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Autore: MayaSorako    03/01/2014    3 recensioni
Titolo precedente: "Un sole tutto mio"
In una mattina come un'altra, la città attende il sorgere del Sole per cominciare una nuova giornata; nessuno può sapere che stavolta non succederà.
L'Apocalisse si avvicina, e non è la prima volta.
In quella che in un tempo lontanissimo fu la leggendaria terra di Luminaes, c'è chi da una vita lotta disperatamente per salvare questo mondo maledetto da una fine predestinata. Ma c'è anche chi, questa stessa fine, la attende con trepidazione e impazienza, e spera in una rinascita che possa portare nuova luce alla sua buia esistenza.
E poi, esattamente nel mezzo, c'è Dia.
Dia è una ragazzina solitaria, a cui basta poco per essere felice: la sua amata terrazza ed il Sole. Non sa niente di questa Apocalisse, né di chi sia lei in realtà o di quale imponente fardello le sue esili spalle dovranno portare da quel terribile giorno. Suo malgrado, rimarrà coinvolta in una Profezia e in un conflitto molto più grandi di lei ma, in questo intenso viaggio, non sarà sola.
Questo mondo condannato a perire dalla sua stessa nascita, può davvero essere salvato?
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"Perché niente è più spaventoso che l'essere in due, soli."
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Se quelle stronzate che la tradizione della tua famiglia tramanda sono vere, siamo fregati." Zeno storse il naso e si fermò di colpo nell'udire quelle parole. "Modera il linguaggio Granada, per favore" disse, con quanta più calma riuscisse a mantenere. "Queste stronzate sono quelle per cui vivremo il resto della nostra vita, se ancora non ti è chiaro." Non ne poteva più. Se non credi, che cosa ci fai qui? Era stanco.. lo erano entrambi. Avendo appena finito le loro quotidiane fatiche mentali e fisiche all'Accademia, si trovavano sul viale di ritorno alla zona residenziale di quello che una cerchia ristretta di individui poteva chiamare Campo Base, e che per tutti gli altri era soltanto un'antica università ormai in rovina, con tanto di campus, che nessuno si azzardava a buttare giù semplicemente per il suo ipotizzabile valore storico. Anzi, no: per essere precisi, questa era la motivazione di copertura; la realtà era che chi di competenza conosceva perfettamente l'importanza di quella struttura, e non si sarebbe mai neanche lontanamente sognato di farla demolire. "Tutto quest'entusiasmo ti ucciderà un giorno o l'altro" commentò lei, sarcastica, roteando gli occhi. Aveva continuato a camminare, sorpassandolo, ma poco dopo si era costretta a sospendere i propri passi, per non lasciarlo troppo indietro. Si voltò verso di lui e incrociò le braccia, in attesa. Zeno stava ridacchiando, colpito da quella franchezza a cui non riusciva a fare l'abitudine.

D'un tratto la sua espressione cambiò. Qualcosa oltre la figura di Granada lo aveva turbato; il suo viso si fece allarmato, inquieto, sorpreso. Lei, che lo conosceva fin troppo bene e sapeva che quella fronte corrucciata non era un buon segno, si girò a guardare cosa potesse essere stato, allarmata a sua volta. Un uomo era fermo, seminascosto all'ombra di un albero del vialetto, e li osservava. Nessuno di loro lo aveva mai visto prima d'ora e, in ogni caso, il fatto che qualcuno, oltre a loro due, si trovasse lì a quell'ora era sicuramente portatore di complicazioni... nella migliore delle ipotesi. Accorgendosi di essere stato notato, cominciò a muoversi, a passo costante e fragoroso. Si arrestò proprio davanti a Zeno, e cominciò a parlare. "Siete voi quei pazzi che mi hanno portato via mia moglie?" La sua voce era piena d'odio, e i suoi occhi rossi, forse per il sonno mancato, forse per chissà cos'altro. "Ehi tu, vediamo di moderare il linguaggio" disse Granada, facendo il verso all'amico. Non provocarlo, pensò lui. Meglio non peggiorare le cose. "Non abbiamo idea di cosa lei stia parlando, signore" rispose, diplomatico. "Mi dispiace che abbia fatto tutta questa strada per venire fin qui, ma si tratta di una zona riservata; è pregato di andarsene." Il tono era piatto, pacato, così come il suo volto, imperturbabile e disteso. Ma l'uomo colse la minaccia nascosta nella mitezza di quel discorso, e diede in escandescenze: afferrò Zeno per i risvolti del colletto della camicia bianca e avvicinò in modo perentorio il proprio volto a quello del ragazzo. "Allora? Cosa siete? Un gruppo di fanatici, un'organizzazione segreta... una setta, forse?" Il suo alito era impossibile da sostenere, e il suo aspetto quello di chi si trascurava ormai da settimane. Era visivamente instabile, questo era certo. Granada era all'erta, pronta a passare all'azione in qualsiasi momento. "Glielo ripeto, non ho idea di cosa lei stia parlando. Si sta rivolgendo alle persone sbagliate" disse, accondiscendente, nella speranza di calmarlo. Adesso non poteva permettersi di fare un passo falso. "Siamo solo due studenti di belle arti; veniamo spesso qui per ammirare gli elementi architetturali del complesso." Questa era la bugia perfettamente costruita per occorrenze come quella; allo scopo di supportarla avevano anche preparato una cartella da universitari per tutti e due, con tanto di cartellino identificativo e regolo di trenta centimetri che sbucava da una fessura, che Zeno indicò con lo sguardo allo psicolabile sconosciuto per dare più credibilità alle proprie parole. Lui, diffidente e incerto, cominciò a rivolgere gli occhi ora a quella cartella, ora allo stesso Zeno. "Non è possibile.. Io l'ho vista!" Strinse la presa. "Era venuta qui, dopo aver parlato con quell'uomo.." Il suo volto si contrasse in una smorfia di disperazione e incapacità di comprendere. "E poi non è stata più la stessa! - ora stava urlando - E' cambiata, vi dico!" Granada, che stava assistendo alla scena da breve distanza, sapeva bene come sarebbe andata a finire. E così iniziò il conto alla rovescia:

Tre...
 
"Voi... Siete stati voi!" L'uomo continuava a farneticare senza più alcun freno; a questo punto non ragionava più. Anche Zeno adesso si stava preparando al peggio.

Due...

"Voi... Voi!" I suoi occhi spiritati guardavano il ragazzo, colmi di ira e risentimento. Ora lo stringeva con una mano sola, usando quella libera per prendere qualcosa dalla tasca del giubbotto sudicio.

Uno...

"Voi... Le avete fatto il lavaggio del cervello!!!" Prima che potesse estrarre l'arma, un dolore lancinante trafisse la sua schiena, seguito da una sensazione di calore e un pianto di sconforto e delusione. Si spense così, quell'uomo; cadde a terra con un tonfo sordo, tra lo sguardo costernato di Zeno e il sospiro di liberazione di Granada. "Zero" disse, osservandolo mentre esalava l'ultimo respiro in preda alle convulsioni, prima di perquisire il cadavere avanti e dietro. Il foro del proiettile era perfettamente visibile sul dorso; anche questa volta Acrux, revolver fidata dotata di silenziatore della ragazza, aveva fatto il suo dovere. Nella tasca destra del giubbotto dell'uomo, un coltello seghettato da cucina: arma improvvisata, ma ugualmente pericolosa. Nel portafogli un paio di banconote di taglio piccolo, una patente scaduta da mesi e una vecchia foto di famiglia: padre, madre e figlio piccolo. Granada deglutì mentre rimetteva tutto al suo posto. Zeno la fissava, ancora senza parole. "Cosa aspetti a chiamare i tuoi?" chiese allora lei, a disagio, rimettendosi lentamente in piedi. "Non possiamo lasciarlo qui" disse, senza guardare l'amico in faccia. Lui prese il telefono e compose il solito numero, senza staccarle gli occhi di dosso. "Granada... Credo di doverti ringraziare." il suo tono era incerto ma risoluto: in fondo gli aveva salvato la vita. Lei si sforzò di sorridere, cercando di ignorare il rimorso. "Per me avresti fatto la stessa cosa" affermò, convinta. Lui rivolse il suo sguardo altrove, turbato e pensieroso. "No, non è vero."
Quelle parole la ferirono nel profondo, provocando un dolore insopportabile in posti dentro di lei che neanche conosceva. Rimase immobile, in silenzio, per istanti interminabili, cercando conforto in sé stessa. Ti costerebbe così tanto lasciarmelo credere?

I ricordi si susseguivano nella mente di Granada che, al volante del proprio fuoristrada, seguiva distrattamente le indicazioni di Zeno. Perché mi sta tornando in mente adesso? Pensava, infastidita. "Quanto manca ancora?" Chiese, ritornando alla realtà. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva messo in moto l'auto, ma per quella tormentata rievocazione, già vecchia di qualche anno, ci erano voluti sicuramente almeno una ventina di minuti. "Poco" rispose Zeno, lapidario. Lui era concentrato sull'obbiettivo, come sempre; probabilmente stava già preparando il prossimo passo. Sono sempre io l'ultima a sapere le cose, si disse Granada, contrariata, nonostante i suoi motivi fossero discutibili: quelli a conoscenza delle loro "missioni" erano davvero pochi, probabilmente si contavano sulle dita di una mano, e apprendevano i dettagli di queste ultime solo dopo aver ricevuto e letto i rapporti.

Il silenzio oggi le pesava particolarmente, quindi cercò di indagare oltre su quello che si apprestavano a fare; per quello che poteva ovviamente, vista la scarsa, per non dire inesistente, illuminazione. La strada che stavano percorrendo era un tipico passaggio di campagna: dissestato, irregolare e pieno di buche; di certo non l'ideale per chi aveva appena cambiato le ruote del proprio Land Rover. Oh, giusto: stiamo cercando una mucca! realizzò Granada, con finta eccitazione. Zeno si accorse della sua irrequietezza, e decise spontaneamente di illuminarla sui particolari del loro compito. "Questo posto è l'unico in cui è possibile veder circolare dei mezzi pesanti e delle mucche." Lei alzò le sopracciglia, dubbiosa. "Ne sei sicuro? Avresti dovuto controllare se qualcuno in città tiene una mucca in casa, secondo me" disse, semiseria. "I ricconi hanno gusti strani in fatto di animali, è risaputo." Zeno aggrottò la fronte e sorrise compiaciuto. "Ci avevo già pensato; ma si dia il caso che io conosca un anziano signore a cui piace spostarsi in bicletta: cosa non facile da trovarsi in questi giorni." Granada rimase sconvolta. "Vuol dire che tu, per tutto questo tempo, sapevi esattamente chi avremmo dovuto cercare? E hai avuto il coraggio di rifilarmi la storia della mucca?!" Ora sì che l'aveva fatta arrabbiare. Ops, pensò lui, messo all'angolo. "Ancora non ci avevo pensato quando ti ho detto quella cosa; mentre sfogliavo i registri della Stradale, dopo aver trovato questo posto, mi è venuta quest'intuizione... E poi, guarda!" Esclamò all'improvviso tendendo il braccio, rischiando di mandare fuori strada il veicolo; Granada gli lanciò un'occhiata raggelante. Zeno si ricompose con due scenici colpetti di tosse. "Ferma un secondo la macchina, per favore." Lei obbedì, più irritata che mai, e si voltò nella direzione che le era stata indicata. "Ok, una parete rocciosa... E dunque?"

Oh. Capì con un attimo di ritardo, e Zeno se ne accorse dalla sua espressione. "Esattamente: - disse, sempre più soddisfatto delle proprie capacità intuitive - una parete rocciosa. E tu dimmi: se Due è una coincidenza e Tre è una pista, cos'è Quattro?" I suoi occhi verdi brillavano di una luce accecante, in quell'atmosfera così cupa. Che bambinone, pensò Granada, che non riuscì a non lasciarsi scappare un sorriso. "Ok, ok: bel lavoro, Detective."

Ad aprirgli la porta arrivò un vecchietto dall'aria gentile, con due occhietti azzurri che risaltavano tra il bianco dei capelli e dell'accenno di barba. Nel vedere i due giovani rimase molto sorpreso, ma si rivolse a loro con tanta dolcezza e disponibilità. "Zeno, carissimo! Quanto tempo è passato, e quanto sei cresciuto! Qual buon vento porta te e la tua affascinante collega nella mia modesta dimora?" Lui tornò alla sua faccia seria e impassibile. "Mi dispiace Arci, ma non c'è tempo per questo adesso. Devi venire con noi."

 

  
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