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Autore: MoneLu1223    05/01/2014    0 recensioni
"Ha presente le ultime ricerche che sta svolgendo?"
"Come potrei non…"
"Bene. Per i prossimi due mesi andrà a lavorare sul territorio."
La cosa mi suonò strana. Io studiavo la terra che mille anni fa era chiamata America. Era sparito quel continente, immerso dalle acque, spazzato via dai cataclismi.
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3 - JULIET
 
 
Lasciai Jake nell’immensa Hall dell’edificio e mi diressi nel mio ufficio al pianterreno. Ma appena mi avvicinai alla porta del mio studio vidi che questa era socchiusa. Mi ritrassi per qualche secondo, non ricordavo di aver lasciato incustodita la mia postazione di lavoro. Ma poi pensai che forse era stato quell’ idiota di Albert, doveva essersi dimenticato di chiudere la porta della stanza prima di andarsene. Sì, pensai, forse era proprio così che era andata. Ma mi sbagliavo. Una voce familiare mi invitò ad entrare.
“Entri signorina Rose, prego, si accomodi.”
Un uomo corpulento, con i baffi da tricheco, quasi senza collo e dal cipiglio severo era seduto dove di solito prendevo posto io. Lo riconobbi non appena spalancai la porta: era il mio capo, il signor Smith. Di solito le sue visite non promettevano nulla di buono, e come poteva non essere altrimenti, dato che il mio dipartimento era quello dedicato agli incidenti? Ma il posto sembrava tranquillo e se fosse successo qualcosa l’avrei saputo non appena avessi messo piede qui. La ragione doveva essere per forza un’altra. La sua richiesta di accomodarmi nel mio stesso ufficio mi sembrava buffa, se non strana addirittura. Detta da lui, poi. C’era un motivo se lo chiamavano ‘Smith il grigio’ . Le sue notizie non erano mai quello che si definisce piacevoli e questo gli conferiva un’austerità quasi innaturale. Mi accomodai nella poltrona di fronte alla scrivania e mi guardai in giro, l’ufficio era completamente vuoto e gli unici rumori presenti nella stanza erano i bip sommessi dell’orologio elettronico e il lavorare febbrile del computer, ma non c’era alcuna traccia dei miei colleghi. Quasi come se mi leggesse nel pensiero il signor Smith disse:
 “Non si preoccupi per i suoi collaboratori, li ho mandati al bar più vicino a far colazione. Torneranno tra non meno di mezz’ora , giusto il tempo di fare una chiacchierata veloce.”
 Lo guardai con aria interrogativa per qualche minuto, fino a ché, il grigio, non si decise a parlare. 
“Vede signorina Rose…” e si sporse in avanti per guardarmi dritto negli occhi. “Ho appena saputo dal mio collega, il signor Voltaire, capo del dipartimento di progettazione, che un suo dipendente lavora allo stesso progetto a cui sta lavorando lei da tempo . Ha capito di quale progetto sto parlando, non è vero?” .
Accennai un leggero sì con la testa, ero momentaneamente sorpresa. Come poteva, un uomo come Smith, interessarsi ad un progetto come il mio? Ma la cosa non m’interessava più di tanto, ciò che volevo sapere era il perché si era spinto ad arrivare sin lì per parlarmi di quel progetto. Ma non dovetti attendere molto, prima che le sue intenzioni si facessero più chiare.
“Il signor Jake Anderson, sono sicura che si ricorderà di lui perché vi ho visti scambiarvi qualche parola mentre eravate nell’ingresso, come ben sa, lavora nel suo stesso campo da qualche mese.”
 Lasciò passare qualche istante prima di proseguire, come se volesse vedere l’effetto sortito dalle sue parole comparire sul mio volto. Ma restai impassibile, lo sguardo concentrato solo su lui. Ma come faceva a sapere della mia chiacchierata al bar con Jake? Che sciocca, pensai: per qualche momento avevo dimenticato che Smith veniva sempre a sapere tutto, in un modo o nell’altro. Era perfino più informato del Local News ed era la fonte più affidabile in assoluto. Nessuno aveva mai saputo tutto quello di cui era al corrente lui.
“E il signor Voltaire…” disse, guardandomi in viso “Ha offerto al signor Anderson la possibilità di andare a lavorare sul posto su cui entrambi state svolgendo le vostre ricerche.”
Fece passare ancora qualche altro istante prima di aprire nuovamente la bocca. “Voltaire sostiene che i suoi abbiano visto una parte dell’antico continente americano che non è stata sommersa dall’acqua o distrutta dopo il disastro del 2097. Ora si starà chiedendo del perché io le stia dicendo tutto questo. Il signor Voltaire non vuole che il signor Anderson vada da solo.”
Qui sembrò soppesare le parole che stava per dire mentre la curiosità cominciava a divorarmi. Era una delle caratteristiche principali di quell’uomo: era capace di suscitare negli altri una curiosità così grande da non potergli staccare gli occhi di dosso per un momento quando stava per dirti qualcosa di importante.
“Così…” e qui mi squadrò da sopra a sotto “Ho pensato che chi meglio di lei avrebbe potuto dare una mano al signor Anderson in questa impresa?”
 Lo guardai sorpresa per un attimo, fu come se un secchio di acqua gelida mi fosse caduto addosso, portandomi alla realtà. Io? Vedere le rovine del vecchio continente? Per un attimo pensai di star sognando, così per sicurezza mi tirai un pizzicotto sul braccio. Mi feci un po’ male, ma almeno sapevo di non star immaginando tutto.
“Cosa c’è signorina Rose, le sembra che stia scherzando? Le posso assicurare che tutto questo è reale.” l’uomo pareva divertito.
“No, signore, è solo che… Speravo da tanto che accadesse una cosa del genere e ora che sta per succedere non posso crederci, davvero.” le parole mi uscirono dalla bocca tutte d’un fiato. L’uomo accennò un sorriso. Era strano, in un certo senso, vederlo sorridere, aveva sempre avuto un aria così seria tutte le volte che l’avevo visto nelle varie conferenze o nelle riunioni con i membri del dipartimento. Ma gli donava, dopotutto. Lo faceva sembrare più …simpatico, se così si può dire.
“Allora, Rose, vuole avventurarsi con il signor Anderson in questo pericoloso viaggio?” me lo chiese quasi come se avesse saputo sin dall’inizio la risposta che gli avrei dato.
“Certo, signore. Sarò onorata di far compagnia al signor Anderson in questa avventura.”
Mi fissò ancora per un attimo, poi disse:
“Se questa è la sua ultima parola, temo che per me sia ora di andare.”
Si alzò dalla sedia e accennò un saluto.
“A rivederla, signorina Rose”
“A rivederla, signore.” 
Non appena fu uscito dalla porta mi affacciai alla finestra. Stavo davvero per andare in America. O almeno, in quello che di essa ne era rimasto. D’ un tratto la porta si aprì di nuovo ed entrarono i miei colleghi ora intenti ad accendere i vari macchinari. “Cosa voleva da te il signor Smith, Juliet?” indagò Jhon.
“Hai presente il progetto su cui stiamo lavorando? Quello!” gli risposi con voce concitata.
“Ti ha forse detto che devi smetterla di sognare ad occhi aperti e lavorare di più sui fatti reali?” mi schernì Albert.
“Affatto. Indovina un po’? Partirò per l’America! Ah, non credo che ci sia più bisogno di voi, ci andrò con il signor Anderson. Inizialmente l’incarico era stato affidato a lui, ma vogliono che qualcuno lo accompagni in questa ‘impresa’ e chi meglio di me può aiutarlo?”
 “Stai scherzando, spero.” la voce di Jhon tremava un po’.
“Per nulla”, lo guardai in tralice. Lui rimase sbigottito.
Le ore nell’ufficio passarono lente e io non vedevo l’ora di andarmene e di incontrare di nuovo Jake, volevo saperne di più sui dettagli del viaggio. Alle 13 in punto uscii dal mio ufficio per la pausa pranzo, fu allora che lo rividi. Lo salutai con la mano e lui mi fece cenno di avvicinarmi. Mi sedetti sulla panchina accanto a lui. “Devo parlarti.” mi disse con crescente eccitazione, ma intuii già cosa stesse per dirmi.  “Stamattina, il signor Voltaire è venuto nel mio ufficio e abbiamo parlato  del nostro progetto e…vuole che parta per l’ America. Ma non da solo.” si affrettò ad aggiungere. “Così ho pensato che tu potevi venire con me, se lo vuoi, ovviamente.” Lo guardai divertita per un attimo e poi gli dissi:
“Credo che il mio capo ti abbia battuto sul tempo. Stamattina è venuto a farmi visita in ufficio e mi ha proposto di partire con te.”
 Lui rimase un attimo in silenzio, come inebetito.
“E tu..?” mi chiese con fare indagatorio.
“Ho accettato!” glielo dissi come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
Vidi comparire un piccolo sorriso sul suo volto e io gli sorrisi a mia volta.
“Sai qualcosa di più che io non so, su questo viaggio?” chiesi.
“Non so se ti hanno detto che partiremo la prossima settimana”
“Come?” stavolta fui io a rimanere inebetita.
Una settimana?Pensai. Così poco? Come avremmo potuto prepararci al meglio in una settimana? Quindi, allora, l’unica cosa da fare era darsi una mossa e cominciare a lavorare sodo. Jake sembrò intuire i miei pensieri perché mi disse:
“Vedrai, ce la faremo. Andrà tutto bene.”
Ancora una volta mi ritrovai a sorridergli.
“Che ne dici se stasera vieni a cena da me, Jake? Così cominciamo ad organizzare qualcosa, a mettere insieme i pezzi delle varie ricerche e fare una sintesi accurata dei dati. Allora, che ne dici? Ci stai?”
 Lui parve rifletterci un attimo su.
"Vedremo, non ne sono sicuro. Ti farò sapere se ho intenzione di venire."
Accennai un sì con la testa, lo salutai, poi lo lasciai seduto sulla panchina e io me ne tornai al mio lavoro. Mi aspettavano ancora lunghe ore di fatica, ma il solo pensiero del viaggio mi rendeva felice.
 
 
 
Ehilà! Qui è Lu che parla. Essendo questo uno dei miei primi capitoli, forse non è dei migliori! Andando più in là con i capitoli miglioro un pochettino, ma se avete dei suggerimenti o delle critiche, sono prontissima ad accogliere le vostre parole!
Buona lettura a tutti quanti!:)
Lu :)

 
  
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