Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
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Autore: vieniesalvami    07/01/2014    0 recensioni
“Non credere che non mi manchi” disse Bill, guardando lontano, fissando un punto senza distogliere il suo sguardo.
“Mi manca quando mi alzo, guardo fuori dalla finestra e vedo il cielo azzurro a novembre. Mi manca quando chiudo gli occhi, la notte, prima di addormentarmi e penso alla mia infanzia e a Magdeburgo. Chi l’avrebbe mai detto? Odiavo quel posto, odiavo la Germania, la mia casa, la mia patria. E ora..” sospirò, voltandosi verso Frances. “Ora farei di tutto pur di tornarci” concluse, aspettando l’ennesima domanda della ragazza che sedeva vicino a lui.
“E allora perché non torni ad Amburgo?” gli chiese curiosa, “Che cosa stai aspettando?”
“Qualcosa per cui valga la pena tornare” sussurrò, prendendo tra le braccia la sua cagnolina, Luna.
“E tu Fran? Cosa stai aspettando?” continuò dopo pochi secondi, alludendo al fatto che anche a Frances non piacesse vivere in quell’enorme città dai grattaceli immensi.
Frances esitò qualche secondo, poi lo guardò intensamente e sussurrò quelle parole, senza nemmeno rendersene conto: “Qualcuno per cui valga la pena vivere”.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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2. “Non mi nasconderò più”
 
 
“Concentrati, Bill, dannazione, dobbiamo finire la canzone entro stanotte” sbottò Tom, abbastanza irritato.
Era da più di tre ore che si trovavano in quello studio, a Santa Monica, e in quelle tre ore, Bill non aveva fatto altro che continuare a cantare la seconda strofa, della canzone alla quale stavano lavorando, senza azzeccare una nota.
“Sono io il cantante, non tu” rispose il biondo, dentro la sua cabina. “Se non ce la faccio a cantare stasera, non è colpa mia” concluse, togliendosi le cuffie dalle orecchie.
“Come sarebbe a dire –non è colpa mia-? E di chi sarebbe? Mia?” ringhiò Tom, il fratello gemello del biondo. Aveva un mal di testa tremendo, non ce la faceva più. Voleva semplicemente andarsene a casa a dormire con l’idea che la canzone fosse finita. Invece no, suo fratello non riusciva a cantare e da ben tre ore continuava a ripetere la stessa frase, stonando.
“No, Tomi” rispose il cantante, sentendosi un po’ in colpa, “E’ solo che mi sento strano, come se dovesse succedere qualcosa da un momento all’altro. Ho uno strano presentimento” concluse, aprendo la porticina che divideva la sua cabina dalla zona in cui si trovava Tom.
“Uno strano presentimento? Devo forse preoccuparmi? Non ti senti bene?”, quelle domande a raffica indebolirono Bill, che fu costretto a sedersi sul piccolo divanetto di fronte alla poltroncina di Tom e ai vari mixer.
“Sto bene Tom” disse Bill, poco convincente. “Non riesco solo a cantare, ho bisogno di una pausa” continuò appoggiando la mano destra sulla fronte sudata. “La canzone la finiremo domani” decise, di punto in bianco.
Tom non ebbe il coraggio di dire una parola: Bill era proprio a terra, quella notte. Avrebbe tanto voluto intrufolarsi nella sua mente, per sapere a cosa stesse pensando. Ci riusciva sempre, eppure in quel momento sembrava che Bill avesse innalzato una sorta di barriera per proteggersi e quindi non ci riuscì.
“Ora andiamo a casa” disse, dopo qualche minuto di silenzio. Si alzò dal divanetto sul quale si stava riposando, si mise il giubbotto di pelle nero e si avviò fuori dallo studio. Tom lo seguì senza fiatare.
Si mise alla guida, con Bill seduto di fianco a lui.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Tom si girò verso Bill, il quale aveva la testa appoggiata al finestrino, e disse: “Non avrò mai abbastanza della bellezza di questa città. Amo Los Angeles, la amo seriamente” disse. Il cantante continuò a fissare le luci dei lampioni altissimi, i locali pieni di ragazzi e ragazze che si divertivano, le macchine lussuose e le ville, senza dire una parola.
“Hey, ormai è da due anni che viviamo qui! Los Angeles, la meravigliosa città degli Angeli” esclamò eccitato, anche se il suo intento era quello di far sorridere il suo piccolo fratellino.
Bill, di rimando, mugugnò qualcosa fra sé e sé e poi disse: “Wow, eclatante”.
Il sorriso di Tom si spense, così come il suo entusiasmo e la sua voglia di far sorridere il fratello.
Lo guardò di sottecchi, alla luce fioca della luna e dei lampioncini della città bassa, e poi appoggiò la sua mano destra sulla spalla del biondo.
“E’ inutile che te lo dica, Bill” cominciò, “Sai benissimo che per qualsiasi cosa, puoi contare su di me. Io ti sosterrò sempre, in qualsiasi occasione. Io ci sarò per te” concluse, sorridendogli.
Bill lo guardò dolcemente e si sciolse: quanto poteva essere dolce suo fratello? Quanto?
Rimanendo attaccato con la testa al finestrino gli sorrise e disse: “Grazie a Dio ho te Tom. Altrimenti sarei solo. Solo come un cane” e subito quel suo sorriso si spense.
In quel preciso istante Tom capì per quale motivo Bill stesse così male. Altro che “brutto presentimento” e “mi sento strano”. Bill era malato.
E la sua era una patologia non curabile: soffriva di mancanza d’amore.
 
 
 

“Frances, Frances, svegliati” sussurrò Evelin, scuotendo appena l’amica, la quale ancora dormiva beata. Avevano avuto un giorno di riposo, dopo il lungo viaggio durato 12 ore.
“Mmh no, ancora cinque minuti, Ev, ti prego” mugugnò Frances, girandosi sul fianco sinistro e dando le spalle alla sua migliore amica.
“Fran, farai tardi, hai appuntamento in ospedale tra meno di un’ora e mezza e non sappiamo nemmeno la strada” continuò la ragazza, scuotendo di nuovo il corpo esile di Frances. “Devi vestirti, lavarti, truccarti un minimo..” concluse.
Tutto d’un tratto, Frances si alzò di scatto e disse: “Oh mio Dio, ho un sacco di cose da fare! Avresti dovuto svegliarmi prima!” esclamò, infilandosi le ciabatte e chiudendosi in bagno.
“Ci ho provato..” rispose Evelin, scuotendo la testa e alzando le spalle, sconfortata.
Dopo quasi mezz’ora, Frances uscì dal bagno lavata, vestita e truccata leggermente (giusto per non risultare sciupata). Evelin la guardò dolcemente e l’abbracciò forte.
“Sono fiera di te” sussurrò al suo orecchio. Poi si staccò e la guardò; i suoi occhi da cerbiatto erano spenti ormai da anni, eppure erano belli; i capelli scuri e lunghi, nonostante fossero pochi, erano forti e luminosi; il fisico era esile, ma lei riusciva sempre a nasconderlo nel migliore dei modi.
Quel giorno, però, aveva abbandonato le felpe enormi, i jeans larghi e tutto il resto.
Voleva che la vedessero per quello che era: una ragazza con un problema. Un problema troppo difficile da gestire da sola.
Frances, infatti, indossava una maglietta stretta che le evidenziava il busto, jeans a sigaretta che sottolineavano le gambe lunghe e magre e una felpa slacciata.
Non mi nasconderò più” disse Frances, guardando l’amica e i suoi occhi neri pieni di lacrime, mentre si affrettava a prendere la borsa, che poco prima aveva lasciato sul tavolo.
Entrambe si diressero verso il parcheggio, là dove avevano lasciato la macchina il giorno del loro arrivo, ma prima di raggiungere l’auto, Frances sentì un rumore che la lasciò perplessa.
“Fran, che suc-?”
Shh, shh” disse la mora. Frances si guardò in giro, sentiva abbaiare lievemente: un verso che la faceva rabbrividire. “Lo senti anche tu?” sussurrò ad Evelin, che dal canto suo annuì.
Si guardarono un po’ in giro, fino a quando Frances capì che quelle “grida di dolore”, se così si potevano definire, venivano da sotto la loro macchina. Si abbassò velocemente e quello che vide la fece quasi scoppiare a piangere: sotto la loro macchina vi era un piccolo cagnolino, un cucciolo di Labrador, con un pezzo di vetro incastrato nella zampina posteriore, che continuava a leccarsi.
“Oh mio Dio!” esclamò Frances, si sdraiò a terra e, lottando contro i graffi del cagnolino, lo prese tra le sue braccia. Era spaventato, continuava a leccarsi la ferita e tentava di mordere il pezzo di vetro per spaccarlo.
“Dobbiamo portarlo dal veterinario” esclamò Evelin “Ed in fretta o finirà per tagliarsi anche la lingua, se continua a leccare il vetro con quella foga” disse salendo in macchina.
Frances la seguì, sedendosi al posto del passeggero.
“E allora cerchiamo un veterinario”.

 
  
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