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Autore: Chtsara    05/01/2014    5 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
~
Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questa è buona.
Non riuscii a trattenere le risate, lasciando Alexander a bocca aperta: era evidente che non si aspettasse una reazione del genere.
“Io? Dovrei far innamorare quello lì di me?”, ridacchiai. “Oh, andiamo, ma sei impazzito? È completamente fuori di testa, oltre che un arrogante, presuntuoso, piccolo deficiente con...”.
“Ho capito”, sbottò di rimando Alexander, assumendo un contegno più umano. “Non c’è bisogno di aggiungere ulteriori insulti, hai espresso perfettamente ciò che pensi di lui”.
Incrociai le braccia sul pretto, improvvisamente più sicura di me. “Allora avrai capito anche che non c’è alcuna speranza che io riesca a...”.
Se prima pensavo che avesse abbandonato un po’ della sua pazzia, mi sbagliavo. Ridusse nuovamente la distanza tra me e lui tentando di bloccarmi un’altra volta contro il muro.
Ma stavolta ero pronta: mi spostai di un misero passo a destra mentre di conseguenza Alexander frapponeva fra sé e il muro soltanto l’aria e, alzando una mano verso di lui, sorrisi. “Ci sono un paio di cose che non tornano. Se davvero vuoi il mio aiuto, allora dovrai rispondere ad altre domande”.
Restò lì, sorpreso per il mio improvviso spostamento, a guardarmi stralunato. Poi annuì.
Finalmente stavo ottenendo qualcosa. “Perché la banshee non mi sta cercando più? Prima hai detto che i fantasmi non si possono distruggere, ma semplicemente allontanare, quindi in teoria sarebbe potuta tornare da me in qualsiasi altro momento”.
“La collana che ti ho messo è fatta dello stesso metallo della mia spada”, sbuffò Alexander impaziente. “Finché la indosserai, non potrà avvicinarsi”.
Allora il ciondolino a forma di cuore era in grado di fare altre cose, a parte bruciarmi costantemente la pelle. “Va bene. E perché devo far innamorare il re di me?”.
A quel punto, Alexander alzò un angolo delle labbra ostentando un piccolo sorriso impertinente. “Ragiona. Cosa succederebbe se si innamorasse di te?”.
“Cercherebbe di sposarmi”, sussurrai senza nemmeno pensarci, tanto era logica quella risposta. “Hannah ha detto che sta cercando moglie”.
Lui annuì, stranamente compiaciuto e soddisfatto. “Esattamente. E a quel punto...”.
“Io diventerei regina di Florentia”, finii al suo posto, con gli occhi vuoti, mentre tutto cominciava ad avere un senso. “E tu potresti indirettamente governare sul regno, visto che puoi tenermi sotto controllo grazie alla collana”.
Il sorriso di Alexander si allargò. Ecco cosa voleva ottenere.
“Ma allora perché non hai messo la collana direttamente a lui?”, sbottai. “Magari cercandone una con un ciondolo che non fosse proprio un cuore... Però, insomma, in fin dei conti che c’entro io?”.
Alexander restò lì, in attesa, aspettando che facessi due più due.
“È di me che la banshee ha paura”, continuai, sconvolta. “Quindi se tu avessi messo la collana a lui non sarebbe servito a nulla, visto che a quanto pare sono io quella destinata a mettere nei guai la famiglia reale”.
“E poi lui ne è immune”, buttò lì Alexander come se non fosse importante.
“Perché lui ne è immune ed io no?”, brontolai, ormai sconfitta sotto ogni punto di vista.
“ELENOIRE! Dove sei?”.
Dannazione. Mi ero completamente dimenticata di Hannah e i gemelli Grayson, i quali probabilmente stavano impazzendo pur di trovarmi da qualche parte. Chissà da quanto tempo mi stavano cercando...
“Devo andare”, sussurrai, per la prima volta scontenta che la conversazione con Alexander non potesse continuare. “Devo inventarmi una scusa, devo...”. Il mio cervello cominciò a scartare le varie opzioni e, non appena trovai una bugia decente, gliela proposi con un certo nervosismo. “Dobbiamo uscire da qualche osteria e...”.
Dobbiamo?”, ripeté Alexander con un ghigno.
“Sì”, sospirai. “Io e te. Facciamo... uhm, facciamo finta di esserci appena conosciuti, va bene? Tu mi hai vista fuori dalla Locanda delle Stelle, mi hai offerto da bere...”.
La sua risata improvvisa echeggiò nel vicolo sempre più buio e sudicio. “Offrirti da bere? Scherzi?”.
Incrociai le braccia sul petto battendo impaziente un piede. “Allora proponi tu un’idea migliore, genio”.
Aprì un attimo la bocca, la richiuse e la spalancò di nuovo. Poi sospirò e rispose: “No, facciamo come dici tu”.
Posò le mani sulla mia vita e ci librammo in aria restando accuratamente dietro i tetti delle case per paura che gli altri potessero vederci. Dopo essere atterrati nell’ombra di un’osteria di cui non mi preoccupai a leggere il nome, mi girai verso Alexander. “Bene, ora dobbiamo soltanto... Che fine hanno fatto le tue ali?”.
Era completamente diverso, ora: l’aria da ragazzaccio tenebroso era svanita insieme alle ali e ora sfoggiava un sorriso tutto denti accompagnato da uno sguardo talmente dolce che non pensavo potesse possedere.
Però alzò comunque gli occhi al cielo. “Preferisci che le vedano?”.
“Oh, sta’ zitto, lo sai cosa intendo”, sbuffai. Poggiai la mano sul suo avambraccio sinistro e uscimmo alla luce del poco sole rimasto.
Nel vederci, Hannah strabuzzò gli occhi e ci corse incontro, seguita a ruota dai gemelli Grayson. “Elenoire! Dove sei stata?”.
“Vi stavo aspettando fuori dalla locanda, quando lui”. Indicai Alexander. “si è avvicinato e si è presentato”.
Alexander porse ad Hannah la mano destra e, mentre quella gliela stringeva (con ancora gli occhi fuori dalle orbite), le disse sorridendo: “Johnatan De Raysier, milady”.
“Lei è Hannah, la mia migliore amica”, mi intromisi, visto che Hannah non sembrava in grado di parlare. “Ehm, sì, dicevo, mi si è avvicinato e mi ha proposto da bere: non potevo non accettare; insomma, guarda i suoi occhi”. Soltanto in quell’istante mi resi conto di aver commesso uno sbaglio colossale: sapevo che Alexander mi avrebbe fatto pesare quel complimento a vita...
Continuavano a stringersi la mano: Hannah ormai sembrava essere finita in un altro mondo; Alexander invece non smetteva di sorridere con una gentilezza mista ad un vago divertimento; se fosse scoppiato a ridere non gliel’avrei mai perdonato.
“Penso sia ora di andare”, ripresi, considerato che nessuno dei due dava cenno di voler parlare. Mi voltai verso Alexander porgendogli la mano destra nella speranza che lasciasse quella di Hannah. “Jonathan, è stato un onore conoscervi”.
Alexander, sempre ostentando il suo sorriso falsamente dolce, si inchinò e mi prese la mano tra le sue posandovi le labbra. “Il piacere è tutto mio, Elenoire”.
Con un ultimo cenno del capo, andò nella direzione opposta al collegio e poco dopo sparì.
A quel punto Hannah emise un fischio acutissimo. “Cavolo, Elenoire, avessi la tua fortuna ad incontrare ragazzi simili per strada!”.
Oh sì, sono stata proprio fortunata.
Cory, però, si schiarì la voce come a voler segnalarle la sua presenza. Hannah arrossì di colpo e si voltò verso di lui con un enorme sorriso. “Torniamo in collegio, forza”.
Stavolta non fummo solo io e Josh a non proferire alcuna parola nel viaggio di ritorno: anche Hannah e Cory non sembravano dell’umore giusto per parlare, così ben presto lei mi venne vicino lasciando i gemelli per conto loro.
“Mi sta tenendo il muso per il fatto di Jonathan”, brontolò, indignata.
“E da quando in qua ti importa di quello che prova uno dei gemelli Grayson?”, sbuffai.
Hannah prima arrossì, poi alzò gli occhi al cielo. “Ho bisogno di un accompagnatore!”.
“E fin qui c’ero arrivata”, borbottai.
“E poi eri tu quella che si faceva baciare sul collo”, mi ricordò con un sorriso di sfida.
Ha ragione, sai?
Scrollai le spalle. “Anche io ho bisogno di un accompagnatore”.
Hannah, però, scoppiò a ridere e mi mise un braccio intorno alle spalle. “Siamo proprio delle ragazzacce”.
Annuii con un sorriso, lieta che il battibecco fosse finito. “Oh sì, dovrebbero espellerci dal collegio per aver sfruttato i sentimenti di ragazzi sensibili e puri di cuore”.
Arrivati in collegio, i gemelli Grayson si voltarono verso di noi e, con un semplice “A domani, buonanotte” pronunciato da entrambi all’unisono, si incamminarono verso il dormitorio maschile parallelo al nostro.
Teoricamente avremmo dovuto cenare, ma ero talmente stanca che non protestai quando Hannah mi disse di non avere fame. Sparimmo entrambe nelle nostre stanze dopo averci augurato la buonanotte a vicenda e, sfinita, chiusi a chiave la porta della mia camera.
“Chi erano quei due ragazzi?”.
Mi sentii il cuore sprofondare nelle viscere e salire di botto fino alla gola dallo spavento. Mi portai una mano sul petto nella speranza che i battiti cardiaci rallentassero e strinsi gli occhi.
“Che ci fai qui?”, sussurrai col fiato corto, individuando Alexander vicino alle tende della finestra: si stava rigirando tra le mani i rotoli di pergamena con su scritto il tema di filosofia con uno sguardo curioso e affascinato.
“Vi fanno studiare questa roba?”, chiese a sua volta senza smettere di guardare il mio tema. “Non pensavo che foste tanto religiosi, qui in collegio”.
Inarcai le sopracciglia, convinta che stesse scherzando. “Non a caso si chiama proprio Collegio degli Angeli”.
Alexander ridacchiò. “Oh, giusto, dimenticavo”. E rimise a posto i rotoli di pergamena.
“Allora?”, insistetti senza però muovermi di mezzo passo. “Che ci fai qui?”.
Alexander si sedette sul mio letto iniziando a saltellare sul posto come un perfetto idiota, sul volto una certa euforia. “Ma è fantastico!”.
Il cambio d’umore mi lasciò senza parole: fino a qualche ora prima mi minacciava di morte e ora saltellava sul mio letto?
Senza smettere di sorridere, aggiunse: “Non mi hai chiesto altri particolari su ciò che dovrai fare domani”.
Incrociai le braccia sul petto, curiosa. “Sentiamo”.
“Non ti sei domandata come farai a far innamorare il re?”, mi chiese, ridacchiando.
“So come fare, grazie per l’interessamento”, sbottai, punta sul vivo.
Non è vero, Elenoire, non sai proprio un bel niente su come riuscirci.
“In effetti ho visto il lavoro che hai fatto con uno di quei due gemelli”. Alzò gli occhi al cielo, sarcastico. “Sembrava volesse uccidermi, sai?”.
“Chi? Josh? Ma non dire stupidaggini, io non ho fatto nulla”. Scrollai le spalle e aggiunsi: “Vengono dietro a me e ad Hannah praticamente da una vita e non sappiamo come convincerli a rivolgere le loro attenzioni a qualche altra ragazza”.
Alexander scoppiò a ridere. “E pensi che il re sia così facile da abbordare? Credi davvero che sia stupido tanto quanto quei due? È stato educato da sempre a riconoscere le persone da cui stare alla larga, fin dalla morte dei genitori”.
“A proposito, quand’è che sono morti?”.
Alexander si strinse nelle spalle come se l’argomento non lo toccasse minimamente. “Quando lui non aveva nemmeno un anno”.
Provai un’improvvisa compassione verso Leonardo: del resto, non era molto diverso da me... Nemmeno io avevo mai conosciuto i miei genitori e Hannah mi aveva aiutata a non pensarci più del dovuto.
“Comunque sia, domani dovrai attirare il re fuori dal castello”, continuò Alexander.
“Come se fosse facile”. Alzai gli occhi al cielo di fronte a quell’impresa decisamente impossibile. “È il suo compleanno, non ci riuscirò mai”.
“Tu provaci, va bene?”. E, con una strizzatina d’occhi, uscì volando dalla finestra lasciandomi sola con la mia insicurezza.
 
“Sta’ ferma, per favore, altrimenti verranno malissimo!”.
“Non ho i tuoi capelli, Elenoire, verranno male comunque!”.
“Non se smetti di muoverti come un cavallo in calore”.
“Oh, che ingiustizia...”.
“Tu fidati e non ti muovere!”.
Erano ormai venti minuti, più o meno, che lottavo con i capelli ingarbugliati di Hannah tentando di legarli con un fiocco color argento, ma lei ovviamente non aveva alcuna intenzione di stare ferma e la mia pazienza non era infinita.
Dopo dieci tentativi riuscii nell’impresa e, quando Hannah vide la sua nuova acconciatura, non riuscì a reprimere l’impulso di abbracciarmi.
Io, del resto, avevo deciso di lasciare i miei capelli sciolti in modo da poter sfoggiare i boccoli, con tutta l’approvazione di Hannah.
Trovammo i gemelli Grayson ai piedi delle scale dei dormitori femminili e, nel vederci, spalancarono entrambi le bocche nello stesso momento: Hannah poggiò la mano sull’avambraccio di Cory ed io feci lo stesso con Josh.
Un’enorme fila di carrozza nere era parcheggiata davanti all’ingresso del collegio e non fummo i primi a prendere posto in una di loro, ognuna fortunatamente con una capienza di massimo quattro persone.
“Siete proprio carine”, disse Josh, guardandomi, tentando coraggiosamente di dare il via ad una conversazione decente.
“Grazie”, rispondemmo all’unisono io e Hannah.
Quelle furono le ultime parole pronunciate nella carrozza. Fummo scortate all’interno dell’enorme castello dal vecchio Thenebrus che, con un grugnito, ci fece strada fino alla sala da ballo. Era talmente piena che io e Josh fummo costretti a separarci da Hannah e Cory mentre, con gli occhi sgranati, mi davo un’occhiata intorno: tutto risplendeva alla luce dei lampadari a candele appesi al soffitto e dei violinisti suonavano in un angolo sovrastando il mormorio della folla.
“Bello, eh?”, mi sussurrò Josh all’orecchio facendomi rabbrividire di colpo.
Annuii semplicemente guardandomi in giro per cercare il re: prima iniziavo, prima finivo. Del resto, non avevo altra scelta.
Sorpassai con gli occhi tutte le coppie che chiacchieravano in ogni parte della sala e sentii la mascella spalancarsi di botto nello scorgere un ragazzo bruno dagli scintillanti occhi cristallini che parlava con un paio di ragazze dell’ultimo anno del collegio: un momento dopo, Alexander si voltò verso di me e accennò un sorriso.
Non avevo decisamente altra scelta.
“Josh! Finalmente sei arrivato!”.
Mi girai di scatto verso quella voce familiare proveniente dal ragazzo biondo che intanto stava stringendo la mano del mio accompagnatore. Soltanto in quel momento mi accorsi del calore emanato dal ciondolo a forma di cuore che probabilmente aveva iniziato a bruciare già da tempo ma, presa com’ero dalla mia ricerca, non vi avevo dato peso.
Quando Leonardo si voltò verso di me, il suo sorriso si spense all’istante. “Signorina Elenoire, è un onore avervi qui”.
“Lo so”, sbottai senza riuscire a trattenermi. Subito dopo, però, sentii lo sguardo di Alexander posarsi su di me e mi accorsi di aver commesso un grave errore. D’istinto sorrisi dolcemente allo sguardo freddo e sconvolto di Leonardo. “Stavo scherzando, Vostra Maestà. Vi prego di accettare i miei più sinceri auguri”.
I suoi lineamenti si stesero di scatto lasciando sul volto un’espressione di pura confusione. Si inchinò, sorrise un’ultima volta e sparì tra la folla.
No no no no, tu non vai da nessuna parte!
Mi girai a guardare Josh, colta all’istante da un’ispirazione. “Ho sete, potresti andare a prendermi da bere?”.
Lui sorrise, disse: “Certo, aspettami qui” e si fece largo tra gli altri invitati.
Oh sì, contaci, mi ritroverai esattamente dove mi hai lasciata.
Presi le gonne del vestito tra le mani seguendo la direzione in cui era sparito Leonardo e, urtando un paio di persone alla volta e biascicando degli “Scusate”, lo intravidi in fondo alla sala a parlare con l’uomo bruno che lo aveva accompagnato al collegio con Thenebrus.
Mi fermai un momento a contemplare le loro espressioni serie, non proprio consoni ad una festa come quella. Mi avvicinai di soppiatto restando nascosta dietro la schiena enorme di un signore con i baffi all’insù e una calvizie incipiente nella speranza di poter udire qualcosa del discorso tra il re e l’altro uomo.
“... penso che dovremmo chiamare le guardie”, stava dicendo quest’ultimo.
“No, assolutamente no, me la vedo io”.
“Ma, Vostra Maestà, pensate che sia una buona idea?”.
“Certamente. Lasciate fare a me”.
Ancora più confusa di prima, aspettai una risposta che non arrivò e pensai di dover tornare da Josh prima che questi potesse accorgersi della mia assenza.
L’avrei fatto, se il signore dai baffi enormi non si fosse spostato rivelando dietro di lui il re che, furioso, lasciava la sua postazione venendo nella mia direzione. Nello scorgermi, inarcò le sopracciglia, confuso, in attesa di una mia spiegazione.
Però, prima che potessi anche solo dire una parola, mi prese per un braccio e mi portò in una sala adiacente a quella da ballo. Si chiuse la porta alle spalle e, senza smettere di fissarmi (chiaramente irato), sbottò: “Stavate origliando?”.
Colta in flagrante.
Assunsi l’espressione più innocente che conoscessi nella speranza che funzionasse. “Come potete insinuare una cosa del genere, Vostra Maestà?”.
Leonardo poggiò la schiena alla porta, incrociò le braccia e mi guardò come se volesse incenerirmi. “Mi rifiuto di credere che foste nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
“Stavo scappando da Josh”, mormorai, conscia però che non fosse proprio una bugia.
Leonardo strinse gli occhi, sospettoso. “Perché?”.
Scrollai le spalle sperando che la mia versione non suonasse tanto strana. “È carino, gentile e tutto il resto, ma non fa per me e non... non volevo continuare ad illuderlo”.
Le sopracciglia di Leonardo scattarono di nuovo verso l’alto. “E avete preferito lasciarlo lì, da solo, anziché avere il coraggio di dirglielo in faccia?”.
A quella domanda non riuscii a rispondere: mi limitai a fissarmi i piedi, in silenzio. Mi ero cacciata in un guaio più grande di me per colpa di una banshee fuori di testa dalle manie omicide solo perché dovevo andare a comprare altre boccette d’inchiostro. E se Hannah quella mattina non avesse urlato probabilmente non sarei mai uscita dal collegio...
Certo che ho proprio una sfortuna incredibile.
Non avevo mai avuto una famiglia, ero stata cresciuta da suore a cui fondamentalmente non importava nulla di me e ora dovevo pure stare agli ordini di un pazzo furioso alato che mi teneva sotto controllo con una catenina dal ciondolo a forma di cuore? La mia vita non era stata già abbastanza complicata senza che dovessi conoscere persone del genere?
Sentii le lacrime pungermi gli occhi. Non volevo scoppiare a piangere proprio di fronte al re, volevo mantenere un certo contegno, una dignità...
Abbassai lo sguardo, consapevole del fatto che non avrei resistito ancora per molto: Leonardo tra l’altro continuava a guardarmi e a registrare ogni mia reazione.
Siccome tutto quel silenzio mi stava lentamente logorando, inspirai con forza (ma senza alzare gli occhi da terra) e sussurrai: “Mi dispiace. Voi dovreste essere lì fuori a godervi la festa ed io non dovrei intrattenervi qui mentre...”.
Una mano si strinse attorno al mio polso ponendo fine alle mie parole. Guardai Leonardo, scioccata, portarmi fuori dalla stanza in un giardino con una piccola panchina di pietra molto simile a quella che avevamo noi in collegio.
Mi invitò a sedermi prima di lui e, senza avere possibilità di scelta, mi accomodai continuando però a fissarmi i piedi. Non avevo il coraggio di guardarlo e tanto meno volevo essere guardata a mia volta con un’espressione di compassione e pietà.
Ma quando si sedette accanto a me una mano entrò nel mio campo visivo: una mano grande, illuminata dalla luna, che reggeva in mano... un fazzoletto di lino.
“Tenete, potrebbe esservi utile”, sussurrò Leonardo alla mia sinistra.
Accettai il fazzoletto che mi porgeva asciugandomi le poche lacrime che erano sfuggite al mio controllo, consapevole del fatto che ormai il re mi considerasse una perfetta idiota.
“Vi chiedo scusa”.
Alzai di botto lo sguardo verso di lui, certa di non aver sentito bene. “Come?”.
Leonardo sorrise e iniziò a fissarsi con ostinazione le ginocchia. Poi mi guardò. “Sono io che dovrei scusarmi con voi, Elenoire. Sono stato io a spingere Josh a chiedervi di accompagnarvi e credo che avrei dovuto farmi gli affari miei, dopotutto”.
“State scherzando?”. Il tono scioccato che usai lo sconvolse più di quanto pensassi, ma non mi feci problemi ad aggiungere subito dopo un timido e sincero “Non è affatto colpa vostra, voi non...”.
“Oh sì, invece”. Annuì, convinto, e sorrise. “Vorrei essere in buoni rapporti con voi, dal momento che fra qualche giorno frequenterò il vostro stesso collegio”.
  
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