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Autore: duepescinellaboccia    04/01/2014    4 recensioni
In questo AU Harry si trova in grossi guai e sarà un Sirius non deceduto (sì, arriverà il giorno in cui supererò questo trauma e riuscirò ad andare avanti con la mia vita come ogni persona normale: "ma non è questo il giorno!") a doverlo soccorrere. Ma ci riuscirà davvero? Harry glielo lascerà fare?
Titolo e intro provvisori.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Famiglia Dursley, Harry Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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“Un mese, Harry, solo un mese: il tempo di scagionare una volta per tutte Sirius e di rinnovare la protezione e poi ti giuro che non dovrai mai più tornare a Privet Drive”, gli assicurò Remus Lupin, che aveva notato lo sconforto sul viso del ragazzo.

King’s Cross era piena zeppa, come sempre: babbani correvano ovunque nel tentativo di salire su treni ormai in partenza, mentre decine di studenti di Hogwarts si avviavano verso l’uscita cercando di non attirare troppo l’attenzione sui loro bagagli inusuali e su genitori e parenti che ancora non avevano assimilato il concetto di moda dei non maghi.

Harry annuì, comunque sconfortato. Le conseguenza della battaglia al Ministero non si erano ancora assorbite: Caramell, giunto al Ministero in tempo per vedere Voldemort Smaterializzarsi dopo il violentissimo combattimento con Silente, era (poco) meno oberato solo dei giornalisti della Gazzetta del Profeta, che, se non avessero dovuto scrivere del ritorno del Mago Oscuro più temibile della storia contemporanea, sarebbero stati felici come bambini il giorno di Natale. Le rotative lavoravano non stop, il quotidiano aveva aumentato tiratura e numero di pagine per riuscire a riportare tutte le notizie che si avvicendavano; in una prima edizione straordinaria dalla testata È TORNATO a caratteri grandi come scatole da scarpe, si susseguivano articoli che recavano titoli come TUTTA LA VERITA’ SULLA BATTAGLIA AL MINISTERO, IL PRESCELTO, IL RITORNO DI SILENTE, e, con vendicativa soddisfazione di Harry, SIRIUS BLACK,VITTIMA ED EROE: CHI PAGHERA’ L’ERRORE?
Il Mondo Magico, allo sbando, stava cercando di riorganizzarsi il più velocemente possibile, ma i mesi di ritardo nell’inutile e dannoso tentativo di negare la realtà stavano richiedendo il loro tributo: il panico e l’isteria ovviamente dilagavano, gli avvistamenti dell’Oscuro Signore si moltiplicavano, rendendo tra l’altro difficoltose e spesso inutili le operazioni di salvataggio in caso di effettivi attacchi, con maghi e babbani che avevano ricominciato a morire e a sparire sotto il Marchio Nero.
Caramell, le cui dimissioni erano attese da un momento all’altro, era caduto in totale disgrazia, indifendibile, linciato da quella Comunità Magica che fino a qualche giorno prima si era fieramente schierata con lui contro i vaneggiamenti del Bambino Sopravvissuto e di Albus Silente.  Proprio le loro dichiarazioni erano mendicate dai giornalisti in quel momento, ma i due avevano rifiutato categoricamente di alimentare quella macchina che per un anno li aveva infangati senza pietà.
Oltre a organizzare un programma di difesa e di contenimento dei danni (i Dissennatori avevano abbandonato Azkaban proprio nel momento in cui un quarto dell’aristocrazia Magica era in stato di fermo con l’accusa di ingrossare le fila dei Mangiamorte), il Ministero doveva occuparsi di un paio di ulteriori spine nel fianco che avrebbe volentieri evitato: Dolores Umbridge doveva ancora essere interrogata riguardo alla sua condotta ad Hogwarts e Sius Black aspettava con una certa (violenta e rabbiosa) impazienza il processo che l’avrebbe finalmente, totalmente riabilitato.

Ed era proprio quello che aspettava anche Harry. Dopo un anno di accuse e insulti dalla gente che cercava di proteggere, dopo la paura al Ministero, dopo lo shock delle rivelazioni sulla Profezia, che sembrava condannarlo a morte, l’unico pensiero che l’aveva sorretto era quello della nuova vita che avrebbe cominciato a casa del suo padrino. Tanto per cambiare, tuttavia, anche quella si era rivelata una speranza priva di fondamento e, come ogni anno, si ritrovava a trascinarsi col suo baule verso l’ennesima estate da passare con gli odiosi parenti. A proposito…

“Harry, ma dove sono i tuoi zii?”, gli chiese Remus, guardandosi intorno, allungando il collo.
Il trio Dursley non si vedeva da nessuna parte… e non che fossero proprio difficili da notare, con lo zio e Dudley larghi quasi quanto alti.

“Forse si sono dimenticati di me?”, propose il ragazzo, speranzoso.

Proprio in quel momento, mentre l’espressione del Licantropo si induriva al pensiero della stupidità della famiglia adottiva del ragazzo, che ritardava in un momento storico in cui lasciarlo solo poteva significare la sua sua morte, una voce conosciuta chiamò: “Harry?”.

Si voltarono, trovandosi di fronte a un Dudley Durlsley, semi-terrorizzato (evidentemente conscio della natura della gente che lo circondava), solo e, con somma sorpresa di Harry, dimagrito. Non un figurino, non magro quanto il cugino, certo, ma in qualche modo... sciupato.

“Dudley…!”, rispose Harry, sconcertato dalla visione e incerto su come comportarsi.

Il ragazzo annuì in risposta, facendo saettare lo sguardo tra lui e l’uomo che lo accompagnava.

Remus gli tese la mano, propositivo, “Piacere, Remus Lupin, sono un amico di Harry”, ma il ragazzo lo guardò ammutolito e in preda al panico più selvaggio: fece due passi indietro e nascose le mani dietro la schiena.

Harry sospirò, si girò verso il suo vecchio e accigliato professore e lo salutò. Questi, prima di lasciarlo con uno sguardo preoccupato e un’ultima pacca sulla spalla, gli sussurrò all’orecchio “solo un mese”.
Già, si ripeté Harry: solo un mese.

Il Grifondoro a quel punto si rese conto di essere rimasto solamente col cugino (e il resto dei viaggiatori di King’s Cross) in mezzo alla stazione.
“Dud, ma tua madre e tuo padre? Aspettano fuori?”, chiese al rampollo Dursley, immaginando che lo zio avesse preferito aspettare in macchina per non pagare il parcheggio.

“Sono a casa”, replicò lui.                        

“Come, “a casa”? E noi come ci andiamo?”.

​Dudley gli mostrò un biglietto: “Con l’autobus. Spero tu abbia i soldi per il biglietto”.

Meraviglioso, pensò Harry: due ore di viaggio con Hedwige sulle gambe su un autobus babbano. Geniale.

“Si può sapere cos’è questa storia?”, sputò, mentre si controllava le tasche alla ricerca di qualche banconota che sapeva di avere da parte per le emergenze.

“Papà ha perso il lavoro. Non abbiamo più la macchina. Là c’è la biglietteria, muoviti che il prossimo bus parte tra un’ora”.

La spiegazione del cugino, rifilatagli con tono asciutto e nervoso, lo sorprese talmente che Harry non seppe far altro che fissarlo, ammutolito, la mano bloccata a mezz’aria con tre banconote strette nel pugno. Avrebbe voluto chiedere maggiori dettagli, ma l’aria dimessa del non più “Big” Did lo fermò. Piuttosto, ripresosi, cominciò a trascinare in silenzio i suoi bagagli verso la biglietteria. Non sapeva davvero che cosa pensare.
Il viaggio fu lungo, noioso e scomodo; a metà strada Harry si decise a liberare la sua civetta, conscio che sarebbe giunta in Privet Drive senza problemi (se ci avesse pensato prima, si sarebbe evitato occhiate curiose e improperi da parte di tutti gli altri passeggeri – Dudley compreso) e l’autobus finì con l’arrivare con un’ora e mezza di ritardo a causa di un guasto: insomma, i due ragazzi erano sfiniti, affamati e piuttosto maleodoranti. Non avevano scambiato nemmeno una parola durante quelle tre ore abbondanti di noia e sofferenza: qualche volta sembrava che Dudley fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi nulla veniva e Harry era già sufficientemente di cattivo umore per cercare un contatto con l’odiato cugino.
Scesi dal mezzo di trasposto della malora, l’autista che li aveva aiutati a caricare i bagagli alla partenza diede loro una mano a recuperarli tra le altre valige, scaricando con un grugnito il pesantissimo baule. E così si ritrovarono soli, con un baule, una sacca e una gabbia vuota nel mezzo dell’autostazione più vicina a Little Whinig: a tre miglia e mezza da casa.

“E ora?”, chiese il giovane mago a cugino.

““E ora”, cosa?”

“Come facciamo ad andare a casa? Vengono a prenderci?”

“Ma “vengono a prenderci”, chi? Non abbiamo più la macchina ti ho detto, idiota!”.

Harry inspirò a fondo ed espirò, cercando di non aggredire l’altro ragazzo.

“E come pensi che faremo, dunque?”, gli domandò, invece, serafico.

“E che ne so…? Che ne sapevo che avevi tutta questa roba? Non puoi fare una… di quelle cose che fai tu?”.

Era una richiesta assurda. In parte perché nessuno studente minorenne aveva il permesso di utilizzare la magia al di fuori di Hogwarts, per di più in un quartiere totalmente babbano, ma soprattutto perché mai e poi mai il giovane mago si sarebbe aspettato di sentirla da Dudley BullettoPisciasotto Dursley.

“No, Dud, non posso. Se avessi detto in che condizioni eravamo prima che Remus se ne fosse andato, magari ci avrebbe potuti aiutare, ma lo sai che io non posso ancora fare… quelle cose fuori da scuola. L’anno scorso sono finito in un bel guaio quando… beh, lo sai…”.

Circa un anno prima, Harry aveva salvato un –giustamente- terrorizzato Dudley da due Dissennatori che li avevano attaccati, finendo però davanti al tribunale Magico per aver utilizzato la magia quando non avrebbe potuto. Comunque sì, Dudley evidentemente ricordava bene: rabbrividì, spingendo Harry a chiedersi per l’ennesima volta cosa potesse aver visto o sentito di così orribile il viziatissimo cugino mentre veniva trattenuto dallo spettro.

“Allora che facciamo?”, lo riportò alla realtà il vocione del ragazzo.

Harry si guardò attorno, infastidito: come avrebbero fatto a trascinare il dannatissimo baule per tre miglia? Non c’era verso… L’unica possibilità era prendere un taxi.
Senza dire nulla, si incamminò verso la colonna di macchine gialle che aspettavano i clienti a qualche metro di distanza. Aveva quasi raggiunto il primo autista, che si sentì strattonare malamente per un braccio.

“Che fai? Non possiamo prendere un taxi!”, gli sussurrò, imbestialito, il cugino.

“E perché?”, chiese lui, stupito.

Dudley arrossì appena e si guardò i piedi.

“Perché non ho soldi”.

“E dunque? Offro io”, sancì il giovane mago, pensando distrattamente a quanto fosse assurda la situazione: stava per offrire un viaggio in taxi al ragazzo che per tutta la sua vita lo aveva tormentato e picchiato, quello che gli aveva inflitto dieci anni di solitudine, spaventando chiunque volesse diventargli amico.

Mise da parte l’amara considerazione e prese accordi con l’autista, che caricò i bagagli e li fece salire.
A due isolati di distanza dal Numero 4, tuttavia, Dudley chiese all’uomo di fermarsi.
Mentre il taxi accostava, Harry fece per chiedere spiegazioni al cugino che, senza guardarlo, lo anticipò:

“Non dovevo venire a prenderti, oggi. Dovevi arrangiarti tu, papà aveva detto così. Rientrerò tra un’oretta, ho raccontato che stavo da Piers, reggimi il gioco”.

Senza avere la possibilità di rispondere alcunché, Harry osservò il ragazzo che per tutta la vita lo aveva tormentato e picchiato scendere dalla macchina, sbattere la portiera e incamminarsi verso il parco.
Era incredulo. Di più, sconvolto: Dudley Dursley aveva disubbidito al padre per andare a recuperare lui, Harry Potter, il mostro, lo scherzo della natura, alla stazione di King’s Cross. Pagandosi il biglietto di andata e ritorno, tra l’altro.
Ma le sorprese non erano finite: giunto il taxi finalmente al Numero 4 di Privet Drive, il Bambino Sopravvissuto sentì crollare la propria mascella davanti al mezzo disastro che era diventato il giardino di sua zia Petunia.

“Ma che diavolo sta succedendo?” si chiese, sottovoce.

  
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