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Autore: Chtsara    07/01/2014    4 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Mio cugino?”, urlai con gli occhi fuori dalle orbite.
Alexander annuì. “Ovviamente da parte di tuo padre, sì. Si chiama Sebastian”.
“Come se non avessi già abbastanza problemi”, sbottai. “Davvero, mi mancava solo un altro pazzo demoniaco con istinti omicidi, tra l’altro mio parente”.
Sul viso teso di Alexander si formò un sorriso. “Un altro?”.
“Sai cosa intendo”. Posi fine all’argomento con un gesto della mano e ripresi: “Ma, se Leonardo è figlio di demoni... be’, teoricamente non dovrebbero esserlo anche Josh e Cory? Sono cresciuta vedendoli tutti i giorni e non hanno mai dato segno di riconoscermi come demone; e comunque il ciondolo a forma di cuore non acquisisce calore come invece fa sempre quando sono con il re”.
Alexander socchiuse gli occhi senza smettere di sorridere. “Giusta osservazione. Devi sapere che la madre di Leonardo, Annabell, era un semi-angelo, esattamente come tu sei un semi-demone: perciò non è stato molto strano il fatto che suo fratello David fosse un comune mortale, così come i suoi due figli”.
“E invece il padre di Leonardo era...”.
“Era anche lui un angelo, si chiamava William”.
Inarcai le sopracciglia. “Non sapevo esistessero tante famiglie di angeli. A meno che la madre di Leonardo non fosse imparentata con William”.
Alexander rise. “Il divieto di vivere a Florentia è stato esteso anche gli angeli, non soltanto a noi: solo che loro non hanno alcun problema ad abitare altrove, visto che se vivessero qui dovrebbero rispondere agli ordini di Leonardo; cosa che lì non accade, non c’è un angelo con più poteri, ma solamente un gruppo di persone che si riuniscono regolarmente per stilare le leggi”.
“In parole povere regna l’uguaglianza, da loro”, riassunsi, nonostante non riuscissi ad immaginare la scena descritta da Alexander.
Lui annuì. “Da noi invece regnano tutte le famiglie più importanti, come tuo padre, e nessuno sembra avere il coraggio di lamentarsi”.
“Tu però sembri avere un’opinione diversa dagli altri”, gli feci notare.
Alexander abbassò lo sguardo e si guardò i piedi in quella che mi sembrò chiaramente un’espressione di imbarazzo. “Quando inizi ad assaporare la vita delle altre speci cominci anche a notare delle differenze con il tuo popolo. Ad esempio”. E iniziò a saltellare da seduto sul materasso come aveva già fatto una volta. “non abbiamo questi letti morbidi”.
“Oh, sì, è davvero un gran peccato”, ridacchiai. “Ma comunque tu sai tutte queste cose sugli angeli perché...?”.
“Sono notizie che vengono tramandate di generazione in generazione”, rispose. “Ma è da tanto tempo che qualcuno non mette piede nel loro regno”.
Abbassai gli occhi a mia volta, non riuscendo a trovare una risposta adeguata. Era raro ascoltare un discorso fatto da Alexander che non fosse intriso di mistero, ma quel giorno sembrava essere stato persino fin troppo chiaro e nonostante ciò la sua decisione di dirmi tutta la verità in così poco tempo ancora non mi piaceva: era evidente che avrebbe voluto raccontarmela in un’altra occasione e in fin dei conti non potevo certo fargliene un torto.
“Sai cosa vuol dire Elenoire?”, mi chiese lui interrompendo il silenzio. Alzò lo sguardo, mi vide scuotere la testa e aggiunse: “Significa cresciuta nella luce. Tua madre non poteva fare una scelta migliore, visti i progetti che aveva per te”.
“Sì, dai, ho capito che mia madre era davvero una grande”. Sorrisi cercando di smorzare la tensione che si era creata tra noi.
Alexander ricambiò il sorriso e rispose: “Sì, infatti. Da questo momento in poi, comunque, dovrai restare in collegio molto più spesso, visto che è l’unico luogo in cui Sebastian non può mettere piede”.
Strinsi gli occhi. “Tu però puoi farlo”.
Alexander sorrise di nuovo. “Cosa ti fa pensare che di notte non me ne stia appostato accanto alla tua finestra per intercettare qualsiasi figura estranea che tenti di entrare nella tua stanza?”.
“Tu resti qui? Di notte? E mi guardi dormire?”. Dovetti fare uno sforzo sovrumano per tenere il tono di voce basso, ma era chiaro che volessi urlare.
Infatti, mi intimò subito dopo: “Abbassa la voce, grazie”. Visto che non smettevo di guardarlo torvo, pensò fosse saggio aggiungere: “Sì, resto qui di notte. Ma non ti guardo dormire, sarebbe poco gentile farlo”.
Ormai i miei occhi rischiavano davvero di uscire dalle orbite. “E da quando i demoni conoscono la gentilezza?”.
Alexander alzò entrambe le mani, come per difendersi da un mio eventuale attacco. “Te l’ho detto, vivendo qui ho notato e imparato cose nuove!”.
“In effetti sei un po’ più umano rispetto alla prima volta in cui ti ho incontrato”, concessi, rendendomene conto solo in quel momento. “Ma ciò non vuol dire che tu debba necessariamente appostarti qui e assicurarti che nessuno mi attacchi”.
“Va bene”, brontolò lui e scrollò le spalle. “Però se mai Sebastian ti attaccasse ucciderò prima te e poi lui”.
Scoppiai a ridere. “Molto utile. Aspetta un momento: se la notte resti qui, allora perché ci hai messo tanto a venire stasera?”.
“Ho fatto il mio giro quotidiano della città in volo nella speranza di scorgere Sebastian, ma invano”, sospirò. “Credo che per almeno questa settimana non avrò fortuna. E sappi che quel tuo ciondolo a forma di cuore mi permette di vedere esattamente ciò che vedi tu, quindi non commettere sciocchezze o lo verrò a sapere e la collana inizierà a stringersi”.
Tutto attorno a me diventò rosso con il passare dei secondi: se non avessi urlato, probabilmente sarei esplosa. Perciò fu molto impegnativo riuscire anche solo a sibilare dei semplici “Tu... puoi... CHE COSA?”.
Non mi resi conto di essere scattata in piedi finché non vidi Alexander alzarsi e dirigersi lentamente verso la finestra. “Posso farlo solo quando si riscalda, visto che al tempo stesso anche la mia spada acquisisce calore, non ti preoccupare: non ti ho mai vista nuda, né...”.
E ME LO DICI ADESSO?”.
Dovevo avere una faccia piuttosto buffa, perché Alexander si portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso e sogghignò: “Ti ho già detto anche questo, non sarebbe molto gentile da parte mia. Non ho mai guardato attraverso di te, tranne la sera al ballo: lì ti ho tenuta d’occhio dal momento in cui ho intravisto Sebastian nella speranza, e al tempo stesso nel timore, che lo vedessi anche tu”.
Chiusi gli occhi all’istante richiamando tutta la mia pazienza e mormorai con una lentezza assurda: “Non. Farlo. Mai. Più”.
“Comunque”, disse lui tranquillamente cambiando discorso. “vedo che hai capito come usare la collana in caso di emergenza: non appena parlerai al ciondolo, io ti sentirò esattamente allo stesso modo in cui tu hai sentito me alla festa; io naturalmente posso fare lo stesso usando la spada, ma questo non importa. Sappi però che puoi sfruttare questo collegamento a tuo vantaggio perché, se mi chiederai di guardare attraverso i tuoi occhi in un momento particolare, io potrò farlo anche in quel caso”. Uscì sul balconcino della camera, posò le mani alla ringhiera, si fece spuntare le grandi ali nere... e si girò di nuovo verso di me. “Ah, dimenticavo: hai qualcos’altro da dirmi?”.
“Sì”, sibilai con un sorriso maligno. “Sei un perfetto idiota, Alexander”.
Ma lui scoppiò semplicemente a ridere. “Ti voglio bene anche io, Elenoire”. Mi diede le spalle, si diede la spinta con i piedi e sparì.
 
Quella notte dormii malissimo: continuavo a sognare un uomo enorme con le corna che non smetteva un attimo di mangiare una donna dietro l’altra e rigurgitando bambini con fare soddisfatto; i piccoli poi camminavano attorno a lui con le braccia in alto legate a dei fili che il gigante teneva in mano e che muoveva distrattamente senza farci troppo caso.
Infatti non mi sorpresi per niente quando Hannah, Carol e Samantha, la mattina dopo a colazione, mi chiesero per quante ore avessi chiuso occhio o se perlomeno l’avessi fatto.
“Brutto sogno”, grugnii di tutta risposta addentando la mia brioche.
“Credo che dovresti mangiare qualcos’altro”. Hannah indicò le briciole sul mio piatto con aria preoccupata. “Non hai un bell’aspetto”.
Carol annuì senza pensarci due volte. “Probabilmente potresti sentirti meglio, sai?”.
Samantha scrollò le spalle e aggiunse: “Tutti sono più felici quando sono a stomaco pieno e credo proprio che... ops”.
Contemporaneamente al suo “ops”, sentii una voce sussurrarmi all’orecchio destro che diceva: “Vostra Grazia non mangia perché sta seguendo una dieta? Ma Vostra Grazia saprà benissimo che, perdendo peso, non riuscirebbe comunque a perdere tutta la segatura che si trova nel suo cervello da diavoletto, non è così?”.
Non gli permisi di dire altro. Mentre il re parlava non avevo esitato a prendere il coltello dalle posate e a nascondermelo nella manica della divisa; sotto lo sguardo di tutti, mi alzai, presi Leonardo per un polso e lo trascinai fuori dalla mensa, livida di rabbia. Fui sorpresa vedendo che non voleva opporre resistenza e senza fatica aprii la porta della stanzetta al piano terra che conteneva le scope, lo spinsi contro il muro e gli portai la lama del coltello alla gola proprio come Alexander aveva fatto con me un po’ di tempo prima.
“Ho perso la pazienza, con te”, sibilai, diventando sempre più furiosa nello scorgere la sua espressione tranquilla e divertita. E poi cosa aveva da sorridere? Avrei potuto ucciderlo all’istante, eppure non sembrava nemmeno minimamente preoccupato.
“Non credo che tu l’abbia mai avuta”, fischiettò Leonardo senza togliersi quel sorriso dalla faccia. Avrei tanto voluto prenderlo a schiaffi, ma mi limitai a premere ancora di più la lama del coltello sulla sua pelle.
Questi”, calcai la parola. “non sono affari tuoi. La devi smettere, va bene?”.
Il suo volto ridusse la distanza che lo separava dal mio mentre diceva: “Altrimenti la piccola figlia di demoni mi ucciderà? Non ti ho già detto che non mi fai paura?”.
“Prima non sapevo nulla di me, pensavo di essere un’umana qualunque”, dissi con voce gelida fissando i suoi grandi occhi verdi. “L’ho scoperto solo stanotte e non posso non farti i miei complimenti per esserci arrivato con qualche giorno di anticipo rispetto a me”.
“Oh, be’, io l’ho sempre saputo”, sghignazzò Leonardo. “Dal primo momento che ti ho vista. Solo che non mi sembrava il caso di dichiararlo a tutto il collegio tentando di porre fine alla tua inutile vita demoniaca”.
A quella frase dal suo collo schizzarono un paio di gocce di sangue e dopo non ci capii più niente: un momento prima Leonardo era intrappolato tra me e il muro e il momento dopo ero io quella in mezzo; mi strinse il polso con talmente tanta forza da far cadere a terra il coltello, portò le braccia accanto alla mia testa per posare i palmi sulla parete in una sorta di gabbia e subito dopo sentii il calore della sua risata spargersi su per il mio collo mentre le ciocche bionde dei suoi capelli mi facevano il solletico.
“Credevi davvero di potermi fare del male, eh?”, sussurrò, facendomi subito venire i brividi. “Stanotte uno dei tuoi due amichetti si è limitato solo a raccontarti la tua vita o si è anche degnato di darti qualche lezione di combattimento?”.
Amichetti?
“Tu come fai...?”.
“L’hai detto tu stessa poco fa, ricordi?”, mi interruppe lui. “L’ho scoperto solo stanotte. E, a meno che non sia riuscita a trovare un libro sui demoni in biblioteca (cosa di cui dubito fortemente), credo proprio che tu abbia incontrato uno dei tuoi rivoltanti, schifosi simili”.
“Fossi in te non parlerei proprio”, sibilai posandogli le mani sul petto e cercando invano di spingerlo indietro. La rabbia era talmente grande che non mi accorsi nemmeno del calore emanato dal ciondolo a forma di cuore.
“Lo sai che potresti essere espulsa”. E qui risalì lentamente il mio collo sfiorandolo con le labbra. “per aver cercato di uccidere il re?”.
“Non volevo ucciderti”. Mi strinsi nelle spalle tentando di ignorare i continui brividi che la sua voce mi provocava sulla pelle. “Solo mutilarti gravemente”.
Inaspettatamente, Leonardo scoppiò a ridere. Scosse la testa continuando a farmi il solletico con i capelli e si scostò solo per poggiare la fronte alla mia e fissarmi dritto negli occhi, impedendomi di guardare altrove. “Indovina chi ha fondato il Collegio degli Angeli?”.
La risposta mi salì dritta alle labbra, ora che conoscevo tutta la storia. “La tua famiglia”.
“Esattamente”. Sorrise, malefico. “Quindi, se volessi, potrei cacciarti fuori a suon di calci e nessuno avrebbe il coraggio di dire nulla. Al tuo posto d’ora in poi starei un po’ più attenta, d’accordo?”.
Strinsi gli occhi e lo guardai con aria di sfida. “Potrei farlo, se solo tu potessi evitarmi”.
“Ti ignorerò”, concesse lui stringendosi nelle spalle con una calma impressionante. “A patto però che lo faccia anche tu”.
Lasciando stare il fatto che in quel modo non sarei mai riuscita a portare a termine la mia missione per Alexander, annuii. “Te lo prometto”.
Leonardo posò una mano sul mio fianco e lo strinse senza nemmeno degnarsi di dosare la forza, avvicinandosi a me. “Sarà come se non ti conoscessi nemmeno, come se non avessimo mai parlato, come se non sapessi neanche cosa sei”.
Alzai il mento ostentando un coraggio che per un attimo lo lasciò senza fiato. “Preferisco essere un demone coraggioso anziché un essere indegno anche solo di avere una classificazione come te”.
La presa sul fianco si fece più stretta mentre Leonardo socchiudeva gli occhi, evidentemente cercando di richiamare a sé tutta la sua calma, e rispondeva: “Non provocarmi. Non ti uccido solo perché è illegale, ma del resto io sono il re e posso cambiare tutte le leggi che voglio a mio favore”.
“La Chiesa non te lo permetterebbe”, gli ricordai tranquillamente. “Quella rimane fuori dalla tua portata, mi dispiace”.
“Questo lo vedremo, piccolo demone”. Sorrise malignamente, mi lasciò andare e uscendo si chiuse la porta alle spalle.
Quando fui certa che non potesse udirmi, scivolai fino a sedermi a terra e iniziai a piangere.
 
Nei giorni successivi non si parlò d’altro che dell’imminente ballo in onore della Madonna che si sarebbe tenuto nella Locanda delle Stelle in quel fine settimana, ovviamente dopo la consueta sfilata in piazza dei penitenti che si recavano a Florentia proprio per l’occasione: nessuno assisteva più alla scena e le madri si preoccupavano solamente di tenere lontani i bambini da quella visione macabra e spaventosa.
Io e Alexander avevamo deciso di andare insieme alla festa, perciò fu con riluttanza che Hannah si accontentò di andare insieme a Samantha.
“Anche Carol ha trovato un accompagnatore”, aveva detto. “In fin dei conti non dev’essere troppo male andare solo con Samantha, no?”.
L’entusiasmo dei festeggiamenti però fu smorzato dal fatto che, dal giorno della discussione con Leonardo avuta nell’armadio delle scope, non ci degnavamo nemmeno di darci un segno per aver notato la presenza dell’altro: ci ignoravamo a vicenda per tutto il tempo e questo in teoria avrebbe dovuto rallegrarmi, se non fosse stato per i suoi continui sguardi di sottecchi che Hannah non smetteva un attimo di notare dicendomi: “Il re ti sta fissando”.
La sera del ballo Alexander si presentò alla mia finestra pochi minuti dopo il mio “Puoi venire” che gli era stato recapitato grazie al mio ciondolo.
Rimasi a guardarlo come un’idiota lì, sul balcone, vestito di nero con i capelli impeccabili, un sorriso smagliante e un mazzo di rose rosse tra le mani finché non entrò in stanza e si inchinò dicendo: “Buonasera”.
“Ehm, sì, ciao”, mormorai, ancora troppo confusa e affascinata per essere in grado di dire qualcos’altro. “Mmm, non è che potresti...?”. Gli diedi le spalle e indicai il corsetto slacciato sulla schiena che si intravedeva attraverso il vestito. “Hannah se n’è andata prima che potessi chiederle una mano, e quindi...”.
“Nessun problema”, mi interruppe Alexander. Lo vidi lasciare il mazzo di rose sul letto e poco dopo sentii le sue mani fredde posarsi sulla mia pelle mentre armeggiava con i lacci.
Non avevo mai odiato Hannah così tanto prima di allora.
Quando finì di stringermi il corsetto, prese una rosa dal mazzo e se la mise all’occhiello della giacca senza troppi complimenti. “All’andata prenderemo una carrozza come tutti gli altri, ma al ritorno preferirei riaccompagnarti volando: credo che al ballo incontreremo anche Sebastian e penso si aspetti che torneremo nello stesso modo in cui siamo venuti”.
Annuii. “Sì, mi sembra una buona idea. Anche se non vedo l’ora di riuscire a farmi spuntare le ali per volare da sola”. Posai la mano sul braccio che mi porgeva, uscimmo dalla stanza nel corridoio ormai deserto e, superando tutte le rampe di scale, oltrepassammo la soglia del portone d’ingresso infilandoci in una delle poche carrozze rimaste nel vialetto.
Alexander mi aiutò a salire per prima e, dopo essersi chiuso la portiera alle spalle, si accomodò di fronte a me. Dopo un’ispezione veloce nei miei confronti, disse: “Ti sta molto bene il rosso”.
Abbassai lo sguardo sul vestito che tempo fa avevo definito provocante e sorrisi. “Non mi hai ancora detto da chi l’hai rubato, insieme all’abito celeste”.
“Da uno dei sarti di Florentia di cui al momento non ricordo il nome. Ma non credo se ne sia preoccupato più di tanto, visto che li ho pagati”.
“Li hai pagati?”. Scoppiai a ridere. “Allora sei davvero un demone come si deve”.
Alexander si strinse nelle spalle e borbottò: “E meno male che non mi credevi”.
Evidentemente fummo tra gli ultimi ad arrivare, visto che la locanda era già piena: c’era quasi perfino più gente rispetto alla festa del re, una massa informe di vestiti colorati che spiccava in confronto al classico nero degli abiti degli uomini.
“Credo che dovremmo sederci”, urlai nelle orecchie di Alexander nel tentativo di farmi sentire e sovrastare il rumore della folla unito al suono della musica.
Mi accompagnò ad uno dei pochissimi tavoli liberi nell’angolo e ci sedemmo entrambi sulla panca rivolta verso il centro della sala, in modo che potessimo avere una visuale migliore degli abitanti sperando di scorgervi Sebastian.
Ma, lasciandomi ancora una volta senza parole, Alexander spostò la conversazione su Leonardo. “Allora, come va la missione riguardante il re?”.
“Semplicemente non va”, brontolai. Allo sguardo di rimprovero di Alexander aggiunsi in fretta: “Be’, abbiamo litigato qualche giorno fa e ci siamo promessi a vicenda di ignorarci completamente per evitare altri battibecchi, come se non avessimo mai parlato”, ripetei parola per parola la sua frase.
“Lo sai che non è questo il tuo intento, vero?”. Nonostante tutto, la voce di Alexander rimase calma e solo un po’ infastidita, ma nulla di più. Del resto, come avrei potuto dargli torto? Mi aveva salvata dai piani di mio padre ed io stavo letteralmente distruggendo le sue aspettative non tenendo fede all’unica missione che dovevo compiere.
“Lo so, hai ragione, mi dispiace”, borbottai. “Gli ho quasi tagliato la gola e...”.
Che cosa hai fatto?”.
“Mi ha provocato!”, esclamai, come se questo potesse bastare a giustificare le mie azioni. “Non ce l’ho fatta più, non ho resistito, l’ho portato nell’armadio delle scope e ho...”. Sotto lo sguardo improvvisamente furioso di Alexander non riuscii a continuare, perciò aspettai che fosse lui a dire qualcosa.
“Hai rischiato di ucciderlo”, finì infatti al posto mio con uno sguardo terrificante.
“Però mi sono trattenuta”, sussurrai subito dopo, facendomi piccola piccola nella panca nella speranza che Alexander smettesse di incenerirmi con gli occhi. “Ho capito che ti saresti infuriato se l’avessi ammazzato e comunque adesso non credo che sarei riuscita a farlo”. Ma il suo volto continuava a sprizzare rabbia da tutti i pori e pensai fosse saggio aggiungere: “Non sono un’assassina. E se anche lo fossi stata e avessi ucciso il re a quest’ora mi avrebbero già appesa per gli alluci a testa in giù in una caverna”.
“Non potresti sposarlo se fosse morto”, mi fece notare Alexander, gelido.
“Esatto, soprattutto quello”. Gli strizzai un occhio e, fortunatamente, riuscii a calmarlo abbastanza da farlo sorridere un po’. Mi rimisi ad osservare le altre persone e, quando notai una chioma bionda appartenente ad un ragazzo seduto a due tavoli di distanza dal nostro, a destra, mi feci sfuggire un “Cavolo!” e mi sporsi verso Alexander, colta da un’improvvisa idea che pregavo funzionasse. “Abbracciami”.
Come mi aspettavo, il mio ordine gli fece strabuzzare gli occhi. “Cosa?”.
“Leonardo è là”. E lo indicai con un vago cenno della testa. “Hannah ha notato che mi guarda spesso, quindi credo... be’, spero di farlo ingelosire. Perciò abbracciami”.
Non se lo fece ripetere due volte: mi prese tra le sue braccia stringendomi a sé con delicatezza, come se temesse di rompermi le costole, e portò le labbra sul lobo del mio orecchio sinistro. Con una certa soddisfazione vidi gli occhi di Leonardo posarsi nei miei, il suo sorriso spegnersi e il suo voltò scurirsi dalla rabbia; due secondi dopo si alzò dal tavolo e uscì dalla locanda sbattendo la porta sotto gli occhi di tutti.
  
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