C'era una volta una piccola casa
nera, sprofondata come
un sasso in un bosco nero.
Per
arrivarci, bisognava percorrere uno stretto e nero sentiero, che
serpeggiava
tra neri tronchi, contorti come le dita di uno scheletro coperto di
fango.
E
dentro
quella dimora, viveva una strega, nera anch'essa.
Morgana
era il suo nome.
Morgana
non era giovane né vecchia. Non era bella né
brutta. Morgana semplicemente
esisteva.
E
questo
era già un insulto sufficiente alla realtà, senza
bisogno di aggiungere
aggettivi.
La
megera aveva sempre dimorato laggiù, anche se nemmeno i
più vecchi ricordavano
quando esattamente fosse arrivata. Qualcuno diceva persino che ci fosse
sempre
stata, vecchia quanto la più vecchia delle querce del bosco,
antica quanto era
antica la terra stessa su cui dimorava.
Nessuno
faceva mai visita a Morgana nel profondo del bosco: solo chi si
smarriva – o
chi aveva smarrito
la speranza.
Venne
dunque il giorno in cui una giovane giunse nel cuore del bosco, in
cerca di
Morgana: aveva la pelle bianca come la porcellana e gli occhi limpidi
come il
cielo oltre le foglie. Al suo passaggio i rovi si scostavano, timorosi
di
ferirla, e i lupi chinavano la testa, inorriditi all'idea di
spaventarla con le
loro fauci.
La
fanciulla camminava sicura, il suo semplice abito l'unica cosa bianca
in quel
tetro bosco.
Cercava
forse il consiglio della megera? Questo si chiedevano i corvi dagli
occhi scuri
come bottoni.
Lei
l'avrebbe divorata di certo! Tremavano le falene dalle ali brune come
antiche
pergamene.
Tuttavia,
la bella giovane nemmeno per un solo istante esitò,
fermandosi solo quando era
ormai sulla soglia della casupola di legno.
Non
serviva bussare: la porta della casa nera era aperta, come ogni giorno
di ogni
stagione dell'anno. Il vento vi correva libero all'interno, come un
visitatore
abituale.
La
strega sedeva su una seggiola di legno, davanti a un focolare spento
ormai da
tempo.
“Cosa
volete, principessa?” mormorò come mormora l'acqua
nello stagno. “Molti secoli
si sono posati sulle mie stanche spalle da quando qualcun altro ha
osato
entrare nella mia dimora.”
La fanciulla,
che vestiva come una
contadina, esclamò: “Pietà, mia buona
signora, cosa dite?! Non sono certo una
principessa: sono solo una sciocca ragazzina del popolo.”
Morgana rise
come ridono le cornacchie
all'alba nel cielo addormentato.
“Mai
si
è veduta donna comune con pelle come alabastro e occhi
simili a gocce d'acqua
di fonte! Non tentate di ingannarmi: voi siete nata dal sangue e dalle
lacrime
di chi portò corone d'oro.”
Fuori
una fitta pioggia cominciò a percuotere il bosco scuro e
silenzioso.
“Lo
posso ben dire, visto che son io stessa regina!”
La
voce
di Morgana era sprofondata in un abisso di tristezza così
profonda da far
risuonare di dolore ogni singola quercia, ogni più piccola
foglia del suo
regno, al punto che la giovane visitatrice per un attimo ne fu
annichilita: era
una sofferenza troppo grande da sopportare per un cuore puro come il
suo.
“Mia
signora, vi chiedo pietà ancora una
volta!”
La
ragazza si lasciò cadere a terra, i riccioli che dipingevano
d'oro il pavimento
nero.
“Si,
io
sono figlia di re, eppure sono la più sventurata delle
donne!”
Le
lacrime rotolarono giù dai suoi occhi come perle.
“Sono
la
principessa Bella, e vengo da un regno lontano mille leghe dal vostro
bosco. E
mille leghe io ho fatto, senza dormire né mangiare, per
raggiungere questo
luogo. Ho camminato, guidata solo dalla luce del sole e della luna,
senza altra
scorta se non il cielo vasto e infinito. Così ho fatto,
secondo le antiche
leggende, solo per cercare voi: ho bisogno della vostra magia che
può fare ogni
cosa!”
La megera
spazzò dalla sua lunga gonna fiori
ormai divenuti polvere.
“Un
lungo viaggio avete fatto! Quale sciagura mai può averlo
provocato?”
“Mio
padre tornava dalla guerra in terra
straniera, quando un violento temporale lo spinse a cercare riparo in
un
maniero avvolto dai rovi.” iniziò a raccontare
Bella. “Il padrone del castello,
prode nell'uso della spada, minacciò il padre mio di morte
per aver profanato
la sua dimora, ed egli, per aver salva la vita, promise me in sposa: di
tutte
le principesse ero infatti quella a lui meno gradita. Fui quindi
condotta nel
Castello dei Rovi, ma lì vi trovai rose e bellezza, e non il
freddo autunno che
avevo temuto: il mio amore addolcì infatti all'istante il
cuore del crudele
sovrano, e mi vinse il suo affetto eterno.”
“Perché,
principessa Bella, splendida di
ogni virtù, desiderate dunque i servigi di una
strega?”
La nobile
fanciulla le prese una mano nelle
sue, gli occhi divenuti scuri come il mare in inverno.
“Voi
dite strega, ma se mi aiuterete io fata vi chiamerò, e sette
volte benedetta ai
miei occhi sarete!” esclamò, baciandole le
ginocchia. “Dovete sapere che ero
sul punto di sposarmi col Principe del Castello delle Rose:
già avevo indossato
il mio manto nuziale, il capo cosparso delle viole più pure.
Stavo scendendo i
gradini che avrebbero fatto di me la donna più felice al
mondo, quando un
orribile stregoneria colpì il mio amato.”
La
voce
si ruppe, mentre il pianto le inumidiva di rugiada la veste da povera.
“Le
mie
sorelle gelose lo incantarono per portarlo via da me: hanno sempre
avuto tutto
da nostro padre il re, che a loro mai negava nulla, e non poterono
perciò
sopportare io avessi qualcosa a loro negata – il principe.
Non appena il mio
amato vide cosa era diventato, il Castello delle Rose si chiuse per
sempre,
nascondendo alla mia vista il fiore più prezioso di tutti:
l'amore.”
Morgana le
posò una mano sul capo,
esortandola ad alzarsi.
“Bambina,
suvvia! Le vostre lacrime innocenti non si addicono a questi
luoghi.”
Si
alzò
con lentezza, indicandole con un gesto uno sgabello ricavato dal gambo
di un
gigantesco fungo.
“Sedete
e non piangete più.”
I
suoi
occhi saggi si posarono sulla sua visitatrice.
“Raccontatemi
piuttosto di che maledizione si tratta.”
Bella fece come
le era stato detto e si
sedette: era infatti risaputo che mai e poi mai si doveva contraddire
Morgana,
se se ne volevano i favori.
“Il
suo
aspetto” riprese, con un tremante sospiro,
“è molto cambiato: nulla più conserva
dell'antica bellezza. Quando si vide riflesso nel lago del giardino,
per la
rabbia il Principe strappò ogni singola rosa del castello e
scacciò fino
all'ultimo servo. E alla fine, in una notte di luna piena, mi
portò l'ultimo
fiore ancora vivo in tutto il suo maniero: era questo il suo
addio.”
La strega la
guardava, ma non sembrava
davvero vederla: il suo sguardo si perdeva nei ricordi di altre
fanciulle
forse. Di altre anime altrettanto pure, che erano giunte con i loro
sogni
infranti fra le mani, sperando che lei potesse riparare ciò
che era rotto.
Ma
forse
mai nessuna ragazza di tale perfezione era giunta in quella piccola
casa nera
prima di allora, e Morgana stava solo ricordando qualcuna delle sue
crudeli
malefatte.
“Posso
aiutarvi, siatene sicura. Tuttavia, io vi dico questo: donatemi una
ciocca dei
vostri capelli dorati, e io vi farò scortare nel vostro
lontano Paese. Tornate
al re vostro padre e sposate un uomo di nobili natali. Dimenticate sia
la
primavera della vostra vecchia dimora che l'autunno di questo bosco.
Questo è
il mio consiglio per voi.”
La fanciulla si
gettò ancora ai piedi della
strega, in lacrime.
“Ve
ne
prego! Se mi scaccerete, ne morirò! Tesserò una
corda con le mie stesse chiome
e mi impiccherò alla quercia più
antica.”
Morgana parve
diventare più grigia e più
vecchia davanti a quella minaccia.
“Vi
domando allora, Bella: siete pronta a sacrificare il prezzo richiesto
perché io
spezzi l'incanto? Siete pronta a donare a me la cosa che ha di voi
più valore?”
“Prendete
i miei occhi, per i quali un
sovrano straniero mosse guerra al padre mio, o tagliate fino all'ultimo
boccolo
della mia chioma, che offusca il sole. Nulla ha più valore
del mio amore.”
Morgana rise,
come ridono di noi le fiere
dai loro rifugi segreti, celati all'occhio umano.
“Voi
parlate come una giovane innamorata, non c'è che dire!
Affermate che nulla ha
più valore di ciò che provate ora. Molto bene,
mia principessa. All'alba
scioglierò l'incantesimo sul vostro principe.”
Il
vento
urlò fuori alla casetta nera, ma nessuno parve udirlo.
“Quando
il gallo canterà lassù, nei verdi campi a nord,
allora egli sarà di nuovo
libero dal sortilegio.”
Morgana
prese dal fondo della misera stanza un cumulo di paglia e lo
gettò tra le
ceneri, fredde come il suo cuore antico.
“Ora
però ascolterete le mie storie, prima di partire. E quando
il gufo annuncerà il
calare della prossima luna, voi tornerete da me: allora mi direte
quanto vale
il vostro amore quando manca ogni altra cosa.”
La
strega si sedette, il camino che riprendeva lentamente vita e calore.
E
piano
piano cominciò a narrare...