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Autore: Chtsara    08/01/2014    4 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Se n’è andato”, sussurrai ad Alexander, scioccata, guardando la porta della locanda chiudersi rumorosamente e sovrastando per due secondi il suono della folla, che riprendeva a chiacchierare poco dopo come se non fosse successo nulla.
Intanto i gemelli Grayson e gli altri ragazzi che il re aveva lasciato al tavolo si alzarono e si diressero tutti insieme fuori alla ricerca di Leonardo.
Alexander si staccò da me e si guardò alle spalle. “E i suoi ammiratori sono già usciti a cercarlo: sono persi senza di lui. Che vergogna”.
“No, sono solo suoi amici”, lo corressi. “Non c’è niente di male”.
“Abbiamo opinioni contrastanti, mi dispiace. Ma intanto posso avere l’onore di questo ballo?”. Alexander sorrise, si alzò dalla panca, si inchinò e mi porse la mano.
Cogliendo al volo l’occasione per distrarmi un po’, mi misi in piedi di scatto e lo seguii sulla pista da ballo.
Stavamo danzando da meno di due minuti, quando la porta della locanda si aprì di nuovo e ne entrò Leonardo, furioso, seguito a ruota dai suoi amici. Quasi risi delle loro espressioni confuse, ma mi bloccai nel vedere il re dirigersi verso un gruppo di ragazze al centro della sala: con non poco disgusto, riconobbi le galline che l’avevano pedinato il giorno della sua ispezione al collegio e il sorriso che si disegnò sul volto di una di loro mentre il re le si inchinava invitandola a ballare mi fece venire la nausea.
“Il signorino contrattacca, eh?”, mi disse Alexander nell’orecchio, divertito.
“Perché dovrebbe farlo?”. Mi strinsi nelle spalle. “Non ne vedo alcun motivo e comunque... oh, questa poi!”.
Sentii la nausea tramutarsi in disgusto e successivamente in una strana rabbia mentre Leonardo cingeva la vita della ragazza permettendole di posargli la testa sul petto in una sorta di abbraccio sdolcinato che non si addiceva per niente a quelli che fino a tre secondi prima erano dei perfetti sconosciuti.
Alexander con una giravolta mi fece voltare in modo da farmi dare le spalle alla scena mentre lui poteva vedere tutto senza problemi. “La tua amica ha ragione, ti sta guardando spesso anche ora, probabilmente nella speranza che tu faccia qualcosa. Sa giocare bene le sue mosse, questo glielo devo”.
Sa giocare bene le sue mosse.
Un’idea si disegnò all’istante nella mia mente, facendomi sorridere. “E allora starò al gioco, letteralmente. Mi serve questa, però”. E gli sfilai la rosa rossa dall’occhiello con un’espressione innocente. “Vediamo se reagisce”.
Mi guardai alle spalle in direzione di Leonardo e incrociai i suoi occhi maligni, quasi vendicativi; poi mi scostai da Alexander e mi diressi velocemente verso le scale dirette al piano di sopra, dove gli amanti potevano sfogare i loro desideri in una delle tante camere da letto. Mi feci largo tra la folla tentando di dominare l’impulso di prendere tutti a gomitate e cominciai a salire i gradini con il ciondolo della collana più caldo del normale, come se mi stesse dicendo di essere esattamente l’oggetto dei pensieri di Leonardo. Presi questo avvertimento come una dimostrazione che mi stesse ancora seguendo con lo sguardo e, per essere sicura di non sbagliarmi, gettai un’occhiata furtiva alle mie spalle proprio sull’ultimo scalino: la ragazza con cui fino a pochi secondi prima stava ballando ora era in piedi in mezzo alla stanza, da sola, con lo sguardo fisso evidentemente nel punto dove Leonardo sembrava essersi dissolto.
Continuai a camminare fino a raggiungere l’inizio di un corridoio lunghissimo le cui pareti erano totalmente ricoperte di porte chiuse dietro le quali, lo sapevo, giovani coppie si stavano dedicando al piacere dell’altro.
Intravidi un’unica porta socchiusa alla poca luce della luna e corsi fino a raggiungerla per poi varcarne la soglia; quando fui sicura di sentire dei passi al di fuori della stanza, probabilmente provenienti dall’inizio del corridoio, chiusi la porta in modo che Leonardo potesse notare lo spiraglio di luce disegnato sul pavimento diventare all’improvviso pura oscurità, nella speranza che cogliesse quel gesto come un invito a venire da me.
 
Elenoire era sparita in cima ad una rampa di scale e ritrovarsi lì, in mezzo ad un corridoio apparentemente deserto, non confortava Leonardo nemmeno un po’. Ma, quando vide uno spicchio di luce sul pavimento scomparire nel buio, comprese che la porta in questione dovesse essere stata appena chiusa e i dubbi si dissolsero nell’aria con la stessa velocità con cui erano arrivati.
Molto lentamente, come se temesse di svegliare le persone nelle altre stanze, Leonardo si avvicinò alla camera in cui era sicuro si trovasse Elenoire e la spinse delicatamente per poter dare un’occhiata alla camera prima di entrarvi.
Era lì, seduta sul letto, a giocherellare con i ricami sulle coperte bianche con mano distratta, mentre dava le spalle alla porta e il viso rivolto alla finestra. Sembrava in attesa della sua preda e Leonardo le stava servendo il tutto su un piatto d’argento.
“Non avete mantenuto la vostra promessa”, disse lei con voce calma, quasi dolce, continuando a dedicarsi ai ricami e senza degnarsi di nascondere tutto il sarcasmo intriso nelle sue parole e nell’uso del tono formale.
Leonardo rivisse all’istante il momento in cui le aveva concesso di ignorarla a patto che lei ricambiasse allo stesso modo e si maledì per non aver trovato un rimedio migliore: avrebbe potuto farla sua in quel momento, obbligarla se necessario, per sfogare i desideri che da giorni lo assillavano; sognarla la notte era un’opportunità meravigliosa che si trasformava in rabbia e nervosismo nel momento in cui riapriva gli occhi. E vederla lì, adesso, completamente indifesa e impotente, fece scattare il mostro dentro di lui che da tempo ormai richiamava la sua attenzione per essere nutrito o, perlomeno, soddisfatto.
Leonardo non rispose: un groppo alla gola gli impediva di parlare e fu con non poco stupore che sentì le sue gambe dirigersi autonomamente in direzione del letto per imprigionare Elenoire tra il suo corpo e le lenzuola con cui lei continuava ostinatamente a giocare.
Non esisteva più nient’altro, attorno a lui: i suoni della folla al piano di sotto si erano attutiti fino a diventare inesistenti, l’ira provata poco prima era stata sostituita da una fame che non aveva nulla a che fare con il cibo: vedeva solo i boccoli di Elenoire diventare più definiti ad ogni suo passo mentre una mano si alzava e si posava su un’asta del letto a baldacchino proprio accanto alla sua schiena, con l’intenzione di metterla in trappola il prima possibile ed impedirle di scappare via.
Fu più veloce di lui: come se lo avesse sentito avvicinarsi, Elenoire si alzò dalle coperte e fece il giro del letto con passi piccoli e silenziosi, sempre dando le spalle a Leonardo. A lui non rimase che seguirla e, quando lei fu costretta a stare semi-distesa sul letto per la loro troppa vicinanza e guardandolo per la prima volta negli occhi, non riuscì a non salire sul letto a cavalcioni, come un leone, imprigionandola.
Avvicinò il volto al suo per sentire il profumo del suo respiro sul volto e accarezzarle la pelle con i capelli: lei rimase lì, non si mosse, ma si limitò solo a guardarlo con aria di sfida e a sorridergli come se avesse previsto la scena anche prima di metterla in atto.
Con il vestito sulle coperte bianche sembrava una rosa rossa sopravvissuta in un campo innevato, o un abito da sposa ancora candido macchiato di sangue.
Il sorriso le si allargò quando Leonardo ridusse ancora di più le distanze tra i loro corpi: ormai poteva sentirla respirare sotto di lui; ma ancora una volta lo lasciò senza parole e con una mossa agile sfuggì alle sue grinfie per rimettersi in piedi vicino al lato opposto del letto, ricominciando a dargli le spalle.
Ormai il mostro dentro Leonardo ruggiva senza pudore e la voglia di toccarla, di tenerla stretta a sé cresceva ogni istante di più.
Scese anche lui dal letto e la seguì di nuovo, lo sguardo fisso sui suoi capelli e contemporaneamente sul suo vestito rosso sangue. Non esitò a stringerle il polso tra le dita per fermarla quando furono abbastanza vicini e con l’altro braccio le cinse istintivamente i fianchi facendole completamente aderire la schiena al suo petto; la mano che la teneva per un polso si staccò per risalirle sulla vita e stringerla a sé con maggiore forza. Sentì il suo respiro bloccarsi di colpo: era ovvio che quel gesto non se lo aspettasse e ciò fece nascere dentro Leonardo la voglia di sorprenderla di nuovo.
“Ve l’ho già detto”, parlò infatti per la prima volta, rispondendo con lo stesso tono formale usato da lei in precedenza. “Io sono il re e di conseguenza posso fare tutto quello che voglio”. Portò le labbra al suo orecchio esattamente come aveva fatto il suo amico demone sotto nella sala della locanda ma, lasciandosi dominare dall’impulso, si concesse un piccolo morso sul suo lobo che la fece rabbrividire tra le sue braccia.
Nonostante la confusione e la sorpresa, Elenoire non fece nemmeno un passo: non voleva allontanarsi di nuovo, oppure semplicemente la stretta di Leonardo non glielo permetteva. Lui decise di non allentare la presa e di non testare la sua teoria, temendo che a quel punto sarebbe potuta scappare ancora, e la avvicinò di più al suo corpo.
“Perché ora?”, chiese lei di tutta risposta con voce un po’ sconvolta e al tempo stesso ferma e decisa. Era riuscito a sorprenderla di nuovo.
Leonardo capì che quella domanda non era collegata al discorso precedente e lentamente spostò le labbra dal suo orecchio al collo, parlandole sulla pelle: “Siete sola, non c’è nessun altro in questa stanza in grado di difendervi o frapporsi fra me e voi; solo uno stolto non ne approfitterebbe e si dà il caso che io non sia uno di loro”.
“Questo era evidente”, sussurrò lei ingoiando a fatica; Leonardo sentì i suoi muscoli del collo contrarsi per lo sforzo e non riuscì a non sorridere.
“E allora come mai mi avete posto una domanda dalla risposta tanto scontata?”, domandò lui con il sorriso ancora stampato sul volto e si dedicò con maggiore attenzione a torturare il suo collo.
“Io non...”.
Ma si interruppe subito dopo mentre i denti di Leonardo affondavano un’altra volta nella sua pelle, delicatamente, nel timore di farle male; la morse alla base del collo, lì dove poteva sentire il suo cuore battere freneticamente, e si deliziò della paura che Elenoire emanava senza nemmeno saperlo o tentare di impedirlo.
La rigirò tra le sue braccia in modo da poterla guardare negli occhi e intravide giusto per un attimo la sua espressione sorpresa e quasi spaventata prima di spingerla rapidamente contro il muro e tenerla ferma contro di lui.
Non c’era più niente a separarli, nemmeno l’aria: gli occhi di Leonardo affondarono nei suoi, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Leonardo non esitò ad approfittare del suo momentaneo stordimento per ridurre completamente la distanza tra i loro volti e posare finalmente le labbra sulle sue.
Se prima l’unica cosa reale in grado di tenerlo ancora attaccato alla realtà era la sua figura seduta sul letto, ora tutto il mondo sembrava girare attorno al corpo che stringeva tra le mani, incatenato al suo, e alle loro bocche che si muovevano l’una sull’altra come se non avessero aspettato altro per tutta la vita.
La gelosia di Leonardo, la rabbia e la sete di vendetta si tramutarono in sollievo, felicità e in un quasi disperato desiderio di spingersi oltre, superando ogni limite e impossessandosi di lei in tutti i sensi possibili e immaginabili.
Il mostro dentro di lui adesso faceva le fusa, contento di essere stato soddisfatto, e si ritirò docilmente nella sua gabbia.
La mano di Leonardo scattò verso il basso per prenderle una gamba e posarsela sul fianco, permettendogli quindi di stare ancora più vicino a lei mentre anche il suo respiro diventava ben presto più corto e affannoso.
L’avrebbe marchiata per sempre semplicemente portandola verso il letto e al momento nulla sembrava eccitarlo di più. Era a pochi passi dal cedere all’istinto, quando lei iniziò a gemere silenziosamente e per un attimo Leonardo tornò alla realtà, valutando perciò la gravità della situazione.
Aprire gli occhi e vederla lì, con le palpebre chiuse e le labbra ancora aperte, incapace di difendersi o di staccarsi da lui di propria volontà, lo disarmò totalmente.
Non l’avrebbe forzata: non in quel momento, non così.
Era già andato oltre le sue aspettative rubandole un bacio, ma non avrebbe osato fare nient’altro e iniziò a credere che non avrebbe dovuto costringerla. Si era lasciato dominare dall’istinto, non era stato in grado di ragionare, aveva dato voce all’eccitazione anziché alla razionalità e aveva privato lei del diritto di compiere una scelta.
“Potete andare”, mormorò Leonardo a testa bassa e con tono rauco ma calmo, indeciso sul modo in cui avrebbe dovuto rivolgersi a lei dopo ciò che era successo.
Non osò alzare lo sguardo mentre la liberava, ma quando gli prese una mano non riuscì a non posare per un attimo gli occhi nei suoi, giusto il tempo di vederli lucidi prima che si incamminasse verso la porta e sparisse chiudendosela alle spalle.
Rimasto completamente solo, si fissò incuriosito il palmo della mano che gli aveva stretto e in cui aveva lasciato una rosa rossa e delicata, e comprese quello che aveva voluto fargli capire: l’unica testimonianza di ciò che era appena successo sarebbe stato quel piccolo fiore i cui petali richiamavano inesorabilmente il colore del suo vestito e nessun altro, a parte loro due, l’avrebbe saputo.
 
“Elenoire!”.
Alzai lo sguardo giusto in tempo per incrociare gli occhi preoccupati di Alexander che si faceva largo tra la folla per venire il prima possibile verso di me, ancora in cima alle scale.
“Ha funzionato?”, chiese, indugiando subito dopo sul mio volto; il suo viso si incupì all’istante e, cingendomi la vita con un braccio, mi portò fuori dalla locanda, in un giardinetto adiacente all’edificio con tanto di panchine e cespugli di fiori.
“Stai bene?”, sussurrò lui chiudendosi la porta alle spalle, in attesa che parlassi.
Stai bene?
Che domanda scontata. Era ovvio che non stessi affatto bene e mi sembrava estremamente stupido che osasse anche solo chiedermelo; aveva visto la mia espressione, doveva anche aver notato le lacrime agli occhi, e allora perché fingeva di essere un idiota?
La rabbia prevalse su tutto il resto ed esplosi prima di rendermene conto. “No!”, urlai infatti, sovrastando per un attimo il chiasso della folla proveniente dalla locanda. Non mi disturbai a guardare Alexander negli occhi e con la scusa cominciai ad armeggiare con la collana dal ciondolo a forma di cuore nella vana speranza di togliermela.
“Ne ho abbastanza di stare ai tuoi ordini! Rivoglio indietro la mia vita!”. Ma la collana iniziò lentamente a stringersi e pose fine alle mie grida. L’istinto di sopravvivenza mi convinse a lasciar perdere e continuai: “Non hai nessun rispetto verso di me, nessun diritto sulla mia vita! Quindi toglimi questa specie di collare assassino e lasciami in pace!”.
Alexander però restò lì, a braccia conserte, studiandomi in volto come se la risposta ai suoi dubbi fosse semplicemente scritta nei miei occhi. Si avvicinò con cautela, mi mise un braccio attorno alle spalle e mi condusse alla panchina più vicina, per poi invitarmi a sedere con un cenno della mano; accettai solo nella speranza di calmarmi e dal nervosismo mi misi a stropicciare il nastro del vestito che mi cingeva la vita e in cui avevo nascosto la rosa prima di salire la rampa di scale e avere a che fare con il re.
A quel pensiero, rabbrividii istintivamente.
“Cos’è successo?”, mormorò Alexander senza togliere il braccio dalle mie spalle, con tono calmo e paziente come se si aspettasse un’altra scenata da parte mia.
Abbassai lo sguardo e mi fissai ostinatamente i piedi. “Mi ha seguita”, borbottai, passandomi contemporaneamente una mano sugli occhi per impedire alle lacrime di scendermi sulle guance. “e siamo rimasti da soli in una delle stanze da letto. Ha cercato di bloccarmi tra il suo corpo e il materasso e se avessi smesso di scappare credo che avrebbe continuato a provarci. È stato stranissimo, non mi aspettavo un comportamento così animalesco da un giovane re come lui, ma del resto provocarlo era il mio obiettivo e credo di esserci riuscita, alla fine. Però...”. E qui la mia voce si incrinò. “ad un certo punto mi ha presa, mi ha stretta a sé e mi ha portata verso il muro, intrappolandomi nel vero senso della parola e... be’, mi ha baciata”. Quando con la coda dell’occhio vidi le sopracciglia di Alexander scattare verso l’alto, mi affrettai a continuare: “E fin qui tutto bene, obiettivamente è stato anche eccitante, se devo essere sincera, solo che...”.
Dannatissime lacrime. Potreste smettere di liberarvi per qualche altro minuto?
“Solo che...?”, ripeté Alexander incitandomi a continuare.
“Si è portato una mia gamba sul fianco”, sussurrai il più velocemente possibile in modo che quella conversazione finisse presto. “Sembrava proprio che volesse...”.
Non riuscii a continuare. Mi portai una mano alla bocca per impedire ai singhiozzi di fuoriuscire e chiusi di scatto gli occhi tentando di non scoppiare a piangere davanti a lui.
“Approfittare di te”, concluse Alexander poco dopo al posto mio, immobile e a primo impatto impassibile. “Come se avesse intenzione di farti provare sulla pelle esattamente ciò che aveva passato tua madre”.
A quel punto la disperazione fu troppo forte per essere trattenuta ancora e posai la testa sulla spalla di Alexander, ormai incapace di nascondere i singhiozzi. “Mi ha detto semplicemente che sarei potuta andarmene, capisci?”, mormorai. “Come se fossi una prostituta!”.
Perché non potevo avere una vita normale? Perché i miei genitori non erano stati dei semplici contadini o dei mercanti? Perché mia madre era stata tanto gentile e al tempo stesso talmente ingenua da correre nella foresta ad aiutare un perfetto sconosciuto?
Se non l’avesse fatto probabilmente a quest’ora non sarei stata lì, tra le braccia di un demone con degli incredibili sbalzi d’umore, e preda di un’angoscia che mi logorava dentro ogni secondo di più ripensando a quello che era appena successo.
Credevo davvero che a Leonardo importasse di più di me, o perlomeno rispetto ad una cortigiana qualunque... Non pensavo affatto di avere un posto così piccolo nella sua mente ed ero convinta che potesse degnarmi del giusto rispetto che avrebbe dato a chiunque altro.
Ma io non ero come chiunque altro, me l’aveva fatto capire chiaramente: era ovvio che avesse una considerazione bassissima di me, a tal punto da poter essere quasi sfruttata senza il minimo consenso e senza preoccuparsi di vedere se fossi d’accordo o no.
Però alla fine ha deciso di fermarsi.
No, non aveva deciso di fermarsi: aveva semplicemente capito di essersi spinto troppo in là e che avrei potuto rovinare la sua reputazione se l’avessi denunciato; avrebbe perso la corona e lo sapeva benissimo. Non poteva rischiare tanto.
Ma tu non l’hai ostacolato in nessuno modo e hai perfino ricambiato il bacio con passione.
Non era vero nemmeno questo. Io scappavo, era lui a rincorrermi.
Nonostante ciò gli sorridevi, lo provocavi.
Era proprio quello il mio obiettivo: sedurlo!
Avresti dovuto essere tu a fermarlo per prima.
Ma era stato tutto perfetto fino a quando non si era portato la mia gamba sul fianco. E comunque all’inizio sembrava quasi divertente riuscire ad avere tutta quell’influenza su una persona tanto importante e mi stavo solo godendo il momento.
E cosa ti fa credere che lui non stesse facendo esattamente lo stesso prima di tornare in sé?
Dopo un po’ diventava fastidioso avere una coscienza tanto ragionevole e al tempo stesso stressante, ma non volevo guardare la situazione sotto quel nuovo punto di vista: Leonardo aveva sbagliato e niente e nessuno mi avrebbe convinta a cambiare idea.
Eppure devi ammettere che il tuo primo bacio è stato piuttosto speciale: non pensavi a nulla tranne che alle sue labbra morbide, al suo respiro caldo sul tuo viso, al solletico che ti provocavano i suoi capelli e ai vostri battiti del cuore che battevano all’unisono...
Ormai era chiaro che stessi impazzendo.
Solo in quel momento mi resi conto di avere ancora gli occhi premuti sulla spalla di Alexander e con non poca vergogna mi rimisi seduta composta, fissandomi di nuovo i piedi.
“Vuoi restare qui un altro po’ o vuoi tornare a casa?”, mi chiese Alexander accarezzandomi una guancia. Era sorprendente come riuscisse a mantenere una certa parvenza umana anche nei momenti più drammatici.
“Secondo te?”, ridacchiai e gli sorrisi per la prima volta. Vidi lentamente i suoi occhi chiari addolcirsi intanto che si alzava, veniva dietro di me e mi cingeva la vita con i fianchi.
“Quando avrò le ali?”, domandai mentre si faceva spuntare le sue e si librava in cielo.
La sua risatina mi fece capire che per quella notte non avrei ricevuto risposta e quasi quasi ne fui contenta, nonostante la curiosità: erano successe già troppe cose senza che precipitassi nel vuoto per la mia momentanea incapacità di volare e sarei stata disposta ad aspettare ancora un po’; in fin dei conti, andava bene così.

 
  
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