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Autore: MoneLu1223    29/12/2013    0 recensioni
"Ha presente le ultime ricerche che sta svolgendo?"
"Come potrei non…"
"Bene. Per i prossimi due mesi andrà a lavorare sul territorio."
La cosa mi suonò strana. Io studiavo la terra che mille anni fa era chiamata America. Era sparito quel continente, immerso dalle acque, spazzato via dai cataclismi.
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2 – JAKE


La mattina mi alzai alla solita ora, le 6:08 precise, mangiai tre fette biscottate preparate da Greta, la mia domestica, mi lavai e mi vestii con dei jeans, una camicia bianca e un maglioncino scuro con sopra raffigurato un motivo che ricordava l'intersecarsi di piccoli rombi rossi.
Prima di uscire sfogliai il giornale (il local news) che Greta mi aveva fatto trovare sul tavolo. Lessi le principali notizie come: “‘Gruppo ambientalista mira all'abolizione dell'High Skyrider, il grattacielo di 320 piani” e ‘”il profilo pittoresco di Tentown irrimediabilmente rovinato dall'High Skyrider.”  In parte mi ferirono: sono io l'architetto di quel palazzo.  E a questa città quello che serviva era proprio un grattacielo che poteva ospitare una gran quantità di persone. C'era il sovraffollamento delle case e delle strade già da un po' di anni e il palazzo era da costruire. Al diavolo gli ambientalisti! Riuscivano sempre a farmi venire i sensi di colpa. D'altronde sei miliardi di persone in uno spazio ristretto di 8 milioni di chilometri quadrati non era uno scherzo. Bisogna costruire in altezza se non si può in larghezza, cari i miei ambientalisti. Che vengano loro a fare il mio lavoro.
"Sta bene, signor Anderson?" interloquì una voce grossa e femminile.
Mi voltai e vidi il donnone che era Greta.
"La vedo un po' stressato. Domani preferisce non ricevere il giornale?"
"Me lo dia, me lo dia. Me lo porti sempre che tanto ormai non ha più importanza. Tra pochi giorni quel grattacielo compie un anno e sarebbe da stupidi buttarlo giù: la sua funzione è troppo importante e la commissione delle costruzioni lo sa fin troppo bene."
"Come preferisce, signore." Concluse Greta, e si allontanò in un'altra stanza.
Caspita, pensai. Siamo nel 3427 e ci sono ancora delle menti così ottuse. Scommetto che neanche gli uomini di prima erano così oppressivi, e loro sì che erano antichi. Molte volte mi domando cosa sarebbe successo a noi se nel 2097 non ci fosse stato il disastro con l'antimateria in America e in… in… com'è che si chiamava? Ah sì, Russia. Quelle mediocri potenze che facevano le grandi e non avevano capito in che pericolo si stavano ficcando. Ringrazio il cielo che le basi militari erano lontane dal Continente Alfa, in cui tutti abitiamo adesso. I superstiti si sono rifugiati qui e hanno continuato a crescere in numero fino a rendere questa terra una tana di un topo. Per questo gli ambientalisti mi devono ringraziare! Do loro una casa e questi la vogliono abbattere. Pazzesco!
"Signore…"
"Greta! Vuoi lasciarmi in pace?!"
"Mi scusi, ma…"
"Greta, vattene! Ho già abbastanza grilli per la testa oggi. Mi lasci riflettere un altro po'! Tanto il jet è alle 7:30. Che ore sono?"
"Le 7:28, signore."
"Cosa?! Greta! Perché non mi hai avvisato prima?! Va be’, fa niente, non tentare di giustificarti. Devo correre a prendere il jet prima che parta. A stasera, Greta!"
"Arrivederci, signore." Rispose lei, reprimendo a stento una piccola risata.
 
Scesi usando l'ascensore, e in pochi secondi fui dal piano 120 al piano terra. Uscii di corsa, presi in mano il biglietto con cui sarei potuto salire sul mezzo e guardai l'orologio. 7:30. Rallentai. Il jet era perso e non sarei mai arrivato al lavoro in tempo. Me la presi con Greta, tanto per avere un capro espiatorio.
Poi con un rombo assordante una ragazza in motojet inchiodò proprio di fronte a me. Aveva il casco, così non la potei riconoscere.
"Jake?" mi chiese.
"Scusa. Ci conosciamo?" risposi.
"Dimentichi sempre le persone così in fretta?" disse, e nel frattempo alzò la visiera.
"Oh, scusami. Non ti avevo riconosciuta. Ciao Juliet."
"Sbaglio o il tuo jet è partito un paio di minuti fa?"
"Sì, ma come fai a saperlo?"
"Hai un biglietto in mano, e il jet passa solo ogni trenta minuti."
"Perspicace." Accennai ad un sorriso.
"Vuoi un passaggio?"
"Su quel coso?! Preferisco farmela a piedi."
"Sono almeno quaranta chilometri. A piedi non arriveresti mai. Dai, monta su! Tanto andiamo dalla stessa parte."
Scrutai il motojet. Analizzai le possibili alternative.
"Vada per il passaggio, ma vai piano."
"Prendi il casco e stai tranquillo, Jake."
Lo infilai, salii dietro di lei e partimmo. Le cinsi la vita con entrambe le braccia e non pensai ad altro se non a tenermi saldo. Soltanto in seguito mi sarei accorto di avere creato una situazione piuttosto imbarazzante.
Mentre mi guardavo in giro notai più volte l'High Skyrider stagliarsi solo contro l'intera città e il cielo stesso. Provai un brivido di piacere.
Gli altri edifici erano molto alti ma nessuno poteva eguagliare il mio progetto. Persino la grande associazione in cui lavoravo arrivava sì e no ai tre quarti dell'altezza complessiva del palazzo.
Saliva a cilindro diventando sempre più sottile e terminava con un enorme disco. Era il massimo del design e della sofisticatezza.
"Siamo quasi arrivati."
Mi guardai intorno e constatai che aveva ragione. In lontananza si intravedeva il SoF, la nostra società.
"Abbiamo fatto veloce."
Arrivammo all'edificio. Juliet parcheggiò il motojet, mi fece scendere, mi tolsi il casco e poi scese anche lei. Se lo tolse, lasciando cadere i capelli corvini sulle spalle. Gli occhi erano di una particolare tonalità di verde, una tonalità che riusciva a mettermi a disagio. Erano troppo… puri.
Ci avvicinammo al portone automatico. Una voce metallica chiese di avvicinarsi ad un sensore posto in parte alla grande porta. Prima fece Juliet, poi toccò a me. Andai di fronte allo scanner dell'iride, che impiegò una manciata di secondi per identificarmi. "Buongiorno, signor Jake Anderson."
Le porte automatiche si aprirono e noi due entrammo. Ci trovammo in un grande salone (tutto metallico) affollato: una moltitudine di persone si muoveva avanti e indietro alla ricerca del proprio ufficio mentre sul soffitto volteggiavano dei piccoli marchingegni costruiti con l'intento di portare messaggi ai propri colleghi.
Ai lati del salone c'erano due lunghe rampe di scale che conducevano ai piani superiori.
"Dov'è il tuo ufficio?" mi chiese lei.
"Scale a destra, secondo piano."
"Io sono al piano terra.  Ci vediamo Jake! Buona giornata!"
"Buona giornata anche a te. Ti avviso dopo per gli impegni riguardo alla ricerca del vecchio continente americano." risposi, e presi le scale.
Salii i due piani e imboccai la via per arrivare al mio ufficio. Stranamente la porta era aperta. Guardai dentro con circospezione e trovai il mio capo, il signor Voltaire.
"Salve Anderson." esordì lui.
"Buongiorno, signore."
"Le comunico che oggi è il suo giorno fortunato."
La cosa mi preoccupò non poco. Voltaire era famoso per i suoi ‘‘giorni fortunati’. Una volta aveva mandato un dipendente a vivere con delle mucche per una settimana, per capire se il latte che beveva la mattina era prodotto da animali sani e trattati bene. E aveva avuto il coraggio di chiamare questo come una ‘‘promozione’.
"Ha presente le ultime ricerche che sta svolgendo?"
"Come potrei non…"
"Bene. Per i prossimi due mesi andrà a lavorare sul territorio."
La cosa mi suonò strana. Io studiavo la terra che mille anni fa era chiamata America. Era sparito quel continente, immerso dalle acque, spazzato via dai cataclismi.
"Come scusi?"
"Abbiamo motivo di ritenere che il continente in questione non sia completamente, come dire, morto. Abbiamo mandato un superspace a fare un esperimento nel pacifico e l'aereo si è spinto troppo in là. I piloti hanno affermato di aver visto della terra, una vera parte del continente emerso."
La notizia mi colpì come uno schiaffo in faccia. Mi aprì una nuova ottica di ricerca. Studiare sul campo, sul territorio americano. Avrei visto le rovine. I resti degli uomini di prima. E chissà cos'altro.
"Non sta scherzando, vero?" gli chiesi.
"No, Anderson. E le buone notizie non finiscono qui. Può portare con sé un dipendente della società. Lascio scegliere a lei perché saprà meglio di me chi è più qualificato per questo ruolo."
Non era vero. Non avrei scelto io perché non conoscevo nessuno della mia impresa. Ero sempre fuori sede per ‘collaudare progetti ad alto rischio di pericolo.
"Deve darmi ora il nome. È poco preavviso ma non possiamo permetterci di perdere tempo. "
Chi portare? Tanti miei colleghi sembravano appassionarsi alle mie ricerche ma nessuno di loro aveva negli occhi quella scintilla che avevo trovato in Juliet. Quel luccichio benevolo e curioso si addiceva ad un vero scienziato, sempre pronto a fare nuove scoperte"
"Tra una settimana partirà. Ci pensi bene e mi faccia sapere." continuò lui.
"Ho deciso chi portare."
"Bene, mi faccia trovare un biglietto col nome sulla mia scrivania."
"Assolutamente, signore. Grazie per l'opportunità che mi sta offrendo."
"Si figuri. Se la merita. Ha lavorato molto per quest'azienda. È ora che siamo noi a fare qualcosa per lei." Detto questo, uscì.
Saltai tre volte sul posto. Quasi mi venne da piangere. Era il sogno di una vita. Ma che sogno?! Un'utopia! Non potevo crederci. Stavo per partire per il continente emerso.







*ANGOLO DELLO SCRITTORE*
Ciao lettori, sono Mone. Questo è il mio primo capitolo e sinceramente non ne sono molto convinto. Avete presente quando si parla di esordi esplosivi? Ecco, bene, questo non ci si avvicina per niente. Diciamo che miglioro col tempo e che i capitoli successivi (in particolare dalla metà in poi) sono di gran lunga migliori.
Come al solito, vi chiedo di recensire la storia, facendoci sapere i vostri giudizi e le vostre critiche! Grazie a tutti!
Mone
  
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