CAPITOLO SECONDO: CALA LA PRIMA OMBRA.
Mentre la notte
calava su Atene, nella Cina meridionale il sole sorgeva e due aspiranti
Cavalieri raggiungevano il luogo dell’addestramento. In una piccola valle,
protetta da alti pinnacoli rocciosi, scrosciavano le acque di una cascata,
bagnando con i loro frizzanti spruzzi il cappelletto di paglia di un vecchio
seduto di fronte ad essa, su un pinnacolo sporgente a ridosso dell’ancestrale
cascata. Piuttosto basso, dalla pelle rugosa e violacea, l’anziano sedeva
continuamente sulla sporgenza rocciosa, anche nei giorni di pioggia, e a molti
osservatori esterni poteva sembrare quasi addormentato, tanta era la
concentrazione, il livello di meditazione che era capace di raggiungere.
Dohko era il suo nome, ma nessuno ormai lo
chiamava in quel modo da duecento anni, non essendo più vivo nessuno per
ricordare il suo nome, ad eccezione di un unico amico che da troppo tempo non
incontrava. Per il mondo era semplicemente il Vecchio Maestro, anziano
Cavaliere di Atena che aveva scelto di mettere a disposizione delle nuove
generazioni il suo sapere e la sua abilità, sia fisica che morale, addestrando
allievi ai Cinque Picchi.
“Maestro!” –Lo
chiamò una squillante voce, inginocchiandosi di fronte all’uomo, che gli dava
le spalle. –“Siamo pronti per iniziare!”
“Molto bene....”
–Commentò il Vecchio Maestro, continuando a fissare la cascata.
Fece un cenno con
una mano, e i due ragazzi inginocchiati dietro di lui si alzarono, allontanandosi
e portandosi ai margini della sporgenza rocciosa, dove il terreno si apriva
gradualmente in una fascia pianeggiante, circondata da alte montagne. Là i due
ragazzi si misero uno di fronte all’altro, in posizione da combattimento,
pronti per lanciarsi uno contro l’altro ad un cenno del maestro.
Il più alto, e
apparentemente il maggiore di età, era ben fatto fisicamente, con scompigliati
capelli scuri e occhi neri, che risplendevano sul suo viso abbronzato;
indossava una semplice canotta bianca, che ben metteva in mostra il suo fisico
scolpito, sopra un paio di pantaloni larghi, adatti per i movimenti veloci che
era tenuto a compiere quotidianamente, ed una fascia sul braccio destro. Ascanio era il suo nome, come il mitologico figlio
di Enea.
Il secondo era più
magro, e leggermente più basso, con lunghi capelli castani che scendevano sulle
spalle, un viso poco colorito, reso vivo da lucenti occhi grigi che splendevano
di voglia di vivere e di imparare. Erano cinque anni che si allenava ai Cinque
Picchi, davanti allo sguardo attento del Vecchio Maestro, ma sentiva di avere
ancora molto da imparare, di doversi impegnare ancora, più di quanto avesse
fatto finora, per tenere il passo con l’altro allievo, il quale, seppur
arrivato solo da due anni, sembrava essere riuscito a sviluppare il proprio
cosmo in un tempo ridotto. Ma questo non lo avrebbe affatto demoralizzato, anzi
avrebbe spinto Tebaldo ad impegnarsi ancora.
“Uh?!” –Si chiese Ascanio, notando che il maestro ritardava nel dare loro il
cenno di inizio. –“C’è qualche problema, Vecchio Maestro?” –Domandò da lontano,
abbassando le braccia.
Lo stesso fece Tebaldo, incuriosito anch’egli dallo strano atteggiamento
dell’istruttore, solitamente preciso e puntuale nei suoi allenamenti.
“Problema?!” –Mormorò
il Vecchio Maestro. –“Il mondo è pieno di problemi e non per tutti c’è una
soluzione! Ahimé, vorrei essere giovane e aitante
come voi, innocenti Cavalieri, per poter correre via... sfrecciare nel vento e
trovare in esso una risposta alle mie angosce! Ma non mi è concesso... no, non
mi è concesso! Posso solo rimanere qua, di fronte a quest’antica cascata, ad
osservare le scroscianti acque scivolare verso il basso, in un continuo
magnifico ripetersi all’infinito!”
“Maestro...”
–Mormorò Ascanio.
“Pur tuttavia
sembra che oggi la monotonia di questa nostra esistenza sarà interrotta!”
–Esclamò con aria decisa il Vecchio Maestro, balzando improvvisamente in piedi.
–“Qualcuno sta venendo a farci visita! Ed è nostro dovere accoglierlo con il
massimo degli onori!” –Aggiunse, incamminandosi verso i due ragazzi, aiutandosi
con il suo corto bastone di legno.
“Qualcuno viene a
farci visita?! E di chi si tratta?”
“Di un Cavaliere!”
–Mormorò il Vecchio Maestro. –“Sì! Di un Cavaliere di Atena!”
Pochi istanti più tardi
un luminoso cosmo fece la sua comparsa nella vallata dei Cinque Picchi,
abbagliando le azzurre acque del lago e della cascata e attirando l’attenzione
dei tre uomini, che si voltarono verso il sentiero principale, che passando
attraverso le montagne conduceva proprio alla residenza del Vecchio Maestro.
Là, ritto in mezzo alla mulattiera, si ergeva un giovane dai lisci e lunghi
capelli viola, ricoperto da una scintillante Armatura d’Oro, dotata di due
grossi corni appoggiati sui coprispalle. Sulla fronte
due nei rossicci, proprio sopra gli occhi verdi. Fissato alla schiena, un
candido mantello bianco oscillava leggero ai morbidi passi del Cavaliere, il
cui volto era perso negli occhi del Vecchio Maestro, di cui tanto aveva sentito
parlare dal suo insegnante.
“A quanto pare
siamo stati battuti sul tempo!” –Sorrise l’anziano, incamminandosi verso il
nuovo arrivato. –“Aah! Questi giovani Cavalieri... sempre di fretta!!”
–Ridacchiò, mentre i due allievi lo seguivano incuriositi.
“Vecchio Maestro
dei Cinque Picchi!” –Esclamò il Cavaliere, con voce educata. –“È un onore e un
piacere incontrarvi! Sono Mur dell’Ariete,
Cavaliere d’Oro di Atena e allievo di Shin!”
Detto questo il
ragazzo fece qualcosa che stupì gli stessi discepoli di Dohko:
si inginocchiò di fronte al Vecchio Maestro, in segno di rispetto. Anche loro
erano soliti farlo, come gesto di referenza tra allievo e maestro, ma per un
momento parve strano ad entrambi che un Cavaliere d’Oro, supremo difensore del
Tempio di Atena, si prostrasse ai piedi di un uomo che, per quanto saggio e
giusto, era ormai apparentemente un vecchio, incapace di combattere. E questo
non fece che aumentare il dubbio nei loro animi, soprattutto nel giovane Ascanio, la cui mente era sempre in movimento, atta a
cogliere tutto ciò che si muoveva nel mondo intorno a lui.
“Mur dell’Ariete, eh?!” –Sorrise il Vecchio Maestro. –“E
così sei tu l’allievo di Shin! Che piacere
incontrarti infine! Sei il benvenuto nella mia modesta dimora! Purtroppo, le
mie attuali condizioni di senilità non mi permettono lussuosi ricevimenti, ai
quali forse sarai abituato, vivendo ad Atene, ma saprò rendere omaggio come si
deve all’allievo del mio più vecchio amico!”
“Non al lusso sono
abituato, Vecchio Maestro!” –Precisò Mur, seguendo
l’anziano uomo. –“Ma al vivere in pace con me stesso, come Shin
mi ha insegnato! E non sono le ricchezze, le materialistiche ricchezze, che
conducono alla felicità o alla pace dei sensi, né soprattutto ad Atena!”
“Ottimi
insegnamenti ti ha passato Shin!” –Rispose il Maestro,
ritornando sullo spuntone roccioso. –“Ascanio! Tebaldo! Andate a pescare nel lago! Voglio offrire a Mur del buon pesce fresco!”
“Si, maestro!”
–Risposero i due giovani, correndo via lungo un sentiero fino alle rive del
lago sottostante, dove avrebbero reperito deliziosi pesci per il loro ospite.
“Allora...
dimmi... Cavaliere di Ariete... Come sta il mio vecchio amico? O forse dovrei
dire il Grande Sacerdote?!” –Domandò l’anziano combattente, rimettendosi a
sedere di fronte alla cascata.
“Apparentemente bene,
Vecchio maestro! Ma credo che l’età si faccia sentire anche per lui, per quanto
egli non voglia darlo a vedere! Per non creare preoccupazioni inutili!”
“Oh, l’età è un
annoso problema per tutti! Specialmente per gli anziani come noi! Ma Shin è un sopravvissuto! Proprio come me! E sono certo che
Atena ha scovato la purezza del suo animo e la forza del suo cosmo,
permettendogli di vivere una lunga vita, tre volte una vita normale! La nobiltà
di Shin è indubbia!”
“E pure la vostra,
Cavaliere di Libra!” –Commentò Mur, ma l’anziano lo
zittì.
“Taci! Ho
abbandonato le armi molto tempo addietro, ritirandomi in quest’eremo per
adempiere alla missione da Atena assegnatami! Vecchio Maestro! Questo è il nome
con cui i miei allievi mi chiamano! Un epiteto che mi fa sentire ancora amato e
ricordato!”
“Perdonatemi,
Vecchio Maestro! Non era mia intenzione mancarvi di rispetto!” –Si inginocchiò Mur. –“Non ero a conoscenza che i vostri allievi non
sapessero del rango da voi occupato!”
“Non è importante
ai fini dell’addestramento! Ciò che ho cercato di stabilire in questi anni, con
i ragazzi che ho allenato, è stato un rapporto diretto, di fiducia reciproca,
non soltanto di insegnamento scolastico! Voglio che loro mi vedano come un
punto fermo, una persona su cui contare nel momento del bisogno,
indipendentemente dal mio ruolo di Cavaliere d’Oro! Voglio essere un vecchio
per loro, ma un vecchio di cui sanno di potersi fidare, che ha saputo insegnare
loro qualcosa di utile e di saggio, non voglio essere un tramite verso il
potere!”
“Comprendo le
vostre motivazioni, nobile Maestro!” –Rispose Mur.
“Ma dimmi...”
–Riprese l’uomo. –“Cosa mi dici dei tuoi compagni, i Cavalieri d’Oro? Se non
vado errando, adesso il Grande Tempio dovrebbe aver ritrovato la sua massima
schiera di difensori!”
“Due giorni fa
infatti il Grande Sacerdote ha insignito me ed altri sette ragazzi del titolo
di Cavalieri d’Oro, investendoci ufficialmente dell’Armatura e del nostro
ruolo, di Custodi delle Dodici Case!”
“I Dodici Custodi…” –Mormorò il Vecchio Maestro, ed un sorriso lo
sfiorò sul volto. Un sorriso che gli ricordò la promessa fatta da Shin ad Atena in quel lontano giorno di più duecento anni
fa, quando il vecchio amico aveva accettato l’incarico di ricostruire le
legioni della Dea, in tempo per la prossima guerra Sacra. –“Ce l’hai fatta, Shin!”
“Non conosco bene
i miei compagni, ad eccezione del Cavaliere del Toro, con cui ho avuto modo di
scambiare qualche parola! Alcuni di loro li ho solamente incrociati al momento
della cerimonia!” –Continuò Mur. –“Fatta eccezione
per i Cavalieri del Sagittario e dei Gemelli, che per molti sono esempio da
ammirare, data la loro maggiore età ed esperienza! Ma io non li ho ancora
conosciuti!”.
“Mmm…” -Rifletté il Vecchio Maestro, mentre una strana fitta
lo aggrediva al cuore. –“Che sia davvero così?” –Si domandò, lasciando Mur interdetto.
Il Cavaliere di
Ariete non ebbe però tempo di rispondere che le grida festose dei due allievi
distrassero entrambi. Ascanio e Tebaldo
avevano fatto pesca grossa e stavano tornando con una rete piena di squisiti
pesci di lago. Il Maestro invitò Mur a seguirlo
all’interno della sua abitazione, una leggera pagoda situata poco distante,
dove Ascanio cucinò i deliziosi pesci che avevano
pescato, mentre il loro insegnante continuava a conversare con Mur, chiedendo informazioni sulla vita al Grande Tempio di
Atene, e il Cavaliere di Ariete rispondeva cordialmente.
Dopo pranzo Mur camminò lungo i sentieri dei Cinque Picchi, intorno
alla pagoda del Vecchio Maestro, respirando l’aria salutare di quel paesaggio
fantastico, che gli ricordava, a livello di quiete interiore che produceva in
lui, un paesaggio difforme, ma non troppo lontano: quello dello Jamir, una regione dell’Himalaia
tra l’India e la Cina, da cui il Cavaliere proveniva. Mur
sorrise, ricordando sua madre, sempre immersa nelle sue meditazioni e nello
studio di medicine e erbe naturali, migliori, a suo parere, di molta tecnologia
moderna. Studi e interessi che aveva saputo trasmettere al figlio. Mur lasciò vagare la mente indietro, fino a due giorni
prima, ricordando il giorno dell’investitura.
Splendeva
il sole sull’arena del Grande Tempio, in quella splendida domenica di agosto, e
gli spalti erano gremiti di una folla emozionata ma silenziosa. Centinaia tra
Cavalieri, effettivi o in corso di addestramento, e soldati, oltre che semplici
servitori della Dea della Giustizia, erano giunti da tutto il Mediterraneo per
assistere all’evento, unico nel suo genere. Finalmente, dopo più di duecento
anni, il Santuario completava la propria schiera difensiva, affidando a un
gruppo di giovani cuori il compito di presiedere l’ultimo baluardo a difesa di
Atena: le Dodici Case dello Zodiaco.
Nel
silenzio della folla, due individui raggiunsero il palco centrale, camminando
fianco a fianco, portando ognuno un simbolo sacro alla Dea: un uomo dal volto
ricoperto da una maschera rifinita di strani motivi, incastrata in un elmo
dorato, e indossante una lunga tunica bianca, si portò al centro del palco,
dando le spalle al sole e ai suoi lucenti raggi, reggendo un grande scudo
rotondo, di fronte agli occhi interessati della platea di fronte. Era il Grande
Sacerdote, l’uomo scelto dalla Dea stessa a presidiare, in sua assenza, il
trono del suo Tempio. Al suo fianco, un vecchio alto e snello, con una lunga
barba bianca che scivolava sulla sua lunga veste chiara, sorreggeva una statua
di media grandezza rappresentante Nike, la Dea della Vittoria.
“Oh
Atena!” –Esclamò infine il Grande Sacerdote, e all’accendersi della sua voce
tutti i presenti chinarono gli occhi, raccogliendosi in meditazione. –“Dea
della Giustizia! Principessa delle Stelle! Signora della Guerra Giusta! A te
offriamo i sacri simboli che da millenni ti accompagnano!” – E nel dir questo
sollevò lo scudo rotondo al cielo, lasciando che i lucenti raggi del sole vi
scivolassero sopra abbagliando l’intera Arena. –“L’Egida, simbolo di difesa e
potenza! Forgiato da Efesto nella Notte dei Tempi,
con la Polvere di Stelle lasciata cadere da una cometa su questa verde Terra,
da te sempre difesa; esso ti proteggerà in battaglia, impedendo all’oscuro
potere di raggiungere il tuo corpo!” –Quindi abbassò lo scudo, mentre l’uomo
dalla barba bianca innalzava la statua alata al cielo. –“E il simbolo di Nike,
Dea della Vittoria, le cui spiegate ali sempre ci guideranno verso il trionfo e
verso un futuro pieno di luce!”
E
in quella, mentre i due servitori della Dea avvicinarono i due simboli,
un’immensa ed abbagliante luce invase l’intero spiazzo dell’Arena, obbligando
molti presenti a coprirsi gli occhi. Improvvisamente una sensazione di pace
entrò nel cuore della maggioranza, come se un angelo fosse disceso sulla Terra
per portare luce ed amore agli uomini. Ma furono soprattutto gli otto giovani
inginocchiati al centro dell’Arena a risentire di tale benefico influsso. Otto
giovani che per sei lunghi anni si erano preparati, fisicamente e
interiormente, a quel giorno in cui avrebbero dato una svolta alla loro vita,
elevandosi al di sopra degli uomini mortali e caricandosi del compito supremo
di difendere Atena e le umane genti: i Cavalieri d’Oro.
***
La mattina
successiva all’incontro tra Micene e Shin, al Grande
Tempio la vita ricominciava frenetica come sempre, con i consueti allenamenti
mattutini. Le palestre erano disseminate ovunque, soprattutto intorno all’arena
dei combattimenti, dove periodicamente si organizzavano sfide o giochi, in
occasione di importanti festività. Quella mattina gli spalti dell’anfiteatro
erano vuoti, deserti se paragonati alla calca impressionante di due giorni
prima, quando aveva avuto luogo l’investitura dei Cavalieri d’Oro. Vi erano
solamente due uomini che combattevano al
centro dell’arena, lottando duramente tra loro, in un estenuante allenamento
che si svolgeva ogni mattina.
Uno dei due era un
giovinetto magro e non troppo alto, dall’età di un bambino di non più di dieci
anni, con ricciuti capelli castani e occhi verdi, ed era appena stato atterrato
da un montante dell’altro ragazzo, che lo aveva spinto indietro di parecchi
metri, rompendogli il labbro inferiore.
“Rialzati!
Matthew!” –Lo chiamò l’uomo, più grande del bambino.
Era infatti più
alto e robusto, con lunghi e mossi capelli blu, che gli scendevano lungo la
schiena, ed indossava, come il ragazzo, una cotta protettiva di rame e cuoio,
tipica dell’addestramento.
“S... Si...
maestro!” –Mormorò il bambino, rimettendosi in piedi. Si asciugò il labbro con
la mano destra e si avvicinò nuovamente all’uomo, sollevando le braccia, pronto
per ricominciare a lottare.
“Nessuna
distrazione, Matthew!” –Spiegò questi, con tono più dolce. –“Quando affronti il
tuo nemico non devi mai distrarti, mai perdere la concentrazione! Sia su di lui
che su ciò che ti circonda! Tenere sempre i sensi tesi, intenti a percepire
ogni minima vibrazione attorno a te!”
“Anche un globo di
luce?!” –Esclamò una terza voce improvvisamente.
L’insegnante si
voltò d’istinto verso destra, osservando una lucente sfera di energia cosmica
sfrecciare nell’aria, diretta verso di lui; accennando un sorriso, si limitò ad
incrociare le braccia avanti a sé, parando così lo scintillante globo, che su
esse si spense.
“Ben arrivato,
Micene!” –Esclamò, osservando un giovane dai capelli castani correre verso di
loro.
“Volevo saggiare
le tue capacità difensive, Gemini!” –Scherzò Micene, avvicinandosi ai due.
–“Buongiorno Matthew! Come procede l’allenamento?”
“Mo... molto bene,
signor Sagitter! Grazie!” –Balbettò Matthew, confuso
e imbarazzato che un Cavaliere d’Oro si rivolgesse a lui.
“Ti ho detto di
mille volte di non chiamarmi signore! Mi fai sentire vecchio!” –Rise Micene,
arruffando i capelli del bambino. –“In fondo ho l’età del tuo maestro!”
“Mi perdoni...”
–Arrossì Matthew, prima che la voce di Gemini lo richiamasse.
“Continua per il
momento il tuo allenamento da solo, Matthew! Con cento giri dell’arena di corsa
e mille addominali! Tornerò da te quanto prima!” –Esclamò, allontanandosi
insieme a Micene.
“Non essere troppo
duro con lui!”
“Devo esserlo,
Micene! È indisciplinato!”
“Come Ioria?!” –Ironizzò Micene.
“Non proprio.
Matthew è semplicemente svogliato! Talvolta credo non sia nel suo destino
diventare Cavaliere di Atena, ma che lo faccia per fare un favore a me, per
rendere felice il suo maestro!”
“Beh... se così
fosse non otterrà mai un’Armatura!” –Commentò Micene, uscendo dall’arena con
Gemini. –“Le ottantotto Armature di Atena sono destinate a uomini capaci di
risvegliare il lucente cosmo dentro di loro, con l’aiuto delle stelle loro
guida e protettrici in battaglia!”
“Credo che Matthew
non abbia ancora trovato la sua stella...” –Mormorò Gemini, prima che Micene
gli tappasse improvvisamente la bocca con una mano spingendolo nell’ombra di un
vicolo. –“Uh?!”
“Scch!!! Le informazioni che sto per darti sono estremamente
riservate!” –Sibilò Micene. –“Ma avevo bisogno di parlarne con qualcuno, e tu, Gemini,
sei la persona più indicata al riguardo!”
“Ma… Cosa succede?”
“Qualcuno ha
tentato di entrare nel Grande Tempio ieri pomeriggio!” –Mormorò Micene.
“Qualcuno…?! E qualcosa mi dice che non si tratta di
semplici turisti, non è così?”
Micene scosse il
capo, con aria preoccupata, quindi si guardò intorno, facendo cenno a Gemini di
seguirlo. Sfrecciarono nei vicoli del Grande Tempio, passando dietro alle
palestre e alle abitazioni dei soldati, prima di giungere a un sentiero a
ridosso del versante occidentale della Collina della Divinità; una mulattiera
che conduceva ad un abbandonato tempio per la consultazione degli astri, usato
dai primi Sacerdoti prima della costruzione dell’osservatorio sulla Collina
delle Stelle.
“Dove siamo?”
–Mormorò Gemini, seguendo Micene lungo quell’irto sentiero polveroso, che
correva proprio radente ad un precipizio.
“È la vecchia Via
delle Stelle! In questo Tempio i primi Celebranti della Dea pregavano Atena e
le stelle!” –Spiegò Micene, giungendo di fronte ad un’abbandonata costruzione,
un piccolo tempio dal porticato composto da doriche colonne. –“Guarda!” –E fece
cenno a Gemini di seguirlo all’interno.
La vecchia porta
di legno era stranamente socchiusa e impronte sul polveroso pavimento
indicavano che qualcuno vi si era recato di recente, anzi, a giudicare dagli
strani segni, Gemini dedusse che qualcosa era stato trascinato all’interno del
Tempio, di forza, quasi strascicato in terra.
“Dea Atena!!!”
–Esclamò il Cavaliere, incapace di trattenere un grido di terrore. Di fronte a
loro, sdraiati sul marmoreo pavimento del piccolo tempio, c’erano i corpi privi
di vita di tre soldati del Grande Tempio, ancora sporchi del sangue delle loro
ferite. –“Che significa, Micene?” –Domandò, chinandosi sui cadaveri.
“Vorrei saperlo
anch’io!” –Mormorò Micene con preoccupazione.
“Dove li hai
trovati?”
“Ieri sera,
all’ora del tramonto, il Capitano delle guardie mi aveva convocato per dirmi
che tre dei suoi soldati non erano rientrati dal pattugliamento lungo il muro occidentale… e temeva avessero approfittato per scendere ad
Atene ad ubriacarsi per i festeggiamenti…”
“Ma così non è stato…” –Commentò Gemini, poggiando una mano sui visi
freddi dei tre uomini.
“Li abbiamo
cercati insieme, lungo le mura perimetrali esterne…
finché non li abbiamo trovati, morti, gettati in mezzo ai cespugli! Abbandonati
agli avvoltoi!”
“Mio Dio, è
terribile!” –Mormorò Gemini. –“E non hai idea di chi abbia compiuto tale
massacro?”
“Nessuno ha
sentito niente! Nessuno ha udito niente! Nessun cosmo accendersi, nessun nemico
avvicinarsi alle mura!”
“Eppure qualcuno
li ha massacrati!” –Incalzò Gemini.
“Abbiamo tenuto la
notizia nascosta, per il momento, per non diffondere il panico tra le guardie!”
“Hai informato il
Grande Sacerdote?”
“Non ancora. Non voglio
affaticarlo, è molto vecchio e stanco, e speravo di risolvere questa faccenda
senza doverlo scomodare! Magari con il tuo aiuto!”
“Sarei ben lieto
di contribuire, Cavaliere di Sagitter! Ma non saprei
proprio da dove iniziare! Hai trovato niente intorno ai cadaveri? Qualche segno
di lotta? Qualche oggetto dimenticato dagli aggressori? Una qualsiasi cosa che
possa aiutarci a comprendere cosa sta accadendo?!”
“Niente!” –Affermò
Micene a bassa voce. –“Ma c’è una cosa interessante…
Guarda questi tagli!” –E sfiorò con la mano le ferite dei tre uomini. Erano tre
lunghe ferite, che sembravano squarci di un’affilata lama, ma anziché essere
molto profondi erano lunghi e sembravano… sembravano…
“Ustioni?!”
–Commentò Gemini, toccando la pelle indurita dei soldati. –“Come se fossero
stati bruciati da un taglio di spada infuocata!”
“Molto infuocata!”
–Precisò Micene. –“Al punto da sciogliere persino le protezioni dei soldati!”
–E indicò le cotte fuse e poi solidificate addosso ai corpi dei tre uomini.
“Conosci queste
armi?”
“Non direttamente… Ho varie idee al riguardo, ma nessuna
risolutiva, tranne una, la più ovvia!”
“E quale?”
“Dobbiamo stare in
guardia!” –Esclamò Micene con decisione. –“Se qualcuno ha tentato di accedere
al Grande Tempio, arrivando persino ad uccidere alcuni soldati, significa che
tenterà nuovamente! E noi dobbiamo farci trovare pronti! Per fermare la loro
avanzata nella città di Atena!”
Detto questo, i
due Cavalieri si allontanarono dall’abbandonato edificio, discendendo la via
sterrata che li condusse nuovamente nel Grande Tempio di Atena. Micene salutò
Gemini con un gesto della mano, incamminandosi verso le Dodici Case, mentre il
Cavaliere dei Gemelli rimase fermo per un momento, silenzioso ed immobile,
intento a concentrare i sensi intorno a sé. Dopo pochi secondi si mosse,
dirigendosi verso il retro di un edificio dove, lo aveva percepito chiaramente,
una figura in ombra lo stava aspettando, appoggiato al muro con le braccia
incrociate al petto.
“Cosa vuoi da me, Kanon?”–Domandò Gemini, con aria indispettita.