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Autore: FALLEN99    02/01/2014    3 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~Capitolo 5.

– Perché quello era Alek Bás ed è l’incarnazione di tutto ciò da cui è meglio stare alla larga.
Le parole di Shannon continuavano a rimbombarle senza sosta nella testa, rimbalzandole nel cranio come una cantilena lugubre e inquietante.
Amalia tremò e sentì un brivido scavarle a fondo nella carne, privandola del tepore del piumone, a cui era avvinghiata dalla sera precedente.
“Stargli alla larga. È quello che ho provato a fare finora, ma sembra che lui...Alek…o come diavolo si chiama, spunti sempre fuori nei momenti meno prevedibili, cogliendomi di sorpresa e innescando nella mia testa un’esplosione di ceca ira.” Rifletté Amalia, il cuore che le pompava a mille nelle orecchie, aggiungendo il suono dei suoi battiti a quello della frase di Shannon.
I pensieri le affollavano la mente come corsi d’acqua impazziti, ed Amalia rischiava di annegare dentro di essi se non li avesse confinati in una spessa diga, chiamata sonno.
Si premette il cuscino sulla testa ed eliminò – o almeno ci provò – Alek e Shannon dai suoi pensieri.
Sentiva i grilli cantare in lontananza e i rombi delle auto sfrecciare fuori dalla finestra, che inondavano ogni dieci secondi la sua stanza con la luce dei loro fanali.
Frustrata, Amalia si tirò a sedere, constatando anche senza uno specchio di non aver mai avuto aspetto peggiore. I ricci erano un grumo scuro e appiccicoso sulla sua schiena, mentre gli occhi erano segnati di profonde occhiaie.
“Tanto non mi deve vedere nessuno…” si disse, mandando al diavolo l’idea di sua madre si essere sempre impeccabili. A qualsiasi ora del giorno o della notte, la donna sembrava conservare un aspetto fresco e riposato, quasi passasse tutto il suo tempo seduta su una sedia, isolata da qualsiasi cosa potesse intaccare la sua immacolata perfezione.
Eureka, sin da quando Amalia era piccola, le aveva insegnato l’arte di prendersi cura di se stessa.
Amalia ricordava ancora quando la madre le pettinava i lunghi capelli davanti allo specchio della loro vecchia casa, in California, districando i nodi che li stringevano.
Ogni notte, prima di andare a letto, Eureka ripeteva quel rituale prima sulla figlia e poi su se stessa. Quasi morbosamente.
Amalia rammentò di una sera in cui le aveva chiesto il motivo di quella strana usanza, ed Eureka le aveva risposto  che non ci si deve mai far trovare vulnerabili. La cura di se stessi è la prima arma per difendersi. Curare se stessi vuol dire rendersi più belli e forti, creare una barriera col mondo esterno. Bellezza vuol dire difesa.
Eureka aveva poi interrotto la frase a metà, suscitando la curiosità di un’Amalia di appena sette anni.
“Altrimenti che succede?”  aveva chiesto , girandosi e fissandola nei grandi occhi di ghiaccio, uguali ai suoi.
Eureka non aveva risposto ed  aveva continuato a pettinarle i capelli, guardando la propria immagine riflessa nello specchio.
“Sei ancora troppo piccola per sapere queste cose, Amalia” le aveva quindi risposto, non tirando mai più fuori l’argomento.
Amalia riemerse dai ricordi e si ficcò quasi con violenza le cuffie dell’iPod nelle orecchie, mentre la musica di Let her go dei Passenger confinava i suoi pensieri e li eliminava, assorbendoli dentro di sé.
 
Amalia varcò la soglia del laboratorio di chimica più assonnata di quanto non lo fosse il vecchio bidello che ogni mattina spolverava stancamente i corridoi.
Nelle orecchie aveva ancora la musica dei Passenger, che le pulsava nelle testa a mille decibel, frastornandola più di quanto non lo era già.
Si trascinò stancamente verso uno dei banconi posti a scacchiera per il laboratorio. Ne scelse uno nell’angolo a destra, coperto parzialmente dalla cappa di quello davanti; doveva risultare il meno visibile possibile al professore, almeno non l’avrebbe richiamata se schiacciava un innocuo pisolino.
Sbatté la borsa sul piano di lavoro del bancone e prese posto svogliatamente sullo sgabello metallico, talmente gelido che Amalia sobbalzò al contatto.
Il suo sguardo vagava per il laboratorio nel vano tentativo di identificare il contenuto all’interno delle ampolle trasparenti disposte sui banconi. Amalia non era mai stata una cima in chimica, eppure si aspettava di riconoscere almeno una delle sostanze presenti in quella stanza, cosa che non accadde.
Sbuffando  si accasciò sul bancone, utilizzando la borsa come cuscino improvvisato. Il buio calò sui suoi occhi e ne prese possesso, vincolando Amalia ad uno stato di dormiveglia da cui uscì nell’esatto istante in cui sentì qualcuno sedersi allo sgabello a fianco al suo.
Si irrigidì e, con la bocca ancora impastata dal sonno, tentò di non risultare un invertebrato agli occhi della ragazza che la stava fissando dall’alto del suo metro e settanta.
– Amalia Lizbeth Jones, ci si rincontra. – disse, la voce acuta e irritante.
Amalia si sentì trapassare da quello sguardo, che la trafiggeva come una spada affilatissima.
– Quale onore…– ironizzò Amalia, distogliendo gli occhi da quelli di Shannon, che sembrava aver ignorato la sua
La coordinatrice dispose sul bancone un raccoglitore lindo e ordinato, suddiviso in diverse categorie contrassegnate da un’etichetta di un colore diverso per ciascuna.
Amalia si sentì ancora più insignificante. La sicurezza di Shannon eclissava di gran lunga la sua, facendola risultare una bambina di quattro anni al suo primo giorno d’asilo.
Sembrava che la ragazza possedesse in sé una spavalderia tale da far sì che tutto che le stava  attorno risultasse facile e sempre alla sua portata.
L’entrata di una donna sulla sessantina interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendo i suoi occhi a convergere verso quella che sembrava una cattedra, su cui la donna aveva disposto la sua borsa a tracolla.
Un sorriso tirato le incurvò le labbra. – Buon giorno ragazzi. Quest’oggi procederemo con un nuovo esperimento, di cui voglio la relazione scritta. – esordì, gli occhi che scattavano come dardi da ragazzo a ragazzo, senza trovare alcuna differenza.
Ma quando le sue iridi castane arrivarono a Shannon, si fermarono, puntandola come due spilli.
– Shannon, cara, come mai non ti sei seduta ai primi banchi come sempre?–  le chiese, stupita.
Shannon prese un lungo sospiro. – Oggi volevo aiutare la nuova studentessa, Amalia Jones, che, a quanto dice il suo curriculum scolastico, non era molto brillante in questa materia. – rispose, una luce strana negli occhi.
Tutti i presenti guardarono Amalia per istanti che le parvero eterni, ma poi la loro attenzione fu attirata dalla voce della professoressa, che alzò il pollice ossuto a Shannon.
–  Sei sempre una studentessa modello, anche quando si tratta di tendere una mano agli altri.– le sorrise e passò rapidamente alla spiegazione dell’esperimento de giorno.
– Vedo che oltre la coordinatrice degli studenti sei anche la cocca dei prof. – asserì Amalia qualche istante più tardi.
Shannon non sembrò per niente infastidita, anzi, addirittura sorride. – Giusta osservazione, Jones.– rispose senza guardarla; i suoi occhi erano fissi sulla professoressa, avidi della sua spiegazione, di cui non volevano perdersi nemmeno un dettaglio.
– In questa scuola quei ruoli qualcuno se li deve pur prendere.– disse poi, suscitando nella lingua tagliente di Amalia una rapida risposta.
– Infatti in ogni scuola c’è sempre una rompi palle di turno.
Shannon represse con violenza la risatina sarcastica che le stava crescendo in gola.
–E anche una disadattata.
Quell’ultima frecciatina velenosa la lasciò senza parole, congelandole la lingua in una prigione in  cui le era impossibile emettere alcun suono.
– Ragazzi ora è meglio indossare le maschere, la reazione chimica che si creerà potrebbe danneggiare i vostri occhi. –  disse la professoressa, indossando anch’essa la sua.
Shannon eseguì l’ordine e legò anche i lunghi capelli rossi in una coda di cavallo che ondeggiava ad ogni suo movimento.
Amali guardò titubante l’oggetto bianco che aveva davanti, riuscendo ad indossarlo solo qualche minuto più tardi, spinta dalle occhiatacce di Shannon.
– Versate lentamente il bicarbonato. Mi raccomando, non troppo velocemente altrimenti la reazione risulterà incontrollabile.– li redarguì la Clarks.
Shannon fece scivolare la polvere bianco all’interno dell’ampolla con la sostanza azzurra che Amalia non era stata in grado di riconoscere prima.
– Vedi, Amalia, in questa scuola oltre alle rompi palle ci sono anche delle regole– asserì Shannon, catturando la sua attenzione – E queste regole vanno rispettate. A qualsiasi costo. – il tono che stava usando risultava inquietante ogni istante di più.
–  Vuoi sapere la prima, Amalia?– chiese, ma quella domanda non aveva per niente l’aria di necessitare una conferma.
Amalia deglutì, tentando di scacciare il nodo opprimente che si era formato attorno alla sua gola da quando Shannon aveva preso a parlare.
Annuì senza nemmeno rendersene conto, mentre sentiva la viscerale esigenza di conoscere la risposta.
– Non entrare in contatto con persone che potrebbero scatenare reazioni incontrollabili. Persone  che sono l’emblema di ciò da cui è meglio stare alla larga.
Mentre parlava, il bicarbonato scivolava sempre più velocemente nell’ampolla, formando una leggera nebbiolina che si stava gonfiando a dismisura.
– Sai benissimo di chi sto parlando. Alek Bás è il solito figo con il sorriso sexy, ma non hai nemmeno la vaga idea di cosa si nasconde dietro di esso.
Amalia indietreggiò, allertata: la nebbiolina era diventata delle dimensioni di un pallone da calcio, e i suoi rami candidi avevano cominciato a espandersi sul bancone, divorando qualsiasi cosa capitasse loro davanti.
– Tu e lui dovete stare divisi.
Amalia trasse un lungo sospiro e provò a contrabettere, fermando quel monologo che stava generando.
– Ma Shannon, io ne avevo tutta l’intenzione. Solamente che quel fantoccio spunta fuori quando meno me lo aspetto...
Shannon la zittì con un colpo secco della mano.
– Se entrate in collisione, questo è quello che succederà.
Non appena Shannon finì di proferire parola, la bolla di nebbia esplose, inonando il laboratorio con i suoi tentacoli lattiginosi e facendo arrivare ad Amalia quel messaggio molto più chiaramente del previsto.
Amalia + Alek = boom.

 
   
 
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