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Autore: Cassidy_Redwyne    03/01/2014    5 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Qualche settimana dopo, non particolarmente memorabile se non per la quantità di compiti e interrogazioni che i professori concentrarono negli stessi giorni in vista delle vacanze natalizie, iniziarono i preparativi per il tanto atteso ballo d'inverno.

Quella mattina mi svegliai di colpo nell'udire non la sveglia, ma un'altrettanto familiare musica esotica. Dopo qualche secondo di totale scombussolamento, capii. Era la mia suoneria.

Grugnii, il viso premuto contro il cuscino, e allungai alla cieca un braccio verso il comodino, alla ricerca del cellulare. Nell'impresa caddero con un gran fracasso l'abat-jour, la sveglia – quella vera – la bottiglia dell'acqua, un paio di libri, i miei fazzoletti e fu un vero miracolo se riuscii ad afferrare il telefono prima di svegliare tutte quante.

«Pronto?» biascicai, assonnata. Chi cavolo poteva essere, a quell'ora?

«Ti ho appena svegliata, eh?»

«Ah, Geoooooooorge.» Mi scappò uno sbadiglio, mentre realizzavo il perché di quell'insolita telefonata. Li avevo invitati al ballo. Giusto.

«Ci sono novità?» chiesi, d'un tratto più attenta.

«Ebbene sì!» fece lui, in tono teatrale. «Cam ed io possiamo venire alla festa. Leo purtroppo no, per l'appunto è impegnato con la famiglia proprio in quei giorni.»

«Mi dispiace molto per Leo!» mormorai, sinceramente amareggiata. Lo avrei rivisto molto volentieri, e poi avevo un'intera scuola piena di segreti da mostrargli! «Ma sono davvero contenta che voi due ci siate.»

Mi sistemai con qualche difficoltà i capelli dietro le orecchie, che in quel momento dovevano assomigliare più ad un cespuglio, e feci un respiro profondo, per prepararmi psicologicamente alla prossima domanda.

«Quell'idiota si è fatto sentire?»

Il telefono, per tutta risposta, gracchiò. George, dall'altra parte, stava ridacchiando sommessamente.

«Sì, gli ho telefonato e diciamo pure che mi ha sbranato. Stava facendo un allenamento e la suoneria ha spaventato il suo ronzino» borbottò. «Ha detto che ci avrebbe pensato, ma ti dico la verità, Kia, dal tono di voce non mi sembrava molto convinto.»

«Fa lo stesso. Grazie per esserti sacrificato per me, Geo!» scherzai. «Dai un bacio a Camila da parte mia. No, dai, non essere geloso!» Risi forte nell'udire le sue finte proteste. «Allora ci vediamo alla festa!»

Riattaccai con il sorriso sulle labbra. Poi abbassai lo sguardo sul pavimento e il sorriso svanì.

Sospirando, appoggiai il cellulare sul comodino e mi apprestai a raccogliere tutto ciò che avevo fatto cadere mentre tentavo di rispondere alla telefonata.

Poco dopo il trillo della sveglia buttò giù dal letto anche le altre tre.

«Ho il torcicollo» annunciò Beth, ancora intontita, mentre tentava di stirarsi con scarso successo. Nel fare un movimento falso emise un verso animalesco che mi fece accapponare la pelle.

«Tutto bene?» domandai, voltandomi verso di lei che, non potendo annuire per via del collo bloccato, si limitò a farmi il pollice in su.

«Come mai sei già sveglia, Kia?» mi chiese Angie, dopo essersi stropicciata gli occhi, vedendomi china sul pavimento.

«Mi ha chiamata George» spiegai, alzandomi in piedi dopo aver raccolto tutto e recuperando la divisa scolastica dall'armadio.

«Inutile dire che ho sentito tutta la vostra conversazione» borbottò Arianna, che si stava avviando verso il bagno. «Comunque sono contenta che i tuoi amici possano venire.»

Le sorrisi. «Tu hai invitato qualcuno?»

Lei si limitò a scuotere la testa, prima di chiudere la porta.

«Chi? Chi può venire?» intervenne Beth, eccitata.

«Camila e George» spiegai, sorridendo.

Lei fece per esultare, ma nel gesto mosse di nuovo il collo e per il dolore replicò di nuovo quell'orribile verso. Con nostro grande piacere.

«Beth, ti prego!» protestò Angie, lanciandole un cuscino.

 

Mentre ci avviavamo in classe, dopo la colazione, un gruppo di ragazzine nel corridoio indicò Arianna, provocando immediatamente un coro di risatine e sguardi a metà tra l'incantato e l'invidioso.

La nostra amica tirò dritto, lo sguardo fisso davanti a sé come se non esistesse nient'altro che la porta della nostra classe. Ammiravo i suoi nervi saldi e il suo senso di impassibilità totale, che però non facevano che aumentare il suo stuolo di ammiratori. E ammiratrici.

Se prima Arianna non passava inosservata per i corridoi della scuola, infatti, dopo il bacio con Lucas alla partita la cosa era quadruplicata. Non c'era passo che facesse che non provocasse parole d'ammirazione o di gelosia, risatine, malelingue e commenti sottovoce.

Anche se agli occhi di tutti i due sembravano già la coppia del secolo, Arianna ci aveva detto che, nonostante il loro bacio e il fatto che ogni tanto uscissero insieme, lei e Lucas non erano impegnati: la ragazza infatti era ancora incerta sul da farsi. Ipotizzai che i sentimenti contrastanti che provava per Jake, adesso all'estero, continuassero a turbarla.

Giunti in classe, notammo che i banchi erano stati uniti e sistemati al centro, a formare un grande piano di lavoro, sul quale i ragazzi stavano preparando le decorazioni per la festa.

In vista del ballo, che si sarebbe tenuto in palestra, le lezioni erano ormai piuttosto rare e di solito passavamo le ore a preparare festoni e decorazioni di carta o in pan di zenzero, tutte ovviamente a tema invernale e natalizio. Ogni classe era adibita ad uno scopo diverso e la nostra era dedicata alla creazione di striscioni, ma non eravamo vincolati dalle sezioni ed ognuno di noi era libero di dedicarsi a ciò che preferiva.

Vedendoci la Rooth, la professoressa di arte, ci assegnò subito qualcosa da fare.

Maledissi la limitata perspicacia della donna quando mi spedì ad aiutare Shadow con uno striscione dai bordi già segnati da colorare di rosso e di verde. 

E, a giudicare dalla sua grandezza, probabilmente ci avremmo messo un'eternità.

«Tieni» mi disse lui, porgendomi un pennarello rosso.

Lo ringraziai, quindi ci mettemmo all'opera.

Anche se di norma preferivo tenermi alla larga da lui, mi ero accorta che dopo la partita Shadow era tornato quello di sempre. Non sembrava turbato da me, anzi, scherzava e sorrideva come suo solito, ma senza apparenti secondi fini. Tutto ciò mi lasciava perplessa perché, nonostante me lo ripromettessi ogni volta, non avevo ancora trovato la giusta occasione per chiarire l'episodio della festa e dirgli la verità una volta per tutte.

Quando finalmente finimmo di colorare, dopo quello che mi sembrò un secolo, consegnammo lo striscione alla professoressa Rooth. Mentre il ragazzo cercava qualcos'altro da fare, ne approfittai per dare una rapida occhiata agli altri.

Lucas era riuscito a distinguersi come suo solito e, mentre i ragazzi coloravano scrupolosamente gli striscioni assegnati loro, aveva fatto cadere sul pavimento le puntine con cui avremmo dovuto appenderli alle pareti, e adesso tutti camminavano come fossero stati su un campo minato.

Arianna, accanto a lui, lo stava sgridando.

«Complimenti, Lucas!» borbottò. «Dai, aiutami a raccoglierle.»

Fece per chinarsi in ginocchio ma, con un rapidissimo movimento, lui la bloccò un attimo prima che la ragazza si inginocchiasse sopra una puntina.

La mia amica arrossì, ancora stretta tra le sue braccia, e ovviamente non fui l'unica ad accorgermi di quello che stava accadendo fra loro. In un attimo tutti i riflettori erano puntati su Lucas e Arianna, come se ci fossimo trovati al cinema. Notai che persino la Rooth, in un angolo della classe, stava seguendo la scena con malcelato interesse.

«I riflessi pronti di un giocatore di pallacanestro» fece lui, strizzandole l'occhio, ed entrambi ridacchiarono. 

Arianna ne approfittò per allontanarsi appena, ma mi accorsi che Lucas continuava a tenerle una mano su un fianco e che lei non ne sembrava affatto infastidita.

Scossi la testa, sorridendo tra me e me. Se Arianna rideva, poteva davvero accadere di tutto: non mi sarei stupita meno se di lì a poco avessi visto atterrare un'astronave nel cortile.

Quanto ad Angie e Night, erano stati entrambi reclutati da una professoressa che stava facendo il giro delle classi per cercare persone che se la cavassero ai fornelli. Adesso erano in un'altra sezione a preparare il pan di zenzero per le decorazioni natalizie e mi chiesi cosa stessero combinando laggiù, se fossero tranquilli o più probabilmente si stessero prendendo a pugni come loro solito, scandalizzando gli altri ragazzi.

Beth invece, così come Arianna, era rimasta con me a decorare cartelloni nella nostra classe. Lei e Ben ne avevano finito di colorare uno e lo avevano appeso, ma poco dopo quel precisino del suo compagno di banco le aveva fatto notare un'imprecisione e aveva costretto la mia amica a correggerla. Le modalità, però, erano state piuttosto bizzarre: dal momento che, pur salendo su una sedia, Beth non arrivava al cartellone e la Rooth aveva proibito loro di tirarlo giù dalla parete per non perdere ulteriore tempo, la mia amica era salita sulle spalle di Ben e, sorretta dal ragazzo, si era messa a colorare la parte poco precisa in quella posizione. Oltretutto, data la sua mobilità da novantenne per via del collo intorpidito, Beth stava facendo una gran fatica.

Mentre la mia amica faceva le ultime rifiniture, tutta concentrata, Adam – che si era rifiutato di aiutarli, perché ce l'avrebbe fatta alla grande, essendo alto da solo il doppio dei due ragazzi – non mancò di commentare maliziosamente la loro posizione e qualcuno dei nostri compagni si bloccò a fissarli e ridacchiò.

Beth non si voltò neanche, per principio o forse perché impedita dal torcicollo, e si limitò a borbottare qualcosa di indecifrabile, mentre Ben, punto nel vivo, voltò di scatto la testa.

«Stammi a sentire, sottospecie di gorilla, Beth ed io siamo solo amici» ribatté, innervosito al punto che il tono gli andò in falsetto. «Nel mio cuore, infatti, c'è spazio solo per...» 

Si bloccò di colpo, arrossendo fino alla radice dei capelli, e tutti noi ci voltammo a fissarlo.

«...ERIC!» esclamò, indicando un ragazzo dai corti capelli castani che, ignaro di tutto, stava prendendo una confezione di colori da un armadietto a parete.

Nell'udire il suo nome il suddetto, di cui dubitavo fortemente l'omosessualità, lasciò cadere il barattolo a terra, sconcertato.

Beth, che aveva lanciato uno strillo quando Ben l'aveva sorretta per un attimo con una sola mano, adesso stava per avere una delle sue solite overdose di romanticismo, a giudicare da come si agitava tutta gongolante sulle spalle dell'amico.

«Beth! Così mi fai perdere l'equilibrio! BETH!»

Ridacchiai appena e poi, vedendo che Shadow aveva trovato un altro cartellone da decorare, mi avviai verso di lui.

****

Angie si arrotolò le maniche fino ai gomiti e sospirò stancamente.

Chissà come se la stanno cavando le altre, pensò, dandosi un'occhiata intorno.

Conosceva la classe in cui si trovavano, spaziosa e dal soffitto alto, perché molto tempo prima, in occasione di una delle innumerevoli punizioni che lei e Night avevano dovuto scontare, aveva avuto modo di pulirla. Se non ricordava male, era la sezione F.

Fruste, mattarelli e altri utensili da cucina erano sparsi dappertutto, nell'aria si respirava un forte odore di cannella e i banchi, uniti a due a due, erano tutti impolverati di farina, al punto che non sembrava neanche più di trovarsi in una classe, ma in una pasticceria.

I ragazzi erano divisi in coppie e impastavano di buona lena, ed Angie lanciò uno sguardo di sottecchi al compagno che malauguratamente le era toccato, ancora incredula dal fatto di trovarlo lì.

Infatti, quando poco prima una professoressa che non aveva mai visto, la Foster – così aveva detto di chiamarsi – aveva fatto irruzione nella loro classe, domandando se qualcuno sapesse cucinare, aveva alzato la mano e, con orrore, aveva visto che Night fare lo stesso.

«Mi annoio» borbottò, più a se stessa che a lui, fissando il suo impasto con aria assente.

Accanto a lei, sul banco, un foglietto tutto infarinato, che la professoressa aveva consegnato a tutti i ragazzi prima di iniziare, le ricordava quali ingredienti mancavano ancora all'appello. 

Burro, giusto devo ancora metterci il burro.

«Hai finito di contemplare il vuoto?» fece Night, schizzandole volutamente il volto con una manciata di farina.

Angie soffocò la tentazione di dargli il mattarello sul cranio e, senza neanche pulirsi, si limitò ad afferrare il panetto di burro in un angolo del banco, lo aprì ed iniziò a tagliarlo rapidamente a dadini.

Quando ebbe finito, si rivolse a Night. «Non sapevo fossi uno chef» commentò malignamente. «Allora sai anche fare qualcosa di utile, nella tua vita.»

Night inizialmente non replicò, tutto intento a rompere il guscio di un uovo sul bordo della sua terrina, per poi svuotarlo al centro dell'impasto, che aveva versato sul piano di lavoro a formare una fontana.

«Sta' zitta, Gonnellina al Vento

«Mi annoio» ripeté lei, strofinandosi la fronte con il polso, ma ricordandosi troppo tardi di avere le mani completamente infarinate.

Fece per afferrare un fazzoletto dal banco, ma urtò la frusta che, prima di cadere a terra, descrisse un arco nell'aria e le schizzò di pasta il volto e il grembiule. A quel punto sospirò afflitta e Night, che aveva assistito alla scena ad occhi sgranati, scoppiò a ridere.

Lei lo ignorò, chinandosi per raccogliere la frusta, ma non abbastanza in fretta per non notare il ragazzo che, dopo aver afferrato un altro uovo, adesso ne stava lisciando la superficie con aria meditabonda.

«Ma non ne serviva solo uno, di uov...» era sul punto di chiedere, perché così le era parso di aver letto sul foglietto, ma si interruppe di colpo quando sentì chiaramente qualcosa di liquido e vischioso colarle sui capelli, sulla fronte, poi sugli occhi e sulle labbra, ed esplose in uno strillo.

Tutti gli altri ragazzi sollevarono lo sguardo nella sua direzione ed assunsero un'espressione inorridita. Nella confusione che scoppiò quando la videro, sentì indistintamente qualcuno che si affrettava a chiamare la professoressa Foster.

«NIGHT!» gridò lei, con voce rotta.

«Oops» commentò lui innocentemente, mentre la ragazza tentava di liberarsi dall'uovo che continuava a colarle sulla faccia, mescolandosi alle poche lacrime che non era riuscita a trattenere.

Si stropicciò gli occhi ma, più cercava di liberarsene, più l'albume continuava a colarle sulle palpebre. Sarebbe volentieri scoppiata in singhiozzi, ma non avrebbe dato a Night la soddisfazione di vederla disperata a quel punto.

La professoressa Foster le si avvicinò, preoccupata, seguita dagli altri ragazzi.

«Tesoro, ma è uovo questo? Come hai...»

«Mentre raccoglieva la frusta da terra mi ha urtato, ed io gliel'ho rovesciato addosso. È stato un incidente» si affrettò a spiegare Night, senza dare alla ragazza tempo di aprire bocca. «La porto subito a sciacquarsi» aggiunse, trascinandola fuori dalla porta.

Giunti in corridoio, lui si slacciò rapidamente il grembiule e lo passò ad Angie che, in un silenzio tombale, si ripulì alla bell'e meglio il volto sporco d'uovo.

I ricci capelli biondi erano tutti appiccicosi e continuavano a gocciolare, per cui la ragazza si fece una sorta turbante con il grembiule.

Ed è solo questione di tempo prima che inizino a puzzare, pensò con rabbia, voltandosi verso Night, pronta ad apostrofarlo con una bestemmia, un'offesa, un'imprecazione, qualsiasi cosa ma, prima che lei avesse il tempo di aprire bocca, lui la anticipò.

«Contenta? Così hai smesso di annoiarti» esclamò, facendo una buffa espressione, a metà tra una smorfia ed un sorriso.

Angie deglutì a vuoto. Era Night, quello?

Percepì i battiti del suo cuore accelerare di colpo e sperò profondamente di non essere arrossita, quando una disgustosa parte di tuorlo le colò sul collo, facendola tornare bruscamente alla realtà. Dove Night, prima di farla imbarazzare con i suoi sorrisi sghembi, le aveva rotto un uovo sul cranio.

«Sei uno stronzo» sibilò, afferrandolo per un braccio e trascinandolo con forza lungo il corridoio, mentre il ragazzo tentava invano di sottrarsi alla sua stretta.

«Che fai?» domandò, confuso.

«Adesso mi aiuti.»

****

«Dichiarare la sua omosessualità ed il suo amore per Eric, ma non è romantico?» fece Beth, sospirando con aria sognante.

Non si era ancora del tutto ripresa dall'episodio di poco prima e, probabilmente, neanche Eric.

«Già, Ben è stato dolcissimo» convenni, sorridendo. «Anche se è un miracolo che l'amore della sua vita non sia morto sul colpo» aggiunsi e mi ritornò in mente il volto scioccato del povero Eric, mentre attraversavamo fianco a fianco il corridoio semideserto.

Beth trattenne a stento una risata.

Avevamo chiesto alla professoressa Rooth di poter andare in bagno e ne stavamo approfittando per prenderci una pausa e riposarci un po'. Non che si faticasse molto, comunque.

Stavamo per imboccare la porta del bagno delle ragazze, quando notai Beth irrigidirsi di colpo. 

Stavo per chiederle se ci fosse qualcosa che non andava, ma poi scorsi una figura uscire dal bagno dei maschi, vicino al nostro, e serrai istintivamente i pugni. John.

Lanciai di sbieco uno sguardo alla mia amica, la cui espressione ai miei occhi era come un libro aperto, e scossi leggermente la testa.

Diamine Beth, ma perché proprio lui?

«Vi lascio soli» annunciai e Beth si voltò di scatto verso di me, rivolgendomi uno sguardo di muto terrore.

«Un giorno mi ringrazierai» le bisbigliai, dandole un colpetto sulla spalla, per poi fare dietrofront e avviarmi in bagno, sempre osservando Beth con la coda dell'occhio, che si stava timidamente avvicinando al ragazzo.

In quella posizione, però, non vidi chi stava venendo nella mia direzione e mi ci scontrai violentemente.

«Ahi! Ma che...» Alzai gli occhi, massaggiandomi la testa, ma mi zittii di colpo.

A ricambiare il mio sguardo era stato il ragazzo biondo platino che aveva fatto vincere la nostra squadra insieme a Lucas, alla partita.

Draco!

Aveva un'espressione strana e, osservando di striscio il corridoio dal quale proveniva, con un tuffo al cuore mi resi conto di conoscerlo bene. Era cieco e non c'erano altro che la presidenza e lo sgabuzzino dei custodi dove avevo ascoltato la criptica conversazione della preside, quel pomeriggio d'autunno. La porta dello stanzino era aperta e si muoveva ancora, segno che qualcuno era stato lì da poco.

Gli piantai gli occhi in faccia. «Cosa stavi facendo?»

Lui mi fissò, sorpreso. «Cos'è, un interrogatorio?»

Tra me e me, realizzai che non aveva poi tutti i torti. Ma cosa mi era saltato in mente? Solo perché io avevo usato quel posto per origliare la preside, non era detto che lo facesse chiunque.

«Comunque stavo prendendo uno straccio. Scusa, ma ora devo proprio andare» si affrettò poi ad aggiungere il biondo, superandomi ed allontanandosi a grandi passi.

Lo seguii con lo sguardo e realizzai che forse i miei sospetti non erano del tutto infondati.

Inarcando un sopracciglio, infatti, non potei fare a meno di notare che in mano il ragazzo non aveva nessuno straccio.

 

«Ciao» mormorò Beth, avvicinandosi un poco.

John la scrutò, rimanendo in silenzio.

«Guarda che ti ho salutato» borbottò la ragazza, contrita.

«E allora?» fece lui, come se non avesse sentito.

«Be', sarebbe carino ricevere una risposta» mugugnò lei, con una punta di risentimento.

Il ragazzo levò gli occhi al cielo. «C-I-A-O» sillabò. «Contenta adesso?»

Beth scosse la testa con rassegnazione. Poi, non sapendo cos'altro aggiungere, si limitò a fissarsi le scarpe, imbarazzata.

«Ci vai al ballo?» domandò John dopo un poco.

Sorpresa, lei alzò di scatto la testa e annuì.

«Anche io, purtroppo» rispose lui, contrariato.

Beth prese il coraggio a due mani e domandò, mordicchiandosi il labbro inferiore: «Ci vai con qualcuno?»

John sospirò, scrollando le spalle. «È Annie che mi ha costretto a venire, quindi ci vado con lei.»

Nascondere l'immediata delusione non fu semplice, ma Beth ci provò con tutte le sue forze. Ancora meno semplice fu soffocare l'istintivo odio che provò verso Annie, che l'aveva preceduta. 

Non mi interessa. Non mi interessa un accidente se ci va con Annie, perché non mi interessa lui, pensò, nel tentativo di auto convincersi.

«Bene» disse infine, dopo una pausa un po' troppo lunga.

Approfittando del fatto che un ragazzo biondo stesse venendo verso di loro, John si avvicinò pericolosamente a lei per farlo passare.

Beth continuava a fissarsi i piedi, non avendo il coraggio di guardarlo in faccia, e il ragazzo forse se ne accorse, perché allungò una mano e le sollevò delicatamente il mento, affinché si fissassero negli occhi.

Quando lo sguardo della ragazza incontrò gli occhi color petrolio di lui, accadde quella che ormai era diventata una consuetudine: il suo cuore scalpitò impazzito nel petto e solo inutilmente Beth cercò di abbassare di nuovo la testa. Niente da fare, il ragazzo glielo impediva.

«Ehi... va tutto bene?» bisbigliò lui.

Il cervello della ragazza però era in tilt, troppo occupato a pensare Troppovicinitroppovicinitroppovicini per poter recepire qualsiasi altro segnale.

«È inutile che tu me lo nasconda.» Troppovicinitroppovicini. «Lo so che...»

Le guance di Beth si fecero improvvisamente color porpora.

Ecco, se n'è accorto.

«...ti vedi con la preside, di recente» concluse e la ragazza, colta alla sprovvista, rimase a bocca aperta. «Cazzo, però così suona davvero male» aggiunse poi lui, grattandosi la testa.

Beth aprì la bocca e la richiuse, senza essere in grado di dire una parola. Tutto si aspettava, fuorché quello! E poi, come diamine faceva a...

«Beccata!» Notando la sua espressione colpevole, lui si allontanò di qualche passo, con un ghigno sul volto che non le piacque per niente.

«Tu c-cosa...» balbettò lei, alla disperata ricerca di una frase sensata. Le pareva di avere il cervello in poltiglia.

«Devo andare, mocciosa. Alla prossima!»

John si allontanò ridacchiando, lasciandola sola, con la mente affollata da pensieri.

Fece un paio di respiri profondi, cercando di far tornare il battito alla normalità. Quando la tachicardia fu passata, cercò di fare mentalmente tabula rasa di ciò che era appena successo, sperando in cuor suo che il ragazzo non decidesse di spifferare in giro i fatti suoi.

La conversazione, la loro improvvisa vicinanza, la rivelazione di John riguardo quella cosa ed il suo conseguente shock lasciarono sgombra la sua mente a fatica, ma c'era una cosa, un pensiero fisso, che proprio non riusciva a scacciare e continuava a farla ribollire dalla rabbia.

Annie. Annie. ANNIE.

Strinse i pugni e d'un tratto provò una furia incontrollabile. Si augurò che Kia non decidesse di uscire dal bagno proprio in quel momento, o probabilmente si sarebbe trovata con un occhio nero e qualche dente in meno.

Allora è così che si sente Angie prima di una rissa?

Soffocò un urlo e, a costo di sfogarsi, tirò con tutte le sue forze un pugno al muro che, ovviamente, non cedette di un millimetro.

 

«BETH! Ma che cosa ti sei fatta?»

Uscita dal bagno, mi attendeva uno spettacolo surreale. Beth, con un'espressione incredula quasi al pari della mia, si stava fissando la mano, le cui nocche erano irriconoscibili per via del sangue che, lento ma implacabile, continuava a colarle fra le dita e cadeva a terra in piccole gocce.

«Beth!» gridai, avvicinandomi di corsa. «È stato John a farti questo?»

Lei scosse piano la testa, poi indicò con un cenno un punto oltre la mia spalla. Mi voltai e, senza riuscire a credere ai miei occhi, vidi le impronte del pugno insanguinato di Beth impresse contro il muro bianco.

«Penso di aver sclerato» mormorò allora lei, con voce flebile.

Non sapevo se essere più preoccupata o furiosa.

«Niente di rotto?» domandai infine, osservando la situazione e sforzandomi di rimanere impassibile di fronte a tutto quel sangue, per non agitare la mia amica.

Le nocche erano tutte sbucciate ma, almeno a prima vista, non mi sembrava niente di grave.

Lei mosse piano la mano, facendo una leggera smorfia, ma le dita si flessero senza alcun problema. Tirammo all'unisono un sospiro di sollievo.

«Che ne dici, prolunghiamo il giretto passando dall'infermeria?» proposi, sorridendole.

Lei si asciugò gli occhi lucidi con la mano sana e fece sì con la testa.

«Certo che oggi non te ne va bene una! Prima il torcicollo, poi questo» dissi, e lei ridacchiò.

Preferii non indagare sul perché avesse improvvisamente deciso di prendersela con il muro, dato che avevo il fugace sospetto che quell'idiota di John c'entrasse qualcosa. Non ero del tutto sicura sull'influenza più o meno positiva che quel ragazzo aveva su Beth ma, visto l'umore mogio di lei, preferii soprassedere.

«Certo che dobbiamo inventarci una scusa credibile, con la Rooth» aggiunsi, pensierosa.

«In effetti sarebbe imbarazzante dirle che ho fatto a botte con il muro.»

«Angie sarebbe così fiera di te!» esclamai, fingendo di asciugarmi una lacrima.

****

«Abbiamo le docce comuni, sul serio?» domandò Angie, incredula. Quella scuola non avrebbe mai smesso di sorprenderla.

Night le stava camminando velocemente davanti e non si voltò. Inizialmente non rispose neanche, tanto che la ragazza pensò che non avesse sentito.

«Già» rispose infine, dopo quella che le parve un'eternità, con un tono stranamente cupo persino per uno come Night, che la fece rabbrividire.

L'ingresso delle docce era in fondo alle aule, posto in penombra, non troppo lontano dalla sezione in cui lei e Night stavano cucinando.

Varcarono l'ingresso senza porte e, davanti a lei, su un pavimento piastrellato, si profilò una triste e lunga fila di docce tutte uguali con un'altrettanto triste tendina grigia davanti.

Il luogo era semibuio ed immerso nel più religioso dei silenzi.

Angie si strinse nella divisa inzaccherata, scossa da un improvviso brivido. Quel posto non le piaceva per niente.

«So che non sembra» mormorò Night, e la sua voce rimbombò nelle docce deserte. «Ma, prima che decidessero di aggiungere il bagno nella camere, questo era un posto perennemente affollato.»

Le aveva dato le spalle per avvicinarsi ad una delle tendine e, passandovi il dito sopra, quello si coprì subito di polvere.

«Adesso credo che nessuno ci metta più piede. Gli studenti più giovani non sanno neanche della loro esistenza» continuò, in tono criptico. «In effetti, forse non dovremmo stare qui.»

Angie sbuffò. Crede forse di spaventarmi?

«Ma perché non le usano più?» non poté trattenersi dal chiedere.

Night rimase in silenzio. I suoi occhi si fecero velati, persi nei ricordi, ed Angie capì che non le avrebbe dato una risposta. Ma, in ogni caso, non era del tutto sicura di volerla conoscere.

Attese in silenzio, picchiettando la punta della scarpa sulle piastrelle.

«L'acqua dovrebbe funzionare» esclamò Night bruscamente, riprendendosi. «Va' a lavarti quei capelli luridi, Gonnellina al Vento

«Luridi per colpa di chi?» borbottò lei, sospirando.

Si parò davanti ad una della tante docce e scostò la tendina, sollevando un cumulo di polvere che la fece tossire. 

Dietro la tenda vi era uno spettacolo sudicio a tal punto che i deboli di stomaco probabilmente non avrebbero retto. Nel vedere lo spesso strato di sporco sul pavimento, la ragazza si lasciò sfuggire un gemito.

Giuro che, se adesso spuntano gli scarafaggi dallo scarico, vomito.

«Ah, tieni questo.» Night sollevò la tendina e le allungò una bustina di shampoo.

«Allontanati, razza di maiale» lo schernì lei, chiedendosi in un secondo momento da dove diavolo Night avesse tirato fuori una bustina di shampoo. La afferrò sgarbatamente e gli richiuse la tendina in faccia. Ma poi, dopo averle dato un'occhiata di sfuggita, un altro gemito le sfuggì di bocca.

Sulla bustina era raffigurato un unicorno rampante. Ma che diavolo...?

Night doveva aver sentito i suoi lamenti, perché si affrettò a spiegare: «Non farti strane idee. È di mia sorella.»

Oh, immagino sia di tua sorella anche quello che tieni nascosto in camera tua, pensò Angie, e dovette mordersi la lingua per non parlare. Avrebbe chiesto spiegazioni a Shadow al più presto.

Relegando gli unicorni in un angolo della mente, la ragazza fece per sollevarsi la maglia, ma d'un tratto si bloccò, sospettosa.

«Sei lontano, vero?» mormorò, tendendo l'orecchio.

Il ragazzo non disse nulla, ma dal sospiro incazzato che Angie udì in risposta doveva essere pressappoco un paio di docce più avanti.

A quel punto la ragazza tirò un sospiro di sollievo e si sentì libera di sfilarsi la maglia. Rimasta in reggiseno, si legò la camicia in vita e aprì l'acqua e la bustina di shampoo.

Però, profuma di fragola.

Dopo un gorgoglio sommesso che per un attimo le fece temere il peggio, l'acqua cominciò a scendere. Pulita, notò Angie con sollievo. Regolò rapidamente la temperatura e, quando le parve abbastanza tiepida, si parò dietro il getto, di fronte alla tenda – per fermare Night in caso di aggressioni – e mise il capo sotto l'acqua, attenta a non schizzarsi ulteriormente.

Cominciò a sciacquarsi e, man mano che vedeva i disgustosi resti dell'uovo scorrere via nello scarico e sentiva i capelli tornare morbidi fra le sue dita, la ragazza iniziò a rilassarsi.

Ma, anche se più distesa, in cuor suo non poteva ancora dirsi tranquilla, perché non poteva ignorare la presenza di Night poco più avanti, mentre lei era lì, indifesa e mezza nuda nella doccia.

È un idiota, ma non si abbasserebbe mai a questi livelli, pensò e quel pensiero bastò a convincerla.

Si fece due rapidi lavaggi con lo shampoo dell'unicorno – davvero ottimo, fu costretta ad ammettere – completando la meticolosa operazione con un lungo risciacquo finale.

Mentre finiva di lavarsi, il getto d'acqua smise improvvisamente di scorrere.

Stupita, Angie sollevò il capo e il sangue le si gelò nelle vene quando incontrò lo sguardo di Night, ad un passo dal suo viso. Le sue guance presero fuoco.

Il ragazzo aveva chiuso il rubinetto per farle alzare la testa ed Angie fece appena in tempo a realizzare che era senza maglia, con i capelli ancor più bagnati di prima e le tette in bella vista, che Night la spinse contro la parete gelida della doccia e la baciò.

Presa alla sprovvista, la ragazza rimase senza fiato, ma non oppose alcuna resistenza. 

Cogliendola di sorpresa nell'unico momento in cui aveva abbassato la guardia, Night era riuscito a far sì che per una volta non avesse il tempo di ribattere.

E, in effetti, lei di ribattere non aveva alcuna intenzione. Anzi, doveva ammettere che Night non baciava affatto male ed in altre circostanze avrebbe anche potuto pensare di godersi quel momento, ma non con il rubinetto fastidiosamente puntato nella schiena e il seno praticamente nudo schiacciato contro il suo petto. No.

Night continuava a baciarla ma, quando il fastidio del rubinetto premuto contro la sua spina dorsale divenne dolore, Angie tentò invano di allontanarsi: la stretta del ragazzo era ferrea, così non le rimase altro che inarcare la schiena, finendogli ancora più attaccata. Se non altro adesso il dolore era sopportabile, ma la situazione era diventata piuttosto equivoca.

«Perché ti spalmi così addosso a me?» ansimò lui contro il suo orecchio, staccandosi un attimo dalle sue labbra. «Tutto d'un tratto ti sei addolcita?»

A malincuore, Angie si rese che la voce di lui che le bisbigliava all'orecchio le provocava brividi ovunque. Quando sentì che il ragazzo dall'orecchio stava scendendo a baciarle il collo, si impose di non gettare il capo all'indietro e tentò di darsi un contegno.

«Non mi sono addolcita affatto... è che... che... questo rubinetto mi sta uccidendo» tentò di replicare, allontanandolo a fatica da lei.

Night si staccò, ansimante, il viso più bagnato del suo, ed Angie si affrettò a coprirsi faticosamente il petto con le braccia, anche se lui non sembrava prestargli alcuna attenzione e continuava a fissarla intensamente negli occhi.

«E adesso» esordì Angie, schiarendosi la voce, «lasciam...»

Ma non riuscì a concludere un bel niente, perché l'attimo dopo le labbra del ragazzo furono nuovamente sulle sue.

Questa volta lui la schiacciò alla parete con tutto il suo peso e alla ragazza mancò il respiro per un attimo, seguito da una lancinante fitta alla schiena.

Dio, maledetto rubinetto!

Cercò di ignorare il dolore, concentrandosi sulla bocca di lui, che ormai sembrava essere diventata un tutt'uno con la sua, tant'è che Angie schiuse le labbra senza esitazione quando Night approfondì gradualmente il bacio.

Entrambi erano fradici e ansimanti, mentre il ragazzo cercava di restare in piedi a fatica, sul pavimento bagnato e sdrucciolevole.

Angie sentiva le mani di lui fra i suoi capelli, sul collo e, non ancora soddisfatta, lo attirò a sé, circondandogli il collo con le braccia. Mentre ogni tensione tra loro sembrava essere svanita, finirono nuovamente entrambi sulla parete, alla ricerca di un precario equilibrio.

Angie percepì un'altra fitta di dolore, ma si sforzò di ignorarla. Senza pensarci, mentre lui continuava a baciarla come insaziabile, nell'assecondare i suoi movimenti lei mosse il rubinetto in senso orario con la schiena e aprì l'acqua, che investì Night in pieno.

Lui si allontanò con uno scatto, ma scivolò sul bagnato e quasi cadde sul pavimento, infradiciandosi sempre di più con gli schizzi mentre tentava di riacquistare l'equilibrio.

Angie non si bagnò, poiché era dietro il getto dell'acqua e, nell'osservare Night che ondeggiava e mulinava le braccia come un pattinatore alle prime armi, soffocò a stento una risata.

«Ti...ti dispiacerebbe chiudere il rubinetto?» borbottò lui, a denti stretti.

La ragazza smise all'istante di ridere e obbedì. A quel punto Night, raggiunta una certa stabilità, si appoggiò con un braccio alla parete, immobile e fradicio come un cane bagnato, lo sguardo fisso sul pavimento.

Angie rimase in silenzio a fissarlo, a braccia conserte. Dopo quello che era successo, neanche il fatto di trovarsi mezza nuda davanti a lui sembrava turbarla più di tanto.

L'aveva baciata. E come l'aveva baciata!

Ci teneva a lei, allora? O, più probabilmente, il suo era solo un patetico tentativo di convincerla ad andare al ballo con lui, per poter continuare quella stupida recita?

Angie non ebbe bisogno di riflettere oltre. Si avvicinò al ragazzo, che non aveva ancora proferito una parola, e gli afferrò il mento con un gesto non troppo aggraziato per costringerlo a fissarla negli occhi. Lo lasciò solo quando i loro sguardi si furono incrociati e, a quel punto, Angie provvide a nascondere le sue grazie per l'ennesima volta.

«Puoi anche smetterla di coprirti, tanto ho già visto tutto quel che c'era da vedere» le fece notare lui, con un sorrisetto. «E non mi dispiac...»

«Sta' zitto» sibilò lei, fulminandolo con lo sguardo mentre, suo malgrado, le guance le si imporporavano. «Sappi soltanto che io non cambio idea» continuò molto lentamente, senza mai smettere di guardarlo.

Non ci fu bisogno di specificare alcunché: Night sembrava aver capito benissimo.

Quindi la ragazza lo superò con slancio, a testa alta e sicura di sé, pronta per un'uscita di scena memorabile con cui dargli il colpo di grazia, ma scivolò sul bagnato e, dopo una mossa da aeroplano in caduta libera, si stampò rumorosamente sul pavimento della doccia.

Per tutta risposta, Night ridacchiò sommessamente.

La ragazza, fradicia ma tutta intera, si alzò in piedi a fatica e, sforzandosi di ignorarlo, uscì come se nulla fosse, ricordandosi solo all'ultimo momento di indossare la camicia. Fradicia pure quella.

 

Gérard stava facendo il suo solito giro di ricognizione all'interno dell'istituto.

Aveva appena ripreso una coppietta di studenti che, seminascosta vicino all'ingresso della scuola, si stava quasi letteralmente mangiando l'un l'altro.

L'uomo sospirò, vagamente disgustato al ricordo. In ogni caso, ormai ci stava facendo il callo: episodi come quello accadevano quotidianamente e non poteva che essere altrimenti, con tutti gli ormoni che quei ragazzi avevano in corpo.

Mentre camminava stancamente lungo il corridoio deserto, si imbatté in quella che riconobbe come la ragazza di Night, dai lunghi ricci biondi e, notò il custode con un certo stupore, la divisa fradicia. Si accorse anche che, a dispetto del viso ovale e dai lineamenti delicati, la giovane aveva un'aria infuriata. Come sempre, del resto.

Fu tentato di fermarla per chiederle come fosse finita in quello stato e magari farle una ramanzina ma, vedendo da dove partivano le impronte delle sue scarpe bagnate, Gérard si sentì gelare il sangue e nient'altro lo distolse dal dirigersi lì.

Mentre si avviava a passo spedito verso le docce, il cuore che iniziava inevitabilmente a martellargli nel petto, gli sembrò di rivivere la stessa scena di sei anni prima. Solo che, al posto delle urla disperate, ci fu solo il silenzio ad accoglierlo quando ebbe superato l'ingresso.

«Chi c'è?» domandò con voce alterata.

La sua voce rimbombò tra le pareti apparentemente deserte. Una parte di lui non voleva addentrarsi in quel posto, memore di ciò che vi era accaduto, ma alla fine azzardò qualche passo in avanti. Forse la ragazza aveva picchiato qualcuno lì, che adesso poteva aver bisogno d'aiuto.

«Chi c'è?» ripeté aspramente, guardandosi intorno. Le docce però sembravano in perfetto ordine.

«Gérard...?»

All'improvviso l'uomo udì una voce fievole e si bloccò, riconoscendola. Dopo un momento, da una delle docce uscì Night, malfermo sulle gambe e fradicio dalla testa ai piedi.

Gérard rimase a bocca aperta. Per un attimo al suo posto vide la figura di un'altra persona, ma si affrettò a scuotere la testa e tornare alla realtà.

«Night! Ma che ci fai qui?» Il suo tono era cambiato immediatamente. Da furioso qual'era appena entrato, si avvicinò preoccupato al ragazzo.

Lui gli fece un sorriso mesto. «È una lunga storia...»

****

Beth ed io ci stavamo lanciando cuscini da un letto all'altro, in piedi, io in mutande, lei senza maglia, quando Angie fece il suo ingresso in camera.

Eravamo troppo occupate a ridere come matte, saltando come delle bambine sulle coperte, che nessuna delle due, pur avendola vista entrare, la degnò di un'ulteriore sguardo.

Angie non dovette gradire, a giudicare da come si mise a sbraitare.

«RAGAZZE!»

Tutte e due ci voltammo verso di lei, zittendoci di colpo.

«Vi rendete conto che siete mezze nude e con la porta socchiusa?!» tuonò.

Beth si fece d'un tratto pensierosa. «Ah... ecco come hai fatto ad entrare.»

Angie levò con esasperazione gli occhi al cielo. «QUALCUNO POTEVA VEDERVI!» gridò istericamente l'attimo dopo, facendoci prendere un infarto.

«Meglio» commentò l'altra, accennando un sorriso malizioso.

«Beth!» La spinsi in avanti, facendola cadere a faccia in giù sul letto. 

La sentii ridere a crepapelle e ridacchiai a mia volta.

«Come sei audace! Così ci scandalizzi...» la presi in giro ma, a giudicare dall'espressione di Angie, probabilmente la mora doveva averla scandalizzata sul serio.

«Angie, come mai sei così nervosa?» domandai, lanciandole uno sguardo preoccupato, notando confusa che aveva la divisa dell'uniforme tutta bagnata.

«IO NON SONO NERVOSA!» urlò lei, serrando i pugni. Poi si rivolse bruscamente a Beth: «E tu, non avevi il torcicollo?»

Lei sollevò il capo dal letto, i capelli tutti scompigliati sparsi sulla fronte. «Sono andata in infermeria... per questo» borbottò, alzando la mano con cui aveva colpito il muro, che adesso era ricoperta da un'ingente fasciatura. «E, già che c'ero, mi hanno aiutata anche con il collo.»

«E alla mano? Che ti sei fatta?» continuò Angie, con lo stesso sgarbo.

Beth evitò di rispondere, replicando invece: «A me, comunque, sembri nervosa eccome. È forse successo qualcosa con Night?»

Pensai che fosse lecito chiederlo: dopotutto, nove volte su dieci, l'umore nero di Angie derivava da una litigata o uno scontro con lui.

«Non vi sarete forse... baciati?» scherzai, notando un vago rossore sulle guance di lei quando Beth ebbe pronunciato il nome del ragazzo.

Mi sedetti sul bordo letto, guardandola con l'aria di chi la sa lunga.

«COME FAI A SAPERLO?» esclamò Angie di scatto.

«Intuito» risposi, strizzandole l'occhio.

Dentro di me dovetti fare uno sforzo titanico per non scoppiarle a ridere in faccia. Avevo tirato ad indovinare, tanto per farle infuriare un po', ed invece...

Beth fissava Angie con gli occhi sgranati. «Allora è vero?!» domandò, incuriosita.

«Voi. VOI. VOI...»

«È vero» commentammo Beth ed io all'unisono, lanciandoci uno sguardo d'intesa.

«Sì... è vero» ammise Angie, lasciandosi cadere sul suo letto con un sospiro.

«A proposito... come mai sei tutta bagnata?» le chiesi, osservando con più attenzione la sua camicia fradicia. «Ti conviene stenderla ad asciugare un po', tanto è acqua.»

«Siamo sicuri che sia acqua?» mormorò Beth, maliziosa. «Magari non si sono solo baciati...»

«Dio Beth, che schifo!» risposi, lanciandole un cuscino che le mancò di poco il volto. «Ma che ti prende, oggi?»

Dal canto suo, Angie rimase immobile, a faccia in giù, il viso nascosto dal cuscino. Non proferì più una parola e, vedendola così giù di morale, Beth ed io preferimmo non insistere e dopo un po', contagiate dal suo atteggiamento, tornammo in silenzio sui nostri rispettivi letti.

Udimmo nuovamente la voce di Angie dopo quella che mi parve un'eternità.

«Quasi quasi invito mio fratello Nathan alla festa.»

«Ah sì?» feci io, percependo finalmente un po' di entusiasmo nel suo tono di voce.

La ragazza sporse un braccio per afferrare il cellulare dal comodino e, dopo essere tornata comoda sul letto, iniziò a scrivere.

«Sì, lui le adora! E poi si trova ad Edimburgo, quindi non gli sarà difficile venire» spiegò e mi rasserenai nel vederla sorridere.

Mentre Beth ed Angie chiacchieravano dei turbolenti fratelli di lei, io mi sdraiai sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, intenta a riflettere su un pensiero che aveva improvvisamente fatto capolino nella mia mente.

«Pensavo una cosa» dissi dopo un po', tornando seduta.

«Sì?» esclamò Beth, sollevando il capo.

«Uhm?» grugnì Angie, bloccandosi un attimo dallo scrivere.

«Stavo pensando che... noi siamo abbastanza diverse, adesso» dissi, e loro annuirono. «Come pensate che reagiranno i nostri genitori?» domandai, improvvisamente turbata.

«Diremo loro che siamo cresciute» borbottò Angie, scrollando le spalle.

«Be'... che il periodo che abbiamo passato qui ci ha rese più mature... in tutti i sensi!» scherzò Beth.

«Ragazze, seriamente!» sbottai.

Non mi ero mai fermata a pensarci ma, adesso che saremmo tornate a casa per le vacanze natalizie, non riuscivo a immaginare quali sarebbero state le reazioni delle nostre famiglie nel vederci così.

«Kia, tranquilla...!» mormorò Beth, che parve sul punto di aggiungere qualcosa come "Non fare come Angie!" ma, dopo aver lanciato uno sguardo di sottecchi alla ragazza, che nel frattempo aveva ripreso a scrivere, parve ripensarci. «E poi, ricordati che abbiamo sempre Arianna come alibi. Lei dopotutto non è cambiata di una virgola. È già perfetta di suo!»

«Ma se ha un petto che è una tavola...» commentò Angie, quasi fra sé.

«Tra la sua prima e la tua quinta, ci vorrebbe una via di mezzo» disse Beth, lanciandomi uno sguardo di solidarietà dal suo letto, ed Angie le fece una linguaccia.

«Non capisco perché ai maschi debbano piacere così tanto le tette» mugugnai, pensando d'istinto a Luke: probabilmente adesso, vedendomi, avrebbe pensato che mi fossi fatta un intervento di chirurgia plastica.

Notai con la coda dell'occhio che, dopo il mio commento, Angie era arrossita vistosamente e mi chiesi il perché di quella reazione.

«A proposito, dov'è Arianna?» fece lei, affrettandosi a cambiare argomento. «Mi sembrava che si stesse un po' troppo bene, in camera.»

«Ci raggiunge per pranzo» risposi, ignorando il suo tono canzonatorio. «L'hanno trattenuta per rifinire i dettagli di alcuni cartelloni, in palestra.»

«Avevano bisogno di una precisina!» spiegò Beth, ridendo.

****

Arianna camminava spedita sul sentiero diretto a scuola, accompagnata da un vento fastidioso che le scompigliava i lunghi capelli, facendoli volare in tutte le direzioni. Cominciava a fare fresco e lei si maledì per essere uscita senza cappotto.

E sono in ritardo per il pranzo.

La professoressa Rooth le aveva spacciato ciò che doveva fare in palestra come un lavoretto da poco ed invece era rimasta bloccata lì, insieme ad altre malcapitate come lei, per almeno mezz'ora, a colorare ogni dettaglio di quegli insulsi cartelloni.

Mentre rovistava nello zaino alla ricerca di un elastico, si imbatté in un pennarello che evidentemente credeva soltanto di aver ridato alla Rooth, prima di andarsene. Per un attimo le balenò in mente l'idea di riportarlo indietro, ma poi scrollò le spalle e proseguì lungo il vialetto. Un pennarello blu in più o in meno non avrebbe certo fatto la differenza.

L'unica cosa vagamente interessante che aveva udito in palestra, da una ragazza di un paio d'anni più grande di lei, era che, in vista del ballo, una professoressa avrebbe portato chi lo desiderava in un borgo vicino Alnwick a fare compere. Le aveva raccontato che, a dispetto del piccolo paesino, nel centro storico c'era un bellissimo negozio di vestiti in cui ogni anno le studentesse lasciavano a cuor leggero le proprie paghette. Arianna era davvero curiosa di dargli un'occhiata.

Camminando lungo la stradina, le parve d'intravedere un ragazzo moro intento suonare la chitarra, in un angolo della pineta, ma non gli prestò molta attenzione e proseguì a passo svelto.

Dopo un altro paio di metri realizzò con sollievo che, oltrepassato il campo da basket, sarebbe finalmente arrivata. Nel superarlo velocemente, l'occhio le cadde per un attimo su una figura tutta intenta a fare canestri e alla ragazza venne quasi un infarto quando si accorse che si trattava di Lucas.

Si bloccò di scatto, gli occhi fissi su di lui come ipnotizzata e, dopo un momento di indecisione, si avvicinò all'entrata del campo per fargli un saluto.

Al diavolo il pranzo!

Lucas non l'aveva vista, concentrato com'era nel palleggiare, e lei fece per attirare la sua attenzione, quando le parve che il ragazzo avesse detto qualcosa. Dopo un attimo di perplessità, si accorse che non se l'era immaginato. 

Lucas stava parlando. 

Da solo.

Preoccupante.

Dalla sua posizione non riusciva a capire che cosa stesse dicendo, per cui, vinta dalla curiosità, entrò di soppiatto nel campo, cercando di non farsi notare. Non fu difficile, comunque: Lucas era del tutto preso da ciò che stava facendo e non alzò un attimo gli occhi dal pallone.

Lei lo osservò con una sottile curiosità compiere un paio di palleggi, seguiti un mezzo giro con cui si posizionò a centrocampo, dando le spalle al canestro.

La ragazza si avvicinò ancora, sentendo che il ragazzo aveva ripreso a chiacchierare, ma rimase pietrificata quando udì che cosa stava dicendo.

«Se faccio canestro... chiedo ad Arianna di mettersi con me.»

Il cuore di Arianna perse un battito. Poi Lucas tirò ed accadde tutto in una frazione di secondo. Il pallone che volava nella sua direzione, lei che lo vedeva venire verso di sé senza che fosse in grado di reagire, di muoversi, tantomeno di allontanarsi, il cuore che le martellava nel petto e la palla che la colpiva in pieno volto.

«Arianna!»

La voce spaventata di Lucas la riscosse. La ragazza lo vide confusamente correre verso di lei, preoccupato, mentre la testa continuava a girarle.

«Tutto bene? Ti fa male? Mi dispiace moltissimo!» domandò, senza neanche prendere fiato tra una frase e l'altra. «Ma che ci fai qui?» aggiunse poi perplesso, dopo un momento.

Mmn... Ti stavo spiando?, pensò lei, evitando accuratamente di dirglielo, non ritenendola nella top ten delle migliori motivazioni.

Si massaggiò la testa, constatando che non le era successo nulla – se il colpo le fosse arrivato sul naso, a quell'ora probabilmente avrebbe già perso conoscenza – e si chinò a raccogliere il pallone da terra, ai suoi piedi.

«Tranquillo, è tutto a posto. Comunque... ti ho visto e volevo solo passare a salutarti» spiegò, facendo un sorriso a cui, sperava, Lucas avrebbe creduto.

Fregare Lucas era facile come rubare le caramelle ad un bambino. Il ragazzo sorrise a sua volta, gli occhi che gli brillavano, ma dopo un attimo il suo volto si fece serio.

«Hai... hai sentito tutto?» chiese, chinando il capo.

Arianna si sentì di colpo la gola secca. Sapeva dove sarebbe andata a parare la conversazione e avrebbe voluto continuare a fuggire dall'inevitabile, ma capì di non poterlo fare. Non con Lucas, perché dopotutto non se lo meritava.

Rivolgendo lo sguardo oltre il campetto, sforzandosi di non fissare il ragazzo di fronte a lei, annuì piano.

«Ed hai una risposta?» proseguì lui, alzando lo sguardo ed inchiodandola con occhi straordinariamente seri.

Arianna non riuscì a sostenere il suo sguardo, imbarazzata.

Non voleva giocare con i suoi sentimenti perché, nonostante la sua ingenuità e tutte le sue stranezze, Lucas era davvero un ragazzo d'oro. Sembrava tenere davvero molto a lei e, ormai lo aveva inquadrato, sapeva che avrebbe fatto di tutto per renderla felice.

Ma d'altronde non voleva neanche ingannarlo, perché una parte di lei, nel profondo, desiderava ancora Jake: nessuno, a parte le sue più care amiche di Edimburgo, sapeva che era stato il primo e l'unico ragazzo che avesse mai avuto, con cui aveva condiviso tutto, che l'aveva aiutata a guarire dalla sua malattia. Non lo aveva ancora dimenticato e si chiedeva se sarebbe mai riuscita a farlo, nonostante fosse partito per l'America da mesi, ormai, senza più farsi vivo: si era fatto una nuova vita laggiù, Arianna in cuor suo lo sapeva. Forse aveva già un'altra ragazza.

Si limitò a rimanere muta, in un atroce tormento inferiore.

Lucas dovette interpretare il suo silenzio come un segno di diniego e sospirò.

«Capisco» disse. Il suo tono non tradiva alcuna emozione. «Non verresti comunque al ballo con me... vero?»

La sua pietosa insistenza, unita al ricordo di Jake che la sua mente aveva appena risvegliato, le fecero improvvisamente venire voglia di piangere. Le salirono le lacrime agli occhi, ma si affrettò ad asciugarle in fretta e furia con il dorso della mano, imponendosi di mantenere il controllo.

Non qui. Non ora. Non davanti a Lucas.

«Io... ci penserò. Te lo giuro. Ora devo andare, Lucas» mormorò, sforzandosi di tenere salda la voce. «Sei in ritardo per il pranzo!» aggiunse, prima di voltarsi ed allontanarsi a passo svelto. Non appena gli ebbe dato le spalle, non riuscì più a trattenere le lacrime.

Che razza di persona sono?

Quello che era diventata la disgustava. Non aveva neanche una risposta da dare a Lucas, che era gentile, premuroso e così interessato a lei.

Pensò paradossalmente a quanto si struggesse per Jake che, da quando era partito, non le aveva mai fatto sapere niente: né una mail, né una lettera, né una banale telefonata. Di certo non era di lei che aveva bisogno: era evidente che l'avesse dimenticata e in quel momento probabilmente si stesse divertendo, mentre lei era lì a disperarsi. Ma se lui era così felice, perché per una volta non poteva esserlo anche lei?

Fece per uscire dal campo, ma si accorse di avere ancora in mano il pallone da basket con cui Lucas l'aveva colpita. Lo osservò a lungo, fissando le linee blu che lo attraversavano, mentre un pensiero le andava al pennarello che aveva ancora nella tasca dello zaino, e di colpo prese una decisione.

 

Lucas osservò la ragazza allontanarsi nel più profondo silenzio.

Una parte di lui avrebbe voluto rincorrerla e fermarla, ma non ebbe la prontezza di farlo.

Arianna lo aveva appena rifiutato, realizzò con amarezza. Dopo le loro uscite, dopo quel bacio, il ragazzo era convinto di essere riuscito a fare breccia nel cuore di ghiaccio di lei – come lo definivano i suoi compagni di squadra – ma evidentemente aveva preso un abbaglio. Eppure non poteva credere che Arianna lo avesse soltanto usato: no, non era da lei, così riservata, così poco incline a dimostrare affetto. No, quel giorno aveva colto in lei un profondo malessere, ma non avrebbe saputo spiegarne la causa, dal momento che Arianna non si apriva facilmente neanche con lui.

Un tonfo improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri. Il pallone era appena rimbalzato ai suoi piedi. Riscuotendosi, il ragazzo lo prese tra le mani e rimase a bocca aperta.

Proprio al centro della palla, a pennarello, vi era scritto SÌ.

E, a giudicare da quanto ci aveva pigiato sopra, il pennarello in questione doveva essere finito.

In un attimo Lucas capì e alzò gli occhi, ma la ragazza se n'era già andata.

«Arianna!» gridò, avvicinandosi all'uscita del campetto. «Quale delle due proposte?!»

Silenzio. Sembrava essersi volatilizzata.

Lucas rimase immobile a fissare la scritta sul pallone, dubbioso.

Forse viene al ballo con me... o è appena diventata la mia ragazza, rifletté, mentre l'emozione lo invadeva.

Lo sguardo del ragazzo si fece di colpo più serio, più maturo, al punto che, se ci fosse stata in giro qualche sua ammiratrice, probabilmente nel vederlo sarebbe svenuta.

O magari entrambe le cose.

«EVVAI!» Lucas non riuscì a trattenersi dall'urlare, facendo un salto e lanciando il pallone dietro di sé in un momento di euforia.

Un cigolio alle sue spalle attirò la sua attenzione e il ragazzo si voltò di scatto. Aveva appena fatto canestro.

 

Ehilà! 

Eccomi qui con il capitolo tredici :) Spero vi sia piaciuto! Avete capito perché è il preferito della vera Angie? XD 

Devo ammettere che piace molto anche a me, perché ci sono un sacco di avvenimenti e rivelazioni:  dal bacio di Angie e Night, al rapporto di quest'ultimo con Gérard (che d'un tratto sembra molto diverso da come appare...), dalle affermazioni di John agli strani comportamenti di "Draco"... che prima o poi assumerà un'identità. Il mistero si infittisce!

Vi sono piaciute le scene romanticose di Lucas e Arianna (amori miei) e di Angie e Night, travolti dalla passione (e dal getto dell'acqua)?  Nulla di nuovo sotto il sole, ne sono consapevole, però spero che quei due vi abbiano strappato un sorriso <3

Continuate a seguirci e alla prossima!
 

  
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