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Autore: Chtsara    06/01/2014    5 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mi sentii diventare sempre più pallida ad ogni secondo che passava. E poi, menti fantasiose e incredibilmente limitate? Come osava? E soprattutto aveva ricominciato ad odiarmi?
Mi costrinsi a voltare la testa a sinistra, nella direzione da cui proveniva quella voce. Non fui per niente sorpresa di vedere il re, ma la delusione che avevo provato nel momento in cui aveva parlato non era nulla paragonata allo shock dovuto alla visione che mi si presentò davanti: Leonardo non era accompagnato dall’uomo bruno o da Thenebrus, bensì dai gemelli Grayson, Josh compreso; evidentemente la discussione avuta alla festa non era durata molto a lungo.
Fissai con disgusto le tre figure alte di fronte a me senza proferire parola. Non volevo dar loro nessuna soddisfazione.
Poi la tensione fu smorzata da un sorriso sarcastico di Cory, indirizzato ad Hannah. “Ehi, Hannah, stanotte sei riuscita a dormire? Te lo chiedo così, per sapere, visto che hai la stessa faccia che si addice ad uno zombie”.
Punta sul vivo, scattai in piedi prima che Hannah potesse rispondere. “Non è riuscita a dormire, no”, sbottai. “Aver passato tutto quel tempo con te l’ha traumatizzata a tal punto che non riesce a smettere di sognare la tua faccia schifosa e si sveglia ogni notte con la stessa espressione di chi sta guardando uno scarafaggio spiaccicato sotto la suola delle scarpe”.
Il volto di Cory assunse un colorito sempre più scarlatto mentre si avvicinava a grandi passi nella mia direzione, fissandomi dall’alto in basso per la sua stazza imponente. “Come osi rivolgerti a me in questo modo?”.
Al diavolo la prudenza. Rotto per rotto, rompiamolo tutto.
Mi avvicinai a lui abbastanza da eliminare quel poco di distanza che ci separava. “Oso con la stessa sfacciataggine che avete avuto tu e tuo fratello nel venirci dietro come cani per tutti questi anni quando non siete altro che degli sgradevolissimi rifiuti di Dio”.
Ormai le orecchie di Cory erano più rosse che rosa e, se avesse potuto uccidermi con lo sguardo, probabilmente a quest’ora avrebbero già organizzato il mio funerale. La situazione precipitò quando, con la coda dell’occhio, vidi Josh muoversi istantaneamente verso di me con le stesse intenzioni del fratello scritte negli occhi.
Qualcuno mi salvi, per favore. O perlomeno fa’ che sia una morte veloce.
Una mano misericordiosa entrò nel mio campo visivo frapponendosi tra me, Cory e Josh al tempo stesso. Respinsi l’impulso di aggrapparmi a quel braccio divino soltanto perché, due secondi dopo, il proprietario parlò e solo allora mi accorsi del calore emanato ancora una volta dal ciondolo a forma di cuore.
“Ora basta, vi siete tutti sfogati abbastanza per oggi”, disse Leonardo, fermo e infastidito contemporaneamente. “Josh, Cory, aspettatemi nella sala d’ingresso. E tu”, aggiunse, voltandosi verso Hannah. “vai dove vuoi, ma lasciaci soli”.
I gemelli sparirono in direzione della porta della biblioteca e Hannah, raccogliendo tutte le sue cose e facendone cadere almeno la metà, si dileguò tra gli scaffali.
Ciao. Chiunque tu sia, mi hai salvato la vita una volta, no? Potresti farlo di nuovo?
Incrociai le braccia e fissai con un’espressione di sfida Leonardo, in attesa. Io non avevo assolutamente nulla da dirgli e l’unica cosa che potessi fare era aspettare che lui dicesse qualcosa; e in fondo sapevo che quel qualcosa non mi sarebbe piaciuto per nulla.
Si voltò verso di me guardandomi dall’alto in basso con lo stesso sguardo furioso del cugino, il che ovviamente non mi tranquillizzò affatto e rischiò di far cedere tutta la mia arroganza.
“Io so cosa sei”, sbottò, come se il solo pronunciare quella frase lo ripugnasse. “E non mi fai paura”. Girò i tacchi e si incamminò in direzione dell’uscita della biblioteca, ma qualcosa lo indusse a fermarsi e a voltarsi di nuovo. “Ah, e puoi dire ai tuoi amichetti che non avranno più alcuna speranza di infiltrarsi nel castello, intesi?”. Detto questo, si girò di nuovo e sparì, lasciandomi indifesa a contorcermi con i miei nuovi dubbi.
Io so cosa sei. E non mi fai paura.
Raramente avevo incontrato persone che mi avevano temuta, quella frase non aveva alcun senso... E poi cosa avrei potuto fare ad un ragazzo sorvegliato costantemente da un centinaio di guardie reali e la cui anche solo sofferenza mi avrebbe assicurato una morte cruenta e dolorosa?
Mi rifiutai comunque di credere che fosse venuto a conoscenza della mia missione (Alexander del resto non l’avrebbe permesso) e passai all’altra frase.
Puoi dire ai tuoi amichetti che non avranno più alcuna speranza di infiltrarsi nel castello.
Conoscevo solo una persona che si era autoinvitata alla festa, ma non di più.
E poi i conti cominciarono a tornare: Leonardo aveva visto Alexander alla festa nonostante questi si fosse tenuto prudentemente all’ombra, anche se il re aveva avuto sicuramente altre occasioni per notare la sua presenza; ma, se la mia teoria era esatta, aveva davvero intuito la sua natura demoniaca? E, soprattutto, come c’era riuscito?
Non avevo mai desiderato incontrare Alexander il prima possibile come in quel momento.
“Allora?”.
Quasi sobbalzai dallo spavento quando Hannah fece la sua comparsa dietro uno scaffale e, con la scusa di portarmi una mano al cuore, sollevai un po’ il ciondolo della collana per evitare che mi scottasse.
“Allora cosa?”, chiesi con una naturalezza che mi sorprese.
Hannah iniziò a battere impazientemente i piedi sul pavimento. “Cosa ti ha detto?”.
“Mi ha intimato di stare alla larga da lui e dai suoi cugini”, mentii per la millesima volta.
“Wow”, sospirò Hannah, alzando gli occhi al cielo. “Che minaccia. Non sapeva che in questo modo ci avrebbe fatto un favore?”.
“Evidentemente no”, ridacchiai, un po’ più allegra sentendo le sue parole. “Tu vai pure in mensa senza di me, io devo prima mettere a posto tutti i libri”.
Hannah scrollò le spalle, mormorò: “Come vuoi” e uscì dalla biblioteca.
Dopo essermi assicurata di essere sola, mi portai il ciondolo alle labbra e, sentendomi improvvisamente e incondizionatamente stupida, sussurrai: “Ti devo parlare”.
 
Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro.
Erano ormai quasi venti minuti che continuavo a marciare avanti e indietro per la stanza dando un’occhiata in continuazione alla finestra aperta nella speranza di vedere un’ombra alata fare il suo ingresso nella camera.
Uno, due, tre, quattro.
E se il mio messaggio non gli fosse arrivato? E se avessi semplicemente commesso un gesto idiota? Perché poi arrivava sempre nei momenti meno opportuni e adesso che avevo bisogno di lui non si faceva nemmeno vivo?
Uno, due, tre, quattro.
Eppure dentro di me sapevo che il mio tentativo era andato a buon fine; oppure si trattava di comunissima autoconvinzione. Ma perché non arrivava?
Uno, due, tre, quattro.
Avrei scavato ben presto una fossa nel pavimento se avessi continuato a camminare, eppure quello era l’unico modo per scaricare lo stress dovuto al piccolo, stupido, grande re dai capelli biondi. Dopo il disastroso incontro in biblioteca non l’avevo più visto e, per mia fortuna, non c’era stata ombra nemmeno dei fratelli Grayson: teoricamente avrebbero dovuto seguire molte delle lezioni che seguivamo io ed Hannah, visto che avevamo tutti tra i diciassette e i diciotto anni, ma quel giorno sembrava che avessero preferito dedicarsi a qualcos’altro.
Un tonfo alle mie spalle mi fece sprofondare il cuore nelle viscere ma, nel riconoscere la sua voce, tornò a battere con più grinta e più forza.
Alexander non sorrideva; anzi, sembrava piuttosto infastidito per essere stato convocato nella mia stanza. “Cosa devi dirmi, ragazzina?”.
Finalmente”, sospirai, alzando gli occhi al cielo. “E, tra parentesi, il mio nome è Elenoire”, sbottai, ricominciando ad essere scontrosa.
Le sue sopracciglia scattarono verso l’altro. “Mi auguro che tu non mi abbia chiamato solo per ripetermi come ti chiami”, ghignò.
“No, certo, ma del resto sembri scordartelo in continuazione, quindi”. Strinsi le spalle ostentando un’improvvisa indifferenza e sospirai di nuovo, decisa a non perdere di vista il mio obiettivo. “Oggi ho incontrato il re e...”.
“Wow”, esclamò Alexander senza degnarsi di nascondere il sarcasmo. Incrociò le braccia. “Molto interessante, davvero”.
Sta’ zitto. Dicevo, oggi ho incontrato lui e i suoi cugini in biblioteca e...”.
“Ti sarei estremamente grato se evitassi di raccontarmi ogni più insulso dettaglio”.
“... e mi ha detto una cosa piuttosto strana che, se me lo permettessi, vorrei condividere con te”, continuai tentando di dominare la rabbia per essere stata interrotta un’altra volta.
Appoggiò le spalle al muro fissandomi con un vago sorriso e un’espressione da pazzo omicida. “Sentiamo”.
“Si è intromesso nel litigio tra me e i suoi cugini e, dopo averli mandati via ed essersi assicurato che rimanessimo da soli, mi ha detto precisamente: Io so cosa sei. E non mi fai paura. Ah, e puoi dire ai tuoi amichetti che non avranno più alcuna speranza di infiltrarsi nel castello, intesi? Siccome ho provato a dargli un senso senza troppo successo, ho pensato che almeno tu...”.
Mi interruppi di botto nell’accorgermi del suo cambio di espressione: il sorriso era sparito e gli occhi da pazzo erano stati sostituiti da uno sguardo di puro terrore. “Continua”.
Ignorando il fatto che per la prima volta nella sua voce scorgessi un po’ di panico, ripresi il discorso. “Ho pensato che potessi spiegarmi il significato di quelle due frasi”. Siccome non parlava, continuai: “Credo che si sia accorto di te alla sua festa, quando mi hai portata via dal giardino, ma lui parla di amichetti, non di un amichetto. Quindi in teoria avrebbe dovuto esserci un altro demone, vero?”.
Alexander rimase lì, immobile come una statua, a guardarmi come se non mi vedesse davvero. Poi parlò: “Sì, ce n’era un altro, hai ragione”.
Un flusso di ricordi dominò la mia mente e mi trovai a rivivere gli ultimi momenti del ballo: Hannah che mi indicava un ragazzo dai lineamenti uguali a quelli di Alexander, la sua voce autoritaria che mi ordinava di scappare mentre lo sconosciuto mi guardava con occhi pieni di odio e si dirigeva verso di me...
“Intendi quel ragazzo dai capelli castani e gli occhi scuri?”, chiesi nonostante conoscessi già la risposta. Quando Alexander annuì, imperturbabile, aggiunsi: “Per questo mi hai detto di scappare?”.
“Mi era già sembrato di scorgerlo mentre ballavamo insieme, poco prima di essere interrotti dalla tua amichetta”, disse di tutta risposta. “Ma non credevo potesse avvicinarsi a te, per questo non ho agito all’istante”.
A quella frase mi feci sfuggire una smorfia: se avesse agito prima forse non sarei stata costretta a scappare come un’idiota per la sala da ballo con Hannah alle costole. “Perché mai avrebbe dovuto farlo, comunque? Cosa voleva da me?”.
“Ricordi cosa ha detto il re? Io so cosa sei?”. Quando annuii come se quella fosse una domanda decisamente scontata, aggiunse: “Tu non sei stata abbandonata al collegio nel vero senso della parola: tua madre è morta dandoti alla luce”.
Aggrottai le sopracciglia. “Sì, questo lo so e...”.
Interruppe la mia frase con un distratto cenno della mano. “E non ti sei mai chiesta che fine avesse fatto tuo padre?”.
Rimasi senza parole, incapace di rispondere. In effetti non mi ero mai posta quella domanda, tutto ciò che sapevo riguardava mia madre, Domina Maria non mi aveva mai parlato di mio padre; e comunque dubitavo che ne sapesse qualcosa.
Al mio improvviso silenzio Alexander rispose: “No, immagino di no. E non ti sei chiesta nemmeno l’origine dei tuoi occhi così scuri, talmente neri da nascondere perfino la pupilla a chiunque li guardasse?”.
Mi strinsi nelle spalle non capendo dove stesse andando a parare. “Sì, ma dubitavo che ci fosse qualcosa di strano, molte persone hanno gli occhi scuri”.
Alexander scosse la testa. “Non come i tuoi: quando ti arrabbi, diventano sempre più neri, se possibile. Nessuno li ha così, tranne...”.
“Tranne il demone sconosciuto della festa”, risposi al posto suo, fissando un punto imprecisato accanto alla testa di Alexander. Non avevo mai avuto tanta paura di guardarlo in faccia come in quel momento: e se avesse notato qualcos’altro di strano nei miei occhi?
Lui però annuì tranquillamente. “Esattamente. È una caratteristica di una delle più potenti famiglie di demoni. Io ho gli occhi chiari, quindi faccio parte di un’altra famiglia...”.
“Sono imparentata con i demoni?”, sussurrai, ormai sull’orlo delle lacrime. Continuavo a non avere il coraggio di guardarlo e, se anche l’avessi avuto, non sarei riuscita a vederlo bene per colpa della vista appannata.
“Da parte di tuo padre, sì”, confermò Alexander con un tono di voce calmo, come se si aspettasse di vedermi scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Seguirono un paio di minuti a quella frase, intrisi di puro silenzio. Mi sedetti sul letto con una lentezza quasi esasperante, portandomi le mano alla bocca.
Ecco perché ero cresciuta in un collegio: mia madre era morta dopo essere stata messa incinta da un demone, il quale era scomparso dalla mia vita senza farsi troppi problemi.
Ecco perché la banshee mi temeva: non ero umana come tutti gli altri.
Ecco perché il demone sconosciuto aveva iniziato a seguirmi: aveva intuito la mia natura.
Ecco perché Leonardo mi aveva detto: “Io so cosa sei”. L’aveva capito prima di me.
Ero vissuta nella consapevolezza di essere una ragazza normale dalla lingua tagliente, un carattere solare nei confronti di chi mi voleva bene e un’indifferenza quasi palpabile verso l’importanza della Chiesa e dei suoi derivati, senza però sapere di discendere dalla specie che aveva fatto venire più torti a Dio di chiunque altro.
E se mia madre mi avesse iscritta al collegio prima ancora che nascessi nella speranza che non diventassi come mio padre? E se avesse capito già da allora che sarebbe morta?
Un braccio gentile mi cinse le spalle e mi strinse con delicatezza. “Avevo sperato di raccontarti questa storia un’altra volta”.
Ricacciai indietro le lacrime con un gesto distratto delle mani e mormorai: “C’è altro che devo sapere?”.
“Sì”. Alexander sospirò. “I tuoi genitori si chiamavano Victor e Claire Wild. Una notte tua madre, sentendo che qualcuno chiedeva aiuto urlando dalla foresta, è corsa a dare una mano e ha visto tuo padre accasciato sui residui di un vecchio albero. Victor l’aveva attirata a sé con l’inganno, ovviamente, e ha finto di essersi ferito ad una gamba: catturando il suo interesse, è riuscito ad averla tutta per lui fino al mattino successivo, permettendole di scappare solo dopo essersi assicurato di averla ingravidata”.
“Dillo chiaramente che è stata stuprata, non ti preoccupare”, sussurrai. “E comunque tu come sei riuscito a scoprirlo?”.
“Victor ha aspettato diciassette anni prima di raccontare la sua esperienza ad un incontro organizzato da lui stesso tra le famiglie dei demoni più in evidenza”, rispose. “Si è vantato di come fosse riuscito a mettere incinta un’umana, la cui figlia sarebbe cresciuta tra i mortali pensando di esserlo a tutti gli effetti, ma in grado di liberare la nostra specie dall’esilio impostatoci dal re e dalla Chiesa molti secoli fa: saresti stata letteralmente una marionetta tra le mani di tuo padre proprio grazie alla collanina con il ciondolo a forma di cuore che ho rubato poche ore dopo per tenerti legata a me”.
Alzai per la prima volta lo sguardo per depositarlo nel suo. “Hai rubato...?”.
“Tuo padre voleva usarti per uccidere tutti i mortali di Florentia e renderlo un regno abitato solo ed esclusivamente dai demoni”, continuò lui tranquillamente come se non avessi parlato. “Dovevi solo entrare a far parte della casata reale, sposare Leonardo, diventare regina e...”.
“In pratica quello che vuoi farmi fare tu”, gli feci notare, stringendo gli occhi.
“... e ordinare alle guardie reali di sterminare la popolazione, le quali sarebbero state uccise a loro volta da quelli della nostra specie”, continuò Alexander. “Florentia sarebbe diventata la nostra nuova casa e non ci sarebbero più stati umani insulsi ad intralciarci”.
“Perché allora mio padre”, sputai letteralmente quella parola dal disgusto. “non ha ucciso Leonardo di suo pugno? Avrebbe potuto farlo da solo senza di me”.
“Nemmeno Leonardo è un comune essere umano”, disse Alexander con tono grave. “Lui rappresenta il nostro nemico per eccellenza. Per questo il tuo ciondolo inizia a diventare caldo se vi trovate nello stesso posto, per questo la banshee ha cercato di ucciderti tempo fa: Leonardo è un angelo”.
Troppe rivelazioni in troppo poco tempo: la mia testa stava per scoppiare. E solo l’idea che quel ragazzo potesse essere un angelo mi faceva venire l’impulso di ridere.
“I suoi genitori sono morti a causa della peste che si era diffusa a Florentia da un paese vicino e da cui Leonardo ne è stato immune solo perché in quel periodo si trovava insieme alla sua balia a casa dei suoi due cugini appena nati, i fratelli Grayson”, continuò Alexander. “Non appena la notizia della morte del re e della regina è giunta alle orecchie di David, ovvero il padre dei due gemelli, questi si è autoeletto Cancelliere del regno sotto l’insistenza del popolo che, senza qualcuno al comando, non sarebbe sopravvissuto molto a lungo. Lo zio di Leonardo è quell’uomo bruno con cui parlava quasi sempre alla festa di compleanno e che l’ha accompagnato perfino all’ispezione del Collegio degli Angeli”.
“Quindi quel signore è il padre dei gemelli Grayson?”, esclamai, sgranando gli occhi.
“Esattamente”, sospirò Alexander. “Anche sua moglie è rimasta uccisa dalla peste, visto che si trovava a Florentia per dare alla regina il supporto necessario per la recente gravidanza e ottenere in cambio esattamente lo stesso”.
“A me però sembra strano il fatto che sia scoppiata la peste proprio nel momento in cui Victor aveva deciso di mettere in atto il suo piano”, feci logicamente notare. C’erano troppe coincidenze strane in tutta quella storia assurda ed ero sicurissima che Alexander ne sapesse più di quanto volesse lasciar intendere.
“In effetti non è stata una vera e propria peste”. Si strinse nelle spalle. “Tuo padre ha ucciso un sacco di uomini del paese vicino a Florentia, nascondendoli nelle case degli abitanti a putrefarsi e a diffondere la malattia prima ancora che le persone potessero accorgersi dei cadaveri o sentirne l’odore. È stato semplicissimo fare in modo che anche questo regno venisse colpito, considerati i continui scambi di merce che avvengono solitamente tra due paesi vicini. E tutti hanno pensato si trattasse di semplice peste e che alla base non ci fosse nulla di strano o preoccupante, a parte naturalmente le continue morti che hanno ridotto la popolazione: molti abitanti di Florentia infatti provengono da regni lontani che, non sentendosi a proprio agio nella loro città natale, si sono trasferiti qui; tanti altri invece sono dei comuni studenti venuti per iscriversi al Collegio degli Angeli”.
“Ah”, borbottai, per niente tranquillizzata da quella notizia: più tempo passava, più odiavo l’uomo che mi aveva dato la vita. “Ma resta il fatto che Victor avesse esattamente le intenzioni che hai tu ora. Questo come lo spieghi?”.
Alexander sospirò e, stranamente, sorrise. “Quando ho sentito il suo racconto all’inizio ne sono rimasto affascinato: un uomo tanto famoso e valoroso che aveva intenzione di permettere a tutta la sua specie di smettere di vivere come reietti, ma ovviamente prendendone il comando; sentendo però il modo in cui aveva diffuso quella malattia in ben due paesi diversi e in cui aveva ingravidato un’umana, non sono riuscito ad ignorare il disgusto e lo sgomento. Non potevo assolutamente permettere che i suoi piani si concretizzassero, in qualche modo dovevo impedirglielo, e del resto sapevo che se fosse diventato il nostro re non si sarebbe certo girato i pollici e noi non saremmo vissuti esattamente in pace; devi sapere che tuo padre è un uomo molto pericoloso, anche se credo che tu l’abbia già capito da sola”. Quando annuii, riprese il racconto: “Quella notte stessa sono riuscito ad entrare nelle sue stanze per rubare la collana di cui aveva parlato all’incontro e che gli avrebbe permesso di essere il burattinaio della sua figlia semi-umana; sono fuggito subito dopo per venire alla tua ricerca in modo che i piani di tuo padre andassero in fumo, ma del resto mi piaceva l’idea di poter abitare in un regno senza rischiare di essere bruciato vivo e ho deciso di metterti ugualmente il ciondolo in modo che potessi sposare il re e cambiare la legge di Florentia per permettere a me e alla mia famiglia di vivere in pace. Sapevo però che Victor mi avrebbe dato la caccia fin da subito e che dovevo darmi una mossa se volevo riuscire nel mio intento: ti tenevo d’occhio da qualche giorno quando hai incontrato la banshee e ti ho salvata, facendoti poi indossare la collana; e, tra parentesi, quella particolare banshee attacca tutti i demoni, non solo te, visto che siamo i nemici per eccellenza della casata reale; per questo motivo ci hanno concesso delle armi speciali per scacciarle. Ma comunque avevo ragione: Victor vuole vendicarsi e ha mandato a Florentia quel demone dagli occhi neri, ovvero tuo cugino, solo per ucciderci entrambi”.
  
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