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Autore: Chtsara    04/01/2014    5 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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No, no, no, no. Mi rifiutavo di credere che fosse una semplice coincidenza.
Possibile che dovessi trovarmelo nello stesso posto nello stesso momento ogni santa volta da quando avevo incrociato il suo sguardo? E perché quel dannato cuore non smetteva di bruciarmi la pelle?
Non mi girai di proposito, nonostante questo potesse essere considerato come un atto di indubbia maleducazione e arroganza verso il re.
Chi se ne frega, pensai semplicemente. Basta che il bruciore al petto finisca!
“Psss! Elenoire! Girati!”.
Ignorai la vocina impotente di Hannah alla mia destra e restai a fissare il piatto ormai vuoto davanti a me. Non dovevo girarmi, altrimenti sarei stata di nuovo male e il ciondolino sarebbe esploso: lo sapevo. O meglio, lo sospettavo...
“Oh, milady, non vi preoccupate”, disse il re alle mie spalle, nella voce un inconfondibile sorriso sarcastico misto ad un tono arrogante. “Non mi aspetto che tutti mi riconoscano con facilità come loro re, visto che...”.
“... hai passato tutta la tua vita chiuso in un castello senza mai farti vedere fregandotene altamente di quello che succedeva nel regno”, finii per lui senza riuscire a controllarmi.
Un silenzio agghiacciante seguì le mie parole e mi resi conto che probabilmente tutti i clienti della locanda avevano seguito il discorso.
Risuonarono nella stanza dei passi lenti e decisi e con profondo terrore vidi il re fare il giro del tavolo per potermi venire davanti e guardarmi in faccia. Nell’individuare il suo sorriso spavaldo, arrogante e maledettamente perfetto sentii un odio montarmi dentro con una velocità straordinaria, mentre il ciondolo a forma di cuore continuava ad ardere senza pietà sul mio povero petto mandandomi fuori di testa e, con essa, la prudenza.
Il re, di tutta risposta, non smise di sorridere. I suoi occhi color smeraldo, però, lampeggiarono come se volessero darmi una specie di avvertimento a non andare oltre: ma l’impulso di ferire quel ragazzo dalla faccia da schiaffi fu più grande di tutto il resto.
“Sua Maestà non sarà lieto di sapere che il suo sguardo non avrà alcun effetto su di me, come invece capita a tutte le ragazze su cui Sua Maestà posa i suoi occhi”. Sorrisi con una dolcezza decisamente falsa e attesi.
Il mio cambio di tono improvviso lo lasciò un attimo senza parole, ma non ci mise molto a ricomporsi e a ricambiare il sorriso. “Vi assicuro, Vostra Grazia, che non ne avevo alcuna intenzione”. Distolse gli occhi dai miei e si rivolse al gemello alla mia sinistra che era rimasto lì per tutto il tempo senza proferire parola. Mi ero quasi dimenticata di lui, suo fratello e Hannah, presa com’ero a tentare di dominare l’improvviso odio per il re.
“Josh, ho notato i tuoi comportamenti... mmm, come dire, spinti nei confronti della signorina Wild”, gli disse senza smettere di sorridere. “Hai intenzione di accompagnarla alla mia festa di domani?”.
Mentre con una parte della mente registravo il nome del gemello numero uno, che fino a quel momento era rimasto anonimo, Josh sorrise a sua volta e si voltò verso di me. “Che ne dite? Verrete alla festa del re insieme a me?”.
Sotto gli occhi di tutta la locanda mi fu decisamente impossibile rifiutare, considerato che lo sguardo di Leonardo continuava ad essere rivolto a Josh permettendomi quindi di pensare con più chiarezza.
Scrollai le spalle: dopotutto era quello che volevo. “Certo”. Sorrisi, lanciando un’occhiataccia al re: lo vidi ridacchiare senza scomporsi troppo, come se la scena fosse incredibilmente divertente ma le circostanze gli impedissero di dar sfogo al suo entusiasmo.
La mano di Josh riprese la mia, posata ancora sul tavolo, e la strinse delicatamente: ogni parte del suo volto sprizzava un’immensa felicità e iniziai a sentirmi un po’ in colpa; l’avevo volontariamente illuso e stavo cominciando a pentirmene...
“Perfetto, allora”, concluse Leonardo, accennando un sorriso. “Entrambi i miei cugini hanno qualcuno da accompagnare alla mia festa”.
Per la seconda volta in quella giornata la mascella rischiò di crollarmi sul pavimento. Cugini? I gemelli Grayson e il re erano cugini?
“Signorina Wild, la prego, cerchi di mantenere un po’ di contegno”. Leonardo si inchinò sarcasticamente al mio cospetto senza smettere di tentare di trattenere le risate.
Brutto buffone arrogante, se potessi prenderti a schiaffi a quest’ora ti ritroveresti...
“Vi assicuro, Vostra Maestà, che solitamente Elenoire non si comporta in questo modo”, si intromise Hannah con tono evidentemente preoccupato.
Sorpresa dal fatto che quella volta avesse resistito alla tentazione di guardare il re con occhi lucidi come se fosse Dio sceso in terra, mi voltai riconoscente nella sua direzione senza però dire nulla. Quella situazione era già di per sé imbarazzante senza che facessi ulteriori commenti...
Leonardo gettò un’occhiata alle mie spalle e, con un sospiro, disse: “Se fosse dipeso da me avrei continuato con voi questa interessantissima conversazione, ma il signor Thenebrus mi sta aspettando all’entrata e temo di dovermi congedare per poter adempiere ai miei doveri da sovrano”. Si inchinò ad Hannah (che ricominciò all’istante a non vedere altro che lui) e subito dopo mi prese la mano libera tra le sue, avvicinandosela alle labbra con il solito sorriso beffardo. “A domani, signorina Wild”.
Consapevole che quel gesto non fosse altro che una presa in giro, strinsi la bocca ancora una volta senza rispondere niente: mi limitai a guardarlo mentre si rimetteva dritto, sorrideva ai due cugini e, con un’ultima occhiata divertita nella mia direzione, faceva il giro del tavolo per uscire dalla locanda.
Non riuscii ad impedirmi di voltarmi di scatto verso l’uscita per poterlo guardare: accanto a lui, il vecchio con l’aria altezzosa che avevo visto al castello (e che evidentemente si chiamava Thenebrus) si guardava nervoso intorno, per poi invitare Leonardo fuori in piazza.
Lo seguii con lo sguardo con una crescente e strana curiosità, ma mi maledissi nell’esatto istante in cui il re si girò nella mia direzione rivolgendomi un’espressione a metà tra il terrore e la confusione; poi uscì.
Non passarono nemmeno due secondi che Hannah si mise ad urlare insulti di tutti i tipi, accompagnati da frasi offensive del genere “Sei un’idiota! Avresti potuto fare una figura migliore, non credi? Oh, che vergogna! E ora come farò a guardarlo in faccia?”.
“Hannah, calmati”, ridacchiò Cory alla sua destra. “Leonardo fa questa influenza: chi non pende dalle sue labbra, finisce col sopportarlo a malapena”.
“Decisamente”, sbottai scuotendo la testa. Ma in quel momento, lontana da lui, mi accorsi che le parole di Hannah non erano fondate sul nulla: mi ero comportata come un’insolente bambinetta di due anni, incapace di contenersi trattando il re senza il rispetto che gli era dovuto per diritto di nascita.
Calò il silenzio un’altra volta. Sospettando che Leonardo fosse nei paraggi, abbassai lo sguardo sul ciondolino a forma di cuore e solo allora mi accorsi dell’enorme segno rosso che aveva lasciato sul petto, molto peggiore rispetto ai precedenti. Evidentemente stare vicino al re e parlargli non mi faceva bene.
“Allora... ehm, non sapevo che foste cugini”, disse Hannah tentando molto coraggiosamente di scacciare l’imbarazzo che si era creato tra noi.
Cory annuì. “Non lo sbandieriamo ai quattro venti e cerchiamo di tenerci questa informazione per noi”.
“Non è una cosa di cui dovremmo vantarci, almeno non nel collegio. Lì dovremmo essere tutti uguali e non credo che potremmo rimanere se iniziassimo a sfruttare la nostra parentela col re per ottenere privilegi che agli altri non sono concessi”, mormorò Josh.
“No, in effetti se fossi al vostro posto non me ne vanterei affatto”, concessi con una strizzatina d’occhi.
I gemelli inarcarono le sopracciglia nello stesso momento e Hannah spalancò la bocca; poi sussurrò: “Elenoire, se queste voci giungessero a qualcuno...”.
“Oh, Leonardo se ne frega”, ridacchiò Josh scrollando le spalle.
Hannah, però, lo fulminò all’istante. “Fammi finire. Dicevo, se queste voci giungessero a qualcuno che non è propriamente come Leonardo e non ha la sua stessa voglia di passarci su... be’, credo che finiresti nei guai”.
Ma il silenzio nella locanda non accennava ad interrompersi, segno che la conversazione continuava ad essere seguita da molte altre persone. “Tanto qui dentro hanno sentito tutti quanti”.
Come se avessi pronunciato una formula magica, la sala si riempì di nuovo di chiacchiericci sommessi, nonostante continuassi ad avere la sensazione di non poter comunque parlare liberamente senza farmi sentire da nessuno.
“Non ti preoccupare”. Josh strinse la mia mano. “Qui non c’è mai gente che conta”.
Mi diedi un’occhiata in giro come per verificare quelle parole: al tavolo di fronte al nostro era seduta una signora piena di scialli e perline dall’aria mistica e al tempo stesso divertente; più avanti un ragazzo e una ragazza si stavano prendendo per mano e si guardavano negli occhi come se al mondo non esistesse null’altro; l’oste, passando lì vicino, alzò un attimo lo sguardo depositandolo verso di noi, evidentemente sperando che la nostra conversazione sul re riprendesse; ancora più in là due signori dal tipico aspetto da criminali giocavano a carte puntando tutto ciò che avevano e fissandosi di tanto in tanto in cagnesco, mentre due ragazze del collegio del quinto anno osservavano la scena facendo degli sforzi sovrumani per non scoppiare a ridere delle loro espressioni.
“Oh sì”. Arricciai il labbro. “Me ne rendo conto”.
“Comunque, Elenoire, sul serio, non ti preoccupare”. Cory mi sorrise incoraggiante.
Aggrottai le sopracciglia. “Non mi sto preoccupando, infatti. Quello che penso del re, be’, ormai lo sa anche lui e credo che dovrebbe apprezzare la mia sincerità anziché lamentarsi del fatto che io non sia come tutti gli altri pronti a prostrarsi ai suoi piedi per il suo semplice titolo di sovrano di Florentia”.
Ancora una volta, la sala si riempì di un improvviso e sgradevole silenzio.
“Usciamo di qui?”, chiesi senza più un briciolo di pazienza. Lasciai delle monete sul tavolo e, alzandomi senza aspettare risposta, mi diressi con eleganza (o almeno così speravo) verso l’uscita.
Rimasi di sasso nel rendermi conto di che ora fosse: il sole stava tramontando e ormai non c’era più nessuno ad aggirarsi per le strade.
Dopo quella giornata anche io non vedevo l’ora di tornare in collegio e, dondolandomi sul posto, aspettai sulla soglia che Hannah e i gemelli Grayson mi raggiungessero.
“Ti sei già dimenticata di me, ragazzina?”.
A sentire quella voce fredda e distaccata non desiderai altro che trovarmi già tra le mie lenzuola, al sicuro, lontana da qualsiasi essere alato.
Una mano si posò sicura sul mio braccio e, senza nemmeno tentare di opporre resistenza, mi lasciai trascinare dietro un edificio, le gambe molli e il respiro corto.
Venni nuovamente sbattuta di schiena contro un qualcosa di duro che quella volta si rivelò essere il muro in fondo ad un vicolo sudicio e scarsamente illuminato: riuscivo solo a vedere a pochi centimetri dal mio volto e con non poco terrore riconobbi gli splendidi e spaventosi occhi azzurri cristallini del ragazzo senza nome.
Alzò una mano per accarezzarmi una guancia, l’espressione improvvisamente folle e un sorriso altrettanto da pazzo.
“Non... non mi ero dimenticata di te”, sibilai, totalmente presa dal panico. Non riuscii a dire null’altro che portò la mano che fino a poco mi accarezzava la guancia sulle mie labbra per impedirmi di parlare; poi alzò l’altra per bloccarmi entrambe le braccia con una presa sola. Ero decisamente in trappola. Di nuovo.
“Oh, be’, come potresti farlo?”, ridacchiò quello. “Però oggi mi sento buono e ho intenzione di farti un favore”.
Riacquistai abbastanza coraggio da inarcare le sopracciglia, incredula. Se aveva voglia di scherzare, non ero dell’umore giusto per stare al gioco.
“Io non sono un’insulsa fatina delle fiabe, ragazzina”, sibilò al mio orecchio, nella voce un sorriso. “Mi chiamo Alexander”.
Incapace di parlare, socchiusi gli occhi come per permettergli di leggere la domanda impressa nel mio sguardo. Se non era una fatina, allora...?
Riuscii nel mio intento, perché sorrise di più, spalanco le enormi ali nere e rispose: “Sono un demone”.
Annuii. Sinceramente mi aspettavo una risposta del genere, anche perché di certo non poteva essere un vampiro, un fantasma o una qualsiasi altra creatura delle favole perché aveva un paio di enormi ali, non mi aveva ancora ucciso e, anzi, mi aveva salvato la vita.
Ma i demoni non salvano la vita, Elenoire.
“Vedo che hai tentato di toglierti la collana”, sussurrò dando un’occhiata al ciondolo a forma di cuore. “Ti sei scottata”.
Annuii di nuovo. Ormai non avevo altra scelta.
“Ti sono piaciuti i vestiti nuovi che ti ho lasciato, vero?”. Sospiro felicemente, scuotendo la testa con la stessa espressione da pazzo furioso. “Domani dovrai essere abbastanza elegante da eseguire i compiti che ti darò”.
Stavolta inarcai un semplice sopracciglio, nello sguardo impressa un’altra domanda silenziosa a cui mi aspettavo una risposta. Che cosa intendeva dire?
Sorrise un’altra volta. “Hai presente quel bel ragazzo biondo con gli occhi verdi? Quello che il regno di Florentia insiste col definire re?”.
Ecco, finalmente adesso mi dirà cosa c’entra lui con la stupida collana incandescente.
“Suppongo di sì”, aggiunse Alexander, non vedendomi fare nessun cenno col capo. “Il compito riguarda lui”.
Un’espressione di panico si dipinse sul mio volto con il passare dei secondi. Ne parlava quasi come se dovessi ucciderlo. E ovviamente quella per me sarebbe stata una missione decisamente suicida, con tutte le guardie che lo proteggevano a costo della vita.
“Comunque sia, ti spiegherò tutto più avanti. Sei la mia unica speranza e non ti permetterò di fallire, intesi?”, sibilò minaccioso togliendo finalmente la mano dalla mia bocca.
Mi misi a soppesare le possibilità. Sarei potuta scendere a contrattare, certo: ma chiedergli di liberarmi dalla collanina in modo che accettassi ad obbedirgli sarebbe stato un controsenso, perché ovviamente dopo avermi tolto quello stupido ciondolo avrei potuto fare tutto quello che volevo senza rischiare di essere strozzata o di bruciarmi la pelle ad intervalli regolari, e qualcosa mi fece pensare che Alexander l’avrebbe capito.
Non avrei sicuramente potuto rifiutare, altrimenti mi avrebbe uccisa all’istante non ritenendomi all’altezza della missione e sarebbe corso da qualcuno migliore di me.
Avrei solo potuto accettare: del resto mi aveva confessato, forse involontariamente, che ero la sua unica speranza e questo mi dava più potere di quanto pensassi.
“Cosa succederebbe se rifiutassi?”, chiesi comunque per sicurezza, guardandolo con occhi di sfida e sperando che di conseguenza non mi prendesse a pugni.
Sorrise di nuovo e si portò lentamente una mano all’elsa della spada conservata nel fodero sulla cintura. “La vedi questa? La riconosci?”.
Fissai per un momento i rubini rosso sangue incastonati nell’elsa che la notte prima non avevo notato, poi annuii. “L’hai usata per distruggere quel fantasma”.
Inaspettatamente, scoppiò a ridere. “Distruggere quel fantasma?”, ripeté. “Quelli si possono solo bandire o allontanare, non distruggere. E poi non era un semplice fantasma”.
Ah, be’, era sicuramente un folletto dei boschi. “E cos’era?”.
Il cambio d’espressione di Alexander fu improvviso e spaventoso. Non c’era più alcuna traccia di una risata mentre rispondeva: “Una banshee”.
Sbattei le palpebre più volte, confusa. Quel nome non mi era familiare per niente e se si aspettava che capissi al volo si sbagliava di grosso. “Ovvero?”.
Alexander sbuffò. “Le banshee sono fantasmi della foresta legati per l’eternità ad una famiglia di quel regno e attaccano chiunque abbia intenzione di fare del male ad un suo membro; si dà il caso che la banshee di ieri notte stesse cercando di uccidere proprio te. Almeno a questo ci eri arrivata?”.
La confusione si tramutò ben presto in rabbia. “Senti, piccolo coso alato...”.
“La banshee ha capito che saresti stata un pericolo per la famiglia che protegge se non ti avesse uccisa”, continuò lui come se non avesse sentito il mio commento. “Se non ti avessi salvata saresti morta”.
“Fatto sta che io non avevo e non ho intenzione di uccidere proprio nessuno, sappilo”, borbottai, sperando che cogliesse l’allusione al re Leonardo. Il fatto che non volesse dirmi nulla sulla missione che io stessa avrei dovuto compiere cominciava a darmi sui nervi.
“Ma avvertiva comunque un pericolo legato all’esistenza della famiglia che protegge e ha pensato fosse giusto eliminarne la fonte; ovvero, te”, mormorò Alexander con un sorrisetto.
“A quanto so i fantasmi sono impenetrabili”, borbottai. “Come hai fatto a trapassarla con quella spada?”.
“Questa spada è stata creata apposta per allontanare le banshee. Ma comunque può trapassare qualsiasi altra cosa”. Si avvicinò ancora di più al mio volto. “Perfino il tuo piccolo cuore insignificante”.
“Se è tanto insignificante perché non vai a cercare qualcun altro che possa... anzi, che voglia aiutarti?”, sbuffai, ormai al limite della pazienza. Il terrore iniziale era del tutto svanito, sostituito completamente dalla voglia di ferire lo stupido orgoglio di Alexander.
Alzò gli occhi al cielo. “Te l’ho detto, sei tu la mia unica speranza. Di certo non avrei posato gli occhi su una ragazzina insolente come te se non avessi visto che la banshee ti teme in modo particolare. Evidentemente sei l’unica in grado di poter... come dire, fare qualche torto ad un membro della sua famiglia”.
Era una cosa totalmente ridicola. Come potevo rappresentare un pericolo per qualsiasi essere umano? Io, che ero cresciuta in un collegio gestito da suore e insegnanti che non tolleravano minimamente una qualsiasi forma di violenza?
“Non sono la persona giusta, quella banshee si è sbagliata di grosso”, dissi alzando il mento per assumere un po’ più di dignità. “Quindi anche tu stai commettendo un errore e ti consiglio vivamente di degnare qualcun altro delle tue attenzioni”.
Gli occhi di Alexander erano decisamente fuori dalle orbite. “Ma allora non capisci proprio! Non ci arrivi!”. Sospirò, come se stesse cercando di darsi finalmente una calmata e apparire meno, appunto, demoniaco. “Le banshee non sbagliano mai, va bene? Se ritengono qualcuno pericoloso per la famiglia che proteggono, fanno di tutto per ucciderlo. Hai sentito il suo pianto?”.
“Se intendi quell’urlo disumano che mi ha rotto i timpani, allora sì”. Non ricordavo che avesse pianto, ma che avesse solo strillato senza alcuna pietà mentre tentava di avvicinarsi a me con entrambe le braccia dirette nella mia direzione, tutti gli alberi perdevano forma e la testa cercava di scoppiarmi... A quel pensiero, rabbrividii.
La mano di Alexander scattò improvvisamente verso la spada come se fosse ancora una volta tentato dalla voglia di togliermi la vita all’istante. Però poi scosse la testa e sorrise con l’espressione folle di poco prima. “Le banshee non urlano: piangono. Quello è il loro modo di uccidere le persone: dopo qualche secondo inizi a perdere i sensi, ti accasci al suolo sperando di morire il più in fretta possibile e l’unica cosa che ti lega ancora a questo mondo è il loro pianto disperato e senza fine”.
“A me è sembrata più che altro una pazza da legare”, commentai acida, consapevole però che un’altra frase del genere avrebbe indotto Alexander a decapitarmi senza troppi complimenti.
“Voglio vedere cosa faresti tu se qualcuno minacciasse di morte un membro della tua famiglia”, sussurrò subito dopo lui con un sorrisetto.
Quella frase fu come un pugno allo stomaco: ero cresciuta tra le suore insieme ad una bambina che era diventata ben presto la mia migliore amica, non avevo nessun altro a parte gli studenti del collegio con cui avevo legato.
Ci misi qualche secondo a riordinare i pensieri e a rispondere con un tremito: “Io non ho una famiglia”.
Alexander socchiuse gli occhi, lasciandomi però intravedere uno scintillio in fondo allo sguardo di pura cattiveria. “Lo so”.
All’improvviso rividi il momento in cui gli avevo confessato, durante il nostro primo incontro (se così si poteva definire), di aver vissuto al collegio da sempre e mi sorpresi per la sua memoria tanto affidabile e precisa.
“Comunque cosa c’entra questo con il re?”, chiesi, ricordandomi solo in quel momento del vero argomento della discussione.
Alexander sorrise ancora, stavolta più paziente. “Indovina quale famiglia protegge la banshee, ragazzina”.
“Quella del re”, risposi in automatico. Ma certo, altrimenti non avrebbe mai sprecato il suo tempo prezioso a spiegarmi tutto. “Ma non ho intenzione di togliergli la vita”.
“No, non dovrai togliergli la vita”, sbottò lui, alzando gli occhi al cielo. “Come fai ad essere così drammatica? Anche se, ad essere sincero, potrai fare di lui tutto ciò che vorrai una volta portata a termine la tua missione. Ma, per il momento, il tuo scopo è un po’ diverso: dovrai farlo innamorare di te”.
  
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