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Autore: Chtsara    03/01/2014    7 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un pallido raggio di luna illuminava i boccoli castani della ragazza che camminava ingenuamente per le strade del paese, inconsapevole dei pericoli che correva passo dopo passo. La gente comune del popolo sosteneva con insistenza che in quel posto di notte tirasse una brutta aria ed era ormai diventata un’abitudine chiudersi in casa prima del crepuscolo: nessuno osava tentare la sorte imbattendosi in quelle che in termini semplici non si definivano proprio “creature umane”. In quei tempi la caccia alle streghe era più attiva che mai, persone innocenti venivano catturate con la scusa di avere una qualche caratteristica conducente al demonio: che fossero gli occhi neri, i nei nelle pupille o i capelli rossi, a nessuno importava.
La Chiesa premeva con tutte le sue forze ad un controllo più costante e meno dato al caso, facendo pressione sulla casata reale che non dava al problema la giusta attenzione: la stregoneria e la magia in sé erano banditi da secoli e il re in carica non considerava opportuno sprecare molti dei suoi uomini migliori alla ricerca di qualcosa che secondo lui non esisteva più da generazioni.
I manifesti per le strade erano appesi ugualmente sotto la continua oppressione della Chiesa, come a consigliare un’attenzione costante mista ad un coprifuoco che scattava con l’arrivo del crepuscolo.
Ma alla ragazza dai boccoli castani non importava, si rifiutava di credere a tutto ciò che riguardasse la Chiesa, demoni compresi: il suo ateismo sarebbe potuto essere condannato, se non avesse avuto la decenza di tenersi per sé qualsiasi cosa la riguardasse personalmente. Riservata e silenziosa, contava i suoi amici sulle dita di una mano e si guardava bene dal conoscere chiunque la degnasse di un’attenzione un po’ fuori dal comune: i suoi occhi azzurri non passavano inosservati e questo la portò col passare del tempo ad amare incondizionatamente le iridi scure.
Camminava al chiaro di luna cercando disperatamente di ignorare i manifesti riguardanti il coprifuoco, esposti proprio accanto a quelli grazie ai quali ogni singolo abitante del reame ormai era venuto a conoscenza della gravidanza della regina.
Sbuffando, oltrepassò l’ennesimo manifesto per dirigersi lentamente verso casa sua. Quella passeggiata le era servita per schiarirsi le idee e pensare più attentamente ai mesi che la attendevano: si vociferava che nel regno vicino fosse scoppiata una peste improvvisa e non voleva assolutamente restare nel suo paese più del necessario; si sarebbe trasferita al nord non appena fosse finito il suo ultimo mese di lavoro, lontana dal contagio.
Stava pensando alle parole da dire al suo capo quando un urlo agghiacciante la distrasse dai suoi progetti: veniva dagli alberi della foresta adiacente al paese, a pochi passi da lei.
Si guardò i piedi nella speranza di capire cosa fosse meglio fare: restare lì, nella strada principale, o inoltrarsi nella foresta e cercare di aiutare il povero malcapitato? Del resto sembrava si fosse semplicemente ferito, cosa più che probabile, viste le radici sporgenti degli alberi che caratterizzavano la foresta.
Si guardò intorno nella speranza che non ci fosse nessuno pronto a giudicarla un’incosciente per il gesto eroico di andare in posti sconsigliati solo per salvare uno sconosciuto. Non sarebbe stata la prima volta, per lei, sapeva cosa fare in caso di pericolo: se solo avesse sentito che qualcosa non andava nel verso giusto sarebbe scappata senza guardarsi indietro, tacendo sull’accaduto per evitare che le stesse persone che avrebbero potuto darle una mano le potessero puntare il dito contro per incolparla.
Prese coraggio, raddrizzò le spalle e corse nel punto da cui provenivano le urla: ci mise un po’ a rendersi conto che quella voce non poteva non appartenere ad un ragazzo, probabilmente della sua stessa età. Si infilò nei vicoli tra le case sperando ardentemente di passare inosservata, si diede un’occhiata alle spalle e, conscia che nessuno la stesse seguendo, iniziò a correre.
Non ci mise molto ad arrivare: sembrava che gli stessi alberi la guidassero da lui.
Si fermò non appena vide una figura nera accucciata su quello che sembrava a tutti gli effetti un tronco spezzato. La luna illuminava i suoi capelli scuri come se avessero dei riflessi violetti, i quali rendevano ancora più chiara la sua pelle diafana: sembrava avere non più di diciassette anni.
Gli si avvicinò, cauta, e disse: “Posso aiutarvi?”.
Il ragazzo alzò gli occhi e la guardò confuso: i suoi occhi neri la ispezionarono da capo a piedi, come se non si aspettasse di trovare qualcuno disposto a dargli una mano.
“Sì”, rispose, nel tono una vaga incredulità. “Dovrebbero iniziare a dare la caccia ai cinghiali e non alle streghe”. Indicò la sua gamba destra, coperta accuratamente dal mantello. “Non avevo idea che fossero così pericolosi. Se l’avessi saputo di certo sarei stato alla larga dalla foresta, almeno di notte. E voi cosa ci fate qui a quest’ora? Nemmeno voi avete intenzione di rispettare il coprifuoco, signorina?”.
La ragazza dai boccoli castani si fece avanti e, con un sorriso, tese una mano al ragazzo, esitante. “Mi chiamo Claire. E no, non rispetto il coprifuoco: penso che questa storia delle streghe e della magia sia un’assurdità. La Chiesa fa questo solo per avere più potere nel regno di Florentia e il re non dovrebbe concederle questi diritti”.
Il ragazzo guardò prima la mano, poi lei. Sorrise. “Siete coraggiosa ad esprimere il vostro parere ad uno sconosciuto”.
“Vi sto aiutando a rialzarvi”, rispose Claire ricambiando il sorriso, allungando ancora di più la mano verso di lui. “Fossi in voi non resterei ancora là a terra”.
“Mi chiamo Victor, comunque”, ridacchiò. “E anche se mi alzassi non credo che riuscirei a fare più di qualche passo”. E indicò la gamba destra.
“Vi aiuterò io”. Claire si abbassò abbastanza da potergli scostare il mantello che lo copriva. “Fatemi vedere la ferita, posso...”.
“No”, disse lui a denti stretti, all’istante, allontanandosi di scatto.
Claire rimase lì, con la mano tesa a mezz’aria, sconvolta per l’improvviso cambio di tono del ragazzo. “Oh, sarebbe meglio se restaste qui per tutta la notte”, sibilò sarcastica.
Un lampo di comprensione sfrecciò per un istante negli occhi neri di Victor. “Oh no, certo, scusate, non volevo...”. Sorrise, triste. “Non avevo intenzione di aggredirvi”.
Claire si rese conto solo in quel momento di essere ancora lì con la mano tesa verso di lui. Sospirò ricambiando il sorriso e si sedette al suo fianco sul tronco spezzato. “Non fa niente, non preoccupatevi”.
“Allora, come mai stavate girando senza alcuna protezione per il reame?”. La sua voce era tornata come prima, limpida e serena nonostante l’aggressione.
“Avevo bisogno di un po’ di aria fresca”. Claire si strinse nelle spalle. “E voi?”.
“Anche io”, ridacchiò fissando insistentemente il terreno. Alzò lo sguardo e lo posò sul suo. “Siete così bella, sapete?”.
Claire sentì improvvisamente le guance diventare più calde del normale: non arrossiva molto frequentemente, ma nemmeno con tanta frequenza le capitava di incontrare un ragazzo del genere. “Grazie”.
“Sarebbe davvero un peccato sprecare una notte come questa”, sospirò Victor con una strana luce sinistra negli occhi.
Fu in quel momento che Claire si rese conto di aver commesso un errore. Com’era possibile che un ragazzo che fino a poco prima strillava di dolore improvvisamente fosse diventato così gentile con lei, a tal punto da farle dei complimenti? Come poteva sorridere quando era stato aggredito quella stessa notte? E soprattutto perché non voleva l’aiuto che Claire continuava a porgergli tanto altruisticamente?
Costrinse le sue gambe ad alzarsi da terra molto lentamente per sopportare il suo peso e permetterle di correre via, com’era solita fare quando una situazione non prendeva la piega aspettata: quel ragazzo non era innocente come voleva sembrare.
Fu più veloce di Claire: Victor si piegò a quattro zampe verso di lei, bloccandola tra il terreno e il suo petto. Continuava a sorridere e il suo respiro le accarezzava la pelle mentre le sussurrava: “I coprifuochi sono stati fatti apposta, signorina. Continuo a pensare che non sareste dovuta venire”.
La strinse tra le sue braccia possenti, impedendole di andare via a chiamare aiuto nella speranza di salvarsi, mentre con una piccola parte della mente si rendeva conto che per compiere quel gesto Victor aveva dovuto aver bisogno di due gambe perfettamente sane.
E la baciò bloccandole il grido di paura in gola.
 
“Perché non sono una semplice lavoratrice? Perché devo ancora venire qui? Perché?”.
“Sssh! Hannah, per favore, sta’ zitta!”.
“Che c’è? Tanto quella non mi sente, è troppo presa con la storia di tutti i sacro santi monaci della Chiesa. Bah, non si accorgerebbe nemmeno se la classe sprofondasse improvvisamente per colpa di un terremoto”.
Mi voltai a guardare Hannah, implorandola con lo sguardo di tenere la bocca chiusa.
Quella era la seconda ora consecutiva di storia e Domina Maria non sembrava accorgersi che gran parte della sua aula ormai aveva rinunciato alla dura impresa di prestarle un po’ di attenzione e di prendere appunti. Sembravo l’unica intenzionata a seguire la lezione, oltre ad un paio di altri studenti, solo per pietà. Del resto mancava poco alla fine delle due ore, un ultimo sforzo potevo pure concedermelo.
“Oh, andiamo, davvero la stai a sentire?”, esclamò Hannah, scioccata.
Per farle un dispetto, intinsi la mia penna d’aquila nell’inchiostro e iniziai a segnare tutte le date che Domina Maria stava elencando proprio in quel momento. Stavo per chiudere la boccetta dell’inchiostro quando un urlo alla mia sinistra mi fece sobbalzare, e gran parte del contenuto finì sulla pergamena.
“Bene”, sussurrai, con i nervi alle stelle. “Bene. Posso sapere perché hai urlato?”, chiesi ad Hannah, voltandomi verso di lei.
Mi guardò come se fossi impazzita. Solo in quel momento mi accorsi che la lezione era davvero finita e che il rintocco della campana aveva permesso a venti studenti di alzarsi all’unisono dai loro banchi con l’aria più assonnata di prima, cercando di nascondere degli evidenti sbadigli che caratterizzavano il viso di ognuno di loro.
Misi la penna, il calamaio (ormai mezzo vuoto) e la pergamena zuppa nella borsa, seguendo Hannah e il suo entusiasmo fuori dall’aula.
“Perché hai quell’aria imbronciata?”, mi chiese, in corridoio.
“Era l’ultima boccetta d’inchiostro che avevo”, grugnii scuotendo la testa. “Devo andare a comprarne delle altre subito dopo arte”.
Gli occhi di Hannah si illuminarono all’improvviso e alzò il passo. “Uh, oggi Domino Hans ci porterà un modello da dipingere!”.
Mi affrettai a raggiungerla, entrando subito dopo di lei nella circolare aula di disegno. In effetti al centro della stanza vi era uno sgabello di legno goffamente intagliato e Domino Hans sorrideva con più eccitazione di Hannah.
Prendemmo posto dietro le tele da disegno e, quando fummo tutti presenti, Domino Hans iniziò a parlare col suo consueto sorriso.
“Oggi avrete l’onore di fare un ritratto! Marcus, entra pure, prego!”.
Dalla porta laterale della stanza uscì un ragazzo piuttosto in carne, con folti capelli neri e occhi color fango accompagnati da un sorriso tirato e molto, molto falso: il tutto su una sorprendentemente brutta faccia da schiaffi.
“Sì, e il modello dov’è?”, chiesi, forse a voce un po’ troppo alta. Domino Hans mi fulminò con lo sguardo mentre il resto della classe mascherava le risatine con dei normalissimi colpi di tosse.
“È lui il modello, signorina Wild”, mi rispose infatti Domino Hans con voce fredda.
Con la coda dell’occhio mi gustai l’espressione offesa di quello che il professore osava definire un modello. Lo squadrai da capo a piedi cercando di non ridergli in faccia: indossava solo un sottile velo attorno ai fianchi e in mano teneva un grappolo d’uva che sembrava minuscolo vicino a lui.
“Da quando in qua i maiali mangiano l’uva?”, sussurrai ad Hannah accanto a me.
“Rappresenterà Bacco, il dio del vino”, continuò Domino Hans.
“Ah, ora sì che si spiega il grappolo d’uva. Come ho fatto a non pensarci prima?”, borbottai ad Hannah, che intanto si era messa una mano sulla bocca per non ridere.
Fortunatamente stavolta il professore non mi sentì. “Entro la fine dell’ora dovrete consegnare il disegno, a partire da adesso”.
Prendemmo tutti la grafite posta sotto le tele da disegno e iniziammo il ritratto. Ero particolarmente brava in arte e forse solo per questo motivo Domino Hans non mi aveva cacciata fuori dall’aula quando mi era sfuggito il commento offensivo. Ma quella si presentò come un’impresa particolarmente difficile: Marcus non pensava minimamente a stare fermo, continuava a sorridere beffardo tenendo il grappolo d’uva sempre più vicino alla sua bocca fin quando i chicchi non cominciarono a diminuire uno dopo l’altro scomparendo nel suo stomaco, evidentemente convintissimo che nessuno se ne sarebbe accorto.
Quando mancavano pochi minuti alla fine dell’ora, mi allontanai un po’ per vedere il mio disegno: avevo cambiato un pochino alcuni dettagli del modello che adesso era decisamente più magro, più bello e in mano aveva ancora il grappolo d’uva tutto intero.
“Ehm, Elenoire, lo so che non dovrei dirti nulla e che hai agito secondo delle buone intenzioni, ma... non ti sembra che Marcus pesi un po’ troppo di meno, nel tuo disegno?”, sussurrò Hannah guardando il ritratto sulla mia tela con un tono che esprimeva disapprovazione e divertimento al tempo stesso.
Mi strinsi nelle spalle. “Se non avessi aggiunto questa piccola modifica non credo proprio che sarebbe entrato nella tela”.
Gettai un’occhiata oltre il mio disegno in direzione di Marcus: lo sgabello sotto di lui stava dando segni di cedimento e le gambe non sembravano poter sopportare il suo peso ancora per molto.
Domino Hans approvò il mio disegno pochi minuti più tardi, segno che la delusione per il mio commento di quasi un’ora prima era del tutto sparita.
Con un sorriso stampato sul volto, mi diressi verso i dormitori insieme ad Hannah: lei, come me, era rimasta orfana fin da piccola e le suore del nostro collegio ci avevano accolto quasi istantaneamente. Eravamo cresciute insieme ed eravamo delle sorelle a tutti gli effetti, nonostante il nostro aspetto fisico esprimesse senza problemi le differenze tra di noi cancellando il nostro sogno riguardante una possibile parentela: lei aveva dei lunghi capelli neri e lisci, accompagnati da grandi occhi dolci color nocciola; io avevo degli altrettanto lunghi boccoli castani e degli occhi talmente neri che ormai chiunque aveva rinunciato a scovarvi le pupille.
Vivevamo in quel collegio praticamente da sempre nonostante non aderissimo in particolar modo alla vita tutta casa e chiesa che le suore volevano imporci; ogni anno dei nuovi ragazzi prendevano alloggio per seguire le lezioni occupando il posto di coloro che, finiti gli studi, si immergevano nel mondo del lavoro.
Hannah era più grande di me di un mese, ma entrambe avevamo diciassette anni e mezzo: lei avrebbe festeggiato il compleanno ad agosto, io a settembre.
Arrivate nel corridoio conducente alle nostre stanze, mi fermai di botto.
“Oh no”, borbottai. “Hannah, ci vediamo domani. Io devo andare a comprare un bel po’ di boccette d’inchiostro prima che il negozio chiuda”.
Hannah si fermò a guardarmi con i suoi occhi castani come se stessi per morire, poi strinse le spalle e disse: “Fa’ attenzione”.
“Certo”, la tranquillizzai. Corsi fuori dai dormitori scendendo i gradini delle scale a due a due con la gonna della divisa terribilmente d’intralcio. Andavo controcorrente mentre tutti gli altri studenti si affrettavano a salire nelle loro stanze e ci misi un po’ ad arrivare alla porta d’uscita del collegio. Quando finalmente fui fuori, all’aria fresca e genuina, mi incamminai a passo svelto per oltrepassare la folta coltre di alberi che si innalzavano ai lati del sentiero, diventati improvvisamente sinistri con lo scomparire del sole dietro le montagne.
Arrivai al negozio giusto in tempo, che si trovava proprio alla fine del sentiero per facilitare il viaggio agli studenti, e misi le tre boccette di inchiostro appena comprate nella borsa.
L’assenza di persone in giro per il paese non mi sorprese più di tanto: molti avevano paura di andare in giro per le strade quando calava la luce del sole o semplicemente andavano a bere qualcosa alle locande del posto.
Alzai il passo non appena raggiunsi il sentiero che conduceva al collegio, quando una luce soffusa alla mia destra mi costrinse a voltare la testa.
Un grido acuto e incessante accompagnava quella visione, provocato da una figura bianca, luminosa e indubbiamente spettrale, mentre degli occhi dalle orbite vuote mi fissavano, le braccia si alzavano verso di me e la sagoma fluttuava nella mia direzione.
  
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