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Autore: Alyss_    30/12/2013    4 recensioni
Nidhoggr è stato sconfitto... Ma sarà veramente morto?
Il Male e il Bene si susseguono in un ciclo eterno, così come la pace e la guerra; e ora, soltanto delle armi leggendarie, forgiate nella notte dei tempi, possono impedire il ritorno delle Tenebre, quelle che si annidano nel cuore di ognuno.
Un essere millenario complotta contro i Draconiani, e vuole una sola cosa: vendetta.
La battaglia riprende, e stavolta, solo i cuori più puri saranno in grado di affrontarla.
Dal terzo capitolo [Nel Buio]:
Il sangue dei demoni scorreva in quei canali portatori di vita, pompato dal cuore possente, alimentato dall’odio e dal rancore, mentre calda linfa vitale dal colore della lussuria scivolava tra le zanne d’avorio, macchiando quel bianco candido, splendente ma letale.
Una coppia di ali maestose si spalancò, mentre i muscoli si stendevano di nuovo dopo millenni, e gli artigli affondavano in profondità nella roccia.
Un ruggito devastante, antico canto di un dolore profondo, echeggiò nella grotta. L’unico, fragile ostacolo che si interponeva tra lui e la tanto agognata libertà venne distrutto, lacerato come carta sotto i potenti colpi.
[...]
L'Angelo era tornato.

##
Dedicata a Ginevra Gwen White e al suo geniale Cervello
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo Quattro - Ciò Che Ti Sostiene

Le mani della donna si muovevano veloci, sfiorando appena la superficie liscia della sfera di cristallo posata sull’altare; forme nebulose prendevano vita all’interno del vetro latteo, gettando inquietanti bagliori bianchi tutt’intorno.
La stanza era immersa nell’oscurità, le tende di velluto rosso bloccavano la luce del sole all’esterno della struttura, mantenendo l’oscurità più totale e favorendo così la concentrazione della purificatrice. I marchi neri sulla pelle di lei si erano illuminati fiocamente da una luce bluastra, che sembrava provenire dall’interno del corpo della donna, e sfrigolavano di potere arcano; qualunque cosa ci fosse all’interno dell’oggetto di vetro, sembrava rispondere perfettamente ai movimenti eleganti che le braccia della Custode disegnavano nell’aria, rilasciando scie di luce, emanate dai tatuaggi tribali.
La sua era un’arte complicata e sconosciuta ai più, affinata da secoli di pratica, tutto il contrario della suddetta ‘magia’ delle donne umane, che vantavano poteri di chiaroveggenza del tutto inventati: per Vedere bisognava possedere la rara abilità della Percezione, dono che si manifestava una volta ogni quattro generazioni, in un singolo individuo: c’era, persino sulla Terra, qualche vero potenziale veggente, per lo più uno dei discendenti degli umani che un tempo vivevano al fianco dei draghi, ma la stupidità umana giudicava quel potere come qualcosa di malefico, e nessuno poteva istruire i predestinati affinché coltivassero il loro dono. Un tale spreco di potenzialità era una vera eresia: avrebbe dovuto porvi rimedio al più presto.  
A poco a poco, le figure dentro la sfera assunsero contorni definiti, diventando un’arcata maestosa, intarsiata d’oro e di platino: le due colonne erano due draghi avvolti attorno al tronco sottile di un albero, e le bocche spalancate delle creature liberavano getti di fuoco color rubino, che costituivano l’arco; dove le due fiammate convergevano, vi era una placca argentata, ove era inciso lo stesso marchio riportato sulla fronte della donna. I battenti del portone erano spalancati, quasi divelti dai cardini, e cigolavano come mossi da un forte vento gelato.
La luce proveniente dalla sfera illuminò le labbra della donna, strette in una linea sottile, e i grandi occhi violacei, chiusi per trattenere le lacrime.
Le braccia di lei ricaddero lungo i fianchi, e il fioco bagliore si spende del tutto; soltanto le spirali impresse sulla pelle della purificatrice rimasero accesi, e sembravano promanazioni di spiriti giunti sulla Terra per osservarne la distruzione.
Unna si accasciò sull’altare di marmo bianco, avvertendo la pietra gelata premerle contro lo stomaco; dalla bocca di lei sfuggì un singulto, subito soffocato dalla mano premuto contro le labbra tremanti.
Poche volte la Custode aveva provato la paura, quel tipo di paura che ti serra le viscere in una morsa, ti impedisce di respirare e ti fa piangere amaramente senza che nulla ti abbia ferito; ed era proprio ciò che la donna stava facendo in quel momento: piangeva.
Piangeva d’ira, ma soprattutto di terrore, perché sapeva che l’incubo che aveva distrutto tutto ciò in cui credeva tremila anni prima era tornato, e che nessuno sarebbe stato più al sicuro, nemmeno lei.
Incosciamente, si premette i palmi contro il ventre, avvertendo quel suono che da tempo la tormentava: due diversi battiti cardiaci, ben distinti tra loro. Lentamente, però, il secondo andava spegnendosi, pulsando sempre meno nel corpo della donna, finché non scomparve del tutto.
Un singolo urlo lacerò il silenzio, spezzato da singhiozzi rabbiosi e disperati al tempo stesso; e quando il suono smise di echeggiare tra le pareti di pietra, Unna finalmente alzò lo sguardo, mostrando un viso stravolto dal dolore che la dilaniava dall’interno.
Solo due parole lasciarono le sue labbra, vibrando nell’aria più a lungo persino del precedente grido: « E’ tornato. »

 

***


Sofia, Lidja, Fabio, Ewan, Chloe e Karl erano seduti sotto l’ombra di un frondoso salice piangente, sulle rive del lago; il vento increspava l’acqua cristallina e faceva frusciare le foglie degli alberi, solleticando delicatamente i volti dei Draconiani.
I ragazzi osservavano il lago, pensierosi, e con la mente si tuffano in profondità dello stesso, giungendo ad una bolla magica che ospitava un tempio in marmo bianco, traboccante di potere, e cinque sfere magiche che avevano salvato loro la vita. Lo facevano spesso: si trovavano e fissavano il lago, senza parlare; le parole erano superflue, tra loro.
Sofia aveva appoggiato la testa sulla spalla di Fabio, mentre gli occhi le si chiudevano sempre di più; fu sul punto di addormentarsi, e vide fugacemente l’immagine di una donna dai lunghi capelli blu, avvolta in una tunica nera…
« Sofia! »
L’interpellata balzò subito a sedere, strizzando gli occhi appannati per mettere a fuoco la sagoma della sua migliore amica, che la osservava preoccupata.
« Sei sicura di stare bene? » chiese Karl. « Stamattina non hai mangiato quasi nulla, e hai l’aria distrutta. »
La ragazza si passo una mano sul viso, cercando di sorridere. « Certo, è che stanotte non ho dormito, sapete che quando non mi riposo divento una zombie… » Sofia cercò di riderne, ma dall’espressione dei suoi amici capì di non averli convinti.
« Sofia. » la voce di Fabio era dolce, ma ferma. « C’è qualcosa che devi dirci? »
Per l’ennesima volta, la rossa si chiese come facesse Fabio a leggerla così bene; da un lato ne era contenta, voleva dire che la osservava e ci teneva a lei, ma dall’altro era quasi snervante essere un libro aperto a cui lui poteva dare una sbirciatina quando voleva. Sospirò, raddrizzando la schiena e incrociando le gambe, facendo segno agli altri di avvicinarsi. A voce bassissima, come se temesse di essere udita da qualcuno, la ragazza disse: « Stanotte ho fatto uno strano sogno… »

Sofia non lo sapeva, come del resto non lo sapevano gli altri Draconiani, ma qualcosa strisciava nell’ombra del bosco alle loro spalle. L’anima assetata di vendetta che tesseva le sue trame sibilò malignamente, trattenendo la voglia estrema di saltare al collo di quei patetici, ridicoli mocciosi, che avevano avuto l’ardire di sfidare le forse oscure: non era ancora il momento giusto.
Ma avrebbero pagato, oh, se avrebbero pagato! Dopotutto, non è forse la pazienza la virtù dei forti?

 

***
 

Il clangore delle lame delle due spade che cozzavano l’una contro l’altra rimbombava contro le pareti delle case; le due armi, una grigia, l’altra nera, si incrociarono di nuovo, intrecciando arabeschi di attacchi e parate, in una danza senza fine; i due spadaccini avevano il viso coperto da una maschera da allenamento imbottita di cuoio e intrise di un incantesimo di protezione, che aveva lo scopo di deviare eventuali attacchi al volto.
I due si trovavano in una piazza ampia, circondata da alte case marmoree, con al centro una magnifica fontana intagliata in blocchi di puro diamante, raffigurante una sirena stesa su uno scoglio, le braccia sollevate verso l’alto e sul viso un’espressione di pure sofferenza: dai palmi sgorgavano getti d’acqua cristallina, che in parte zampillavano verso l’alto, in parte colavano lungo gli arti della donna metà pesce, sulle spalle, sui fianchi, lungo la coda, per poi gettarsi nella polla che circondava la sirena ; le superfici splendenti della statua riflettevano la luce del sole in mille tonalità diverse, e con un’intensità tanto abbagliante da essere quasi dolorosa. Il terreno era lastricato di piastrelle bianche, lucide e pulite, che sposavano perfettamente i toni della scultura.
Colui che impugnava la lama grigia portava una semplice maglia di elastico tessuto verde, con le maniche poco sopra il gomito, che mettevano in mostra la muscolatura delle braccia e dell’addome, e un paio di pantaloni di pelle nera traspirante.
L’altro, invece, aveva il corpo interamente coperto da un completo scuro come la sua arma, che consisteva in una giubba leggera, dei pantaloni aderenti, una robusta cintura marrone e degli stivali da poco sotto il ginocchio.
Entrambi portavano una leggera corazza che fasciava loro il petto e la parte davanti delle gambe.
Il combattente dalla spada nera aveva il fisico decisamente minuto, rispetto all’avversario, ma l’eguagliava in altezza e rispondeva colpo su colpo con una fluidità acquisibile solo con anni di intenso allenamento; l’altro contendente pareva in difficoltà a rispondere ai colpi furiosi dello spadaccino col quale contendeva la vittoria, ma se la stava cavando.
Ratatoskr si allontanò di qualche metro con un salto, allontanando dagli occhi qualche ciuffo ribelle spiovuto sul viso; aveva il fiato corto, e il sudore gli rendeva lucida la pelle delle braccia, che ormai tremavano per lo sforzo continuo. Era da almeno due ore che combatteva senza sosta, e non era ancora riuscito ad avere ragione dell’avversario: di solito, batteva Unna dopo poco più di un’ora - anche se comprendeva benissimo che, se la Custode l’avesse voluto, il duello sarebbe finito entro pochi minuti con la sua morte - mentre quella volta la purificatrice sembrava decisa a farlo arrendere. E doveva ammettere che ci stava riuscendo perfettamente: i muscoli bruciavano, così come la gola, la presa sull’elsa della spada si era fatta meno sicura, i passi meno fluidi e il baricentro instabile: andando avanti di questo passo, sarebbe crollato a terra da solo per la fatica.
La Custode strinse l’impugnatura della sua arma dall’elsa a foggia di drago con tanta forza da farsi sbiancare le nocche, digrignando i denti: avvertiva il disperato bisogno di sfogare tutta la frustrazione e la rabbia che aveva accumulato, se non l’avesse fatto sarebbe di sicuro esplosa.
Unna coprì la distanza che li separava con un balzo, afferrando la spada con entrambe le mani e vibrando un violento fendente dall’alto; l’uomo riuscì a schivarlo saltando di lato, e il colpo gli tranciò di netto una ciocca di capelli e creando una corrente d’aria che per poco non fece volare via la maschera dal volto; la lama dell’arma affondò nelle piastrelle bianche, spezzandole di netto e gettando tutt’intorno pezzi di marmo, che ferirono di striscio le braccia di Ratatoskr.
La donna non estrasse la spada dal terreno, ma rimase immobile, ansimando e con i muscoli ancora tesi per lo scatto, sotto lo sguardo sbalordito di Ratatoskr. L’uomo non riusciva a credere a ciò che era appena successo: se non si fosse scostato, Unna l’avrebbe di sicuro...
I due rimasero così, l’una piegata sulla spada, l’altro in piedi a poca distanza da lei, col fiato grosso, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo quelli che parvero secoli, la donna si alzò di scatto, togliendosi la maschera e gettandola lontano; la protezione per il viso rimbalzò varie volte sulla superficie levigata, per poi fermarsi a ridosso della fontana, un elemento dal sapore della battaglia, che sembrava scontrarsi con l’armoniosa pacatezza della scultura.
I lunghi capelli blu erano legati in una treccia, e i ciuffi ribelli le contornavano il viso madido di sudore; gli occhi violacei lanciavano lampi di rabbia, e la punta dell’arma strusciava per terra.
Fu Ratatoskr a rompere quel silenzio.
« Mi avresti ucciso, non è così? » chiese, la voce più tagliente delle lame che entrambi impugnavano. Il volto della purificatrice sembrò indurirsi di colpo, e parve anche lei una statua, così come quella di diamante, che impassibile assisteva al loro fronteggiarsi. La spada grigia sfumò in una nube bianca, e l’uomo si ritrovò a stringere il pugno attorno al nulla. « Non è così? » ripeté egli, conscio che non avrebbe avuto risposta.
La parte superiore della corazza fede la stessa fine della maschera: la Custode la sfilò e la lanciò lontano; sembrava infuriata con se stessa.
« Perché l’hai fatto, Unna? » domandò nuovamente lui, avvicinandosi di qualche passo; se avesse allungato il braccio, avrebbe potuto sfiorarla.
« La lezione è conclusa. » sibilò lei, socchiudendo gli occhi pericolosamente. « Puoi ritirarti. »
Ratatoskr conosceva poco di Unna, così imperscrutabile com’era, e sapeva che era pericoloso sfidarla, molto pericoloso. Avrebbe potuto ridurlo in cenere in pochi istanti, se lui avesse solo provato a varcare quella corazza invisibile che avvolgeva l’anima stessa della donna che gli stava davanti. Non sapeva cosa l’avesse indotta a proteggersi internamente a quel modo, ma sapeva per certo che doveva aver sofferto molto.
« Ho detto... » ringhiò a bassa voce la Custode, non vedendosi ascoltata. « Che puoi ritirarti. Ora. »
Ratatoskr infine obbedì, scomparendo nei vicoli tra le case in pochi istanti.
Quando fu certa di essere sola, Unna scagliò via anche la spada, la quale andò a conficcarsi nello spazio tra due piastrelle; si portò una mano alla bocca, per poi lasciarla scivolare fino a coprirsi gli occhi. Si morse le labbra a sangue, angosciata: era davvero arrivata a tanto? Aveva davvero quasi ucciso Ratatoskr, una delle uniche due persone al mondo che potevano dire di conoscerla almeno un po’, colui che dopotutto considerava un amico?
Incapace di sopportare oltre il senso di colpa, la Custode svanì in una nube bianca, portandosi dietro le sue emozioni e i suoi segreti.
Senza più i due combattenti ad animarla, la piazza era desolatamente vuota: anche le protezioni erano sparite, solo la spada nera rimase, affianco alla statua della sirena, ritta come un soldato innanzi al comandante.
Un caldo riverbero di sole dorato illuminò il filo dell’arma, che scintillò di luce bianca.

 

***


Nida era a gambe incrociate, sull’orlo del precipizio che segnava la fine della città sospesa nel cielo. Le nuvole, che formavano una coperta che sembrava infinita, erano tinte di rosso e ocra dalla luce dell’astro diurno, quasi scomparso oltre l’orizzonte.
Era lì da ore a meditare, sotto ordine di Unna, e ancora non riusciva a capire che scopo avesse quell’esercizio; le gambe le formicolavano e la testa le pulsava per la concentrazione, e ancora non aveva raggiunto nessun risultato degno di nota.  Devi imparare a sentire, aveva detto la Custode… Ma sentire cosa, poi? Davvero, non riusciva a capire: Unna sapeva essere così criptica, mai che desse un’informazione chiara.
Nida si mise a riflettere sui suoi stessi pensieri: si stava facendo dare ordini da Unna? Lei che era stata sottomessa solo al suo Signore, obbediva ad una figlia dei draghi? La Custode della Bianca Fiamma, per di più, la carica più alta di tutta la gerarchia di Draconia! Com’era arrivata a ciò? Com’era arrivata a sentirsi così ben disposta e permissiva? Lei era tutto fuorché quello!
“Forse perché non ci tengo a finire ridotta ad un mucchietto di cenere” pensò ironica la bionda, per poi tornare seria. No, non era per quello, c’era ben altro… Unna esercitava una sorta di energia elettromagnetica attorno a sé, era come una sorta di calamita, che attrae quella a carica opposta. Non riusciva a opporsi… Ma perché? Era questa la domanda ridondante: perché? Oh, e c’erano tanti perché! Perché Unna l’aveva riportata in vita? Perché la stava allenando? Perché si dimostrava così fiduciosa nei suoi confronti? Infondo, non aveva esitato a fare il doppio, anzi triplo gioco, tradendo contemporaneamente il suo ex pardone e i Draconiani per uccidere Fabio. Ma… Che la Custode avesse capito qualcosa che a Nida sfuggeva? Che sapesse qualcosa di vitale importanza?
“Continua a cercare, Nida” disse la voce della purificatrice, rimbombando nella sua mente. “Sei vicina alla tua meta...”
« Ma qual’è la mia meta? » mormorò a se stessa la bionda, senza neppure lamentarsi a quell’ennesima violazione della suai privacy.
“Devi trovare l’anello...”
« L’anello? Che anello? » esclamò, sentendosi così vicina alla verità da non riuscire a vederla, così cieca da ignorare l’ovvio.
“L’anello che lega le due metà della catena”
« Non capisco! Non puoi essere più chiara, maledizione?! » urlò la bionda al nulla, scattando in piedi, il viso rivolto al sole, illuminato dalla sfolgorante luce del tramonto. « Cos’è che devo cercare?! Cosa?! »
La voce della purificatrice si fece più severa, ma allo stesso tempo più malinconica e bassa, come se stesse soffrendo molto: “Cos’è che ti ha spinto ad andare avanti tutto questo tempo? Qual’è la tua vera ragione di vita?”
Il respiro di Nida le si impigliò in gola, e un grosso groppo le impedì di deglutire. Cosa l’aveva sostenuta mentre Nidhoggr la braccava? Cosa l’aveva consolata nelle notti gelide e solitarie?
Un ricordo…
Ma non poteva essere!
« No, non è possibile… » sussurrò al vuoto Nida. « Non è possibile che sia… Che sia… » mandò giù un bolo di saliva, iniziando a sudare freddo.
Una nuova paura le strinse le viscere, ma era una paura diversa a quelle che la viverna aveva provato fin’ora: era un’emozione sconosciuta, che era comparsa all’improvviso, e che lei non sapeva spiegarsi.
Perché il cuore le batteva così forte? Cosa le stava accadendo? La bionda si sedette di nuovo, cullata dai caldi riverberi dorati; pareva una divinità immersa nella luce, con il caschetto scosso dalla lieve brezza, gli occhi chiari illuminati e semichiusi, la bocca semiaperta, come se volesse dire qualcosa ma non ricordasse le parole, e un lieve rossore sulle guance.
« A cosa vuoi farmi arrivare, Unna? » chiese alla sua anima, immergendosi nei ricordi e lasciandosi trasportare in un luogo nebbioso, sperduto nei meandri della sua mente.

 

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Look at me!
Buonsalve, popolo di EFP.
No, non sto male, e no, non sono un alieno sotto le spoglie di Diamante, quindi rilassatevi. Considerato questo capitolo come un regalo in ritardo per Natale. O in anticipo per la Befana. O per Capodanno. O per Pasqua. Insomma, consideratelo un regalo e basta.
Il popolo richiede a gran voce un po’ di Ratida (per chi non lo sapesse, Nida/Ratatoskr), e io l’ho accontentato… Anche se in modo moooolto velato. Sì, sono cattiva, lo so. Non c’è bisogno di dirmelo. Ah, sappiante che la parte dei draconiani mi convince molto, ma molto poco... Che ci volete fare, sono più brava a descrivere dilemmi mentali che altro, sono fatta così.
E sì, stavo quasi sbavando mentre descrivevo Ratatoskr, per rispondere alle domande di qualcuna di voi.
Anyway, penso sia il momento di ringraziare un po’ di persone.

§Chi ha messo questa storia tra le ‘Preferite:
-Ginevra Gwen White
-Roky Draconiana

§Chi ha messo questa storia tra le ‘Seguite’:
-chiara_centini
-magicadark007

§Chi ha messo questa storia fra le ‘Ricordate’:
-Cristina Cuman
-darkyumi
-Drachen
-Jtp994ever
-magicadark007
-Roky Draconiana

§E, soprattutto, chi ha recensito:
-Ginevra Gwen White
-Roky Draconiana
-magicadark007
-Drachen
-DianaLoveStory

Davvero mille grazie, ragazze… Questa storia va avanti solo perché ci siete voi che mi sostenete!
Baci e coccole,
D.
P.S. Ho accontentato Ginevra Gwen White cercando di allungare il capitolo. Quindi, prendetevela con lei. Io sono innocente (più o meno)

  
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