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Autore: Love_in_idleness    24/05/2008    1 recensioni
Due storie diverse intrecciate tra loro per una strana, irresistibile Legge delle Ambivalenze.
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ambivalenze 19

Un po' più in ritardo di quel che pensavo, comunque ---


Mercoledì undici Aprile

Una retrospezione dalla parte di Hansi – un orologio che non funziona bene; una finestra sul cortile ed uno strano senso di agitazione. Una parola Fine molto perentoria.

I.

Erano quasi le due di mattina, e mi chiedevo dove potesse essere per ritardare così tanto rispetto alla sua solita ora. Non mi aveva nemmeno chiamato. Non mi aveva avvisato. Nulla di nulla. Mi aveva lasciato solo in balia della preoccupazione, della rabbia e di quello strano, pungente presentimento che diceva: ora non tornerà più, è stanco.
Guardavo l’orologio con insistenza ogni minuto, e mi sembrava che il tempo, in quell’assurda dilatazione non scorresse mai e non lo riportasse mai da me. I battiti scanditi e ripetuti ossessivamente mi facevano impazzire – un secondo, un secondo in meno e lui sarà da te - un secondo in più in cui lui sarà lontano da te.
Perché forse non sarebbe mai tornato.
Quell’orologio non funzionava correttamente, pensai ad un certo punto. C’era una frattura, una discrepanza netta tra il mio tempo interno che aveva vissuto una giornata intera e quello segnato nel quadrante rotondo che continuava a ticchettare con noncuranza i suoi secondi nervosi, spossanti, eterni. Doveva esserci uno sbaglio, una demarcazione tra la mia percezione interiore ed il mondo. O stavo diventando pazzo per colpa di Die.
Gliel’avevo detto io di non rincasare. Avevo gridato con la stessa ferocia di tutti i giorni che lo odiavo e che non volevo più vederlo, ed allora era perfettamente naturale che fosse ancora fuori. Non era nemmeno casa sua. Era una sensazione strana, essere gelosi di una persona che quotidianamente cercavo di convincermi valere poco per me, ma che sapevo essere fondamentale. Me ne stavo seduto sul divano grigio e guardavo l’orologio, e poi la finestra, e poi di nuovo l’orologio. Il cielo si era appena imbrunito, disperdendo le nuvole rosa e rosse in una pozza profonda di blu – quel colore che non è ancora il buio denso ed impenetrabile, ma una tinta che possiede una certa lucentezza elettrica, come sospesa al confine tra notte e giorno, punteggiata del chiarore di stelle.
Mi alzai, agitato. Scostai il tendaggio della finestra e osservai con attenzione il cortile illuminato dai lampioni. Non mi resi conto di quanto tempo stetti a meditare in quella posizione, né di cosa pensai, perché ogni mia immaginazione viaggiava per un verso inspiegabile. Ogni tanto, sulla via lastricata che conduceva alla strada, passava una persona. Io la studiavo attentamente cercando di distinguere nell’oscurità sempre più fitta i contorni confusi di Die che si stava avvicinando, che stava per aprire la porta e salire le scale e ritornare. Ma non era mai lui. Erano mille volti indefiniti e sconosciuti che si perdevano nella nebbia della mia memoria e nella tristezza della mia posizione vigile, nascosta, curva su se stessa in una sorta di muta colpevolezza.
Intanto era passata un’ora nella mia più completa confusione. Avevo provato a fare di tutto – a leggere, ad ascoltare musica, a rivedere i miei spartiti, a ritirare le cose che avevo lasciato in disordine, eppure ogni volta mi sentivo stanco, mi afflosciavo su una sedia e riprendevo il mio snervante percorso tra l’orologio e la finestra.
Odiavo sentirmi così male. Odiavo capire di essere preoccupato per lui. Odiavo questo senso di attesa indicibile, fremente, inspiegabile, e la debolezza nella quale mi faceva precipitare. Odiavo sprecare ore preziose della mia vita davanti ad una finestra, cercando di scorgere il volto di una persona che forse non sarebbe mai arrivata. Odiavo sentirmi sconfitto per aver perso il controllo. Ma sopra a tutto odiavo Die che mi faceva stare così male senza nemmeno accorgersene, senza nemmeno preoccuparsene.
“Stupido orgoglio. Stupido, maledetto, impossibile orgoglio.” Parlavo da solo. “Se quell’idiota pensa che me ne starò qui tutta la sera a macerarmi per lui si sbaglia davvero.”
Presi il giubbotto ed uscii per le strade silenziose.

II.

Il viale era buio, e di tanto in tanto la luce artificiale di un lampione si apriva una breccia contro il mio viso. Anche se era ormai primavera inoltrata, quella stagione delicata come un sussurro e leggera, fresca, dipinta di colori tenui e soffusi, io non potevo che sentirmi nero e pieno di  rabbia. L’aria fredda della notte mi batteva sul volto. Non sapevo nemmeno dove stavo camminando. Erano le tre del mattino, la Città era addormentata sotto la sua coperta meravigliosa di stelle, e forse io ero l’unica anima inquieta che non riusciva a trovare uno spazio per sé, un luogo dove fermarsi a riposare.
Mi fermai su una panchina sospesa al centro di un paesaggio deserto. In quello spiazzo c’erano molti alberi ed un prato verde che probabilmente la mattina dopo si sarebbe risvegliato come tutti gli esseri sui quali la primavera posa il suo sguardo.
Quella scena di pace e quiete notturna mi riportò alla mente una sera che avevo trascorso con Die in riva al mare, in un posto che frequentavo da bambino e che conservavo nel mio cuore come un piccolo rifugio segreto. Non sapevo perché, ma un giorno avevo deciso di voler condividere quello spazio personalissimo ed intimo con lui. Forse era stato uno sbaglio. All’inizio mi era sembrato un momento  nel quale entrambi raggiungevamo uno stato superiore – nel quale non esistevano più le brutture del nostro rapporto. Sapevo cosa rischiavo conducendolo laggiù: gli mostravo il mio mondo e lasciavo che lui vi penetrasse. Avrebbe potuto schiantarlo, distruggerlo, bruciarlo, ed ero stato io a consegnargli la chiave, a mostrargli la porticina scavata nell’essenza più taciuta di me stesso. Una mia piccola follia romantica. Perché c’erano dei momenti in cui pensavo veramente di essere pazzo di lui, di amarlo, di volerlo alla follia. Ma allora – allora ero stanco anch’io, ero stremato dalle nostre lotte quotidiane, dalla vanità e dall’inconsistenza del nostro rapporto.
Quella notte lui mi aveva detto che ero la rosa del Piccolo Principe. Me lo ricordo ancora, e lo ricorderò per sempre come uno dei momenti più belli trascorsi assieme a lui, perché non posso negare di aver sfiorato, in certi istanti, il paradiso. Eppure anche quell’effimera illusione era sfocata con le luci del mattino, quando, tornando a casa, spezzando la magia del tempo che ci preservava in quell’aurea situazione, avevamo ripreso a litigare come prima.
Avrei voluto non averlo mai rincontrato. Avrei voluto, quella sera di molti mesi prima, ignorarlo, passargli oltre senza degnarlo di uno sguardo, dimenticarmi della sua presenza. Avevo già sbarrato quel sentiero. Perché ci ero ritornato? Per farmi del male? Avevo complicato una situazione perfetta, rendendola impossibile. Ora lui transitava nella mia vita e abusava della mia pazienza. Io l’avevo riportato a tanto. In fondo me l’ero cercata.
Ma stavo per cedere. La diga che conteneva i miei sentimenti, la mia rabbia, il mio dolore, la mia stanchezza, presto sarebbe stata distrutta da un colpo improvviso, ed avrebbe lasciato dilagare il me stesso angry young man senza poterlo fermare.
Allora, presupponevo, ci sarebbe stata una nuova parola Fine. Quella perentoria, decisiva, indiscutibile. Disperata.                                                       

 III.

Le luci erano accese quando tornai a casa. Die doveva essere appena arrivato, perché si stava ancora spogliando. Lo guardai in controluce mentre si sfilava la camicia macchiata di vino rosso e la lasciava cadere per terra con la sua solita fastidiosa noncuranza. Mi guardò dalla specchiera mentre entravo in camera da letto e non disse una parola. Nemmeno una singola sillaba di giustificazione. Eppure ero certo che leggesse molte domande sul mio volto. Mi avvicinai per primo e mi lasciai cadere sulla poltrona.
“Hansi, non dovresti andare in giro a quest’ora del mattino da solo.”
“Mi pare che non fossi l’unico.”
“Io non ero solo.” Me lo rinfacciò con un sorrisino pieno di sprezzo e di falsità. 
“E con chi eri, di grazia?”
“Con i miei amici. I miei compagni di corso. Festeggiavamo.” Sapeva quanto mi desse fastidio di parlare non solo del suo corso, ma anche dei suoi compagni di corso.
“Cosa festeggiavi?”
“Il mio ultimo esame.”
“Scusa?”
“Sì, l’ultimo esame!” Me lo diceva con una soddisfazione che mi lasciò spiazzato. “Prima della discussione della tesi.”
Sbattei gli occhi un paio di volte prima di ribattere. “Ah.” Non sapevo cosa rispondere. “Potevi dirmelo. Potevi dirmi dove andavi. O almeno, potevi dirmi che –“ Ero tremendamente dispiaciuto. Anzi, mi sentivo come calpestato, stracciato, disfatto. Mi aveva sfoderato un colpo in pieno stomaco. Sentivo ancora il bruciore di quelle parole taglienti proferite con tanta subdola meschinità.
“Hansi, ma tu odii che io ti parli di questi argomenti!”
Forse si aspettava una reazione. Non risposi nemmeno. Mi sentivo improvvisamente stanco e pervaso da un grande senso di vuoto. Voltai semplicemente le spalle ed uscii da quella camera improvvisamente buia e fredda.
Seduto sul divano della sala, pensai che era stato davvero, davvero crudele. Non solo aveva fatto una cosa che deprecavo, e questo, in fondo, nonostante tutte le mie urla ed i miei insulti, potevo anche lasciarlo passare. L’aveva fatto senza dirmi niente, tacendo con l’intento preciso di farmi del male. Il mio ragazzo si laureava, festeggiava coi suoi amici, e io nemmeno lo sapevo. Mi sembrava grottesco e terribile allo stesso tempo. Io mi sentivo completamente disarmato. Non avevo nemmeno l’intenzione di tornare in camera per vederlo lontano un milione di chilometri col suo sorriso di vittoria stampato sulla faccia.
- Che stupido, - Mi dissi. – Ti sei innamorato. Ma è troppo tardi. -
Passai tutto il resto della notte sveglio tra il divano e la finestra, mentre lui dormiva senza preoccuparsi di niente, chiedendomi perché dovesse essere così spietato e perché tutto andasse così stupidamente al contrario.

 

*

Buongiorno Signori Ascoltatori! Sono cautamente felice, oggi, forse ritornerà il sole e finalmente posseggo l'intera discografia di Hanoi Rocks. Ne sono in-na-mo-ra-ta. Mi dilungherei milioni di righe ma ho rotto il tasto spaziatura e separare le parole sta diventando una sofferenza... 

Ringraziamenti:

Manny-chan: Don't cry,Manny, don't cry [and dont'you cryyyyyyyyy tonight...]! Eccoti un capitolo dal finale assolutamente amaro per ripristinare l'Equilibrio Cosmico...

Chloe90: Scusa se ti ho tenuto sulle spine per così tanto, eccoti il nuovo capitolo, sperando[boh.non.va.più.del.tutto...scusa.il.disordine]dicevo,sperando.non.la.prendi.come.una.tragedia...

Scusate.l'inconveniente,Non.so.come.farò.d'ora.in.avanti.Sostituire.questo.pezzo.è.estremamente.difficile...

Kisses_
Martina


   
 
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