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Autore: _vally_    26/05/2008    4 recensioni
Episodio 2x23; Cuddy chiede ad House di farle le iniezioni per la cura della fertilità. Questa storia è nata come un ipotetico seguito della scena in cui Cuddy va nell'ufficio di House, e lo ringrazia per le iniezioni, lasciando però intendere che non era lì solo per quello...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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5 – ONLY A LIFE

 

Aveva lasciato la clinica quasi correndo.

La gonna stretta limitava i suoi movimenti e, una volta arrivata alla macchina, fu il traffico mattutino ad intralciarla.

Tutto questo però non la irritò, si limitò ad accrescere la sua eccitazione.

Lacrime di gioia incominciavano a pizzicarle gli angoli degli occhi, ma si decise a trattenerle ancora un po’.

Prima c’era una cosa da fare.

 

Ad House bastò sentire il rapido e inconfondibile ticchettio dei tacchi di Lisa Cuddy nel corridoio che portava al suo ufficio, per capire cosa stava accadendo.

Erano settimane che non li udiva così vicini.

L’ultima volta che era stato nell’ufficio del suo capo, lei gli aveva consegnato un biglietto con l’indirizzo della clinica dov’era in cura; il giorno dopo si era recato nel maestoso palazzo, poco prima dell’orario di chiusura e aveva fatto la sua parte.

Non aveva osato più chiederle niente, e lei era stata particolarmente impegnata in quell’ultimo mese: tante assenze, riunioni e ore extra d’ambulatorio. Non aveva mai tentato di fermare qualche sua procedura azzardata; in realtà, non si erano scambiati che poche parole relative ad un paio di casi.

Tacito accordo.

Un’attesa silenziosa, condivisa solo con rapidi sguardi che bruciavano come fuoco.

Fino ad ora.

Seduto sulla sua poltrona, lo stomaco stretto in una morsa, ascoltava quei passi avvicinarsi sempre di più.

Lei non entrò subito.

Rallentò non appena i loro sguardi si incrociarono attraverso le pareti di vetro, fino a fermarsi.

Gli sorrise al di là di quel vetro, e House ringraziò che ci fosse quella barriera che gli impedisse di toccarla, afferrarla…avrebbe potuto fare qualcosa di terribilmente idiota come abbracciarla, e i suoi assistenti erano nella stanza accanto, concentrati nel risolvere un caso che lui aveva diagnosticato già la sera precedente, ma pur sempre troppo vicini.

Si alzò e andò a chiudere le persiane, isolando quel suo piccolo angolo di mondo dagli occhi indiscreti dei suoi colleghi.

Solo a quel punto lei entrò.

Gli andò incontro senza più esitazione, stringendolo in un abbraccio.

Una parte di sé avrebbe voluto resistere a quella manifestazione d’affetto, ed esserne nauseato.

Era solo un desiderio masochista, come ne aveva tanti, che però questa volta non ebbe la meglio.

I momenti perfetti devono rimanere tali.

Vanno preservati.

Questo lo sapeva anche House.

“Sono incinta.” le parole si persero sulla pelle del suo collo, facendolo rabbrividire.

Appoggiò una mano sulla sua schiena; un gesto automatico, fuori dal suo controllo.

Come i pensieri che gli invasero violenti la mente.

Le sensazioni.

La paura.

La dannata voglia di stringerla forte e insieme l’angoscia di poterle fare del male.

Quando Cuddy si staccò da lui, House poté vedere che stava piangendo.

E sorridendo anche, ancora.

“Grazie” House dovette leggerlo sulle sue labbra perché, pronunciandolo, alla donna non riuscì neanche un suono.

Si accorse che gli stringeva forte una mano.

Ricambiò la stretta.

“Bene.”

Idiota.

Era tutto quello che aveva da dirle?

“Quanto…?” indicò con la mano libera la pancia di Lisa, un gesto rapido e impacciato.

“Tre settimane.” rispose lei, sfiorandosi il ventre con il palmo.

Nei mesi seguenti avrebbe ripensato a quell’istante ogni volta che le avesse visto ripetere quel gesto.

“Stai bene?” sapeva benissimo che bombardarla di domande scontate non avrebbe distratto nessuno dei due dal particolare che in quel momento gli impediva di pensare lucidamente: non solo Lisa Cuddy aspettava il loro bambino, ma era così vicina a lui, con un’espressione radiosa e la mano stretta nella sua.

E nessuno poteva vederli.

“Sto benissimo, House.”

Lisa non si stupì di trovarlo così spaventato.

Conosceva House, e poteva capire cosa potesse significare tutto questo per lui.

Come accadeva spesso, moriva dalla voglia di sapere cosa gli passasse per la testa, mentre la fissava impassibile, combattendo una guerra contro qualunque emozione che minacciasse di manifestarsi sul suo volto, o in qualche suo cenno.

Un’autocensura costante.

Tranne la sua mano che non la lasciava.

“Tu come stai?” glielo chiese con cautela, facendo l’ingresso nel territorio emotivo di Greg House in punta di piedi. L’unico modo per non esserne buttata fuori con violenza.

“Sei tu quella incinta.” rispose il diagnosta, brusco.

Cuddy continuò a fissarlo, aspettando dell’altro.

House sospirò, come se le stesse concedendo la vincita di una qualche battaglia. “Sto come uno che ha memorizzato canali porno sui primi sette numeri del telecomando, non ha idea di cosa sia quella cosa che cammina dentro il suo armadio da due mesi ed è fermamente convinto che il ciclo naturale di ogni alimento inizi in una scatola di latta!”

House le si avvicinò ancora, fissandola negli occhi. “Almeno due mattine a settimana mi sveglio sul divano o sul pavimento, con una bottiglia di scotch vuota e una scatola di Vicodin altrettanto vuota accanto a me. Le uniche volte che ho avuto a che fare con bambini è stato perché stavano morendo, escludendo quel moccioso che si era preso l’ultimo lecca lecca alla fragola giù in sala d’aspetto, e ho dovuto dargli venti dollari per averlo indietro…mi sono sentito quasi in colpa per aver fatto buttare via venti dollari a Wilson per uno stupido lecca lecca e…”

“House…” Lisa tentò di fermarlo, ma il diagnosta non accennò a smettere di parlare, né di fissarla così intensamente negli occhi, né di stringerle la mano tanto da farle quasi male.

“Non ho orari, in realtà non ho neanche un orologio che funzioni. La sveglia si è rotta qualche settimana fa e mi sta benissimo così. Quando lavoro…” si fermò un istante per respirare a fondo. “…quando ho un caso non esiste niente di più importante per me.”

Lisa annuì, portandosi la sua mano alla pancia.

House esitò qualche istante, prima di accarezzarla con le dita; la ritirò subito dopo, come se si fosse scottato.

“Sapevo come sei prima di chiederti di farmi da donatore, e anche quando abbiamo deciso che avresti riconosciuto il bambino come tuo. E anche tu sapevi tutte queste cose. Andrà bene House, no sono certa.”

“Non so quanto fidarmi di una che si fida di me…”

Lisa non ribatté nulla, limitandosi a guardarlo ancora per un po’, prima di lasciare la sua mano e fare un passo indietro. “Preferirei aspettare un po’ prima di dirlo a qualcuno.”

“A parte Wilson…” chiese subito House, contrariato.

“Certo, a parte Wilson.”

“Se vuoi che non si sappia in giro togliti dalla faccia quell’espressione esaltata da donna che ha scoperto la cura contro la cellulite e indossa gonne un po’ più corte…riuscirai a distrarre uomini eterosessuali, lesbiche e bisessuali dalla crescita del piano di sopra.”

“E per quanto riguarda gay e donne etero?”

“I gay non ti guardano e le donne etero…non esistono!”

Lisa scoppiò a ridere, in un modo così spontaneo da lasciare House di stucco.

“Ve bene, seguirò il tuo consiglio.”

“Cuddy, dovrai crescere un bambino, non puoi seguire i miei consigli!” esclamo House esasperato.

“House, andrà bene. Fidati di me.” sorprendendolo, lo abbracciò ancora, prima di lasciare il suo ufficio.

 

 

Cinque mesi dopo.

 

Doveva essere solo per qualche notte, ma erano passati mesi e lui era ancora lì.

 

Ogni volta che ripensava a quella telefonata, arrivata nel cuore della notte, l’eco della paura gli faceva visita come aveva fatto all’ora.

“House sono io. Credo di avere una minaccia d’aborto, devo andare subito in ospedale.”

Non si ricordava cosa le aveva risposto, ma solo che dopo due minuti era alla guida della sua auto, infrangendo ogni limite di velocità, correndo verso casa sua.

L’aveva trovata sulla porta, la mano stretta sul ventre e gli occhi terrorizzati.

“Stai tranquilla, non ti agitare.” appena aveva sentito il suono delle sue parole, lacrime avevano incominciato a rigarle il viso.

“House, ho paura, non posso perdere il bambino.”

“Non perderai il bambino.” non riuscì a comprendere, allora, dove trovasse tutta quella sicurezza nel parlarle, nel rassicurarla, mentre le gambe gli tremavano, e la tensione aumentava quel pulsare doloroso che solo il Vicodin riusciva ad allontanare.

Erano arrivati in clinica mezz’ora dopo.

C’erano volute tre ore di lunga attesa, prima che la stabilizzassero.

“Per adesso è fuori pericolo, ma la gravidanza è a rischio, dovrà stare in assoluto riposo almeno fino alla fine del primo trimestre.”

Cuddy aveva annuito al suo medico, mentre una strana angoscia incominciava a crescerle dentro.

Era alla settima settimana di gravidanza, e l’aspettava almeno un mese a letto, senza poter far niente.

Il lavoro.

Quando si era voltata verso House, aveva letto una strana luce nei suoi occhi.

Erano calmi e sicuri.

Tornarono a casa all’alba, e nessuno parlò finché non furono davanti al giardino di Lisa.

“Vado a casa a prendere un po’ di roba e vengo a stare da te.”

Lei lo guardò esterrefatta.

Tutto si aspettava, ma non quello.

“Solo qualche notte, finché non fai venire qualcuno che possa aiutarti.” precisò.

“Va bene, grazie.”

Non capì bene cosa stava accadendo ma qualunque cosa fosse, le dava uno strano senso di pace.

 

Doveva essere solo per qualche notte, ma erano diventati mesi e lui era ancora lì.

La minaccia d’aborto era passata con la fine del primo trimestre di gravidanza, ma lui viveva ancora a casa sua.

Dormiva ancora nel suo letto, mangiava quello che lei gli preparava e i suoi vestiti occupavano metà del suo armadio.

Dal giorno in cui le avevano detto che sarebbe andato tutto bene, che non rischiava più di perdere il bambino, cambiò solo una cosa.

Incominciarono a fare l’amore.

 

Quella prima mattina, dopo la notte passata in clinica temendo il peggio, Lisa gli aveva chiesto di sdraiarsi accanto a lei, di lasciare perdere il divano.

Avevano spento le luci, chiuso le persiane; avevano bisogno del buio per recuperare quella notte d’inferno.

Lei lo aveva baciato e lui aveva risposto ai suoi baci.

Quei baci, nelle notti che si susseguirono, diventarono la loro tortura, a cui le carezze non offrivano che un breve sollievo.

Non osarono però andare oltre, bloccati dall’idea di qualcosa di fragile che avevano il compito di proteggere, l’unica cosa così importante da mettersi tra loro e quella passione che era diventata il dolce dolore di ogni notte.

 

Dal giorno in cui le dissero che sarebbe andato tutto bene, che non rischiava più di perdere il bambino, quel timore paralizzante passò, lasciando solo loro due, ad aspettare un figlio che sarebbe arrivato, e ad aspettarlo sotto lo stesso tetto.

Non ci fu bisogno di dirsi che le cose erano cambiate, che quelle notti insieme non erano un’eccezione alle loro vite solitarie, ma erano le loro vite stesse, così drasticamente cambiate.

Il giorno in cui le dissero che sarebbe andato tutto bene, House fece portare il suo pianoforte a casa di Lisa, e lei rimase a fissarlo mentre lo accordava, appoggiata al muro, con le braccia strette intorno alla vita.

Aspettò che finisse senza parlare, e quando lui finalmente si alzò dallo sgabello e la guardò, capì che non c’era proprio niente da dire.

Lo baciò con tutta il desiderio che aveva dovuto reprimere in quelle settimane, inebriata dalla consapevolezza che questa volta non ci sarebbero stati limiti o condizioni, e stordita dalla sensazione di libertà, di felicità.

Fu una notte lunga, che li stremò.

 

Poi Lisa tornò a lavorare, pochi mesi che la separavano da un’altra lunga pausa.

Scoprì che vivere con House le permetteva di svegliarlo di persona ogni mattina, e di non vederlo più arrivare in ritardo.

House scoprì invece che c’erano modi di essere svegliati che valevano quelle due ore di sonno in meno…e Lisa Cuddy ne conosceva parecchi.

 

Stava per entrare nel sesto mese di gravidanza, e ormai non c’era nessuno in ospedale che non sapesse che fosse incinta.

Le magliette larghe non erano un buon diversivo, quando tutti erano abituati ad ammirare tutt’altro tipo di abbigliamento.

Per quanto riguardava l’identità del padre, erano in pochi ad avere ancora qualche dubbio.

Furono in pochi a stupirsi, e ancora meno riuscivano a trattenere un sorriso al pensiero del misogino Gregory House alle prese con la già volubile Lisa Cuddy, in preda agli sbalzi d’umore tipici della gravidanza.

“Una coppia”, incominciava a dire qualcuno.

 

“Come procede la gravidanza?”

“Incomincia ad assomigliare ad un ippopotamo.”

“Sei innamorato di lei?”

“Sei geloso?”

Era la prima volta che Wilson affrontava il discorso.

Aveva assistito in silenzio alla graduale mutazione del suo solitario amico, combattuto dal sollievo nel vederlo cambiato e dal terrore di vederlo cambiare troppo.

“Stai per avere una famiglia.”

“Stai per perdere un occhio.”

L’oncologo scosse la testa, sorridendo.

“Odio quell’espressione soddisfatta.” House lo guardava torvo, rigirandosi un dei suoi affezionati pennarelli tra le dita.

“Ti ci dovrai abituare, perché sono davvero molto soddisfatto.”

“Sei riuscito a vedere le tette della tua assistente?”

“No, ma finalmente sto vedendo il cuore del mio migliore amico.”

“Omosessuale represso!”

“Sei innamorato!” Wilson gli puntò un dito contro, senza smettere di sorridere, ma incominciando ad indietreggiare verso la porta dell’ufficio di House.

“Sei un bastardo traditore! Tu…” il diagnosta esitò qualche istante prima di continuare. “…esci subito dal mio ufficio, bastardo traditore!”

L’oncologo lasciò la stanza ridendo tra sé e sé, mentre House, frustrato, incassava la sua prima sconfitta nelle loro battaglie dialettiche.

 

“Shane?!”

“Si…”

“E’ un nome…originale.”

“Già…”

Lisa Cuddy alzò gli occhi al cielo, frustrata dall’ennesima spiegazione che doveva dare in proposito.

Questa volta, però, non c’era bisogno di mentire.

Lei conosceva abbastanza House, da poter capire la situazione.

“L’ha vinto a poker.”

“Cosa?”

“Il diritto a scegliere il nome. Ce lo siamo giocati a poker e lui ha vinto.”

“Lisa…ma perché?”

“Stacy, sono stata bloccata a letto per due mesi, ed erano i primi giorni che abitava da me… In qualche modo dovevamo passare il tempo!”

“E giocavate a poker?”

“Si…anche.”

“Ok, non voglio sapere tutto ciò che ha ottenuto attraverso quelle stupide partite.”

“Saggia decisione.”

 

“E’ il mio personaggio preferito in The L word!”

“House, non puoi dare a tua figlia il nome della tua lesbica preferita!” Wilson sapeva che era una battaglia persa, ma Cuddy gli aveva chiesto di provare a farlo ragionare.

“Certo che posso! Anzi, è un mio diritto! L’ho vinto a poker.”

“Oddio…”

“Credo sia un bellissimo nome.”

“Vuoi chiamare tua figlia Shane?”

“Voglio chiamare mia figlia Shane.”

 

 

 

27 maggio 2008

 

“Shane House.”

“Shane?”

“Shane. House.”

L’infermiera scrisse rapida il nome sulla cartella.

“Bene. Se vuole può andare da sua moglie. Vi porteremo la bambina tra poco.”

“Lei non è mia…” tentò di ribattere House, incerto. “Ok, lasci perdere. Faccia in fretta con mia figlia.”

 

Non aveva assistito al parto.

L’idea di vederla urlare, piangere e soffrire lo angosciava troppo.

Lei aveva capito.

Come sempre.

 

“Sei tu che hai raccontato all’infermiera che siamo sposati?”

“Noi non siamo sposati.” la voce di Lisa era debole, ma questo non smorzò la decisione delle sue parole.

“Appunto…”

House si avvicinò al letto, spostando inquieto lo sguardo sul suo viso segnato dallo sforzo.

“Hai un pessimo aspetto.”

“Ho partorito neanche mezz’ora fa.”

“E’ inutile che trovi giustificazioni, hai davvero un pessimo aspetto.”

Fu sollevato nel vedere, sul viso della donna, un accenno di sorriso.

“L’hai vista?” la voce della donna era impastata dalla stanchezza.

“No, non ancora.”

“E’ bellissima, House…”

Il diagnosta rimase a fissarla in silenzio, mentre una strana sensazione gli scombussolava lo stomaco.

Come faceva ad essere così forte e così delicata allo stesso tempo?

Le prese una mano, mentre con l’altra le scostava una ciocca di capelli dalla fronte sudata.

Gesti così scontati per chiunque altro, ma non per lui.

Sentì le dita di lei accarezzare le sue, ed inevitabilmente i suoi pensieri tornarono a quel giorno di otto mesi prima, in cui le loro mani si erano strette così forte da farsi male.

Allora si stavano aggrappando l’uno all’altra, ma ormai non ce n’era più bisogno.

La consapevolezza di essere, in qualche modo, insieme, era penetrata poco a poco in loro, nutrita dagli sguardi, dai gesti, dei piccoli cambiamenti che entrambi avevano fatto, in funzione di una vita per due.

O per tre.

L’ostetrica entrò rapida e silenziosa nella stanza, tenendo la bambina tra le braccia.

House non la sentì arrivare, e quando si voltò per seguire lo sguardo di Cuddy, si ritrovò sua figlia tra le braccia.

“Ecco, le tenga la testa.” l’ostetrica gli sistemò addosso il piccolo fagotto con gesti esperti, e in pochi attimi era già scomparsa.

House rimase immobile, fissando un paio di occhi uguali ai suoi, su un viso che ricopriva a fatica il palmo della sua mano.

Riprese a respirare solo quando Lisa gli si avvicinò, accarezzando la testa di Shane.

“Prendila tu.” la supplicò.

La donna ubbidì, stringendosi la bambina al petto.

House le guardò, strette l’una all’altra, finché non sentì che tutto quello era troppo per lui.

Quando Lisa Cuddy alzò ancora lo sguardo, se n’era andato.

 

“A che ora è nata?”

“Un’ora fa.”

“E cosa ci fai qui?”

House fece spallucce, distogliendo lo sguardo da Wilson, che lo fissava allibito da dietro la sua scrivania.

“Torna immediatamente in clinica!”

Il diagnosta alzò una mano verso l’amico, facendogli segno di smettere di parlare.

“Cosa c’è? Non vorrai tirarti indietro?” Wilson non riuscì a dissimulare l’ansia nella sua voce.

“C’è metà del mio patrimonio genetico dentro quella…cosina!”

“Sarebbe un no?”

“Quella bambina è un potenziale concentrato di egocentrismo e tendenze manipolative! E di genialità…ovviamente.”

“Ok, è un no.” L’oncologo si alzò, girò intorno alla scrivania e raggiunse House, prendendolo per un braccio. “Ora zoppica fuori dal mio ufficio e torna da loro.”

“Non l’avevi detta tu quella cavolata sulla disponibilità degli amici ad ascoltarti, sempre e comunque?”

“No, ti stai confondendo con qualcun altra delle persone con cui ti confidi... House, sparisci.” senza dargli la possibilità di replicare, lo spinse fuori dal suo ufficio e chiuse la porta a chiave.

 

“Ciao.”

“Ciao.”

Lisa era ancora sdraiata nel suo letto; avevano spalancato le tende, e nella stanza entrava un raggio di sole che si posava tra i suoi capelli.

Shane non c’era, dovevano averla portata via ancora.

“Ero andato da…”

“Va bene così, House.”

Gli sorrise, e lui non poté fare a meno di crederle: andava bene così.

“Ho messo in vendita casa mia.” in realtà l’aveva fatto un paio di mesi prima, e l’affare era stato concluso in settimana, ma non aveva mai osato dirglielo; era un passo grande per lui, un taglio netto con una vita che una volta era tutto ciò che aveva e voleva, e che non gli apparteneva più.

Lisa annuì seria; quella notizia era per lei una sorpresa bellissima ma non voleva metterlo a disagio con qualche manifestazione d’affetto.

Ormai aveva capito quando era meglio rispettare la sua avversione per le emozioni troppo forti.

Quindi fece finta di niente e cambiò discorso: “Si è scoperto cosa c’era in fondo all’armadio?”

House sembrò non capire per qualche istante, poi sorrise. “Criceti.”

“Criceti?”

“Una famiglia di criceti, per la precisione. La donna delle pulizie portava a casa mia anche il figlio, ogni tanto…e pare che il moccioso avesse deciso di nascondere la sua cricetina incinta, che la mamma non gli faceva più tenere, nel mio armadio.”

“Un criceto ha partorito nel tuo armadio?”

“Si…e ogni volta che il piccolo bastardo tornava a casa mia, portava loro da mangiare.”

“Oddio…Ma come hai fatto a non accorgertene? Chissà che schifo là dentro!”

“Sapevo che c’era qualcosa…ma pensavo fosse qualcosa di più eccitante. Scoprire che si trattava solo di criceti è stata una delusione.”

Lisa scosse la testa, ridendo.

“Ora sono stanca House, ho aspettato sveglia che tornassi ma ora devo dormire.”

“Va bene. Dormi.”

I loro sguardi però non accennarono a separarsi.

Lisa sapeva che era troppo presto, che l’avrebbe solo spaventato.

House sapeva che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo ad alta voce.

Le parole si possono zittire, ma i pensieri talvolta non accettano di esser messi a tacere, e invadono con prepotenza la mente.

Ti amo.

Ti amo.

 

“Ho tenuto uno dei criceti, è in una gabbia sotto il letto.”

Ma lei dormiva già.

Esattamente come sperava House.

Si chinò e si fermò a pochi centimetri dal suo viso.

Poi si voltò di scatto verso la porta, per controllare che non ci fosse nessuno: era solo.

Tornò ad avvicinarsi a lei e, questa volta, percorse rapido i pochi centimetri che lo separavano dalla sua bocca e la baciò.

“Notte, Lisa.”

 

Il giorno in cui Lisa Cuddy divenne madre, fu anche il giorno in cui, per la prima volta, Gregory House la chiamò per nome.

 

 

 

 

 

Fine

  
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