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Autore: mulljngar    31/12/2013    0 recensioni
A volte hai solamente bisogno di qualcuno che ti capisca, che ti stia accanto, che ti sorregga, che ti aiuti, che ti faccia capire che non sei così terribile come credi.
Due adolescenti tanto diversi ma tanto uguali. Due adolescenti che scappano dal mondo, dalla società, da tutto ciò che li circonda, ma da soli non ci riescono. Tentano di farlo insieme, tentano di saltare muri e sfondare i muri che li circondano, di cercare la felicità, scoprire che esiste e raggiungerla insieme, mano nella mano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fuori pioveva. Le giornate a Boston erano spesso piovose in inverno. L'albero di natale dentro il bar illuminava tutta la stanza regalando un'aria natalizia, che quest'anno, neanche mi sembrava di aver sentito ancora. Eppure era il 24 Dicembre.
L'amaro sapore del caffè mi provocò un brivido lungo tutta la schiena e mi riscaldò dentro, appoggiai la tazzina sul tavolo di legno e guardai fuori dalla finestra; persone che vanno, persone che vengono, persone che si odiano, persone che si amano, persone felici, ma soprattutto, persone tristi. Lo si vedeva dai loro occhi. Si, ho sempre avuto questa specie di sesto senso che tante persone non hanno, riconosco se qualcuno è triste o felice veramente o meno, sarà che sono una persona molto profonda e osservando gli occhi della gente riesco a capire anche il loro, di profondo. E quella gente era triste. Le persone avevano gli occhi spenti, stanchi di chi non aveva più voglia di lottare. Ma c'erano anche quelli felici, e bhe, buon per loro, io non lo ero.
Storsi leggermente la bocca e tornai a sorseggiare il mio caffè. Tanto, si sa, quando ti metti a pensare, vai a finire sempre nei guai.
Quel giorno ero particolarmente triste, perché lei non c'era. Forse era solo perché, essendo la vigilia, doveva stare in famiglia o che ne so dove, ma comunque la sua mancanza si faceva sentire, e nemmeno poco. Si erano fatte ormai le 17,00 quando decisi di tornarmene a casa. Fuori pioveva ancora più forte di prima ma non mi importava, nessun temporale poteva competere con la tempesta che avevo dentro di me.


***


“Mari, come mi sta?” Alzai gli occhi dal cellulare e osservai il vestito nero che stava perfettamente sul corpo di Elisa, e pensai che lei era bellissima. Era magra, con le curve al posto giusto, senza un minimo di grasso, con un seno abbastanza pronunciato ed un viso mozzafiato: era mora con dei capelli lunghi e ricci, gli occhi neri e profondi e un sorriso senza neanche un difetto.. era perfetta. E pensai anche che a me un vestito del genere sarebbe stato malissimo, con il corpo che mi ritrovavo, con tutte le mie imperfezioni..
“Compralo subito, è.. okay.” Sorrisi.
Tornai a guardare il cellulare senza neanche sentire che cosa mi aveva risposto; sinceramente, non mi andava di sentire i suoi “Lo so di essere bella” e star li come una fessa a guardarla ed invidiarla.

“Mari adesso dobbiamo trovarlo a te il vestito. Quale ti piace?” Sbuffai e iniziai ad osservare i vestiti appesi senza neanche dargli attenzione, tanto sapevo come sarebbe andata a finire.
“Questo.” Ne afferrai uno blu scuro, stretto solo nella parte del seno e poi più largo. Lei lo guardò per un pò e fece di no con la testa.
“Senti, tanto lo sai che non indosso queste cose, neanche per la festa di capodanno, mi metterò i jeans e una felpa, come sempre.Ti ho dovuta accompagnare tutto il pomeriggio ed ora, per favore, lasciami in pace.” Dissi avviandomi verso l'uscita di quello stupido negozio e lasciando la mia matrigna a bocca aperta.

Camminavo a testa bassa per le strade deserte di Boston senza meta, e quando non ne avevo una andavo sempre a rifinire nel bar. Nel mio bar. Perchè ero tanto affezionata a quella struttura? Bhe, mio zio ci lavorava e poi dovette venderlo perché si ammalò gravemente e non era più in grado di tenerlo. Passò molti mesi in ospedale e poi morì. Ero molto affezionata a lui, era l'unico della mia famiglia che poteva capirmi. Quando andavo lì, in un certo senso, mi sembrava di essere al sicuro tra le sue braccia, nella sua casa o comunque in un luogo sicuro dove nessuno poteva farmi del male. Prendevo la mia solita cioccolata calda o il caffè macchiato e leggevo “La ragazza di Bube” nel mio solito posticino vicino al vetro.
Eccola, l'insegna del bar, affrettai il passo, stava per cominciare a piovere di nuovo, quando incantata ad osservare quell'insegna blu andai a sbattere contro qualcosa. Qualcuno.
“Oddio scusa, mi dispiace, sono la solita imbranata e..” Due occhi verdi scuri mi osservarono ed io abbassai subito lo sguardo.
  
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