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Autore: Reagan_    31/12/2013    1 recensioni
“Si voltò verso una foto che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle loro nozze.
Ricordava perfettamente il forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido sorriso e quel “sì” detto in francese, e gli sguardi pieni di diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.”

Prima classificata al Contest "Het, Slash, FemSlash ... mi va bene tutto purché sia costruttivo" di Sere-Channy.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Secondo Capitolo


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Bossoli
 




Giugno 2027-Londra






Peter si guardò sconsolato intorno e lasciò la sua valigetta sul tavolo.
La casa era perfettamente pulita e ordinata.
Non c'era più la normale confusione di prima, quella fatta di calzini introvabili, fogli di giornali e tazze di tè abbandonate qua e là.

Clémence si era trasformata in una casalinga perfetta. Si svegliava al mattino all'alba, gli cucinava colazione, pranzo e cena, si assicurava che lavorasse sempre con una tazza di caffè fumante vicino al computer. Lo aiutava persino con la la stesura finale del suo saggio e stirava le sue camicie con una precisione militare. Tutte cose che non aveva mai fatto prima, se non quando lui era malato o la minacciava di ritorsioni. Non lo prendeva in giro, non gli urlava mai contro e soprattutto non gli parlava.
Chiacchieravano poco e di cose come il tempo e le ultime notizie sui giornali.
Clémence aveva iniziato ad interessarsi al giardino, unica attività che l'aveva entusiasmata anche prima, e si dimenticava spesso e volentieri di lui e di quel “noi” sospeso nel tempo.
Ogni tanto Peter azzardava a un bacio sulla guancia, a una carezza gentile, a una parola dolce, ma la rigidità e la tristezza con cui lei lo guardava lo gelava quasi subito. Così aveva continuato a dormire nell'altra stanza, dandole tutto il tempo del mondo e scivolando in uno stato comatoso.
La vide rientrare dalla porta che dava sul giardino, con i guanti da giardino, un cappellino da baseball calato sulla testa.
-Ciao Peter.- gli disse con un tono allegro, si tolse le cuffie dalle orecchie e i guanti e gli indicò degli arbusti. -Ho sistemato i bossoli, ora sembrano delle siepe decenti, non trovi?-
Peter le sorrise gentile. -Sono venuti bene.-
-Già, credo siano venuti benissimo.-
Rimasero incerti e troppo vicini, Clémence si scostò e gli disse che sarebbe andata a farsi una doccia.
Salì due, tre gradini alla volta scomparendo frettolosamente dalla vista di Peter e si chiuse in bagno.
Era arrossita, lo sentiva dall'innaturale calore delle guance.
Non era la prima volta, in quel mese, che si ritrovava a fissarlo in modo non del tutto innocente.
Lo trovava molto attraente e desiderabile.
Alto, con i fianchi stretti, magro e con quei capelli quasi arancioni e quel viso ricoperto da curiose efelidi chiare.
Era un uomo bello, di una bellezza senza tempo.

Non capiva come mai i suo pensieri si spostassero così velocemente da quello che era suo marito a quell'uomo in divisa che stringeva lo stesso fucile che utilizzava lei di cui ricordava pochi ed inutili frammenti.
Era forse stata obbligata a sposarsi da strane circostanze?
Non le sembrava possibile, lui non era un uomo violento o capace di chissà quali ricatti. Si morse le labbra con forza e aprì il rubinetto dell'acqua gelata. Si tolse gli abiti sporchi di terriccio e s'infilò nella doccia, rabbrividendo per il freddo.
Lo faceva spesso.
Era rigenerante e l'aiutava a cancellare dalla pelle quelle strane sensazioni che provava e a cui non riusciva a dare un nome.
Aveva analizzato il più possibile i pochi ricordi che possedeva e alla fine si era ritrovata con nulla se non un paio d' informazioni irrilevanti e la certezza che pochi mesi dopo avrebbe dovuto ritornare a lavoro.
Come poteva lavorare se non si ricordava nemmeno un nome dei suoi compagni?
O i  casi più importanti?
Uscì dalla doccia più confusa di prima, s'infilò un paio di jeans e una maglia leggera per contrastare quel pomeriggio insolitamente caldo, raccolse i capelli bagnati in una coda floscia e scese di sotto, non prima di aver osservato a lungo l'unica porta della casa che era chiusa a chiave.
Più volte aveva chiesto le chiavi per pulirla e regolarmente Peter liquidava la faccenda come non necessaria, infondo era solo una stanzetta vuota, piena di scartoffie e gingilli del vecchio appartamento di quest'ultimo.
L'espressione nostalgica che aveva ogni volta che finiva per chiedere di quell'angolo di casa ancora chiuso la metteva a tacere ogni volta. Alla fine cosa ne poteva sapere lei?
Lei che a malapena ricordava il suo passato?




Peter si era tolto la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia.
Sorseggiò una birra e quando sentì i passi di Clémence la invitò a sedersi sui gradini del patio. La donna lo accontentò titubante e per la prima volta si sedette accanto a lui. Le loro spalle si toccavano, Peter poteva sentire il delizioso profumo di agrumi e notare il tenero rossore delle sue guance.
-E' venuto veramente bene.- le disse riferendosi ai bossoli appena sistemati.
Clémence lo fissò sorridendo. -E' venuto bene, ma non benissimo. Devo aver dimenticato delle nozioni … -
Peter scosse la testa mentre apriva una seconda birra. -Assolutamente no. Magari ti manca un po' di pratica, ma le nozioni te le ricordi.- gliela passò e per un secondo sentì le sue calde dita sfiorarlo. Rabbrividì e distolse lo sguardo.
-C'è qualcosa che devi dirmi?- domandò Clémence intuendo nei suoi gesti troppa finta disinvoltura.
Peter prese un lungo respiro. -Il cielo di oggi è sommerso interamente da un immenso tramonto rosso. Ti ho vista camminare da sola … d’ora in poi ti proteggerò.- recitò sovrappensiero. -E' con questa frase che due anni fa ti ho conquistato. Eravamo in un bar affollato dove molti soldati festeggiavano la prima licenza dopo anni di servizio. Tu suonavi il violino sul palco e quando sei scesa mi hai fissato a lungo. O meglio, te ne stavi a fissare io che leggevo un manga in quel casino allucinante. Ti sei avvicinata e mi hai sorriso. E io ti ho letto la prima frase che avevo sotto gli occhi.-
Clémence sorrise e si morse un labbro allegra, le piaceva la storia e in qualche modo la sentiva sua. -Sei sicuro che tu mi abbia conquistato con una semplice frase?-
Peter ridacchiò e posò la sua seconda bottiglia a terra. -Abbiamo fatto sesso quella sera stessa. In un vicolo buio di Parigi e mi hai accompagnato alla stazione per prendere il treno verso Calais. Ti ho mandato una cartolina qualche giorno dopo con il mio indirizzo e il giorno del mio compleanno tu eri a Soho.-
Per qualche motivo a Clémence non piacque quella strana sensazione che le stava attorcigliando lo stomaco, strinse le braccia intorno alle ginocchia e chiese a Peter di continuare il suo racconto.
-E' successo tutto molto in fretta. Abbiamo iniziato a convivere fin dal primo giorno e mi ricordo di essermi preso un colpo quando ti ho vista in cucina a pulire la tua pistola.- Clémence ridacchiò e Peter le sistemò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. -Le prime settimane scivolarono via e ci siamo accorti di … - s'interruppe e il suo volto perse ogni colore e ogni emozione. -Ci siamo accorti di essere innamorati, ci siamo sposati subito perché volevi che tuo padre partecipasse alla cerimonia, prima che la malattia  degenerasse. E' stato un matrimonio molto intimo.-
Peter tornò a guardarla con una certa insistenza. Sperò con tutto il suo cuore che Clémence non avesse intuito quella nota di dolore nelle sue parole. Lei lo fissava con una strana luce negli occhi, si avvicinò a lui e posò delicatamente le sue labbra sulla sua guancia, circondandogli il collo con le braccia.
-Merci.-
-E di cosa?-
-Di avermi aspettato.- Clémence lo baciò e a Peter non parve vero.
Dopo mesi risentiva le dolci labbra di sua moglie scorrere sulle sue.
Il suo corpo ammorbidito dal congedo le aveva regalato nuove curve, il suo profumo era intenso e mesi di astinenza e negazione lo stavano travolgendo.
Avrebbe voluto fermarsi e riprendere tutto molto più lentamente, ma Clémence era furiosa, sbrigativa e per nulla paziente, come la donna che aveva conosciuto anni prima. I loro vestiti crearono un divertente filo d'Arianna sparso per la casa, Peter la prese in braccio e per la prima volta la sentì ridere di cuore. Si chiusero in camera e non ne uscirono fino a notte fonda.




-Com'è stato?- chiese Clémence stiracchiandosi le braccia ancora non del tutto rinsaldate.
Peter le sorrise e s'infilò una maglia scura e dei boxer. -In che senso?-
-E' stato uguale a prima … Non sono cambiata … O peggiorata o che ne so … -
Peter chiuse la bocca e i pensieri di Clémence con un bacio. -E' sempre stato particolarmente intenso, oggi più di prima. Mi eri mancata.-
-Mi dispiace Peter. E' difficile … Collegare tutto. Niente sembra appartenermi.- sussurrò la donna.
Peter la prese fra le sue braccia e le baciò il capo. Poteva solamente immaginare i dubbi e i tormenti quotidiani di sua moglie, ma ora era felice e non aveva voglia di rovinare quella sensazione. -Devo assolutamente dormire, domani ti porto a cena fuori dai miei, mia sorella insiste da giorni.-
Clémence posò il capo sulla sua spalla serena e qualche minuto dopo, sprofondò in un sonno pesante.
Peter rimase a sveglio a lungo finché non uscì da quella stanza che sembrava soffocarlo con il suo grigio che di notte diventa più scuro e vagò un po' per la cucina e il soggiorno, bevendo una tazza di tè. Una volta assonnato decise di rientrare in camera, ma la stanza chiusa poco lontano dal bagno sembrava invitarlo dentro. Andò nel suo studio a prendere le chiavi, nascoste in una scatolina natalizia, e aprì la porta.
L'odore di chiuso lo colpì, chiuse delicatamente la porta e posò le sue mani sulla piccola culla in fondo alla stanzetta verniciata di giallo. Toccò il legno gelido, sfiorò le copertine ricamate e tentò di non fissare i pannolini messi in fila e il piccolo fasciatoio circondato da pupazzi. Il suo cuore fece strani balzi e le lacrime cominciarono a scendere copiosamente. Soffocò i violenti singhiozzi ma scivolò a terra, batté più volte la fronte contro la testata della culla e rimase lì, tremante e arrabbiato con sé stesso, con tutti e con Dio. Sapeva di giocare con il fuoco, nascondendo quella parte della loro vita, ma non voleva vederla distrutta com'era prima.
Si fece forza dandosi dell'idiota piagnucolone e chiuse la stanza all'alba.
Decise di fare qualche chilometro di corsa per tranquillizzarsi per cominciare una nuova giornata e forse una nuova vita con una Clémence meno fragile.




Quando aprì gli occhi, si chiese come mai fosse così rilassata e solo dopo qualche secondo la sua mente ricordò i baci febbrili e l'amplesso intenso e a tratti violento che aveva consumato l'altra sera.
Arrossì e si diede della sciocca, si voltò certa di trovarselo di fianco, ne aveva sentito a lungo la presenza la notte precedenza, ma non vi dormiva nessuno da molto tempo.

Pensò che probabilmente si era svegliato presto per fare jogging e cercò di non farsi prendere dalla delusione. Decise che avrebbe cucinato quell'orrida colazione all'inglese a cui lui era fin troppo abituato.
Quando scese in cucina, trovò sul piano di lavoro un vaso pieno di tulipani rossi e dopo molto tempo Clémence si sentì amata.







   
 
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