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Autore: bradlifer    06/01/2014    2 recensioni
Dopo la battaglia alla Sword & Cross, per Luce viene scelta una destinazione diversa dalla Shoreline: passerà, infatti, i diciotto giorni della tregua a New York, dove come unico punto di riferimento avrà Cam.
Il loro rapporto si evolverà, così come quello tra lei e Daniel, e questi cambiamenti potrebbero portarla ad agire e a scegliere come lei stessa non avrebbe mai immaginato.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cameron Briel, Daniel Grigori, Gabrielle Givens, Luce Price
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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    Capitolo 4 – Se anche le ombre volano

La sveglia suonò alle 6.45, un orario adeguato alle direttive di Cam, che la voleva sveglia per le sette.
Il giorno prima, dopo il giro a Times Square, Luce si era alzata dal letto tredici ore dopo essercisi distesa. Nel momento in cui aprì gli occhi, guardando fuori dalla finestra, pensò di aver dormito poco più di un'ora. Ma la sveglia sul comodino segnava le 18.26, e Luce si rilassò, finalmente riposata.
E, per un attimo, si sentì persino rilassata.
Poi si ricordò che era in una metropoli a lei sconosciuta, con una creatura demoniaca nell'altra stanza. Si ricordò che Daniel, la persona che più amava al mondo, era chissà dove a combattere chissà chi. Si ricordò di Penn. Si ricordò di aver avuto migliaia di vite precedenti che aveva interrotto in una fiammata ogni diciassette anni. Si ricordò dei suoi genitori, che non sentiva da giorni.
"Basta", si disse, "Vatti a mangiare qualcosa e fatti una doccia. Accendi la radio. Pensa ad altro. Prova ad essere normale. O almeno, esercitati a fingere di esserlo."
Quando uscì dalla sua stanza, si rese conto che la casa era immersa nel silenzio: Cam non c'era.
Scese al piano di sotto, e trovò sul tavolo della cucina un biglietto scritto in stampatello disordinato:

Ci sono delle uova in frigo, bon appétit.
Ps: non c'è bisogno che ti dica di non aspettarmi sveglia, vero?
C.

Luce aveva tirato un sospiro di sollievo. Non aveva voglia di affrontare Cam e la sua sfacciataggine. Si cucinò una frittata, si fece una lunga doccia calda e si mise una tuta comoda, che alla Sword & Cross non aveva mai indossato. Passò la serata sul divano, a guardare le repliche delle prime puntate della sesta stagione di Grey's Anatomy, il suo telefilm preferito, e a leggere una rivista di musica punk/rock vecchia di otto mesi che aveva trovato sul mobile del televisore.
Dalla vetrata del salone aveva anche dato un'occhiata al cielo un paio di volte, ma non c'era neanche una traccia della scia viola a lei tanto familiare.

♦♦♦

Dal bagno, Luce sentiva il notiziario della CNN dalla TV del piano di sotto. Si stava truccando, e ascoltava annoiata le notizia di borsa ed economia. Non si era mai truccata molto, il suo massimo erano delle sottili righe di eye-liner nero e mascara, ma quella mattina, quella del primo giorno in una scuola privata a Manhattan, aveva optato solo per il mascara.
Indossava un paio di jeans, degli stivali neri che le arrivavano a metà polpaccio e una felpa anch'essa nera.
Era così stanca di quel colore.
Scese in fretta le scale, ma quando le sue vie respiratorie vennero invase dal profumo di pane tostato e del bacon, si bloccò. Cam non poteva davvero essersi messo ai fornelli, giusto?
Luce entrò furtiva in cucina e quando lo vide di spalle, intento a scaldare il caffè, ebbe la conferma al suo dubbio.
"Esmeralda mi ha piantato in asso tutta la settimana, sua figlia ha l'influenza." Disse lui senza voltarsi, e Luce sussultò. Era convinta che non l'avesse sentita, o notata, o vista, o percepita. Ovviamente, lui aveva fatto tutte e quattro le cose.
"Chi è Esmeralda?" Domandò lei.
Lui si voltò, posando sul tavolo un piatto con quattro fette di pane tostato, della salsiccia e delle uova.
Luce deglutì. Era vegetariana da quando era bambina, e poi, non avrebbe mai mangiato quello che Cam le aveva preparato.
"La mia domestica portoghese." Rispose Cam.
"E ti prepara lei la colazione?"
"Di solito, quando ho ospiti, anche il pranzo e la cena." Cam rispondeva in modo così tranquillo che faceva sembrare le sue affermazioni qualcosa di così ovvio che Luce si sentiva quasi stupida a fargli quelle domande.
"Ah." Mormorò lei, impalata sulla porta.
"Accomodati, Luce. Alle otto dobbiamo essere in ufficio dal preside a iscriverti."
Luce non si mosse, non riusciva a staccare gli occhi dalla salsiccia sul tavolo. "Sono vegetariana, Cam." Riuscì a dire infine.
Lui buttò gli occhi al cielo. "Ancora?" Chiese stupito.
"Cosa?" Ribatté Luce.
"Lo eri pure nella tua vita precedente. L'ultima, prima di questa. Quella finita nel Novantadue. Non guardarmi così, Luce. Non mi hai sempre odiato nelle tue altre vite, sai?"
"Ma dai?" Fece lei ironica, senza credergli.
"Per favore, dimmi che ti piacciono anche adesso le paste alla crema." Luce cercò di trattenersi dal sorridere. Amava le paste alla crema. Quando andava alla Dover, lei e Callie almeno un paio di volte a settimana andavano alla caffetteria di fronte alla scuola a fare colazione: cioccolata calda e pasta alla crema. Così, si limitò ad annuire. Cam le tirò una busta bianca che lei afferrò miracolosamente al volo. La brioche era così invitante, Luce ci affondò i denti appena si sedette. Cam le porse una tazza di caffè fumante. Luce lo ringraziò con un cenno del capo.
Si sedette anche lui, il tavolo della cucina era più piccolo di quello della sala da pranzo, bianco, con solo sei sedie. L'altro, era almeno il doppio.

Luce osservò di sottecchi Cam per un lungo istante, lui non diede segno di esserne infastidito. Stava bevendo il suo caffè a grandi sorsi, e Luce masticava con calma la sua brioche.
"Perché mi ha mandata qui?" Chiese sconsolata.
"Possiamo parlarne stasera? Stavolta torno per cena." Lui le fece l'occhiolino. Poi aggiunse: "Ti prometto che stasera ti spiego. Ora non abbiamo tempo, Luce. Hai idea di cosa sia New York City il lunedì mattina?" Si alzò veloce, portando i suoi piatti nella grande lavastoviglie. Luce fece lo stesso, senza aggiungere altro.
Tornò su per lavarsi i denti e prendere lo zaino mentre Cam telefonava al portiere del palazzo per farsi chiamare un taxi.
Una volta pronta, stava per uscire dalla sua stanza chiudendosi la porta alle spalle quando notò un pezzo di carta sul comodino. Si avvicinò per vederlo meglio.

Buon primo giorno di scuola, Luce.
Sono sicuro che andrai benissimo.
Ti amo, Daniel.

Luce strinse il foglietto tra le mani, lo infilò in una tasca dei jeans e scese le scale in fretta. Trovò Cam al telefono, ma appena la vide si affrettò a chiudere la conversazione: "Okay, siamo d'accordo. No, a quello ci penso io. Tienimi aggiornato."
Luce lo raggiunse a grandi passi, troppo sconvolta per domandarsi con chi stesse parlando il demone.
"Daniel è stato qui." Lo guardò dritto negli occhi.
"Lo so." Rispose lui aprendo la porta, facendola passare per prima.
"Come sarebbe a dire "lo so", Cam? Perché non me l'hai detto?" Luce era sul punto di piangere. Erano ventisette ore che non lo faceva, doveva mantenere questo andamento positivo.
Ah, no. La sera prima, guardando un episodio di Grey's Anatomy, quello del funerale di George, aveva versato tutte le sue lacrime, ed era sicura che non c'entrasse solo la morte di O'Malley.
"Daniel non ha voluto." Erano in ascensore.
"Ma..." Piagnucolò lei.
Lui si avvicinò, le strinse le spalle e la scosse piano. "Luce, sapeva che non l'avresti lasciato andare facilmente. Ci avrebbe portato via del tempo. Evidentemente, era di strada e voleva farti avere un suo saluto. Ma anche lui non ha molto tempo da perdere, lo sai. Sono sicuro che tornerà a trovarti."
Lei aveva lo sguardo perso nel vuoto, annuì come ipnotizzata e non aveva avuto la minima reazione quando le mani di Cam avevano toccato le sue spalle.
"Ora ricomponiti. Là fuori c'è il mondo reale, e ti travolgerà. Devi essere pronta. E ti prego, togliti quell'espressione imbronciata dalla faccia. A nessuno piacciono i musi lunghi di prima mattina."

♦♦♦

L'ufficio di Matthew Taylor, il preside della St. Thomas High School, era elegante, una stanza dagli arredamento antico e particolare.
La scuola, all'incrocio tra la Bleecker e la Mercer, non era tanto diversa da quella che aveva frequentato in Georgia: lunghi corridoi costeggiati da armadietti, larghe rampe di scale, ragazzi e ragazze in uniforme intenti a fare due chiacchiere o a fumarsi una sigaretta appena fuori dall'istituto.
Lei e Cam erano seduti sulle due grandi poltrone di fronte alla scrivania del preside, che dava le spalle ad uno dei tipici palazzi in pietra vista della zona. Peccato che la scrivania fosse vuota. Stavano aspettando il signor Taylor da cinque minuti, li aveva condotti al suo ufficio una segretaria. Le lezioni sarebbero iniziare trenta minuti dopo, alle otto e mezzo.
Luce si guardava intorno, affascinata da tutti i libri che c'erano in quella stanza, dal mobilio così decorato, in legno scuro, perfettamente lucido e curato. Il pavimento in parquet era coperto per la maggior parte da grandi tappeti sulle scure tonalità del blu, del verde bosco, del rosso.
Luce pensava che il viaggio in taxi sarebbe durato molto di più, che il traffico avrebbe avuto la meglio. Però, in una decina di minuti erano arrivati. Per tutto il tempo non aveva parlato, limitandosi ad annuire e a fingere di ascoltare che Cam che stava probabilmente blaterando su quanto fosse importante che lei si integrasse con i nuovi compagni, di quanto normali quei diciotto giorni sarebbero stati per lei, di quanto velocemente sarebbero passati e di quanto facile sarebbe stato attraversali. A Luce non importava. Voleva vedere Daniel. Voleva abbracciarlo, parlargli, scusarsi per quanto lunatica fosse stata domenica notte. E voleva disperatamente sapere contro cosa stesse combattendo. Se avesse potuto aiutare in qualche modo.
Gettò un'occhiata a Cam. Dal maglione blu che indossava, si intravedeva il sole nero che aveva tatuato sul collo. Il marchio di Lucifero. Luce si chiese cos'avrebbe pensato il preside nel vedere una nuova studentessa accompagnata da un tizio del genere: pallido, tatuato, poco più grande di lei, esageratamente più bello di lei. Di certo non poteva pensare che fossero fratelli.
I suoi pensieri furono interrotti da una porta che si apriva. Cam e Luce si alzarono di scatto, all'unisono.
Il signor Taylor era un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati pettinati ordinatamente, in giacca e cravatta azzurra, come gli occhi. Era molto elegante, il tipo di persona che ci si aspettava di trovare in un ufficio come quello. L'espressione del preside si distese in un sorriso.
"Cam." Disse, avvicinandosi al demone. "Che piacere rivederti." Si strinsero la mano energicamente. Cam annuì.
"Anche per me è un piacere, Matthew."
"Quant'è passato?"
"Venticinque anni, forse." Fecero una pausa, e si scambiarono un'occhiata complice.
Si conoscevano. Luce dovette fissare intensamente un punto imprecisato di fronte a lei per non cadere di nuovo seduta. Se si conoscevano da venticinque anni, voleva dire che il preside sapeva dell'immortalità di Cam. Okay. Ma sapeva anche
cosa fosse, Cam?
Quando Taylor posò lo sguardo su di lei, Luce non ebbe dubbi. Lo sapeva. Ma nel momento in cui Taylor le strinse la mano, Luce capì che non aveva a che fare con un altro demone. Il viso tranquillo, la voce pacata e rilassata, la stretta di mano calda e rassicurante.
Matthew Taylor doveva essere un angelo.
Cioè, quale essere umano non aveva fretta il lunedì mattina? Il preside non aveva fatto storie per ricevere lei e Cam mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni... ma forse perché conosceva Cam, Luce ci aveva già pensato.
Mentre le stringeva la mano, Taylor rivolse un sorriso gentile, ma più formale, anche a lei.
"Buongiorno, Lucinda. È bello conoscerti, finalmente."
"Salve, signor Taylor." Si limitò a dire Luce.
"Abbiamo tanto di cui parlare e poco tempo a disposizione. Sedetevi pure." Luce e Cam obbedirono. Taylor si sedette alla sua scrivania, di fronte a loro. "Allora, benvenuta a New York."
"Grazie." Rispose Luce.
"Cam ti ha accennato di che tipo di scuola sia la St. Thomas?"
"No." Luce guardò male Cam, tranquillo accanto a lei. "Che tipo di scuola è la St. Thomas, signor Taylor?"
"Una scuola privata, molto... particolare." Fece una pausa, ma Luce e Cam annuirono e lui proseguì senza troppe esitazioni. "Qui vengono istruiti i Nephilim. Forse ti hanno accennato cosa siano." Luce scosse la testa. Taylor non fece una piega, glielo disse e basta. "Umani con un genitore angelo, vale a dire esseri umani con alcune abilità..."
"Un attimo, di cosa sta parlando? Angeli?" Luce si sentiva strana. Non aveva mai pensato alle unioni fisiche tra angeli e mortali, a che cosa potessero generare.
"Sa tutto, Luce. Non fare la finta tonta." La rimproverò annoiato Cam, che giocherellava con un tulipano nel vaso che si trovava sulla scrivania del preside.
"Vedi, Lucinda, i Nephilim hanno ereditato dal genitore angelo alcune particolarità... per esempio, possiamo gestire in piena autonomia un Annunziatore." Luce deglutì. Taylor era un mezzo angelo? Allora non si era sbagliata, non del tutto. "Le materie di studio sono diverse da quelle cui eri abituata. Non hanno nulla a che vedere con quelle del liceo scientifico qui vicino, per esempio. Probabilmente conoscerai alcuni studenti del liceo, gli orari delle due scuole sono gli stessi. Perché, a dire il vero, umani e Nephilim non interagiscono molto spesso."
"Sempre la stessa storia!" Borbottò divertito Cam.
Taylor sorrise, si alzò per prendere da una delle libreria dei sottili libri di testo. Quelli che Luce avrebbe dovuto studiare per i successivi diciotto giorni.
"Mi sta dicendo che frequenterò le lezioni per Nephlim?"
"Nephilim." La corresse Cam.
"Lucinda, tu vedi gli Annunziatori, sei vittima di una maledizione, ti reincarni ogni diciassette anni. Direi che non ti servono lezioni di chimica e trigonometria." Le diede i libri. "Mettili nello zaino. Le lezioni cominciano tra poco, e terminano alle sedici e venti." Luce fece scivolare i libri nello zaino, e Taylor si rivolse di nuovo a Cam: "Perché non la Shoreline?"
"Perché là si distrarrebbe. Qui, avrà qualcuno che la terrà con i piedi per terra."
"Cioè te." Luce odiava che si parlasse di lei come se non ci fosse.
"Cioè me." Rise Cam. "E la tua formidabile scuola per angeli senza ali."
"Divertente. Quindi niente voli per Lucinda per i prossimi diciotto giorni?"
"Se deve stare coi piedi per terra..." Cam la guardò, e vedendo l'espressione contrariata sul volto di Luce, il suo sorriso si spense.
"Bene, in bocca al lupo, Lucinda. Rivolgiti pure a me per qualsiasi dubbio. Chiedi della signora Mary, ti darà lei la tua divisa. Buona giornata." Il preside Taylor li condusse alla porta, e senza aggiungere altro, se la richiuse alle spalle.
Cam e Luce erano nel mezzo della calca di studenti intenti a riporre i libri negli armadietti, svogliati e ancora addormentati. Erano l'uno di fronte dall'altra, fermi sulla porta dell'ufficio del preside, lo sguardo perso nella marea di teste che li circondava.
Cam allungò una mano verso di lei. "Prendi."
"Non voglio i tuoi soldi." Sbottò Luce. Le aveva offerto cinquanta dollari.
"Ti serviranno. Per il taxi oggi pomeriggio, per esempio." Luce buttò gli occhi al cielo e li accettò. Non voleva camminare per chilometri nel freddo di Manhattan.
"Ti prego, dimmi che non mi hai pagato pure la tassa d'iscrizione." Cam fece un mezzo sorriso, e Luce una smorfia. "È snervante essere in debito con te."
"Nessun debito, Luce. Tu mi odi, io no. È il minimo che possa fare." Luce lo guardò. Non lo capiva. Cam mosse la testa, poi disse, serio: "Mi odi ancora, vero?"
Luce era indecisa sulla risposta. Sì, era in collera con lui. L'aveva ingannata per divertirsi, aveva scatenato una battaglia di ombre e mostri del demonio, durante la quale la sua amica era morta. La trattava come una bambina.
Ma era gentile. E, a Luce scocciava ammetterlo, Cam teneva a lei.
Però aveva passato così poco tempo con lui, da quando si era "trasferita" a New York, che pensò fosse troppo presto per avere un'idea precisa del livello di odio che provava nei confronti del demone con gli occhi verdi che le stava di fronte.
Così decise di sviare la domanda, tenendo Cam col dubbio. "Vai a combattere?"
"Sì." E queste sue risposte semplici, secche, decise, quasi ovvie. Luce non sapeva dire se le apprezzasse o no. Le diceva la verità senza troppi fronzoli. E se le avesse rivelato una verità di troppo, quella verità che l'avrebbe uccisa? Gli sarebbe importato davvero? In fondo, lui che aveva da perdere? Nulla, a quanto ne sapeva lei.
"Vedrai Daniel?"
"Molto probabilmente no."
"Ah." Luce abbassò lo sguardo. Lui le diede qualcos'altro, qualcosa di metallico. Luce sgranò gli occhi. Le chiavi, giusto. Cam le stava dando una copia delle chiavi del suo attico al 640 di Park Avenue. Strinse il mazzo di chiavi nella mano destra, e se lo infilò nella tasca dei jeans.
"Grazie." Disse lei semplicemente.
"A stasera, Luce."
"Ricordati della promessa che mi hai fatto." Sussurrò lei, guardandolo dritto in faccia.
Cam sorrise, un sorriso così comprensivo e pieno di affetto che a Luce tremarono le ginocchia. Le scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro. Lei lo lasciò fare, rigida ma tranquilla al tempo stesso, senza staccare gli occhi da quelli di lui.
Cam si abbassò, e Luce per un attimo pensò che la baciasse, ma la sua bocca andò all'orecchio di lei per dirle, in un soffio: "Ricordati della domanda che ti ho fatto."
E se ne andò, scomparendo tra gli studenti della St. Thomas High School.

♦♦♦

Luce entrò in aula che le lezioni erano già cominciate.
Fortunatamente aveva trovato in fretta Mary, una bidella bassa e simpatica, con i capelli grigi e due vispi occhi neri. Mary le aveva dato una divisa che le stava perfettamente, profumata di bucato, e Luce si era cambiata velocemente in bagno. Mary l'aveva accompagnata alla sua classe, la numero 12 al secondo piano, e le aveva augurato buona fortuna per il suo primo giorno.
Dopo averla ringraziata e contato fino a dieci, Luce bussò.
Quando entrò, un uomo basso e pelato, con grandi occhiali da vista e un pullover rosso, le sorrise. Doveva essere il professore di storia, la materia della prima ora del lunedì mattina.
"Buongiorno! Devi essere Lucinda Price. Siediti pure." Luce non fece in tempo a rispondere, era già ripresa la spiegazione sulla “Storia degli Annunziatori?” notò Luce nella sua mente. Camminava tra una fila e l'altra di posti, tutti occupati. Si voltò a lanciare un'occhiata all'insegnante, che sembrava essersi già scordato del suo arrivo.
Luce trovò posto in ultimo banco (cosa che la sollevò molto), accanto ad una ragazza con i capelli tagliati a carré, di un rosso carota che a Luce piacque subito tantissimo. Aveva due profondi occhi marroni, molto simili a quelli di Luce, e quando si sedette, le rivolse un sorriso timido.
"Sono Miranda. Benvenuta." Luce appoggiò il libro sul banco, guardò la sua vicina e le strinse la mano.
"Piacere, Lucinda."
"Qui sappiamo tutti chi sei. Le descrizioni sui libri non ti rendono giustizia!"
Luce sgranò gli occhi, e si guardò intorno. Un paio di ragazzi seduti in primo banco la fissavano. Una ragazza bionda seduta in terza fila le lanciava occhiate furtive. Un'altra, seduta davanti a lei, si era voltata a sorriderle amorevolmente.

Luce pensò che dovessero essere tutti dei bravi bugiardi, in fondo si diceva che i newyorchesi non fossero così gentili. Ma questi ragazzi erano per metà angeli, e gli angeli erano gentili.
E anche i demoni lo erano. Luce si chiese se ci fosse qualcuno lì dentro che per metà era figlio di un demone.
Poi, spostando lo sguardo sul suo banco, si stupì della frequenza con cui il pensiero di Cam stava iniziando ad insinuarsi nella sua mente.
Il prof. batté le mani sulla cattedra.
"Ragazzi, fatela respirare." Di colpo, tutti si voltarono a guardarla, poi guardarono di nuovo lui. "Lucinda, io sono mister Bloom, insegno Storia e Addestramento alle Abilità Celesti. Non preoccuparti degli sguardi curiosi dei tuoi compagni, hanno talmente sentito parlare di te che non credevano fossi reale." Miranda sogghignò accanto a Luce. Quanto aveva parlato mister Bloom della sua storia prima che lei arrivasse? "Ma siamo a New York," continuò l'insegnante, "tempo cinque minuti e ci saremo abituati alla novità, quindi potrai tornare nella tua piccola bolla personale."
Luce incassò la frecciatina, annuì con un sorriso tirato e abbassò lo sguardo.
"Nessuna domanda?" Insistette il professore.
"Cosa intende per “Abilità Celesti”?"
"Dobbiamo ancora capirlo pure noi!" Esclamò un ragazzo, e tutti iniziarono a ridere. Luce fece lo stesso.
"Brad, ti prego, smettila." Sbuffò Bloom. "Le Abilità Celesti sono la conoscenza degli Annunziatori, delle ombre antiche, dei misteri eterni."
"Tipo: perché tu resusciti ogni diciassette anni?" Fece una ragazza con i capelli corti e biondi.
"Ti prego, ricordami chi tra le due è l'angelo che non ha le ali." Si ritrovò a dire Luce. Si morse la lingua, ma era tardi. Tutta la classe si era voltata a guardarla. Non si sarebbe scusata. Non prima di aver contato fino a dieci.
Era arrivata a sette, quando il professor Bloom disse: "Brava, Miss Price. Bisogna avere carattere per sopravvivere in questo abisso di squali, angeli arrabbiati col mondo perché non sono veri angeli. Niente ali per voi Nephilim, ma chissà, forse la nostra Lucinda troverà quelle della libertà."

La mattinata fu eterna. Miranda le faceva una breve descrizione di ogni insegnante che incontravano, ma per quel giorno sarebbero stati solo tre. Dopo le prime due ore di Storia e la terza di Abilità Celesti, ne seguirono due di Spagnolo con un'insegnate madrelingua, abbastanza severa.
Dopo pranzo, avrebbero avuto due ore di Arti Tecniche e Angeliche, una sorta di educazione fisica che aveva come strumenti e ostacoli solo ed esclusivamente gli Annunziatori.
Luce aveva immaginato la mensa molto più grande. Cioè, non che fosse piccola. Ma... Luce aveva la mente altrove.
Non voleva stare lì. Miranda era gentile, certo, l'unica persona che le rivolgeva la parola era lei. Luce voleva vedere Daniel, voleva parlare con Cam, voleva abbracciare i suoi e non andarsene più da casa.
E, soprattutto, non voleva entrare in palestra.
Questa, al contrario della mensa, era enorme.
Il professore di Arti Tecniche e Angeliche era un uomo calvo, sulla cinquantina, dall'aspetto pacato e con un sole nero tatuato all'interno dell'avambraccio sinistro. Luce indietreggiò quando notò quel dettaglio.
L'insegnante, Mister Northworth, aveva introdotto la lezione del giorno senza troppe cerimonie per Luce, cosa che lei apprezzò. "Oggi proveremo ad utilizzare gli Annunziatori come strumento di volo. È una procedura complicata, molto, ma non impossibile da realizzare. Dovrete semplicemente stenderli come una tavola da surf, o come una qualsiasi superficie piana e rigida, in grado di sostenere il vostro peso. Una volta che ci sarete saliti, potrete scegliere se restare in piedi o sedervi, e prenderete il controllo. Si stabilirà una sorta di connessione tra voi e l'Annunziatore, un po' come in Avatar. Non so se mi spiego."
I ragazzi risero. Si spiegava. Luce non aveva visto il film (Grazie mille, Sword & Cross, pensò sarcastica Luce nella sua testa), ma capì comunque. Il problema era che sarebbe dovuta uscire, andare in un bosco, e aspettare che un Annunziatore si facesse avanti. Poi, avrebbe potuto scappare. Quando vide i suoi compagni dirigersi ognuno in un punto diverso, Luce restò immobile al suo posto, in piedi di fronte al signor Northworth che comunque le stava facendo segno di avvicinarsi.
Luce prese un respiro profondo e obbedì. "Ciao, Lucinda." Iniziò lui. Lei, in risposta, annuì timida. "Cam mi ha parlato di te, mi fa piacere poterti insegnare."
"Lei conosce Cam?"
"Tutti conoscono Cam!" Disse Alex, lo stesso ragazzo che quella mattina aveva fatto la battuta sulle Arti Celesti. Passò di corsa vicino a loro, palleggiando per riscaldarsi.
L'insegnante non disse nulla, continuò il suo discorso. "I tuoi compagni hanno acquisito un'abilità fondamentale nel corso degli anni, che tu dovrai imparare molto più in fretta: evocare un Annunziatore."
"Evocare?" Gli fece il verso Luce. Miranda poteva entrare in contatto con le ombre? Da anni riusciva a gestirle? A Luce faceva ribrezzo il solo pensiero. Si guardò attorno: alcuni suoi compagni erano già al lavoro. Un paio di loro tenevano gli occhi chiusi e i palmi delle mani rivolti verso il basso, in attesa. Quando ad una di loro arrivò l'Annunziatore, lei sorrise soddisfatta e riaprì gli occhi.
"Oggi sei libera di limitarti ad osservarli. Guarda come si comportano, come gestiscono gli Annunziatori, come li modellano. Domani toccherà a te; ci divideremo in due gruppi alla terza e alla quarta ora: i tuoi compagni saranno in laboratorio, mentre tu, io e la coordinatrice Bulwer nel cortile interno del nostro istituto ad evocare Annunziatori. Vedrai, imparerai senza troppe difficoltà." Fece una pausa, osservando prima lei, poi gli altri studenti, poi le spalliere. "Se vuoi fare esercizi però, puoi usare corde, spalliere, palloni, materassini... Ciò che ti serve."
Luce sorrise imbarazzata. "Credo che starò bene in panchina."

♦♦♦

Quando si chiuse alle spalle la porta dell'appartamento di Cam, Luce buttò lo zaino per terra, e si diresse verso il divano. Era stanca, ma non aveva sonno. Il suo era più un senso di spossatezza, decretò alla fine.
Erano le cinque del pomeriggio, Cam quando sarebbe tornato? Cos'avrebbe fatto lei durante quegli eterni pomeriggi solitari a New York?
Avvolta nel silenzio della casa, ripensò alla giornata che aveva passato a scuola. Nulla che valesse la pena di essere raccontato dal punto di vista sociale, ma di ciò che aveva appreso sugli Annunziatori (e sapeva che si trattava di una minima parte) bisognava discutere a lungo.
Così, a Luce venne un'idea.
La luminosità era sempre più scarsa, visto che si stava facendo buio. Si alzò in piedi, e si mise al centro del grande salone di Cam. Chiuse gli occhi. Rivolse i palmi delle mani verso il basso.
Di solito gli Annunziatori arrivavano se era vicina all'acqua, in un bosco o semplicemente dalle ombre proiettate da mobili e altre figure.
Quel giorno, aveva osservato per due ore i suoi compagni svolgere la medesima azione.
Quindi, Luce immaginò un'ombra uscire da sotto il divano, strisciare sul pavimento e scivolarle tra le mani.
Anche se dopo un tempo che a Luce sembrò infinito, successe proprio ciò che aveva immaginato.
L'ombra era viscida e umida e si muoveva tra le mani tremanti di lei velocemente. Luce la strinse forte, tirandola da ogni parte, digrignando i denti. Era molto faticoso.
Quando l'ombra si calmò, Luce iniziò a toccarla più dolcemente e a distenderla. Era poco maneggevole: appena ordinava un angolo, un altro tornava a ripiegarsi su stesso. Quando fu abbastanza lunga da poterci appoggiare i piedi, Luce la spinse delicatamente verso il pavimento.
Quindi gli Annunziatori erano degli strumenti di volo per i Nephilim?
Cosa voleva dire? Che uno dei suoi genitori era un angelo? O, peggio, un demone?
No, era impossibile. Doreen e Harry Price erano le persone più normali, semplici e vere che Luce conoscesse.
Ma se sua madre avesse... Se Harry non fosse stato effettivamente suo padre... Se Luce fosse stata adottata? Si sentì stupida, ridicola e ingrata ad aver formulato quei pensieri.
Si stava distraendo.
Aveva appoggiato il piede sinistro sulla superficie liscia dell'ombra, e mentre cercava di rimettere ordine nei pensieri e di concentrarsi sull'ombra, ci mise pure il destro.
Sorrise contenta, e immaginò l'ombra che con calma si alzava da terra con lei sopra. L'Annunziatore lo fece, molto lentamente, esattamente come nella mente di Luce.
Era a poco più di quaranta centimetri da terra, ancora sorridente, quando un rumore in sottofondo attirò la sua attenzione.
Chiavi nella serratura.
Luce guardò l'orologio. Erano le venti inoltrate.
Il cuore iniziò a batterle velocemente, la testa le girava e l'Annunziatore sotto di lei tremava, sempre più instabile.
La porta si aprì, e l'Annunziatore schizzò via da sotto i piedi di Luce, andando a sbattere contro un vaso enorme di finti fiori bianchi e biglie blu, che si schiantò a terra in mille pezzi, insieme all'ombra ora sfilacciata e dall'aspetto vetroso.
Tutto accadde sotto gli occhi di Luce che, cadendo, portò tutto il peso sul ginocchio sinistro.
Intontita dal dolore e dal capogiro, Luce non si rese quasi conto che la luce era stata accesa e che dei passi ansiosi la stavano raggiungendo.

Si chinò su di lei velocemente, preoccupato di accertarsi che Luce non si fosse procurata una frattura o qualcosa del genere.
Lei aveva un male tremendo, ma cercò di rimanere impassibile. Senza riuscirci.
"Ahi." Mormorò, mentre stendeva la gamba. Le dita gelide di Cam le stavano sollevano il pantalone e massaggiandole il ginocchio. Lei lo guardò attentamente: il cappotto nero, i capelli ordinati, lo sguardo basso e le folte ciglia, la pelle chiara. Il tatuaggio che si intravedeva da sotto il collo del cappotto. 
Cam scosse la testa. "Serve del ghiaccio. Un attimo." Prima che Luce potesse dire qualcosa, lui le aveva già voltato le spalle, diretto in cucina. Tornò mezzo minuto dopo con un sacchetto di ghiaccio istantaneo. Lo appoggiò sul ginocchio di Luce, e mentre lo teneva fermo con una mano, con l'altra si toglieva il cappotto e lo appoggiava al divano, sedendosi anche lui per terra, di fronte a lei.
"Sei preparato ad ogni evenienza." Disse lei piano, riferendosi al ghiaccio.
Lui sorrise appena. 
"Hai preso una brutta botta. Nulla di rotto, ma ti farà male nei prossimi giorni. Vuoi che...?" Cam non aggiunse altro. La fissò dritta negli occhi, serio.
"Che?" Luce alzò le sopracciglia, per spronarlo a continuare.
"Ti allievi il dolore?"
"Okay, che antidolorifico hai? Io di solito uso delle creme gel quando faccio incidenti di questo tipo."
Cam scosse la testa, sorridendo finalmente in modo sincero e decisamente più sciolto e rilassato. "È una cosa che non compri in farmacia."
Appoggiò la mano destra sul ginocchio di lei, guardandola per assicurarsi che le andasse bene. Lei sembrò non farci caso.

La pelle, fino a quel momento fredda, al tocco prolungato di Cam si scaldò, e il dolore diminuì notevolmente. Luce intravvide da sotto il palmo della mano di lui una flebile luce dorata. Sgranò gli occhi, scostando bruscamente la gamba.
"Niente magia nera su di me." Si alzò senza il minimo sforzo, e capì che era stato grazie a lui.
Lo guardò mentre si alzava in piedi anche lui, senza staccare gli occhi da lei. Luce indietreggiò, e lui camminava dritto davanti a sé, costringendola a continuare a camminare all'indietro finché non andò a sbattere con la schiena contro alla vetrata. Il braccio destro di Cam si appoggiò al vetro, bloccandole la via d'uscita alla sua sinistra. Ma Luce decise di restare lì, di vedere fin dove si sarebbe spinto.
"Magia nera, eh?" Rise, abbassando lo sguardo. "È così che l'ha definita Daniel? L'invidia è una brutta bestia."
"Daniel non l'ha definita in alcun modo. Non mi ha mai parlato dei vostri... poteri." Lui riportò lo sguardo su di lei.
"Ah." Si spostò, voltandole le spalle e andandosi a sedere sul divano. Lei rimase lì, con le spalle al muro.
"Perché Daniel dovrebbe essere invidioso di te?"
"Noi demoni viviamo meglio."
"Perché?"
"Perché non dobbiamo rendere conto a nessuno."
"E Satana dove lo metti?" Domandò Luce con tono ovvio.
Questi botta e risposta la facevano impazzire. Non faceva in tempo a fare una domanda che lui le aveva già risposto. E lei si scordava quasi di aver mai avuto dei dubbi.

"Lui ci concede molta libertà." Le strizzò l'occhio, e picchiettò con la mano il divano. Luce andò a sedersi, ma lontana da lui.
"Com'è andata oggi?" Gli chiese.
"Giornata piatta."
"Niente morti?"
"Già." Rispose Cam.
Luce rise, scuotendo la testa lentamente e stendendo le gambe sul divano.

"E tu?" Chiese lui, dopo averla osservata stendersi e chiudere gli occhi, nel tentativo di rilassarsi. Apprezzava il fatto che non volesse dare a vedere la sua stanchezza, dopo aver avuto a che fare per chissà quanto tempo con un Annunziatore. Cam sapeva che per i principianti maneggiare le ombre era molto stancante. Se lo ricordava.
Lei aprì gli occhi lentamente. "Niente morti nemmeno da me."
"Peccato."
"Già." Luce guardava il soffitto sopra di lei. Era esausta, voleva andare a dormire. Erano quasi le nove. Di solito non aveva mai sonno a quell'ora. "Come conosci il signor Taylor?"
Cam rise. "Ho visto crescere quell'uomo, sono amico di suo padre, un angelo inglese. Io e Matthew eravamo compagni di corso all'università, negli anni Ottanta."
"Sei stato all'università?!" Domandò stupita lei.
"Non sono mai arrivato alla laurea, ho sempre mollato prima. Sai, è un diversivo. Un'occasione per conoscere gente nuova."
"Ragazze nuove." Lo corresse lei.
Lui annuì, sorridendo. "Ma la mia ragazza nuova preferita è qui accanto a me."
Luce sbuffò, senza cattiveria. "Non attacca, Cam."
"Non ci speravo molto."
Luce si mise a sedere a gambe incrociate per guardarlo negli occhi. Prese un respiro profondo e gli fece la stessa domanda della mattina: "Perché mi ha mandata qui?"
Cam rifletté a lungo sulla risposta da darle. "Perché si fida di me. Sa che ti avrei protetta, aiutata, guidata. Meglio e più velocemente dei professori perfettini della Shoreline."
"Cos'è la Shoreline? Ne parlava anche Taylor stamattina."
"Una scuola molto simile alla St. Thomas. Solo, dall'altra parte del Paese." Fece una pausa. "Una sorta di college, anche lì gli insegnanti sono angeli o mezzi angeli o demoni, con la differenza che prendono ogni singolo Nephilim sotto la loro ala protettiva, da ogni punto di vista. Qui è diverso. Siamo nell'Upper East Side, ognuno sa già cosa aspettarsi dal proprio futuro."
"Chiaro veggenza?" Domandò lei sarcastica.
"Fondi fiduciari." Disse lui acido.
Luce immaginò mazzette da cinquecento dollari nelle mani dei suoi coetanei che aveva incontrato alla St. Thomas quella mattina.
Poi, tornò alla realtà. "Ma se volessero di più? Tipo...?" Luce alzò l'indice, indicando il soffitto, riferendosi al Cielo.
"Non possono, Luce. Primo, non hanno le ali. Secondo, solo una minima parte del loro DNA è puramente angelico. Quando avranno figli, questi non avranno nemmeno una cellula celeste."
Luce s'irrigidì. "Perciò", continuò lui, "o avvocati, o imprenditori, o medici eccetera eccetera eccetera."
"E alla Shoreline no?"
"Pure alla Shoreline, ma alla gente di Hollywood piace sognare."
"La Shoreline è in California?!" Luce alzò la voce, sorpresa dalla notizia. Le sarebbe andata bene in entrambi i casi.
"Ehi, un po' di rispetto. Questa città è il centro del mondo. Non m'importa se a Los Angeles puoi incontrare per strada quell'attore pallido che fa il vampiro in quella saga per adolescenti." Tagliò corto Cam, facendo il finto offeso.
"Ma..."
"Niente ma. New York è qui per te, come tutti noi."
Luce non sapeva spiegarsi queste affermazioni gentili e improvvise di Cam, e non riusciva nemmeno a capire se fossero pienamente sincere. Spostò lo sguardo.
Luce sbadigliò, passandosi una mano tra i capelli. Si alzò dal divano, raccolse lo zaino da dove l'aveva sbattuto ore prima, e si diresse alle scale. Si voltò a guardare Cam, ancora seduto sul divano, che la guardava a sua volta. Senza dire nulla, riprese a salire i gradini.
"Luce?" La chiamò.
Lei si girò a guardarlo. "Sì?"
"Mi odi ancora, vero?" La domanda che le aveva fatto quella mattina a scuola.
Luce se ne era quasi dimenticata. L'aveva evitata una volta, poteva farlo una seconda. Si ritrovò a sorridere istintivamente.
"Buonanotte, Cam."
Lui la guardò scomparire al piano di sopra. Poi si alzò, andò in cucina a prepararsi un sandwich, e mentre Luce chiudeva la porta di camera sua e si metteva sotto le coperte, il demone al piano di sotto mangiava e guardava fuori dalla finestra e, finalmente, si concesse di pensare: “No, Cam. Non ti odia.” Un altro morso. “Non ti odia per niente.


---Spazio autrice
Questo capitolo è decisamente più lungo dei precedenti, lo so, ma spero che non vi annoiate leggendolo. Anche perché, fra quelli che ho scritto finora, non è nemmeno il più lungo!
Ps: mi piacerebbe leggere le vostre recensioni!
A presto, Virginia.

 

  
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