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Autore: Reagan_    29/12/2013    2 recensioni
“Si voltò verso una foto che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle loro nozze.
Ricordava perfettamente il forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido sorriso e quel “sì” detto in francese, e gli sguardi pieni di diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.”

Prima classificata al Contest "Het, Slash, FemSlash ... mi va bene tutto purché sia costruttivo" di Sere-Channy.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Di Girasoli, Bossoli e Asfodeli.

Primo Capitolo




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Girasoli





Maggio 2027-Londra



Si era svegliato improvvisamente e con il respiro affannoso. Con ancora gli occhi chiusi gettò un braccio verso l'altra parte del letto e rabbrividì al contatto con la piega liscia delle lenzuola e il tipico freddo di un giaciglio abbandonato.
Peter Miller aprì gli occhi e gemette disperato.
Non capiva come fosse possibile ritrovarsi improvvisamente solo e con la prospettiva di rimanerci a tempo indeterminato.
Era cresciuto in un famiglia numerosa che ora sembrava l'ombra di sé stessa, incolpando la guerra appena conclusa oppure la semplice crudeltà della vita, per le disgrazie che lo avevano colpito.
Pochi anni prima, però, si era ritrovato a sorridere di nuovo.
Era felice perché si era scontrato per caso con una donna speciale e se n'era scioccamente innamorato.
Non fu facile all'inizio, erano decisamente diversi e portavano sulle loro spalle dei passati complessi e pieni di dolore, ma alla fine ne erano usciti insieme e sommariamente felici.

Si voltò verso una foto che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle loro nozze. Ricordava perfettamente il forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido sorriso e quel “sì” detto in francese, e gli sguardi pieni di diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.




Peter percorse i corridoi del settimo piano del Georgia Grace Militar Hospital alle porte di Londra assaporando visioni di intimità degli altri degenti.
C'era chi fingeva di dormire dando le spalle alla porta aperta, chi fissava con occhi spenti il televisore e chi come sua moglie se ne stava seduto a guardare la pioggia battente dall'ampia finestra della stanza.
Il dottor Jovovich, grande esperto di traumi neurologici ed insignito delle maggiori onorificenze militari, aveva richiesto il giorno prima un colloquio nella sua spartana saletta privata.
Con una certa franchezza gli aveva strappato ogni speranza di tornare alla vita di tutti i giorni. Sua moglie aveva perso quasi ogni ricordo di lui e della loro vita. La memoria se n'era andata subito dopo aver sbattuto violentemente una parte del cranio mentre spingeva lontano un bambino imprudente e si lasciava investire da un'auto in folle velocità.
Un grande gesto di bontà che lui non riusciva a non condannare per avergli consegnato un futuro amaro.
Amnesia retrograda tendenzialmente lacunare.
Lui, che di mestiere usava prevalentemente le parole, aveva dovuto consultare vecchi dizionari e siti internet per comprenderne appieno la tragicità.
Nessun farmaco, nessuna terapia e nessuna operazione poteva restituirle i ricordi.
Le ossa erano guarite, le ferite si erano rimarginate, l'energia vitale era ritornata forte e decisa come un tempo, ma i ricordi si erano persi e lui non era che un'idea sbiadita.
Bussò debolmente e si avvicinò a lei che sembrava troppo assorta nel fissare la tipica pioggia inglese.
-Ciao Clémence.-
La donna si voltò pigramente e non incontrò il suo sguardo. Le sue dita cominciarono a tormentarsi in grembo e addentò il labbro inferiore, quel gesto che aveva visto mille volte in quegli ultimi anni lo intenerì e nello stesso momento lo colpì violentemente.
Quei piccoli gesti non gli appartenevano più, aveva perso il diritto di conoscerli.

-Dobbiamo andare. Sei stata dimessa.- l'avvertì lasciando su una sedia una piccola borsa che aprì. -Ti ho preso dei vestiti.-
Clémence gettò uno sguardo al suo pigiama e alla vestaglia appesa alla porta e cercò di ricordarsi se avessi uno stile o un colore preferito. Richiamò delle immagini, delle sensazioni, qualunque cosa, ma il suo cervello sembrò non registrare nessun comando. Scese dal letto, prese la borsa e si chiuse in bagno e mentre si vestiva, pianse.



Peter gettava continue e distratte occhiate alla moglie seduta di fianco a lui. L'auto scorreva silenziosa fra i sobborghi di una Londra
ingrigita dalla recente guerra, fu un sollievo sentirla parlare, anche se durò un paio di secondi.

Peter aveva commentato l'inutilità di due carri armati fermi di fronte al ponte con un accenno di timore e aveva sorriso quando lei lo aveva corretto.
-Si chiamano MBT.- disse automaticamente. Si sorrisero incerti per qualche secondo.
-Lo facciamo spesso, questo giochino.- le disse Peter mentre guidava e si addentrava in un delizioso ed ordinato complesso residenziale immerso nel verde.
-Ti correggo spesso?- domandò lei rendendosi conto di non ricordare nulla, nulla di quell'uomo che da giorni andava a dire in giro che era suo marito. Le aveva persino mostrato delle foto e delle carte, ma lei non era riuscita a nascondere lo sgomento di ritrovare il proprio volto così strano e diverso. Come se si trattasse della vita di una sorella gemella perduta di cui veniva a conoscenza solo ora.
-Mi correggi spesso, soprattutto nelle questioni militari.-le raccontò felice di essere utile a riempire quel libro vuoto che ora era la sua memoria. -Discutiamo regolarmente sull'utilità degli acronimi negli ambiti non operativi.-
Clémence annuì e voltò la testa per non essere obbligata a sorridergli.
Non lo ricordava. Non ricordava di averlo visto, di averlo baciato, sposato, parlato di questioni militari, figuriamoci le abitudini consolanti della vita coniugale!
Le sue mani cominciarono a tremare e sobbalzò quando sentì la sua mano, calda e liscia, stringere una delle sue vacillanti.
Avvampò e boccheggiò e con una certa difficoltà districò le sue dita dalla gentile presa.

Peter si diede mentalmente dell'idiota e con una certa angoscia parcheggiò di fronte alla loro casa. Una spaziosa villetta che suo padre aveva progettato quasi tre decenni prima e che era rimasta a lungo invenduta. Quando lui le aveva chiesto di sposarlo e Clémence, ancora restia, aveva accettato, si era guardato intorno alla ricerca di un piccolo nido per entrambi. E l'aveva ritrovata.

L'avevano ristrutturata insieme, ci avevano fatto l'amore fino allo sfinimento e avevano litigando fino a minacciare il divorzio, insomma, ci avevano vissuto.
-Bentornata, Clémence.- le disse aprendole la porta, pregando Dio di dargli un mano per affrontare tutto questo.



Clémence ricordava bene il suo nome, la sua data di nascita, qualche episodio della sua vita, soprattutto quelli legati all'infanzia passata in Bretagna, le estati in Toscana, i nomi e le professioni svolte da alcuni membri della sua famiglia e pezzi della guerra.
Quando un'infermiera con accento dell'Est le si era avvicinata giorni prima e aveva annusato un leggero odore di sigaretta, per alcuni minuti aveva rivissuto periodi della guerra. Rammentava il rumore metallico dei bossoli delle mitragliatrici che cadevano incessantemente l'uno sull'altro, i sorrisi sdentati di alcuni bambini in un campo profughi, gli ordini che venivano strillati e le sue mani intorpidite e ingiallite dalla nicotina che sfogliavano una cartina plastificata sotto la pioggia battente.
Da quelle poche informazioni che era riuscita a scucire da chi le stava intorno in ospedale, sapeva di essere stata un militare arrivata a un buon grado, ora spostata nella polizia inglese a causa di una grave carenza di personale.
Come e quando avesse incontrato quel ragazzo con i capelli rossicci e il viso slavato e del perché l'avesse sposato, rimanevano un mistero.
Appena entrata in casa, una villetta molto carina ma che non le diceva niente, Peter si avvicinò per aiutarla a far scivolare il soprabito lungo le spalle e il braccio ancora ingessato. Il tocco leggero delle sue mani sembravano forzatamente delicate.
Appese la giacca e la fissò con uno sguardo intristito e con una certa agitazione in corpo la precedette insistendo nel volerle mostrare la casa.
-Puoi per favore non parlare mentre me la fai vedere, potrebbe aiutarmi.- mentì Clémence. Non voleva sentire delle mille cene mangiate su quei tavoli, dei bicchieri che aveva comprato o a chi apparteneva la scelta del colore dei muri. Era già strano averlo costantemente intorno a sé, la sola idea di vederlo e sentirlo parlare ancora di quel “noi” a cui tanto sembrava tenere, la nauseava.
-Prima fatti dare questi.- disse lui cercando di nascondere l'amarezza di quella richiesta.
S'infilò in soggiorno e prese un grosso mazzo di girasoli.

-Sono i tuoi fiori preferiti. Mi hai detto che li hai sempre adorati perché ti ricordano delle estati con i tuoi in giro per l'Italia. Te li metto nel vaso.- raccontò Peter e si emozionò quando vide uno strano bagliore negli occhi chiari di Clémence.
Lei si avvicinò di un passo e li guardò con una certa attenzione.
Poi si scostò improvvisamente e decise che avrebbe curiosato per quella casa di cui aveva pagato parte del mutuo.
Si stupì della tanta luce presente nella casa che filtrava dalle grandi finestre, le librerie che circondavano molti muri, i colori caldi. I suoi piedi sapevano muoversi bene, segno che la memoria cinetica si era ben fissata nel suo cervello, notò alcune foto incorniate qua e là, ma decise di non badarci.
Si lasciò trasportare da un'infantile curiosità per la disposizione perfetta dei mobili, dei loro materiali, salì sulle scale, sperando di sbarazzarsi della sensazione di essere costantemente seguita, e perlustrò la loro camera da letto.
Era molto carina e grande. Tendeva al grigio con punte di colore sparse senza ordine. Si sedette sul letto e si tolse gli scarponcini e le calze, il fresco del copriletto contro la pianta del piede le piacque e rimase a lungo a guardarsi intorno, sperando di trovare un indizio qualunque.
Quando la testa cominciò a girarle si alzò e fuggì nella ordinata cabina armadio, si stupì, ma non seppe mai perché, nel notare degli abiti svolazzanti appesi e delle gonne pudiche e scure ben piegate. Il resto dell'abbigliamento era decisamente neutro: jeans scoloriti, maglioni con le trecce dai colori scuri o tenui, camicie, maglie da sport, reggiseni spartani, giacche scure e tante sciarpe.
Ne prese una e chiudendo l'armadio andò vicino allo specchio adiacente e la portò intorno al suo collo. Era una normale sciarpa cinerea a righe blu ed azzurre, notò che s'intonava con i suoi occhi grigi e si domandò se fosse il tipo di donna che tentava di coordinare il proprio guardaroba per esaltare qualche caratteristica fisica.
-Te l'ho regalato tre mesi fa per San Valentino. Risalta i tuoi occhi.-
Peter l'aveva osservata a lungo girare per la stanza ed guardare con una certa meticolosità il loro armadio. Quando lei si era infilata quella sciarpa, qualcosa lo aveva commosso. Forse, anche se lei non ne era consapevole, qualcosa ricordava.
-A dir la verità siamo andati nel Galles per un paio di giorni, tempo schifoso ma ci siamo divertiti.- raccontò, rimanendo alla porta della stanza, le braccia incrociate e lo sguardo rivolto verso di lei, ma assente. Clémence ne ebbe quasi paura.
-Siamo andati in questo piccolo ristorante sulla costa che servivano anche la tua marca preferita di birra francese,“Bière du Desert”. Ne hai bevuta un sacco, sai? Siamo stati bene in quei due giorni. Meditavamo di trascorrerci qualche giorno di vacanza ad agosto.-
Peter fermò il suo racconto sovrappensiero. Il medico aveva chiesto di non travolgerla di informazioni perché poteva non riuscire ad assorbirle con la stessa facilità di prima, le rivolse un timido sguardo e notò che aveva gli occhi ludici.
-Non me lo ricordo. Non me lo ricordo proprio. Non mi ricordo nulla.- balbettò sentendo le lacrime scorrere lungo le sue guance infuocate.
La sua stanza cominciò ad ondeggiare, i suoi occhi si chiusero e l'ultima cosa che percepì furono le forti braccia di Peter frenarle la corsa verso il pavimento.




Fa freddo, Clémence tira fuori il naso dalla stretta della sciarpa per inspirare quel forte odore di benzina, fuoco e morte e per un paio di secondi si distrae. Gli elicotteri procedono spediti e a bassa quota, l'orizzonte non è altro che un miscuglio di colori fosforescenti che segnano ai passivi spettatori la fine di altre vite. Le bombe si schiantano contro le case e il terreno con una regolarità spaventosa.
Di fianco a lei, in piedi ad osservare il declino del mondo, c'è un uomo dal sorriso sghembo.
-Non credo ne usciranno vivi.- le sussurra.
Clémence annuisce distratta. -Non credo che, alla fine, qualcuno di noi ne uscirà vivo.-
-E' la tua ultima missione?- le domandò.
Clémence si voltò a fissarlo, le dita che scorrevano febbrili lungo la lunga canna del fucile. -Sì, me ne vado a Parigi e poi forse in Inghilterra.-
Un'esplosione troppo ravvicinata li fece sobbalzare, i capi cominciarono a gridare ordini, ma loro due rimasero ad osservare la coltre di polvere che s'innalzava ed avvolgeva l'orizzonte.
-Allora auguri, forse ci rivedremo ancora.- disse l'uomo fissandola a lungo, per un attimo sembrò volersi avvicinare, ma le voltò le spalle e s'incamminò verso la sua postazione e Clémence rimase lì finché non decise che era venuto il momento di ubbidire agli ordini e cominciare ad avanzare con il suo carro armato.



Con gli occhi sbarrati e la bocca secca, Clémence si svegliò.
La mente ripercorreva stralci di quel sogno così vivido, il panico aveva bloccato ogni muscolo e l'emicrania le faceva lacrimare gli occhi. Cominciò a respirare lentamente cercando di riprendere il controllo di sé e solo allora si accorse che era sdraiata su un letto, in una stanza buia.
Sgranò gli occhi e si guardò intorno, tastando di lato riuscì a trovare una piccola lampada posta sul comodino e l'accese.
La stanza di cui aveva un ricordo vago venne illuminata e per un attimo si rese conto che non si trovava in una spoglia caserma o in un fatiscente bunker sudanese.
Sul suo stomaco era appoggiato il braccio pesante di Peter che si era addormentato al suo fianco e la cosa imbarazzò moltissimo Clémence che cercò di spostalo lontano da lei.
Ma Peter si mosse e si svegliò quasi del tutto.
-Scusa … -bofonchiò.
La donna notò che aveva un'aria adolescenziale mentre dormiva, come se ringiovanisse improvvisamente nel sonno.
Per un attimo si pentì di averlo svegliato.
Si domandò quante notti avevano passato l'uno nelle braccia dell'altro.
Peter stropicciò un occhio e si alzò a sedere. -Scusa, mi sono addormentato.-
-Sono svenuta, giusto?- domandò Clémence sfilando l'elastico con cui aveva legato i biondi capelli ore prima. Infilò le dita e li sparpagliò sulle spalle rilassate. Quel sonnellino forzato sembrava avesse giovato al suo corpo, ma la sua mente ne era uscita ammaccata.
-Sì, ti è già capitato altre volte in ospedale. Dicono che non sia grave e passerà.-
Peter le sorrise cercando di infonderle fiducia, le strinse una mano. Per lui era difficile limitarsi a una semplice stretta di mano, erano sempre stati una coppia molto fisica, cercavano costante conforto nel toccarsi, nell'amarsi in modo impetuoso e incontrollato.
Con il sesso eliminavano rancori e risolvevano litigi, con le effusioni rinsaldavano il loro amore. Non avevano bisogno di lunghi discorsi filosofici o spirituali.

Ma ora doveva limitarsi anche in questo.
Si alzò dal letto e si tolse il maglioncino che indossava. -Vado a dormire, domani devo andare a un incontro importante.- le disse mentre cercava il pantalone del suo pigiama. -Tornerò per pranzare con te e se vuoi nel pomeriggio possiamo uscire, fare quattro passi nel quartiere.-
Clémence annuì sopraffatta. -Come vuoi.-
La risposta venne accolta freddamente da Peter che la salutò cortese prima di annunciarle che avrebbe dormito nella stanza accanto. Uscì e chiuse la porta leggermente stizzito da sé stesso, per un attimo gli era sembrato di rivedere la sua Clémence.




La mattina dopo si comportarono in modo formale.
Peter le aveva preparato un'abbondante colazione che fu quasi del tutto ignorata dalla moglie che continuava a fissare il vaso con i girasoli.
Più di una volta cercò di attirare la sua attenzione, di scrollarla da quell'isolamento volontario.
Ma Clémence era troppo concentrata nell'osservare le diverse pieghe dei piccoli e fragili petali gialli dei girasoli, sentiva una strana connessione con quel fiore.
-Erano i fiori preferiti di maman. Io e papà li abbiamo colti in un campo poco lontano da casa quando siamo tornati dal cimitero e da allora, ogni volta che posso, li porto a casa.- mormorò Clémence assaporando quei pochi e frammentari ricordi. -La prima volta che ci siamo usciti insieme a cena, avevi in mano dei girasoli.-
Sul viso di Peter si allargò un genuino sorriso di sorpresa, non fece caso al bricco di latte che si era rovesciato e aggirò il tavolo e la raggiunse. La strinse a sé, le baciò la fronte e quei capelli bruciacchiati dal sole e non poté non azzardare ad un veloce quanto appassionato bacio su quelle labbra che tanto gli mancavano.
Si era ricordata di qualcosa, si era ricordata di loro, si era ricordata di lui.






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Questa storia ha partecipato al Contest: Het, Slash, FemSlash ... mi va bene tutto purché sia costruttivo di Sere-Channy.
Si è classificata prima ed ha vinto i premi:
-Premio Promessa: storia con linguaggio più forbito.
-Premio Originalità: alla storia più originale.
-Premio Impegno: alla storia in cui l'autore ha messo più impegno.
-Premio Love: alla storia d'amore più bella.

a. Fornitura lessico:5 /5
b. Uso parole e aggettivi 5/5
c. Correttezza lessico5 /5
d. Totale: 15/15

Gradimento personale:
a. Originalità 5/5
b. Elaborazione 4/5
c. Caratterizzazione personaggi 4/5
d. Totale:13 /15

Grammatica:
d. Morfologia5/5
e. Sintassi5 /5
f. Totale:10 /10

Extra:
d. uso del pacchetto:10 /10
e. attinenza al contest10 /10
f. totale: 20/20


Punti tolti: 1 (cambio pacchetto)
Punti premio/bonus/ocomelivoletechiamare: 2 (originalità e impegno)
errori: 1 (essendo errori di battitura non fanno media nella valutazione finale, ma vanno comunque calcolati)
Totale:59 /60


Bene, la storia mi piace. Si vede che hai messo tutta te stessa nella storia, hai usato il pacchetto perfettamente, l’uso del promt era molto originale, e anche la citazione era usata bene! Inoltre hai eseguito alla lettera ciò che era richiesto nel contest. Un eccellente lavoro se non fosse stato per gli errori di battitura, erano più o meno una decina, ma dato che erano errori di battitura (non di distrazione, non grammaticali…di battitura) ho preferito colcolarteli come 1 in totale. O meglio, avendo segnalato ogni errore come 0,1, il numero degli errori era 1,2, ma 0,2 punti contano poco, quindi ho preferito toglierli. Se non fosse stato per questi avresti preso un punto in più, ma il risultato è ottimo, la storia mi è piaciuta veramente tanto. Un’altra cosa che ti ha impedito di prendere il massimo è stato il cambio del pacchetto.





   
 
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