmine.
Quando sentì di essersi lasciata alle spalle quell’imbarazzante situazione – studenti e sconosciuto compresi – corse dritta al bagno delle ragazze.
Prima che potesse varcarne la soglia, una mano forte la strattonò in un altro corridoio di cui Amalia ignorava l’esistenza.
Priva di fiato per la corsa, si ritrovò davanti al volto quello di Shannon, che la scrutava, severo.
– Tu non hai nemmeno idea del mare di guai in cui ti sei cacciata.
Amalia, sbigottita, la fissò per qualche istante prima di tro-vare la forza di risponderle. – Perché..?
Gli occhi Shannon sembrarono trafiggerla da parte a parte.
– Perché quello era Alek Bás ed è l’incarnazione di tutto ciò da cui è meglio stare alla larga.


 

 

   
 
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