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Autore: Cassidy_Redwyne    08/01/2014    6 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Fu un vero e proprio miracolo se la notte prima del ballo riuscii a chiudere occhio, tanta era la mia eccitazione. Non vedevo l'ora che fosse l'indomani!

La mattina dopo, mentre ero ancora mezza addormentata, una fastidiosa luce mi colpì in pieno viso. Per quanto cercassi di ignorarla, girandomi e rigirandomi nel letto, pochi minuti dopo ero perfettamente sveglia.

Mi guardai intorno, sbadigliando: le tende dalla camera erano state spalancate e una luce tiepida annunciava, stranamente, una giornata di sole. Nell'abbassare lo sguardo, sgranai gli occhi: appoggiata sul davanzale, con lo sguardo perso lontano, c'era Beth.

«Come siamo mattiniere, oggi!» mormorai, stirandomi.

Lanciai di sfuggita uno sguardo alla sveglia: in effetti era abbastanza presto.

«Ciao Kia. Scusami, non volevo svegliarti» borbottò lei, senza voltarsi.

«Ed io che pensavo ti fossi svegliata prima per l'emozione... mi sembri piuttosto depressa, va tutto bene?» le chiesi, con un velo di preoccupazione nella voce.

«Mmn...» fece lei per tutta risposta.

«Dovresti essere felice, stasera si torna a casa!» esclamai.

Proprio così: quella sera, dopo la festa, Beth ed io saremmo tornate a casa per le vacanze, nella campagna di Londra, accompagnate dai genitori di Camila, che avrebbero riportato anche lei e George. Anche Arianna ed Angie sarebbero partite quella sera, mentre alcuni ragazzi avrebbero atteso il giorno dopo per fare ritorno dalle loro famiglie, ma dopotutto non mi importava: prima mi fossi allontanata da quella strana scuola, meglio sarebbe stato.

Non ottenendo risposta da Beth, ma lungi dal gettare la spugna, decisi di cambiare argomento. «Pronta per la festa?»

Lei annuì piano.

«Alla fine ci vai con qualcuno?» chiesi come se nulla fosse, anche se sentivo che quello era il nocciolo della questione.

Come previsto, Beth si lasciò sfuggire un rumoroso sospiro. Poi, forse capendo che non l'avrei lasciata in pace tanto facilmente, parve rassegnarsi e venne a sedersi accanto a me, sulle coperte.

«Ci vado con Ben» borbottò, tentando senza troppo successo di nascondere la delusione.

«Pensavo sarebbe andato con Eric!» scherzai, scrollandomi le coperte di dosso.

«Non penso ricambi i suoi sentimenti...» osservò Beth, pensierosa e, dopo un attimo, scoppiammo entrambe a ridere.

«E tu, Kia?» riprese lei, lanciandomi uno sguardo malizioso. «Speri che venga Luke? Ti farai bella per lui?»

«Penso sia tempo sprecato» dissi, scrollando le spalle. «Non verrà.»

Nonostante cercassi di non mostrarmi troppo avvilita, ero brava più o meno quanto Beth a fingere, perché dal mio tono si percepiva chiaramente un'amara delusione.

La mia amica se ne dovette accorgere, perché non disse nulla e mi abbracciò stretta. Ricambiai l'abbraccio e poi le punzecchiai un po' una spalla, facendole il solletico.

«Qualcosa mi dice che non sei molto entusiasta all'idea di andare alla festa con Ben» osservai, tornando all'attacco.

Lei rimase in silenzio, ma la sua espressione parlava chiaro.

«Dimmi la verità... volevi andarci con John?» chiesi, lentamente.

Mi ero accorta di come Beth lo fissasse dopo la partita, di come si irrigidisse quando lo incrociava nei suoi corridoi, di come arrossisse e distogliesse lo sguardo quando aveva occasione di rivolgergli la parola.

Beth alzò gli occhi, di colpo umidi, e in silenzio mi dissero tutto. Non ci fu bisogno di parole.

Quando la strinsi forte tra le braccia avevo gli occhi pieni di lacrime anch'io.

«Anche quella volta, quando sei sparita durante la partita... eri con lui?»

Beth annuì ed io le sorrisi, grata che fosse stata sincera. Per un attimo mi balenò in mente l'idea di chiederle una cosa, un dubbio che mi tormentava atrocemente da quando avevo ascoltato di nascosto quella conversazione che aveva a che fare proprio con John... ma Beth attaccò a parlare come un fiume in piena e non me ne diede il tempo.

«Oh, Kia! Non so cosa fare! Non lo sopporto, ha un carattere tremendo, ma non riesco a fare a meno di pensare a lui, al fatto che forse sarebbe stato tutto diverso se lo avessi invitato al ballo prima di...» si bloccò un attimo e serrò i pugni, trattenendo un urlo di rabbia.

Sta parlando di John o di Luke?, pensai scuotendo la testa, ma non mi sembrava una cosa carina da dirle, visto che Beth stava soffrendo davvero e, paragonando la sua cotta al mio ragazzo anaffettivo, avrei mandato in frantumi le sue speranze.

«Ti piace, questo è più che evidente. In effetti era da un po' che lo sospettavo...» Mi lasciai sfuggire un sorriso, poi tornai seria. «Eppure è come se non accettassi di essere innamorata di lui. Sembra quasi che tu non voglia dargli questa soddisfazione!»

«Perché lui non se lo merita!» obbiettò Beth. «È uno stronzo arrogante, odia John Lennon... non dovevo innamorarmi di lui!»

«Cara Beth, all'amor non si comanda!» mormorai in tono drammatico e lei, per tutta risposta, mi diede uno spintone.

La mia amica non era come quell'orgogliosa di Angie: non poteva continuare ad ignorare i suoi sentimenti, perché non ne era proprio capace. Ecco spiegato il motivo del suo malessere. Oltre al fatto di non essere riuscita ad invitare John al ballo prima di... giusto, prima di chi?

«Con chi va alla festa John, comunque?» domandai.

Lo sguardo di Beth si fece truce. «Ci va con... CON ANNIE!» urlò quasi istericamente.

«Shh, fa' piano!» bisbigliai, notando le altre due ragazze agitarsi fra le coperte.

Angie scattò a sedere sul letto, gli occhi semichiusi.

«Annie, h-hai detto?» balbettò. «Che ti aspettavi da quella puttan...»

Prima di riuscire a concludere la frase, la ragazza crollò di nuovo addormentata.

«Angie non ha tutti i torti» osservò Beth.

Incrociai le braccia al petto. «Angie, non essere offensiva gratuitamente!» sbottai, anche se probabilmente non poteva sentirmi. Poi mi rivolsi a Beth: «Annie può non starti simpatica ma, solo perché è più amica di John di te, non c'è alcun bisogno di offenderla.»

Lei mi guardò con l'aria di chi la sapeva lunga. «E me lo vieni a dire tu che, quand'eri innamorata di Jake, non ti preoccupavi affatto di offendere la sua ragazza, ovvero Arianna?»

«Jake è stato molto tempo fa» ribattei, guardando altrove.

Beth, mio malgrado, non aveva tutti i torti: in quel periodo detestavo Arianna con tutta me stessa, perché stava con il ragazzo che mi piaceva, e adesso la mia amica non era in una situazione poi molto diversa.

Quando mi decisi ad incrociare nuovamente lo sguardo di Beth, ci fissammo un attimo in silenzio e poi scoppiammo a ridere.

«Però insomma...» fece poi Beth, sospirando. «Annie, oltre a conoscere meglio John, è anche molto più bella di me. Non credo di avere alcuna speranza.»

Scossi la testa. Beth aveva davvero una percezione distorta di se stessa ma, se anche le avessi detto la verità, difficilmente mi avrebbe creduto. «Oh, Beth... la bellezza è fatta di tante cose. E poi» aggiunsi, scrollando le spalle, «magari non gli piacciono le rosse.»

Udii Beth ridacchiare. «George ti sta contagiando?» mi chiese, scuotendo la testa.

In effetti il nostro amico era famoso per consolarci solo e soltanto facendo battute: era solito dire di non essere in grado di fare discorsi seri e la sua frase ricorrente "So che adesso tu ti aspetti che io faccia un discorso intelligente, ma come posso farlo se io non lo sono?" era ormai storia.

«Può darsi» risposi, divertita.

Ci fissammo di nuovo prima di ricominciare a ridere a più non posso.

«Ragazze, fate un po' di silenzio!» Angie scattò di nuovo a sedere e i suoi capelli ricci, già disastrati dal sonno, si arruffarono ancora di più. «Sto cercando di dorm...»

Crollò nuovamente addormentata prima di riuscire a finire.

«La sveglia non è ancora suonata, ma potremmo svegliarle comunque» propose Beth ed io annuii. «Dopotutto abbiamo un mucchio di cose da fare, oggi!» esclamò poi allegramente, alzandosi in piedi.

Se non altro, notai con un mezzo sorriso, le era tornato il buonumore.

«Giusto, stamattina andiamo a fare shopping sfrenato per la festa!» mi venne in mente.

Non vedevo l'ora. Il paesino dove ci avrebbero portato, vicino Alnwick, in realtà non era molto grande, per cui dubitavo ci fossero tanti negozi, ma anche solo l'idea di uscire finalmente dalle mura scolastiche e prendere una boccata d'aria mi allettava.

«Come sei emozionata!» notò Beth, osservandomi di sottecchi mentre si avvicinava al letto di Arianna. «Sicura che Luke non venga?»

«Sarà meglio per te se tieni chiusa quella bocca» risposi ridendo, mentre scuotevo Angie nel tentativo di svegliarla.

****

«Il paese alla fine non è male» mormorò Arianna un'ora dopo, sedendosi con un movimento aggraziato su una delle panchine disposte intorno alla piazzetta.

Dopo esserci vestite – per la prima volta in borghese dopo secoli! – ed aver fatto una rapida colazione, potevamo scegliere se finire di decorare la palestra per quella sera oppure andare a fare shopping per la festa e non ci stupimmo affatto nel constatare che più della metà delle studentesse avesse optato per la seconda opzione.

«Già. È molto carino» convenni, avvicinandomi alla fontana posta al centro della piazza, piccola ma caratteristica.

Mi fermai di fronte alla ringhiera in ferro battuto che la circondava, osservando dei graziosi pesci rossi che nuotavano a pelo d'acqua e spuntavano di tanto in tanto in superficie.

Dopo un attimo, realizzai con un brivido che gli zampilli della fontana arrivavano fin lì, quando numerose gocce d'acqua mi schizzarono il volto, e mi affrettai a farmi indietro.

Mi venne improvvisamente in mente la terribile figuraccia che avevo fatto all'inizio dell'anno, quando John mi aveva fatto cadere nel laghetto della scuola. Tutta colpa di quell'idiota.

Sospirai tra me e me: possibile che Beth dovesse andare ad innamorarsi proprio di un tipo simile? Mi infastidiva terribilmente ma, da amica qual'ero, avrei fatto il possibile per sostenerla.

«Ragazze!» La voce della professoressa che ci aveva accompagnato mi riscosse. «Mi raccomando, rimanete nei paraggi. Ci ritroviamo qui in piazza a mezzogiorno!» spiegò a tutte noi, prima di infilarsi in uno dei tanti negozietti disposti lungo la strada.

Molte studentesse la imitarono, chi proseguiva lungo la via e chi si limitava a curiosare fra le vetrine.

«Che ne dite se cominciassimo con il cercare un negozio di vestiti?» propose Beth e fummo tutto d'accordo. D'altronde nessuna di noi aveva ancora un abito per la festa.

«Una ragazza mi ha detto che c'è un bellissimo negozio di vestiti, qui nei dintorni» spiegò Arianna. «Mi ha dato un paio di indicazioni.»

Dopo aver girovagato in lungo e in largo, cominciando a pensare di esserci davvero perse in un paesino di neanche trecento abitanti, ci ritrovammo davanti ad un negozio di vestiti dall'aria molto sofisticata e paurosamente costosa.

«Sicura che sia questo?» gemette Angie, che non riusciva a staccare gli occhi dalla luccicante insegna.

Arianna la ignorò e si affrettò ad entrare. La seguimmo all'interno e, sopra le nostre teste, una campanella appesa alla porta tintinnò, segnalando la nostra presenza.

«Buongiorno» mormorammo in coro, guardandoci intorno a bocca aperta.

Se non altro, ne era valsa la pena: il negozio sembrava una boutique d'alta moda, scintillante ed in perfetto ordine.

Wow, pensai tra me e me.

«Buongiorno» rispose una voce e, dopo un attimo, una donna tutta agghindata sbucò ondeggiando su un paio di tacchi vertiginosi da dietro un manichino.

Non potei fare a meno di pensare che avesse un'aria davvero poco amichevole.

Con la coda dell'occhio notai che all'interno c'erano numerose studentesse e, dopo esserci addentrate in quel posto fiabesco, scoprimmo che più avanti il negozio si apriva su tre lati, regalandoci uno spettacolo ancor più mozzafiato: dovunque posassi lo sguardo non c'erano che vestiti, di ogni tessuto e colore, con dettagli che andavano dallo strass al tulle passando per le paillettes. Non c'era neanche uno spazio libero e sembrava di trovarsi in un'oasi di luci e colori.

«VESTITI!» non riuscimmo a trattenerci dall'esclamare Arianna, Beth ed io.

«TENDE!» gridò Angie.

La fissammo sconcertate.

Tende? Tende? TENDE?!

La nostra amica si era precipitata alla grande finestra a parete, che ai due lati aveva due magnifiche tende rosa confetto, decorate in fondo con una serie di rose ricamate. Bellissime sì, ma pur sempre delle tende.

«Sono meravigliose!» mormorò lei in estasi, affrettandosi a controllare il tessuto.

Nel vedere Angie palpare senza ritegno le sue tende, l'acida proprietaria assunse un colorito violaceo e mi affrettai ad avvicinarmi alla mia amica.

«Già, e non credo siano in vendita» le bisbigliai, continuando a tenere d'occhio quella melanzana, che stava manifestando i segni di un'imminente crisi di panico.

«Non abbiamo ancora visto niente e già facciamo brutte figure» borbottò Arianna, scuotendo la testa. «Lasciate fare a me» disse poi, avvicinandosi di slancio alla proprietaria.

Stampatosi un sorriso civettuolo in volto, iniziò a curiosare fra i vestiti, elogiando a gran voce marche prestigiose che, se per me erano aramaico antico, d'altra parte parvero rilassare la donna, che stava già riacquistando un colorito naturale.

Imitando Arianna, Beth cominciò a dare un'occhiata in giro, ma sembrava sinceramente delusa, come se fosse alla ricerca di qualcosa che non riusciva a trovare.

Strattonai Angie per un braccio, rimasta immobile a palpeggiare le tende.

«Angie» sibilai, «smettila di fare così! Ma poi, da quanto ti piacciono così tanto le tende? Com'è che non dai spettacolo davanti a quelle della nostra camera?»

«Le tende sono artistiche!» gemette lei, opponendo resistenza.

Levai gli occhi al cielo, pensando a quante stupidaggini dovesse averle messo in testa la madre pittrice.

«E poi» continuò Angie, «le tende della nostra camera sono di quel noioso verde bottiglia! Hai visto quanto sono belle queste?»

«Sì. Bellissime» sbuffai, trascinandola a forza via dalla finestra. «Adesso scegli un vestito. Sempre se tu al ballo non voglia andarci indossando una tenda.»

Dopo che la mia amica fu tornata in sé, cominciai anch'io a curiosare in giro, non sapendo che cosa andassi cercando finché non me li ritrovai davanti, disposti per sbaglio dietro una lunga fila di gonne a palloncino.

Nell'attimo in cui li vidi, capii che al ballo non ci sarei andata indossando un vestito.

«Scusi» mormorai, rivolta alla proprietaria del negozio, sforzandomi di mantenere un'espressione gentile quando mi fissò con la sua aria altezzosa. «Ha per caso qualcosa da abbinare a questi pantaloni?»

Lei abbassò lo sguardo su ciò che avevo tra le mani e si lasciò sfuggire un sorriso.

«Ottima scelta. Ecco... penso di avere esattamente quello che fa per te.»

Scomparve un attimo dalla mia visuale per poi ricomparire con in mano quello che aveva tutta l'aria di essere un body, di colore bordeaux.

«Questo si sposerà con la tua carnagione» asserì lei.

Di fronte a tutta quella sicurezza io le feci un sorriso imbarazzato, prima di precipitarmi in camerino.

Quando li ebbi indossati, capii che con i pantaloni ci avevo proprio azzeccato.

Erano dei lunghi pantaloni neri a palazzo, dalla vita alta e con una generosa svasatura in fondo, che fasciavano e slanciavano le mie lunghe gambe al punto che sembravano essere stati cuciti su misura per me.

Dovetti ammettere che anche quella puntigliosa della proprietaria sapeva il fatto suo: il body semplice e attillato, che si adattava perfettamente allo stile ampio dei pantaloni, aveva un audace scollo che arrivava quasi fin sotto il seno e metteva in risalto la mia carnagione scura, facendo sì che sembrasse brillare.

Mi rimirai nello specchio: forse non sarei stata tra le più eleganti, ma quella era un'accoppiata davvero vincente, non potevo sbagliarmi!

Uscii dai camerini con un sorriso a trentadue denti stampato in volto e la proprietaria, squadrandomi da capo a piedi, mi fece un impercettibile cenno di assenso.

«Hai pensato alle scarpe?» mi chiese poi, avvicinandosi.

«Visto che con questi pantaloni non si noteranno molto, pensavo a qualcosa di semplice. Dovrei avere qualcosa...» dissi, pensando ad un paio di tacchi neri che avevo cacciato in valigia prima di partire per la scuola, in un raro momento di femminilità, e che, come prevedibile, non avevo mai tirato fuori.

«Kia, stai benissimo!» esclamò Arianna e mi voltai verso di lei, facendo per ringraziarla.

Mi bloccai a metà quando vidi che cos'aveva la ragazza fra le mani: doveva probabilmente essere il vestito più elaborato di tutto il negozio, il cui strascico le arrivava fino ai piedi, perdendosi in innumerevoli pieghe. Era rosso ciliegia, con sottili ricami neri e un fiocco dello stesso colore legato in vita. Il tipico genere di abito con cui io sarei sicuramente apparsa ridicola, ma a che ad Arianna sarebbe stato d'incanto.

Mentre la proprietaria, che aveva chiaramente preso in simpatia la mia amica, le dava qualche consiglio relativo al suo elegante vestito rosso, Beth si avvicinò, con gli occhi bassi.

«Mi scusi...» mormorò e la donna si voltò verso di lei, fissandola accigliata. «Non è che qui ci sono anche dei vestiti un po' più...»

«Più come?» fece quella sbrigativamente.

Di fronte alla sua scortesia, Beth si fece rossa in volto.

«...Un po' più degli anni '60?» pigolò.

La proprietaria pareva non credere alle sue orecchie. «Vestiti degli anni '60?»

Beth alzò lo sguardo e la fissò, speranzosa.

«Forse abbiamo qualcosa in magazzino. Non sono esattamente gli abiti più richiesti... in ogni caso, vado a dare un'occhiata» disse l'altra, incamminandosi ticchettando verso l'uscita del negozio.

Non mi era sfuggito il tono quasi sofferente con cui aveva pronunciato la parola magazzino: chissà se sarebbe tornata viva da quell'impresa.

«Dei vestiti degli anni '60?» ripeté Arianna, incredula.

Beth, rincuorata dalle parole della proprietaria, annuì. «È il tema del ballo di quest'anno! Non lo sapevi?»

Lei levò gli occhi al cielo. «Beth, nessuno segue mai il tema» disse in tono quasi compassionevole e, per un attimo, parve tornare la ragazza altezzosa di un tempo.

«Ma io amo gli anni '60!» ribatté Beth ed io sorrisi tra me e me: sapevo bene che la mia amica era una patita di quegli anni e che avrebbe fatto di tutto per rinascere in quell'epoca.

«Comunque Kia, stai da dio» aggiunse lei, voltandosi a guardarmi.

«Grazie Beth!»

«Ragazze! Come sto?» Angie uscì trafelata dai camerini, parandosi di fronte a noi.

Quasi non la riconobbi, vedendola con una mise così femminile. Indossava un vestito blu elettrico molto meno sofisticato di quello di Arianna, ma non per questo meno elegante: lungo fino ai polpacci e ripreso in vita, le fasciava le curve mettendo in risalto i suoi fianchi ben modellati, con il seno prosperoso stretto in uno scollo a V che non aveva niente a che vedere con il mio.

«Angie... ti sta benissimo!» esclamai, senza fiato.

«Ma com'è sexy!» commentò Beth, ridacchiando.

«È molto bello» fu costretta ad ammettere anche Arianna, avvicinandosi di qualche passo.

«Arianna, ricordati che è una festa scolastica, non un matrimonio» fece Angie per tutta risposta, fissando l'abito che la ragazza aveva in mano.

Anche con il più femminile dei vestiti, non avrebbe mai perso la sua lingua velenosa, pensai, scuotendo la testa.

Arianna si fece scura in volto e la sua risposta non si fece attendere. «Ah, sì? E tu ricordati che siamo ad una ballo, non ad un nightcl...»

«Ho trovato un abito!» la interruppe la proprietaria, entrando in negozio con in mano un vestito completamente diverso dai nostri: di stoffa semplice, aveva un'elegante scollatura quadrata ed era lungo fino al ginocchio, con una svasatura in fondo completamente in stile d'epoca ed una fantasia a scacchi bianchi e neri che lo rendeva davvero grazioso.

Lanciai di sfuggita uno sguardo a Beth: a giudicare dalla sua espressione imbambolata, doveva essere stato amore a prima vista.

«È uno dei pochi che sono riuscita a trovare» spiegò la donna, porgendoglielo.

Beth lo prese senza fiatare.

«Spero ti piaccia, altrimenti ne vado a prend...»

«Questo è perfetto!» la interruppe lei, accarezzando la stoffa bicolore.

Dopo aver ringraziato la proprietaria, sparì nei camerini e, dopo che fu uscita con indosso il suo abito, constatammo che le donava moltissimo: sembrava davvero spuntata da un'altra epoca.

«Sei bellissima, Beth» le dissi, sorridendo.

Sperai in cuor mio che se ne rendesse conto anche quello stupido di John.

Beth iniziò a saltellare, in preda all'euforia, e mi augurai che la proprietaria non l'avesse vista, o probabilmente avrebbe rischiato una sincope.

Dopo esserci gongolate ancora un po' davanti agli specchi, Arianna ci comunicò che era ora di andare e, a malincuore, ci affrettammo a rivestirci.

Una volta alla cassa, scoprii che fortunatamente il body bordeaux non era un articolo particolarmente costoso, ma lo stesso non si poteva dire dei meravigliosi pantaloni a palazzo. Nonostante ciò, pagai senza esitazioni: sicuramente non erano regalati, ma quei soldi li valevano tutti.

Quando lanciai di sottecchi un'occhiata ad Arianna, mi accorsi che neanche lei sembrava dare troppo peso al fatto di aver praticamente svuotato il suo portafogli.

Fu proprio lei a sollevare un problema a cui nessuna di noi aveva pensato, mentre stavamo uscendo dal negozio, le braccia cariche di sacchetti.

«Ragazze...» mormorò, sbattendo le palpebre. «Abbiamo i vestiti. Ma a tutto il resto chi ci pensa?»

«Tutto il resto cosa?» feci per dire, perplessa, ma Angie mi interruppe.

«IL MAKE-UP!» esclamò, portandosi di scatto le mani al volto, come se le fosse venuto in mente solo in quel momento. Dopotutto, quando ne avevamo parlato in camera prima di andare, lei si era presa la briga di truccarci. «I trucchi non mi basteranno mai per tutte quante!»

«Io ho bisogno di un coprispalle, di una pochette!» riprese Arianna, che stava andando nel panico.

A quel punto anche Beth, che tra noi era l'addetta alla bigiotteria, impallidì. «In effetti... anche io potrei aver bisogno di comprare una collana e qualche bracciale...»

Augurandomi che la proprietaria del negozio di vestiti non stesse osservando quella scena delirante dalle vetrine, mi affrettai a riportare la calma tra le ragazze, le cui grida sembravano gli starnazzi di un gruppo di oche.

«Smettetela di agitarvi» dissi con fermezza, dopo che si furono interrotte un momento per ascoltarmi. «Innanzitutto, quanto tempo abbiamo ancora?»

Arianna diede una rapida occhiata al suo orologio da polso. «Dieci minuti, non di più.»

«Giusto il tempo di ritornare alla piazza...» fece Beth mestamente.

«Allora, ho un'idea. Io adesso mi avvio all'appuntamento e, una volta lì, chiedo alla professoressa se può aspettare qualche minuto in più. Voi intanto andate a comprare ciò che manca per stasera. Cosa ne pensate?»

«È perfetto, Kia!» esclamò Angie a nome di tutte, di colpo di nuovo positiva.

A quel punto ci separammo, con la promessa che avremmo fatto i conti una volta tornate in camera e, dopo che Beth fu entrata in un negozio di gioielli – che sembrava più lo studio di una chiromante – e che anche le altre due si furono dileguate, mi incamminai da sola lungo la via.

Dopo un po' iniziai a far dondolare avanti il sacchetto, fischiettando di tanto in tanto un motivo che avevo in testa.

La strada era completamente deserta e, quasi senza rendermene conto, iniziai a saltellare lungo il marciapiede. Mi sentivo un po' come in quei musical degli anni '60 che Beth ed io guardavamo il sabato sera, invece di uscire come facevano tutte le nostre coetanee.

Chiunque mi avesse visto in quello stato probabilmente avrebbe chiamato seduta stante la casa di cura più vicina, per cui non mi stupii più di tanto quando un auto, spuntata dal nulla, mi suonò il clacson, ma non m'impedì di avvampare comunque, in preda alla vergogna.

Quando alzai lo sguardo, rimasto fino ad allora fisso sul marciapiede, la macchina era già scomparsa. In compenso, dall'altro lato della strada, notai l'insegna di un parrucchiere e in un flash ricordai che avevo promesso alle mie amiche che quella sera avrei acconciato i loro capelli. Ma ero tranquilla, dato che mia madre faceva la parrucchiera di professione e potevo dire di aver ereditato un po' del suo talento, dopo aver passato metà della mia infanzia nel suo negozio.

Continuai a fissare la vetrina, travolta da un'improvvisa nostalgia di casa, e poi ripresi a camminare spedita.

Non a passo di danza, stavolta.

 

Quando arrivai in piazza, a mezzogiorno spaccato, mi accorsi con sollievo che ben poche ragazze – me compresa – avevano rispettato l'ora dell'appuntamento.

La professoressa, al centro di un capannello di studentesse, non ne sembrava troppo stupita. La avvertii comunque del ritardo delle mie amiche.

Rimasi ad aspettare in silenzio, in mezzo al brusio delle ragazze cariche di sacchetti e visibilmente elettrizzate per quella sera e, una decina di minuti dopo, vidi spuntare all'orizzonte Beth ed Arianna. Mi affrettai a raggiungerle.

«Com'è andata? Avete comprato qualcosa?»

Per tutta risposta, Beth sollevò le braccia, che tintinnarono. Le fissai ad occhi sgranati: erano coperte da decine di braccialetti scintillanti, di ogni colore e fattura.

«Direi che è andata bene!» dissi, ridacchiando.

«La proprietaria mi ha praticamente regalato metà dei gioielli del negozio» fece lei e, ripensando a quanto apparisse stravagante la gioielleria, ipotizzai che Beth fosse la prima cliente che vi entrava dopo secoli.

«E tu, Arianna?» chiesi, notando che anche lei non era da meno: aveva le mani ingombre di pacchettini e sacchetti al punto che le nascondevano parzialmente il volto.

«Mmn, vediamo. Ho preso un paio di scarpe... un foulard...» elencò lei, sbirciando dentro i sacchetti. «Ah sì, già che c'ero, anche qualche completino sexy.»

Beth ed io la fissammo, allibite.

«Che c'è?» sbottò lei, notando le nostre facce. «Erano a metà prezzo!»

«EHI!»

Le giustificazioni di Arianna furono interrotte dall'improvviso arrivo di Angie, anche lei carica come un mulo. Oltre ai sacchetti, che recavano il marchio della profumeria dov'era stata, notai perplessa che aveva tra le braccia due involti alti quasi quanto lei.

«Angie...?» bofonchiai, dubitando che in commercio esistessero mascara di quelle dimensioni.

«I trucchi ve li faccio vedere in camera, promesso!» ci assicurò lei.

Poi si dovette accorgere che tutte e tre stavamo fissando gli altri due mastodontici pacchi.

«Ah, questi! Sapete, accanto alla profumeria c'era un bellissimo atelier e non ho proprio resistito...»

Pensando a quali poteri paranormali dovesse possedere Angie per trovare il tempo e il denaro di comprare dei quadri in meno di dieci minuti, non mi accorsi che una familiare testa rossa aveva fatto capolino in mezzo a noi.

«Ragazze!»

Annie, avvolta in una nuvola di profumo e con i lunghi boccoli rossi che le ricadevano perfettamente sulle spalle, troneggiava su di noi con un sorriso da rivista stampato in volto.

«Vedo che avete fatto spese!» esclamò, in tono esageratamente cordiale. «Mi fate dare un'occhiata?»

Per tutta risposta Angie strinse a sé i suoi pacchetti, fissandola in cagnesco, e Beth non reagì proprio. La situazione si stava facendo imbarazzate, ma Arianna, impassibile come sempre, le avvicinò prontamente uno dei suoi sacchetti, permettendole di sbirciare dentro.

«Wow, Arianna! Hai buon gusto!» cinguettò Annie, fissando uno dei suoi completini.

Beth soffocò una risata ed io le allungai una gomitata nelle costole.

A quel punto Annie, evidentemente sprovvista di perspicacia, si passò una mano fra i capelli superbamente agghindati e fece vagare lo sguardo tra i suoi e i nostri.

«Ma... non vi siete fatte nulla ai capelli?» chiese, in un patetico tentativo di prolungare la conversazione.

«Glieli sistemerò io questo pomeriggio, me la cavo abbastanza» le spiegai, con un sorriso.

Lei scosse la testa. «Ci credo, ma avreste fatto meglio a sistemarveli adesso!»

Contro ogni previsione, Beth fece un passo avanti e la fissò con aria di superiorità. Stentavo a riconoscerla.

«E invece no» rispose seccamente e mi stupii del suo tono ostile. «I capelli non ti dureranno mai fino a stasera» spiegò, con la stessa pazienza con cui si sarebbe rivolta una bambina.

Annie captò – stranamente – la piega che andava prendendo la conversazione.

«E invece sì » ribatté, a tono.

«E invece no» replicò Beth.

«Sì.»

«No.»

«Staremo a vedere» concluse Annie, girando sui tacchi, non prima di aver scoccato a Beth uno sguardo di pura superiorità.

****

«RAGAZZEEEE!»

Annie spalancò con un tonfo la porta della nostra camera. Stava singhiozzando.

Stavo giusto per chiederle chi le avesse dato il numero della nostra stanza, quando lo sguardo mi cadde sui suoi capelli, e non potei fare a meno di inorridire. Perché forse capelli non era il termine adatto per definire quella massa rossiccia ed informe: sembrava che le fosse esplosa una bomba sul cranio.

Beth, seduta sul letto di fronte al mio, scosse la testa divertita, mentre Angie, dopo aver fatto capolino nell'ingresso ed averle lanciato un'occhiata, scoppiò a ridere sguaiatamente.

A quella reazione, altri lacrimoni minacciarono di spuntare dagli occhi della ragazza ed io fulminai Angie con lo sguardo.

«Annie! Ma che cosa ti è successo?» domandai, bloccandomi un attimo dal passare l'arricciacapelli sulle ciocche di Arianna, che non aveva avuto nessuna particolare reazione di fronte a quel cespuglio con le gambe. Almeno lei.

«J-John mi ha... mi ha rovinato i capelli!» fece Annie, scoppiando in singhiozzi.

Angie intanto continuava a sghignazzare senza ritegno ed io mi voltai un attimo verso di lei, indicando con lo sguardo la piastra in fondo al letto e sillabando un'unica parola.

Lisci.

Angie si zittì all'istante, impallidendo.

Tornai a rivolgermi ad Annie, rimasta immobile e tremante al centro della stanza. «Se solo tu potessi aiutarmi...» stava supplicando lei, tra un singulto e l'altro.

«Ma certo» esclamai senza esitazioni, ignorando gli sguardi di disapprovazione di Beth ed Angie fissi su di me. «Arianna, per favore, puoi fare posto ad Annie?»

La mia amica annuì senza fare commenti. Con l'acconciatura a metà, che la rendeva piuttosto buffa, si alzò in piedi e andò a sedersi vicino a Beth, sul suo letto. Angie si affrettò a raggiungerle.

Scoccai a tutte e tre uno sguardo d'avvertimento, prima di far accomodare Annie vicino a me ed iniziare.

Fortunatamente quel pomeriggio avevo svuotato la mia valigia e tirato fuori tutto il necessario per acconciare i capelli delle mie amiche, per cui avevo tutto il mio armamentario a disposizione. Scelsi un pettine dai denti molto larghi e iniziai a districare delicatamente quella matassa, ma non era un'impresa da poco. Quando provai a mettere un po' di forza, non avendo fino ad allora ottenuto alcun risultato, Annie trattenne a stento un gemito.

«Mi dispiace» le dissi, sincera. «Ma non è facile senza farti male. Si può sapere come ha fatto John ha ridurti i capelli in questo stato? Ti ha spazzolato con una forca da fieno?»

Annie non rispose, tuttavia rise alla battuta ed io approfittai di quel momento di distrazione per affondare senza troppi complimenti il pettine tra i nodi.

Per evitare di spezzarle le punte, optai poi per ammorbidirle le ciocche con l'acqua e alla fine, con molta pazienza, riuscii a districarle i nodi senza troppi danni. Dopo averla rapidamente asciugata con il phon, le rifeci i boccoli, cercando di ricordare come li aveva quella mattina, il tutto con lo sguardo penetrante delle mie amiche che seguiva ogni mia mossa, meglio di qualsiasi cronometro.

«Oh Kia, non so come ringraziarti! Mi hai salvato la vita. Grazie, grazie mille!» esclamò lei, una volta che ebbi concluso l'opera, mentre si rimirava nel piccolo specchio che le avevo dato. «Sono venuti benissimo, più belli di quelli che avevo stamattina!»

«Sono contenta che ti piacciano» risposi, sorridendo.

Lei però continuava a fare complimenti e a ringraziarmi a più non posso, apparentemente ignara del fatto che la sua presenza iniziasse ad essere di troppo.

«Adesso devi vestirti, giusto?» feci, con un sorriso tirato, sospingendola verso la porta.

Speravo che capisse l'antifona e mi lasciasse sistemare le ragazze, ma non fu così, e la mia domanda funse da pretesto per iniziare a parlare a ruota libera dei vestiti che aveva in camera e del fatto che fosse enormemente indecisa sulla scelta di quella sera.

Doveva essere trascorso almeno un altro quarto d'ora quando alla fine riuscii a buttarla fuori dalla stanza.

Arianna diede un'occhiata al suo orologio da polso e sospirò. «Ecco. Ora siamo in ritardo.»

«Non se ne voleva più andare!» sbottò Beth.

La fulminai con lo sguardo. «Zitta. Zitta! Chi è che se l'è dovuta cuccare?»

Inizialmente le avevo dato una mano volentieri, soprattutto avendola vista così disperata, ma si era rivelata così logorroica da far innervosire anche me. Nel vedermi così alterata, Beth trattenne a stento una risata.

«RAGAZZEEEE!» le fece il verso Angie, facendoci scoppiare a ridere.

«Forza Ari, vieni che finisco di sistemarti» proruppi, riprendendo in mano l'arricciacapelli.

Senza lacca, i boccoli che le avevo fatto prima dell'arrivo di Annie si erano un po' sgonfiati, così diedi loro una seconda passata, prima di dedicarmi alle ciocche ancora lisce. Al termine, passai delicatamente le dita tra i boccoli, che si estesero fino a creare un mare di volute bionde e castane.

«Wow!» esclamai, seguita a ruota da Beth ed Angie.

Altro che Annie, pensai, scuotendo leggermente la testa.

Poi fu il turno di Beth. Per quanto cercassi di sbrigarmi, l'acconciatura Beehive sulla quale io e la mia amica ci eravamo accordate non era cosa da poco, ma il risultato finale avrebbe ripagato ogni sforzo. Le cotonai con cura i capelli e poi glieli sistemai, aiutata dalla lacca, in cima alla testa, per creare il tipico nido d'ape sfoggiato da ogni diva degli anni '60.

«Non vedo l'ora di vederti con il vestito addosso!» le dissi, mentre Beth, specchiandosi, si gongolava per il risultato dell'acconciatura.

Quando toccò ad Angie, mi disse che non aveva alcuna idea in particolare.

Io in realtà un'ispirazione l'avevo, ma sapevo che per spuntarla avrei dovuto lottare.

«Ti fidi di me?» chiesi.

Lei si voltò di scatto a guardarmi, chiaramente scettica. «In che senso?»

«Ti fidi di me?» ripetei, allungandomi per prendere la piastra.

Il gesto non sfuggì ad Angie, che fece per balzare in piedi.

«NON TI AZZARDARE!» gridò, proteggendosi la chioma con le mani.

Beth ed Arianna mi fissarono interdette, ma parvero capire quando mostrai loro la piastra con uno sguardo eloquente.

Come prevedibile, non appena feci per avvicinarle quell'arma ai capelli, Angie scansò la testa di lato, per poi voltarla dall'altra parte quando la ebbi avvicinata di nuovo.

«Andiamo Angie, dammi un po' di fiducia...» borbottai, trattenendo a stento un sorriso.

Per lei i ricci erano un vero e proprio culto e qualsiasi tentativo di alterarli veniva considerato un affronto personale; lo sapevo benissimo, ma non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che, con quel magnifico vestito blu, i capelli lisci vi sarebbero stati d'incanto...

Provai pazientemente a spiegarglielo ed alla fine lei emise un verso strozzato, che decisi di interpretare come un segno di assenso.

Rimasi affascinata quando i suoi ricci vennero docilmente piegati dalla piastra, senza i segni di resistenza dimostrati dalla loro proprietaria: alcuni capelli crespi erano davvero difficili da domare, ma quelli di Angie sembravano nati per essere lisciati. In ogni caso, evitai saggiamente di esprimere ad alta voce questo pensiero, poiché volevo tenermi tutti i denti in bocca.

«Angie... ma stai benissimo!» esclamò Beth, senza fiato, quand'ebbi finito.

Le porsi lo specchio tascabile con una certa trepidazione e la vidi sgranare gli occhi quando incrociò il suo riflesso. La fissai titubante, non sapendo come interpretare quell'espressione.

«È vero. Non sono poi così male» mormorò lei dopo un attimo, quasi non lo credesse possibile.

«Bene, bene» tagliò corto Arianna. «Adesso però passiamo al trucco, Angie. Altrimenti non arriveremo mai in orario!»

«Voi truccatevi pure, io devo sempre sistemarmi i capelli» ricordai loro, ridacchiando.

Staccai la piastra dalla spina e mi diressi in bagno, per poter usufruire dello specchio. Dal momento che non avevo intenzione di farmi un'acconciatura troppo complessa, non avrei dovuto metterci troppo.

Ben presto udii provenire dall'altra stanza risate e commenti d'ammirazione, mentre Angie cominciava ad occuparsi del trucco di Arianna. Nonostante in fatto di precisione le due ragazze fossero agli antipodi, Angie non aveva eguali nel mondo del make-up: passava il trucco sul volto come il pennello sulla tela. I risultati erano vere e proprie opere d'arte.

Quando uscii dal bagno, con i capelli acconciati – piastrati, con una treccia a cascata all'altezza della nuca – Angie aveva finito anche il trucco di Beth e, con l'aiuto del mio specchio tascabile, stava ritoccando il suo. In un attimo si stava già occupando di me.

«Kia, ma che ciglia lunghissime hai?» esclamò ridendo, mentre mi passava il mascara.

Mi rimproverò bonariamente, perché secondo lei non le valorizzavo abbastanza ma, dal canto mio, preferivo evitare di truccarmi da sola: essendo totalmente incapace, a quell'ora mi sarei già cavata gli occhi con lo scovolino.

Beth ci distribuì poi una collana ciascuna, osservando quali meglio si abbinavano ai nostri vestiti, e qualche bracciale tra quelli che quella sottospecie di chiromante le aveva venduto – e regalato. Per quanto li aveva pagati, facevano davvero la loro figura.

A quel punto potemmo vestirci, sempre tenendo d'occhio l'orologio. Arianna, con il suo magnifico vestito rosso, era di certo la più elegante, ma anche noi non eravamo da meno. Conclusi gli ultimi ritocchi, eravamo pronte davvero in tempo record, nonostante il contrattempo di Annie ci avesse un po' rallentate.

«Puoi essere fiera di noi, Ari» dissi, provocando una risata generale.

L'appuntamento in palestra era previsto per le otto e mezza ed eravamo perfettamente in orario.

«Potremmo anche avviarci» propose Arianna, facendo capolino dal bagno, in cui si era momentaneamente rinchiusa per potersi rimirare nello specchio.

Annuii e spalancai la porta, essendo la più vicina all'ingresso delle quattro, e per poco non ebbi un infarto quando mi trovai di fronte Night, appoggiato allo stipite, che si stava mettendo una camicia.

«Non va più di moda vestirsi nelle proprie camere?» scherzai, maledicendomi quando l'occhio mi cadde sui muscoli dell'addome, lasciati scoperti dai lembi della camicia che il ragazzo non aveva ancora abbottonato.

Lui ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli arruffati.

«Arianna, per caso stai andando ad un matrimonio?» disse poi, quando la ragazza comparve di fianco a me, avvolta una nuvola di profumo.

Lei lo fulminò con lo sguardo. «Tu ed Angie ve le studiate la notte, queste brillanti battute?» sbottò, levando gli occhi al cielo. «Mi dispiace che non possiate fare altro che darvi al cabaret, visto che evidentemente lei preferirebbe buttarsi da una rupe, piuttosto che dartel...»

«Arianna!» la interruppe Shadow, uscendo dalla sua stanza. «Non fare caso a quest'idiota, stai da Dio» continuò, strizzandole l'occhio.

Lei gli sorrise, sinceramente rincuorata, ed io notai, con un misto di stupore e sollievo, che in tutto questo il ragazzo non mi aveva degnata di uno sguardo.

«Ah! Devo andare!» esclamò di colpo Arianna, riscuotendosi.

«Dove?» le chiesi, voltandomi verso di lei.

«Lucas mi aspetta nell'atrio» mi spiegò con aria complice, avviandosi a passo svelto verso le scale.

In quel momento Angie comparve sulla porta, strappando a Night un'espressione che sarebbe stata da incorniciare. Pareva quasi mancargli il fiato, mentre la osservava a bocca aperta e, dopo un momento, capii il perché.

Angie era una bellissima ragazza ma, conoscendola, sapevo che non le interessava più di tanto mettere in mostra il suo personale; anzi, il suo modo di vestire rispecchiava il suo atteggiamento tutt'altro che femminile e la capivo benissimo perché, come lei, passavo spesso per una ragazza un po' mascolina, soprattutto se paragonata ad una silfide qual'era Arianna. Ma con i grandi occhi verdi finemente truccati, i lunghi capelli biondi pettinati e le curve sinuose fasciate dal vestito giusto, era una bellezza semplicemente mozzafiato e non aveva niente da invidiare alla nostra popolare amica.

«Shadow, sei pronto?» esclamò Angie, godendosi la delusione negli occhi di Night.

«Eccomi.»

Shadow chiuse la porta della camera, avvicinandosi poi alla ragazza e porgendole il braccio, cui Angie si aggrappò con un movimento plateale, non prima di essersi assicurata con la coda dell'occhio che Night li stesse fissando.

Nel passarmi davanti il sorriso di Shadow si spense, ma fu solo una frazione di secondo e l'attimo dopo i due erano già sulle scale, sottobraccio, ridendo a più non posso. Il tutto con Night che continuava a fissarli con un'espressione da pesce lesso stampata in faccia.

Di fronte a quel teatrino, non potei che scuotere leggermente la testa. Appena scomparvero alla vista, vidi Night allungare il collo verso le scale, fremente d'impazienza, nonostante tentasse con scarso successo di non darlo a vedere.

«Cosa aspetti?» dissi divertita, e lui si voltò di scatto a fissarmi, impallidendo. «Avanti, va'!»

Lui annuì con slancio, precipitandosi a rotta di collo giù per le scale. Ridacchiai leggermente, mentre mi affacciavo alla porta della camera.

«Beth, sei pronta? Altrimenti facciamo tardi!»

Il riso mi morì in gola quando vidi la mia amica seduta sul letto, a capo chino, stringere tra le dita un oggetto che conoscevo bene.

Avvertii un brivido lungo le braccia e mi feci avanti a fatica. Quella faccenda sarebbe per sempre rimasta una ferita aperta, realizzai.

«Non sapevo che lo avessi portato con te» mormorai, con voce flebile.

Era vero. Non lo vedevo da tempo, da quando era stato consegnato a Beth, e credevo stupidamente che, in preda al dolore, lei se ne fosse sbarazzata o lo avesse riposto via. Come avevo fatto io con il suo ricordo. Ma Beth non poteva farlo.

Mi sentii improvvisamente in colpa. Di nuovo.

Beth alzò lo sguardo e mi fissò, con gli occhi pieni di lacrime.

«Pensi che dovrei metterlo?» chiese, incerta.

«Sì» risposi, senza un attimo di esitazione.

«Non voglio sfoggiarlo come fosse un gioiello, sarebbe di pessimo gusto, ma non voglio neanche dimenticare... Kia, non voglio dimenticare.»

La voce di Beth si strozzò ed io sentii le lacrime salirmi agli occhi. Mi feci avanti, stringendola forte finché non udii più i suoi singhiozzi.

«Sì che dovresti metterlo» le dissi, dopo che ci fummo staccate. «Ti ricordi quanto adorava le feste? Vieni qui, ti aiuto ad allacciarlo.»

****

«Shadow, posso chiederti una cosa?» domandò Angie, mentre scendevano le scale.

Dopo essersi allontanati a sufficienza da Night, la ragazza ne aveva avuto abbastanza di quella farsa ed aveva lasciato il braccio del ragazzo, che non sembrava aver avuto nulla in contrario.

«Certo, dimmi» fece lui, voltandosi a guardarla.

Pareva tutto normale, come se lui non le avesse retto il gioco fino ad un attimo prima, dopo che Angie gli aveva chiesto di ridere a crepapelle, come se gli avesse raccontato chissà quale esilarante battuta, solo per insospettire il suo migliore amico.

Angie giocherellò con i bracciali che portava al polso, improvvisamente a disagio. Non appena erano rimasti soli, le era parso il momento ideale per chiarire una volta per tutte la faccenda degli unicorni, ma ora non sapeva da che parte cominciare.

«Sai se Night ha una sorella?» chiese infine, scrutando attentamente Shadow.

Il ragazzo sgranò gli occhi, a metà tra il confuso e il divertito.

«No... Night ha un fratello. Un fratello maggiore.»

Ah ah!

Quindi le aveva mentito. Ma, per quanto si sforzasse, ad Angie non veniva in mente nessun valido motivo per cui Night avesse dovuto farlo.

Poi, di colpo, ebbe un'illuminazione.

«E suo fratello è per caso... gay?»

Un ragazzo patito di unicorni molto probabilmente apparteneva all'altra sponda e, avendo Night la mentalità di un uomo delle caverne, probabilmente se ne vergognava e lo teneva nascosto. Ecco spiegato il perché le avesse raccontato una frottola.

Era sicura di averci preso, ma la reazione di Shadow la destabilizzò.

Il ragazzo infatti era scoppiato a ridere a crepapelle, in maniera così sfrenata che ben presto fu costretto ad appoggiarsi al corrimano per non perdere l'equilibrio.

«Dave... Dave gay?» esclamò. «Angie, il fratello di Night è fin troppo etero, credimi» continuò, con un tono che non ammetteva repliche.

Angie lo fissò, spiazzata. Improvvisamente non riusciva a pensare a niente, se non al fatto che avrebbe dovuto fare al più presto quattro chiacchiere con Night.

«Tutto ok?» le chiese Shadow, che si doveva essere accorto del suo shock.

«Sì, certo!» fece lei, esibendo un sorriso tremolante.

Il ragazzo non sembrava aver abboccato, ma non replicò.

I due continuarono a scendere i gradini in silenzio ed erano ormai arrivati ai piedi della scala quando Angie, dopo aver fatto un respiro profondo, parlò di nuovo.

«Comunque Shadow, la faccenda dell'accompagnatore... insomma, il mio era solo un capriccio per infastidire Night.» Lo disse in un soffio, così rapidamente che c'era da augurarsi che Shadow non avesse udito solo un borbottio confuso. «Non lo volevo davvero. Non che tu non mi stia simpatico, sia chiaro!» si affrettò ad aggiungere.

Ammetterlo ad alta voce le costava davvero tanto ed il ragazzo, a giudicare dal sorriso conciliante che le rivolse in risposta, doveva averlo capito.

«Anche tu mi stai simpatica, Angie» rispose, ridacchiando. «Comunque me n'ero reso conto» proseguì, con un tono che lasciava intendere che ne sarebbe accorto chiunque. «Allora, che ne dici di finirla qui?»

Erano appena giunti nell'atrio, gremito di studenti, ed Angie annuì.

«Grazie per essere stato al gioco.»

«E di che? Che migliore amico sarei, se non rompessi un po' le palle a Night?» fece lui, mentre si allontanava, facendola scoppiare a ridere.

«Sei fin troppo clemente!» gli urlò in risposta, prima di scuotere la testa fra sé e sé.

Diamine, ma perché quella stupida di Kia non lo considera neanche un po'?

 

«Wow... ma è bellissima!» esclamai stupefatta, guardandomi attorno in quella che fino al giorno prima era stata la nostra palestra.

Mai avrei detto che quel luogo squallido, puzzolente di chiuso e di gomma, potesse di colpo apparire così elegante.

«È irriconoscibile» disse Beth, ugualmente colpita.

Gran parte della sala, ancora semivuota, era occupata da tavoli imbanditi, colmi di stuzzichini e gigantesche coppe ricolme di punch, che Beth puntò non appena vi ebbe posato lo sguardo.

«Beth, aspettami!» borbottai, vedendo che era partita in quarta.

Appena arrivata, l'avevo vista salutare Ben ma, come per un tacito accordo, i due si erano separati poco dopo, entrambi troppo presi dalle loro cotte per poter far finta di nulla e andare al ballo insieme.

Camminando per raggiungerla, notai che il parquet era ricoperto da manciate di coriandoli, i quali si sollevavano ad ogni nostro passo e, alzando gli occhi, vidi striscioni e decorazioni appesi su ogni centimetro quadrato del soffitto, simili a nuvole bianche e rosse.

All'estremità opposta della palestra, dov'erano le tribune, era stato allestito un enorme palco, da cui proveniva il motivo di una hit da radio; ma la presenza di un complesso sistema audio e di svariati strumenti musicali mi suggerì che a breve sarebbe arrivata anche la musica dal vivo.

«Abbiamo fatto davvero un bel lavoro» mormorai, colma d'orgoglio, per un attimo fiera di far parte della scuola che aveva contribuito a creare lo spettacolo cui ci trovavamo di fronte.

Beth intanto stava dando un'occhiata allo sconfinato buffet e notai che, con il suo particolare vestito e l'elaborata acconciatura, non passava di certo inosservata. Trattenni un sorriso, vedendo che lei non se n'era minimamente accorta.

Pian piano la palestra iniziò a riempirsi e tutt'intorno si diffuse un brusio concitato, che ben presto coprì il sottofondo musicale.

Osservando le grandi finestre a parete, vidi che fuori stava cominciando a nereggiare, e ben presto la sala fu riempita anche da coloro che si erano attardati all'aperto.

Mi feci più vicina a Beth e, da quella posizione, vidi Annie e John comparire in un angolo del salone, e mi affrettai ad indicarglieli.

Bastò un'occhiata perché ci scambiassimo un pietoso sguardo d'intesa nel constatare che, di tutto il suo guardaroba, Annie aveva probabilmente scelto il vestito peggiore. Non ero neppure certa che quell'abitino di latex, aderentissimo e d'un rosso fiammeggiante che avrebbe abbagliato persino un ipovedente, si potesse definire vestito. Gli stivali neri alti quasi fino al ginocchio, infine, completavano l'opera.

Inarcai un sopracciglio, pensando che nemmeno gli eleganti boccoli che le avevo fatto con tanto impegno contribuivano a renderla un po' meno volgare.

«John non vede l'ora di fuggire» mi bisbigliò Beth e, spostando lo sguardo sul ragazzo, non potei che convenire con lei.

Ero rimasta così sbalordita da quella escort mancata da accorgermi a malapena del suo accompagnatore. Visibilmente seccato da quella situazione, il moro continuava a lanciare degli sguardi torvi in direzione di Annie, che lo teneva saldamente per la mano, come se intendesse stritolargliela da un momento all'altro. Qualcosa mi diceva che, se solo avesse avuto con sé un guinzaglio, non avrebbe esitato un momento a metterlo a John.

In ogni caso, Beth era stata previdente: bastò un attimo di distrazione da parte di Annie, che si era staccata da lui un momento per andare a salutare un gruppo di amiche, perché John, dopo essersi rapidamente guardato intorno, infilasse la porta e fuggisse in giardino.

A quel punto Beth ed io ridevamo così tanto da avere le lacrime agli occhi e, mentre tentavamo di riacquistare un contegno, individuai nella folla sempre più consistente di ragazzi in abito da sera Angie, Arianna e Lucas, che chiacchieravano di fronte ad un tavolo dal lato opposto della sala.

Mi affrettai a raggiungerli, convinta che Beth mi avrebbe seguito, ma quando la vidi immobile, con lo sguardo fisso sulla porta semichiusa da cui era appena fuggito John, seppi che quella per sera la mia amica aveva tutt'altri piani.

Fatti valere, Beth.

«Ehi!» esclamai, sbracciandomi in direzione dei miei amici.

«Kia!» mi salutò Arianna, vedendomi.

Pareva una diva dello spettacolo, con il suo incantevole vestito rosso, e mi accorsi solo in un secondo momento che era mano nella mano con Lucas.

Vedendo che l'avevo notato, Arianna mi rivolse un sorriso d'intesa, prima di chiedere, guardandosi intorno: «Beth dov'è?»

«Beth? Ehm... in giro.»

Lei mi fissò, scettica, ed era sul punto di aprire bocca quando Angie, grazie al cielo, la interruppe urlando.

«KIA! Hai visto che festa? IO AMO LE FESTE!» gridò, ma la sua voce si perse nella confusione generale, evitando di farla sembrare una pazza furiosa.

Sia io che Arianna, dopotutto, sapevamo il perché di tutto quell'entusiasmo: quando, per un breve periodo, avevo frequentato la loro stessa scuola, le feste che Angie organizzava e in cui suonava musica rock dal vivo erano leggenda, tra gli studenti di Edimburgo.

Sfortunatamente, l'unica a cui avevo avuto l'onore di partecipare si era conclusa nel peggiore dei modi, dato che mi ero presa una sbronza colossale. Al solo – vago – ricordo mi veniva la pelle d'oca.

«Nathan dovrebbe arrivare a momenti!» proseguì Angie, tutta allegra, guardandosi intorno.

La imitai, anche se non avevo la minima idea di come fosse fatto il maggiore dei suoi fratelli. Una parte di me era davvero curiosa di conoscerlo, visto che Angie ne parlava in continuazione, anche se speravo che avesse un carattere un po' più trattabile del suo.

«Non lo vedo...» borbottò Angie, prima di farsi scura in volto. «Ah, guarda chi c'è.»

Seguii il suo sguardo, immaginando chi le avesse suscitato quella reazione.

«Ciao Night!» esclamai e, dopo avermi adocchiata, il ragazzo fece rotta verso di noi.

«Davvero un'ottima idea, Kia» fece Angie tra i denti, scoccandomi un'occhiata omicida.

Lucas lo salutò con una pacca sulla spalla e lui ci sorrise distrattamente. La sua attenzione, infatti, era del tutto catalizzata da Angie che, non appena lo aveva visto, era fuggita dietro di me e adesso osservava con improvviso interesse le pietanze del buffet.

«Gonnellin...Angie» mormorò il ragazzo, abbozzando un sorrisetto.

«Che vuoi?» fece lei, voltandosi bruscamente.

L'espressione di Night mutò all'improvviso e non rispose alla domanda di lei, limitandosi a fissarle sfacciatamente il seno.

A quel punto tutti i presenti, me compresa, seguirono il suo sguardo, a cui seguirono svariate occhiate imbarazzate.

«Angie...» tossicchiai, mentre gli altri mi facevano silenziosi cenni di ringraziamento, per essermi arrischiata a farglielo notare. «La scollatura.»

Nei bruschi movimenti della ragazza, provocati dall'apparizione di Night, il profondo scollo del suo vestito era sceso giù, lasciando ben poco all'immaginazione.

Angie abbassò a sua volta lo sguardo e divenne rossa come un peperone.

«OH CAZZO!» gridò, affrettandosi a sistemarsi e avrebbe continuato con gli improperi se, in quell'esatto momento, una profonda voce maschile non l'avesse interrotta.

«Sempre fine come al solito, Angie!»

Ci voltammo. Davanti a noi era apparso un ragazzo alto, in abito da sera, con corti capelli castani chiari, occhi verdi ed un sorriso aperto e cordiale. Dopo un attimo di spaesamento, realizzai che aveva gli stessi lineamenti di Angie.

«Nathan!» esclamò lei, improvvisamente dimentica di essersi quasi denudata di fronte a noi, prima di gettargli le braccia al collo.

«Come siamo eleganti, stasera!» commentò lui, quando si sciolse dall'abbraccio.

La fissò così intensamente che, per un attimo, ebbi il timore che si fosse accorto delle sue migliorie, ma poi il suo sguardo si posò su di noi.

«Mi presenti i tuoi amici?» domandò e, dentro di me, tirai un sospiro di sollievo.

Angie annuì, visibilmente emozionata all'idea che ci conoscessimo.

«Lei è Kia» disse, indicandomi.

Sorridendo, gli feci un cenno di saluto, che lui ricambiò.

«Questa invece è Arianna» proseguì, indicandola. «Ti ricordi di lei? Eravamo compagne di scuola anche a Edimburgo. Sua madre è una grande ammiratrice della mamma.»

Arianna si limitò a un impercettibile cenno del capo, tanto che mi chiesi se Nathan, che sembrava ancora riflettere sulle parole di Angie, se ne fosse accorto.

«Ah, ho capito! La cantante lirica!» esclamò lui di colpo, illuminandosi. «Piacere di conoscerti!»

«Lui è Lucas» continuò Angie.

Il biondo fece per salutarlo, rischiando di travolgere una pila di bicchieri di carta poggiata sul tavolo accanto a noi.

Di fronte a quella scena, Arianna scosse la testa con aria sconsolata.

«E lui...» concluse Angie, indicando il ragazzo davanti a sé e, peraltro, non facendo nulla per mascherare il suo tono seccato, «...è Night.»

Tutto sorridente, Nathan fece per salutarlo come aveva fatto con gli altri ma, quando i suoi occhi si posarono sul ragazzo, rimase pietrificato. Lo fissò con occhi spalancati, come se non si capacitasse di ciò che vedeva davanti a sé.

Di fronte a quella reazione, Angie rimase stupefatta.

«Nathan... tutto bene?» bisbigliò.

Il ragazzo si riscosse bruscamente.

«Certo, certo. Tutto bene. Piacere di conoscerti, Night» disse, ma a nessuno di noi sfuggì il fatto che evitava di guardarlo in faccia e che ignorò deliberatamente la mano da stringere che il ragazzo aveva allungato. Tantomeno ad Angie.

«Vieni, fratellone» esclamò quindi lei, con un tono che non ammetteva repliche, prendendolo da parte. «Ti verso qualcosa da bere.»

Lui annuì, capendolo al volo.

Captando l'aria che tirava, Arianna trascinò via Lucas ed io mi affrettai a fare lo stesso.

L'unico a rimanere lì fu Night, che osservava con la coda dell'occhio i due fratelli, ancora confuso da quel che era appena successo.

 

«Vuoi spiegarmi che diamine succede?!» sbraitò Angie, cercando di tenere a bada il tono di voce, mentre versava del punch per entrambi. «Sembrava tu avessi visto un fantasma!»

«Dannazione Angie, è qui vicino a noi! Parla piano!» bisbigliò Nathan, che non lo perdeva d'occhio un istante. «È tuo amico?» le domandò poi, incrociando finalmente il suo sguardo.

Lei lo fissò come se avesse detto un'assurdità. «Assolutamente no!»

Poi prese a sorseggiare il suo punch, tentando con scarso successo di apparire disinvolta. Suo fratello infatti stava iniziando ad attirare l'attenzione dei ragazzi vicini, dato che non riusciva a stare un attimo fermo e faceva avanti e indietro lungo il buffet da almeno dieci minuti.

«Nathan!» sibilò, allungandogli un calcio nello stinchi.

Se non altro, il gesto servì a far bloccare il fratello, a cui Angie rifilò subito il bicchiere di punch.

«Ti prego...» fece lui, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. «Ti prego, dimmi che non fa Harris di cognome.»

Angie fece finta di pensarci su un momento. «Sì» mormorò poi, glaciale. «Night Harris.»

Per poco il fratello non sputò il contenuto del suo bicchiere.

«Oh cazzo, cazzo... lo sapevo!» gemette.

«Nathan, finiscila! Si può sapere qual è il problema con lui?» ringhiò lei. «Mi sembra che tu stia davvero esagerando, e te lo dice una che lo odia a morte.»

Lui abbassò gli occhi, sfuggendo al suo sguardo inquisitore.

«Non è lui il problema» balbettò, di colpo a disagio. «È suo fratello Day. Ultimamente ci sta dando parecchi problemi.» Dopo avergli lanciato un'altra occhiata, Nathan aggiunse, bisbigliando: «E non ci sono dubbi che sia suo fratello, è la sua fotocopia.»

Tra i due calò un attimo di silenzio, rotto da Angie, che scoppiò improvvisamente a ridere.

Il suo proposito di non attirare l'attenzione fallì miseramente quando si ritrovò puntati addosso gli occhi di tutto il salone, ma lei era troppo occupata ad asciugarsi le lacrime – che avrebbero rovinato il suo prezioso make-up – per accorgersene: piangeva dal ridere.

«Nathan...» mormorò, facendo un respiro profondo, quando fu riuscita a tornare in sé. «Si può sapere cos'hai fumato prima di venire qui? Night, Day?! A questo punto, non mi meraviglierei se spuntasse fuori un fratello di nome Light o un cugino di terzo grado di nome Morning!»

Tornata a ridere a più non posso, dovette appoggiarsi al tavolo del buffet per non perdere l'equilibrio.

«Falla finita di prendermi per il culo» rispose Nathan, fulminandola con lo sguardo. «Sono sicuro che suo fratello sia Day. Sono identici. Vuoi che vada a chiederglielo?»

Tornò a fissare Night che, nel frattempo, intuendo forse che non sarebbe più stato incluso nella loro conversazione, si era allontanato e stava chiacchierando animatamente con un gruppo di ragazzi.

«Suo fratello si chiama Dave» ribatté Angie, ricordandosi all'improvviso delle parole di Shadow. «Me l'ha detto poco fa il suo migliore amico.»

Nathan levò gli occhi al cielo. «Mai sentito parlare di soprannomi? David, Dave, Day! Pensavo fossi più sveglia, Angie.»

A quello Angie non aveva pensato. Non sapendo cosa replicare, ammutolì.

«Vedi?» mormorò il fratello, trionfante, di fronte al suo silenzio. «Lascia che ti spieghi.»

Ancora scettica, ma disposta a vederci più chiaro, Angie ascoltò con attenzione le parole del fratello.

«La nostra banda è una delle più temute di Dublino, questo lo sai, vero?»

Angie annuì. I suoi tre fratelli facevano parte di una banda piuttosto conosciuta nella loro città, ma non le permettevano di sapere niente al riguardo, per tutelare la sua sicurezza. Come se non facesse lei stessa parte di una gang!

«Bene. Day e i suoi continuano a metterci i bastoni fra le ruote, soprattutto in questo periodo» proseguì lui. «Non avevo mai visto suo fratello prima d'ora, quindi non credo che faccia parte della sua banda, ma fa' comunque attenzione.»

«Guarda che io sono perfettamente in grado di difendermi!» proruppe Angie, incrociando le braccia al petto. «Comunque, perché non ho mai sentito parlare di questo Day? Anche se mi proibite di impicciarvi dei vostri affari, qualche commento sui vostri avversari vi scappa sempre... soprattutto a tavola» aggiunse, soffocando una risata.

Nathan sospirò. «È una storia lunga. Di solito non parliamo di risse per te, per non farti incuriosire, ma quando si tratta di Day... lo facciamo per non fare infuriare la mamma.»

Angie sgranò gli occhi. Cosa caspita c'entrava la loro mamma?

«Vedi, la madre di Day è una che disprezza l'arte, per cui non va molto a genio alla mamma. Diciamo pure che la odia. Quindi preferiamo non parlarne, oppure lo facciamo senza che lei capisca.»

Nathan conosceva il fratello di Night, sua madre era la nemica numero uno della mamma, loro parlavano di Day senza farsi capire... Angie era sempre più confusa e, a giudicare dall'espressione comprensiva che suo fratello le rivolse, la sua faccia doveva parlare chiaro. 

Così Nathan decise di venirle in aiuto, ricordandole un episodio di qualche tempo prima, quando Fred era entrato in casa, precipitandosi in salotto – dov'era riunita tutta la famiglia – e aveva iniziato a parlare concitatamente, dicendo ai suoi fratelli ad uscire, perché era giorno. Un giorno bellissimo! Perché starsene in casa ad oziare quando fuori era ancora giorno? Salvo poi vedere dalla finestra che fuori infuriava un temporale con tanto di tuoni e fulmini.

La mamma si era insospettita parecchio, Angie aveva riso fino alle lacrime, mentre i tre fratelli erano usciti di corsa, e adesso lei sapeva il perché.

«Basta che tu stia attenta» concluse Nathan. «Ma se mi assicuri che sei in grado di difenderti...»

«Certo che sì!» lo interruppe lei, quasi offesa che lui glielo stesse chiedendo.

Il fratello le sorrise, scompigliandole affettuosamente i capelli. «Ci conto. Sei una Stevens, dopotutto!»

Dopo averla messa al corrente degli avvenimenti che la ragazza si era persa in quei mesi di scuola, Nathan la piantò in asso, confidandole di aver visto una bella ragazza in un angolo del salone.

Angie tentò senza successo di capire di chi stesse parlando, poi si rassegnò a lasciarlo andare, non prima di avergli dato del dongiovanni.

Di colpo sola, Angie si ricordò che di lì a poco sarebbero arrivati gli amici di Kia... e forse anche Luke, pensò, inorridendo.

Si chiese come avrebbe reagito Shadow. Luke era stato un suo compagno di classe per anni e, c'era poco da fare, era davvero affascinante, tanto che avrebbe potuto tranquillamente confondersi tra i ragazzi migliorati dell'Istituto. Ma niente, comunque, avrebbe potuto compensare il suo odioso carattere, che lo rendeva egoista e arrogante, l'esatto contrario di Kia.

Mentre rifletteva, si ricordò che lei non era ancora riuscita a dire a Kia che aveva detto a Shadow che lei era fidan...

Oh cazzo.

Doveva dirglielo. Subito.

Ma dov'era finita?

****

Facendosi coraggio, Beth uscì all'aria aperta. Subito una violenta folata di vento la colpì in pieno viso e lei fu scossa dai brividi. Dopotutto era Dicembre e, realizzò la ragazza amaramente, non si era neanche portata dietro un cappotto.

Si strinse nel leggero vestito e, dopo aver fatto un respiro profondo ed essersi riempita i polmoni d'aria gelida, si diresse verso la familiare figura di un ragazzo moro, seduto sulla chiazza d'erba dietro la palestra.

Udendo i suoi passi, John si voltò ma, almeno apparentemente, non sembrò scocciato di vederla.

«Ciao» mormorò lei, piano, sedendosi ad una certa distanza da lui.

Il suo saluto si perse nel silenzio quasi innaturale che li avvolgeva. La confusione proveniente della palestra, infatti, sembrava non arrivare fin lì.

«Io e Kia ti abbiamo visto fuggire da Annie, prima» riprese Beth, lungi dall'arrendersi, vedendo che il ragazzo non replicava.

«Oh!» esclamò John, riscuotendosi di colpo. «La odio quando fa così! Quando si mette in testa una cosa, non c'è verso di farle cambiare idea!» sbuffò, sdraiandosi a terra.

Beth accolse il tono accalorato e spontaneo con cui le aveva risposto come una piccola vittoria, e sorrise tra sé e sé.

«A proposito di testa» aggiunse, decidendo di spingersi oltre. «Ma come l'hai conciata?!»

Ridacchiò, ma il riso le morì in gola quando i suoi occhi si posarono sul corpo di lui, soprattutto su quella parte di torace rimasta scoperta dalla camicia...

«Ci ho messo tutto il mio impegno» mormorò John, in tono confidenziale, sorridendo furbetto. «Non so proprio come sia riuscita a tornare così perfetta.»

Ha dei denti splendidi, si ritrovò improvvisamente a pensare Beth, che arrossì violentemente di fronte a un tale pensiero. Per fortuna era buio, si disse, e John non avrebbe visto nulla.

«Strano che Annie non sia ancora venuta a dirmi nulla» notò il ragazzo, controllando l'ora sul suo cellulare. «Che palle, non vedo l'ora che questo strazio finisca.»

«Invece è divertente!» disse lei, tutta pimpante.

«Se ti diverti tanto, com'è che ora sei qui con me?»

A quell'affermazione Beth trasalì, il battito che aumentava pericolosamente. Aprì la bocca, ma non aveva nulla da replicare. John l'aveva incastrata. Le guance le si imporporarono, mentre si malediva tra sé. Perché una conversazione normale con quel ragazzo non era destinata a durare più di mezzo minuto?

Si voltò verso John, imbarazzata, e d'un tratto si rese conto che lui non era più sdraiato a terra, ma era tornato seduto, le gambe incrociate, e ora la stava fissando con una certa insistenza.

Beth, come pietrificata, rimase immobile. Non si mosse neppure quando lui si avvicinò molto – troppo! –, fino a sfiorarle il ginocchio nudo con la mano destra. Non incontrando resistenza, le dita di lui rimasero lì dov'erano, mentre quelle della mano sinistra salirono fino a toccare il viso di Beth e le accarezzarono una guancia, spostandole delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Era come se Beth non fosse più padrona di se stessa. Ricambiò lentamente il suo sguardo e socchiuse gli occhi quando vide il volto di lui farsi vicino, vicinissimo, finché... il cellulare di John non iniziò a squillare ininterrottamente.

Ripresasi da quella trance, Beth spalancò gli occhi e, trovandosi di colpo vicinissima al volto di John, con le sue mani su di lei, si allontanò come se avesse preso le scossa.

Rimase a bocca aperta, con il battito del cuore che le rimbombava nei timpani. Ancora non riusciva a crederci. John la stava davvero per...?

Scoccò al ragazzo uno sguardo in tralice, rossa di vergogna. Ma John si stava sfilando il cellulare di tasca e non le stava prestando alcuna attenzione; aveva un'espressione torva dipinta sul volto e, dopo che ebbe dato una rapida occhiata allo schermo, si incupì ancora di più. Beth ebbe un brivido lungo la schiena, vedendolo così infuriato.

«Cosa caspita vuo...»

«JOHN!» In un attimo, la voce seccata di Annie fu chiara ad entrambi, tanto stava urlando. «Si può sapere dove ti sei cacciato?»

«Cazzi miei» sibilò lui per tutta risposta.

«Avanti Jo, smettila di fare così, qui ci stiamo divertendo tantissimo! E poi» disse, abbassando la voce, come se non si volesse far sentire da chi aveva accanto, «c'è un figo... non penso sia di questa scuola, perché sembra parecchio grande e non l'ho mai visto prima... Nathan, vieni qui!»

In quel momento un'altra voce, assai familiare a Beth, entrò prepotentemente nella conversazione e trapanò i timpani al povero John. Era Angie, isterica, che minacciava Annie di non provare a toccare suo fratello neanche con un dito, altrimenti l'avrebbe picchiata.

John allontanò il telefono dall'orecchio, quanto bastava per non essere assordato.

«Annie, sai benissimo che non sono gay» urlò nel ricevitore, «e sai altrettanto bene che ODIO LE FESTE! LASCIAMI IN PACE!» sbraitò, buttando giù.

Si ficcò il cellulare in tasca, l'intero corpo che tremava per la rabbia.

Beth rimase immobile, non osando muoversi né a parlare, e persino respirare in quel frangente le parve inappropriato. In quello stato, John la metteva davvero in soggezione.

Voltandosi a guardarla, il ragazzo dovette accorgersi che la stava spaventando, perché le rivolse un sorriso mesto.

«Quella... quella...» proruppe, per poi sospirare pesantemente. «Sembrava averlo fatto apposta!»

Beth ricambiò il sorriso, imbarazzata, ma non rispose. Era vero, ma d'altro canto lei era così sconvolta da non essere nemmeno troppo arrabbiata con Annie per... averli interrotti.

Si portò una mano al viso, confusa. Prima, in quell'attimo in cui entrambi avevano socchiuso gli occhi, in cui i loro volti si stavano per incontrare, il suo corpo le era sembrato del tutto sicuro di quel che stava facendo. Sembrava sapesse esattamente ciò che c'era da fare.

Adesso, invece, ogni cosa era innaturale e le sembrava di procedere a tentoni, in quell'atmosfera di colpo così imbarazzante. Aveva assecondato un impulso di John, stava per accadere qualcosa, dannazione, non potevano ignorarlo!

Ma tra i due si respirava di nuovo un'aria pesante, quindi Beth preferì non proferire parola e, per quanto dentro di sé lo ritenesse sbagliato, decise di far finta di nulla.

Si voltò verso John che, nel frattempo, era tornato a pancia in su sull'erba e teneva gli occhi chiusi. Osservandolo, la ragazza si accorse che il cellulare di John doveva essersi sfilato dalla tasca dei suoi pantaloni, mentre il ragazzo si metteva sdraiato, e adesso giaceva incustodito fra i fili d'erba, a pochi metri da lei.

Assecondando un impulso improvviso, Beth si allungò e lo prese in mano, attirando l'attenzione di lui, che aprì subito gli occhi.

«Che fai?» esclamò, scattando a sedere.

Quando vide che la ragazza aveva in mano il suo telefono, la guardò con aria interrogativa.

«Posso darti il mio numero?» propose Beth, su due piedi.

John rimase un momento in silenzio. «Se ci tieni tanto...» borbottò poi, scrollando le spalle.

Mentre Beth abbassava lo sguardo sullo schermo, si rese improvvisamente conto di ciò che gli aveva appena chiesto, e avvampò.

Da dove mi viene tutto questo coraggio, stasera?

Sorrise appena, pensando che fino ad allora il ragazzo non aveva mostrato niente in contrario.

Sbloccò rapidamente lo schermo, ma l'immagine che John aveva sfondo la lasciò di stucco, facendola indugiare un attimo di troppo.

«Tutto bene?» fece John, notando la sua esitazione.

Era la foto di una bambina dai capelli rossi e ribelli, con grandi occhi verdi e una spruzzata di lentiggini sulle guance. Rivolgeva all'osservatore un sorriso birichino e Beth dovette ammettere che aveva un'aria davvero graziosa, anche se credeva di aver capito di chi si trattasse e dire che la detestava era un eufemismo.

«Perché hai una foto di Annie come sfondo del cellulare?» domandò, senza riuscire a mascherare del tutto il suo disprezzo.

John le rivolse uno sguardo perplesso. Poi, abbassando lo sguardo, parve capire.

«Quella non è Annie. È Amy» la corresse lui, come se fosse ovvio.

«Sua sorella?» replicò Beth, non riuscendo a trattenersi.

«No» rispose secco John, fulminandola con lo sguardo. «Ma per me era come una sorella.»

Captando in lui un improvviso cambio di tono e capendo di aver fatto una gaffe, Beth non disse nulla, limitandosi a cliccare sull'icona della rubrica.

Com'era prevedibile da un asociale qual'era John, i suoi contatti si contavano sulle dita di una mano. Non resistendo alla curiosità, Beth scorse rapidamente i numeri e lesse i nomi di Annie, Night, e altri che invece non aveva mai sentito nominare. Aggiunse il suo contatto e fece per ridare il cellulare al suo legittimo proprietario, quando uno schiocco improvviso la fece trasalire.

Alzando di scatto lo sguardo, Beth vide che John si stava accendendo una sigaretta e dall'accendino saettava una fiamma.

Fuoco.

Lasciandosi sfuggire un grido di terrore, Beth scartò bruscamente di lato e si allontanò più che poté dal pericolo, strisciando a ritroso sull'erba.

John, colto alla sprovvista, si bruciò le dita con l'accendino e bestemmiò.

«Si può sapere che ti è preso?» gridò, agitando la mano bruciata, mentre con l'altra recuperava il cellulare da terra, che Beth aveva lasciato cadere nella fuga. «Sei un animale, per caso?»

Forse vedendo che non rispondeva né tantomeno accennava ad avvicinarsi, John si fece avanti, fino a scorgerla bene in volto. A quel punto, la sua espressione si addolcì: i suoi occhi dovevano essere riflessi di puro terrore.

«Ehi, ehi...» disse, inginocchiandosi vicino a lei, che continuava ad ansimare. «Tutto bene?»

Beth chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Quando li riaprì, sentì che stava tornando in sé e si affrettò ad assicurare John, che tuttavia continuava a rimanerle vicino.

«Non lo fare mai più, intesi?» disse poi lei, guardandolo fisso.

John ricambiò il suo sguardo, basito. «Cosa, fumare? Te lo puoi scord...»

«Farmi vedere il fuoco.» Dopo quella parola, la voce le si strozzò in gola.

«Fuoco? Quella fiammella dell'accendino?» John era esterrefatto.

La ragazza non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo. Le sue mani cercavano il medaglione tra le pieghe del vestito, quel medaglione che, solo qualche ora prima, Kia l'aveva convinta ad indossare. Quando finalmente le sue dita lo ebbero trovato, vi si strinsero al punto che le si sbiancarono le nocche. Sapeva bene che John la stava osservando e che quel gesto non doveva essergli sfuggito, ma in quel momento non le importava affatto.

«Che cosa ti è successo?» chiese infatti lui, piano.

Beth alzò gli occhi, di colpo lucidi. «Scusa, ma non mi va molto di parlarne» rispose, con voce flebile.

John annuì, pensieroso, senza fare commenti. Poi, senza alcun preavviso, la strinse di colpo a sé, togliendole il fiato per un attimo.

Le mani di Beth, rincuorata da quella stretta, allentarono la presa sul medaglione, e la ragazza abbandonò la testa contro il petto di lui.

«Grazie» bisbigliò, così piano che si chiese se John l'avesse udita.

I due, immobili e silenziosi, rimasero stretti in quella posizione per quella che a Beth parve un'eternità, quando la voce di John la riportò bruscamente alla realtà.

«Hai visto chi c'è?»

Beth, cercando di ignorare il suo cuore andato in tilt, sollevò il capo e vide, poco lontano da dov'erano seduti, un gruppetto di ragazzi dirigersi dietro la palestra, dal lato opposto in cui si trovavano. Riconobbe fra loro Night e, con un certo disappunto, anche Annie.

Voltandosi nella loro direzione, Night li vide. Fece loro un cenno di saluto e fu lì che Beth si accorse che aveva in mano delle bottiglie.

«Ragazzi!» esclamò a gran voce, barcollando verso di loro.

Beth e John, ancora stretti l'un l'altro, si scambiarono un'occhiata: Night brillo non doveva aver molto chiaro il concetto di privacy.

«Venite con noi?» propose, quando fu giunto a pochi metri da loro.

«Che combinate?» domandò John, separandosi da Beth, che invece rimase immobile.

Si era solo immaginata il tono un po' seccato con cui aveva risposto a Night?

«Non vogliono alcol alla festa» rispose il ragazzo, facendo tintinnare le bottiglie, come ad indicare quanto quel divieto fosse stato rispettato. «Abbiamo preso un paio di queste e pensavamo di andarle a bere sul tetto della veranda, così, per divertirci un po'. Ci state?»

Prima che la ragazza potesse rispondere, John esclamò: «Perché no? Beth?»

Si voltò verso Beth che, manco a dirlo, non aveva alcuna intenzione di andare a fare da balia ad un gruppo di ubriachi. Ma il tono entusiasta di John e il raro sorriso che illuminò il suo volto ebbero la meglio su di lei, che si ritrovò ad annuire.

I due si alzarono in piedi, ripulendosi gli abiti dai fili d'erba, e Night fece loro strada nel buio, debolmente rischiarato dalla luce dei lampioni disposti intorno alla palestra.

Ben presto Beth si accorse che le gambe faticavano a reggerla.

Troppe emozioni in una sola sera, si disse.

Quel bacio non andato a buon fine, quell'abbraccio, quelle piccole vittorie con se stessa, nel dare il suo numero a John... e quel ricordo dell'incendio che avrebbe accompagnato lei e Kia per sempre, e che persino una sciocchezza come la fiamma di un accendino bastava a far riemergere.

****

«Angie, mi spieghi dove stiamo andando?» domandai per l'ennesima volta alla mia amica, che mi stava guidando fuori dalla palestra.

Giusto pochi attimi prima era comparsa davanti a me, trafelata, dicendo che doveva parlarmi urgentemente, ma non mi aveva detto nient'altro, e stavo iniziando a spazientirmi.

«Ancora un attimo» mormorò lei, senza neanche voltarsi. «Te l'ho detto, voglio parlarti in privato.»

«Sì, ma c'era bisogno di allontanarsi così tanto?» obbiettai, un po' seccata, rabbrividendo per il freddo.

Eravamo ormai lontane dalla confusione della palestra e anche dalle luci dei lampioni, per cui continuavo ad inciampare nella ghiaia, nel buio più completo.

All'improvviso Angie si bloccò, ma io non me ne accorsi finché non le finii addosso.

«Ahia!» borbottò platealmente lei e dovetti trattenermi dal metterle le mani al collo.

Tanto con quel buio non l'avrei trovato, realizzai poi, ironicamente.

Mi guardai attorno, nel punto in cui Angie si era fermata e, cercando di abituare gli occhi all'oscurità, distinsi i profili degli alberi e quello di una piccola costruzione in legno.

«Siamo dietro la palestra?» chiesi, tentando di orientarmi.

«Esatto. Questa è una veranda» rispose Angie, indicando l'edificio che avevo messo a fuoco a fatica. «L'ho vista per la prima volta un giorno in cui, indovina un po', stavo rastrellando foglie insieme a Night» spiegò poi, avvicinandosi.

«Che senso ha costruire una veranda come questa dietro una palestra?» dissi, più a me che a lei, mentre la seguivo all'interno della costruzione.

Gli scalini in legno cigolavano sotto il mio peso con un rumore sinistro, facendomi rabbrividire.

«Ci si può stare, qui?» aggiunsi, sporgendomi contro la palizzata, dal lato opposto della veranda.

Sotto di noi intravidi quelli che avevano tutta l'aria di essere dei cespugli e poi... il nulla. Non sembrava essere troppo profondo, ma il buio non mi era d'aiuto.

«In effetti, non ne ho idea» ridacchiò Angie, quando una risata sguaiata ruppe il silenzio, gelandoci il sangue.

Alzammo entrambe lo sguardo sull'ampio soffitto a volta, perché sembrava provenire proprio da lì.

«John, passami quella bottiglia!» gridò una voce, seguita da un urlo. Poi altre risate.

«Questa è la voce di Night!» mi sussurrò Angie, confusa.

«Ehi, anche a me!» Stavolta fu un'acuta voce femminile ad interromperci. Feci notare alla mia amica che sembrava proprio quella di Annie.

Tendemmo l'orecchio, cogliendo altri stralci di conversazione, e non ci mettemmo molto a fare due più due: John, Night, Annie e chissà chi altri si stavano ubriacando sopra di noi, sul tetto della veranda.

«Non credo che ci abbiano sentite» bisbigliò Angie, sollevata.

«Ne voglio ancora, Night» sentimmo dire a John.

«È finita!» sbottò quello.

Qualcosa venne lanciato di sotto e urtò la palizzata, provocando un fragoroso schianto, cui seguirono nuove risa. Dovevano aver tirato giù la bottiglia di vetro, riducendola in mille pezzi.

«È finita?» singhiozzò John, suscitando l'ilarità generale.

«Qua sono davvero ubriachi fradici» mi sussurrò Angie, facendosi più vicina.

Ci fu un colpo secco e una figura piombò giù dal tetto, atterrando in piedi a pochi metri da noi. Il buio ci nascondeva, ma in cuor mio sperai comunque che non si voltasse nella nostra direzione.

«Vado a recuperare qualcosa» disse la figura, che si rivelò essere Night, rivolto ai ragazzi sul soffitto.

Quindi si incamminò barcollando lungo il sentiero e ben presto fu inghiottito dal buio.

Il silenzio fu all'improvviso rotto da Annie, che scoppiò in una risata stridula, la stessa, realizzai, che ci aveva spaventate appena arrivate alla veranda.

Devono divertirsi parecchio, là sopra.

A giudicare dai commenti, John stava cercando di zittirla insieme ad altri ragazzi, ma lei continuava a ridere ininterrottamente, e dava davvero i brividi.

«Ce ne andiamo? Quello che dovevi dirmi me lo dici da un'altra parte» esclamai, facendo per scendere dalla veranda, ma Angie mi afferrò un braccio, impedendo di allontanarmi.

«No, te lo dico adesso» disse, ma colsi un velo di incertezza nel suo tono di voce.

Attesi, perplessa. Cosa doveva dirmi di tanto importante, al punto da farci rimanere sotto una Annie con i neuroni carbonizzati e un John ancora più inquietante di quello che era da sobrio?

«Allora?» la incalzai.

«Devi sapere che...» esitò. «Ho detto a Sh...»

«SASSI!!»

L'urlo isterico di Annie coprì le parole della mia amica. Sospirammo all'unisono, mentre la rossa continuava a ridacchiare da sola.

«Ho detto a Shadow» ripeté, facendomi improvvisamente sudare freddo, «che tu sei fid...»

«SASSI!!»

«Con Lu...»

«SASSI!!»

La fissai senza capire. Avrei strozzato quell'oca di Annie al momento opportuno, prima dovevo saperne di più. Pregai Angie di ripetere quel che aveva detto.

Angie fece un respiro profondo e disse, tutto d'un fiato: «Insomma, gli ho detto che tu stai con L...»

«SASSI!!»

«B A S T A!»

Un urlo collettivo si levò dalla veranda: io, Angie e tutti i ragazzi di sopra ne avevamo davvero abbastanza.

Si udì un tonfo sordo, seguito da un urlo agghiacciante. Annie era caduta di sotto.

Angie ed io ci precipitammo alla palizzata, paralizzate dal terrore, e guardammo giù, cercando di scorgere qualcosa nel buio. Annie era ricoperta dai cespugli, immobile, ma, quando la udimmo ridacchiare, tirammo un sospiro di sollievo.

Probabilmente fu allora che Annie ci udì, perché sollevò faticosamente il capo nella nostra direzione.

«John, ti sei travestito?» esclamò, indicandomi, prima di scoppiare a ridere.

«JOHN!»

Una voce furiosa, la prima non impastata dall'alcol tra quelle che si erano levate dal soffitto, ci lasciò di sasso. Era la voce di Beth!

«Ti rendi conto di cosa hai combinato?»

«Ma dai, non si è fatta nulla!» protestò debolmente lui. «La senti come ridacchia? E poi non sono stato io, è stato Adam!»

«Non è vero!» ribatté quello, con voce strascicata.

Quella di Annie, quindi, non era stata una caduta accidentale data dall'ubriachezza, ma era stata spinta dagli altri. In circostanze normali, la cosa mi avrebbe fatto infuriare, ma al momento tutta la mia rabbia era rivolta altrove.

«Cosa ci fa Beth là sopra?» esclamai, furibonda.

Ignorando le proteste di Angie, che mi ordinava di scendere immediatamente, mi issai sulla palizzata e, puntellandomi sui gomiti, in un attimo fui sul tetto.

La mia improvvisa apparizione, occhi fiammeggianti e mani sui fianchi compresi, suscitò le reazioni più disparate tra i ragazzi, disposti in cerchio davanti ad una montagna di bottiglie e lattine vuote, che coincidevano con la cupola del tetto.

Chi urlò, chi si limitò a fissarmi con sguardo vacuo, chi attribuì alla mia comparsa motivi esoterici.

«Sei un angelo sceso in terra?» domandò Adam, fissandomi intensamente.

Lo ignorai, così come feci con gli altri, mentre facevo scorrere lo sguardo tra i presenti.

Individuai Beth in un attimo, seduta in un angolo, vicino a John. Non appena mi vide, a differenza degli altri, impallidì, il che mi parve già un buon segno.

«BETH!» gridai. «Cosa ci fai qui? Con... con loro?»

«Cosa ci fai tu qui!» ribatté nervosamente lei, mentre gli altri ragazzi ci fissavano confusi.

Mi sembrava di capire che l'unica persona rimasta sana di mente in quel momento fosse la mia amica.

«Cosa ci fate!» la corresse Angie, gridando, dalla veranda.

Beth mi fissò, sconcertata. Senza dubbio, Angie ed io eravamo state molto silenziose.

«Siamo arrivate qui per caso e vi abbiamo sentito strillare come aquile» mormorai, scuotendo la testa. «Ma non avevo idea che ci fossi anche tu!»

«Io non ho toccato una bottiglia!» si affrettò a spiegare Beth, prima di partire all'attacco. «Ma... ma se anche fosse? Non devo chiedere il permesso a nessuno, tantomeno a te, Kia!»

Alzai le mani. «Certo che no, sei libera di fare quel che ti pare. Ma sono la tua migliore amica, Beth» dissi amaramente e, dallo sguardo colpevole che lei mi rivolse, capii di aver fatto centro. «Non lo sarei se non mi preoccupassi per te, se ti lasciassi qui a passare la serata con dei ragazzi ubriachi fradici che, tra l'altro, hanno appena buttato una decerebrata giù dal tetto. Non credi che tu avresti fatto lo stesso, trovandomi in una situazione del genere?»

Lei annuì piano, mordendosi il labbro, ed io le sorrisi.

«Andiamo, Beth.»

«Hai ragione... aspettami, vengo con voi.» Si alzò in piedi, sistemandosi l'abito.

«Dove vai?» mugugnò John, trattenendola per l'orlo del vestito.

«Torno alla festa, John» mormorò lei, senza guardarlo, mentre i ragazzi esprimevano tutta la loro disapprovazione.

«Ma quanto caspita ci mette Night?» borbottò Adam, stancamente.

«Mi sa che è rimasto in palestra!» esclamò Angie, euforica, da sotto. «Adesso sì che ci si diverte!»

Tendemmo l'orecchio. In lontananza si udiva una musica... e non una musica qualsiasi!

«RAY CHARLES!» urlò Beth, eccitata, riconoscendolo all'istante. «MUSICA ANNI '60!»

Afferrò John per un braccio, costringendolo ad alzarsi in piedi.

«Beth...» protestò lui, barcollando. «Cosa...»

«Vieni con me!» disse lei, in un tono che non ammetteva repliche, aiutandolo a scendere dalla palizzata.

Non appena John fu sceso a terra fu il turno di Beth, poi il mio e dopo un altro ragazzo, ridotto un po' meglio degli altri, incaricato di recuperare Annie dai cespugli.

«Andiamo! Andiamo!» gridò Angie quando ci vide, emozionatissima.

«A momenti dovrebbero arrivare anche George e Camila!» mi ricordai improvvisamente, battendomi una mano sulla fronte.

«Allora andiamo!» concluse Beth, trascinandosi dietro John, che si reggeva a malapena sulle gambe.

Nel vedere quella strana coppia arrancare lungo il sentiero, Angie ed io scoppiammo a ridere.

«Angie» esordii, e lei rallentò fino ad avermi al suo fianco. «Comunque penso di aver capito ciò che volevi dirmi. Hai detto a Shadow... di Luke?»

Lei annuì, evitando di guardarmi in faccia, mentre camminavamo nel buio.

«Non voglio sapere perché lo hai fatto. Non avresti dovuto ma, a giudicare dalla tua aria da cane bastonato, direi che lo sai benissimo» mormorai, dandole scherzosamente di gomito. «In ogni caso, era la cosa migliore da fare. Non dovevo illuderlo.»

«Ma allora perché non glielo hai detto subito?» esclamò Angie, riscuotendosi. «Kia, ci è rimasto davvero male! Dovresti parlargli una volta per tutte!»

Sospirai, torcendomi le dita. «Hai perfettamente ragione, Angie, ma vedi...» La voce mi si incrinò. Feci un respiro profondo, mentre lei attendeva pazientemente. «Angie, sarò sincera. Le cose tra me e Luke stanno precipitando. Io non stavo illudendo Shadow, stavo illudendo me stessa. Non sai quante volte ho addirittura pensato di...»

Non continuai, sapendo che Angie avrebbe inteso quel che c'era da intendere.

Ammetterlo ad alta voce mi imbarazzava, ma era inutile girarci intorno: avere il piede in due scarpe non era cosa di cui andare fieri, ma d'altro canto Shadow era sempre stato gentile con me, e sembravo piacergli così tanto! Luke invece era il suo esatto contrario, sempre odioso, scontroso e sgarbato. Eppure mi sentivo tremendamente in colpa per aver anche solo pensato di tradirlo.

Ma perché ci sto ancora insieme?

Avvampai, ripensando poi all'ultima volta che ci eravamo visti: se da una parte eravamo agli antipodi, dall'altra l'attrazione tra di noi era ancora forte.

«Secondo me dovresti parlare con Shadow» mormorò Angie. «E poi devi assolutamente fare chiarezza con Luke!» proseguì, scuotendo la testa. «Il vostro rapporto è indecifrabile! Vi offendete, cinque minuti dopo state pomiciando! Peggio di me e Night!»

Ridacchiò, prima forse di rendersi conto di aver alluso a lei e Night come una coppia.

«Cioè... come io mi comporto con Night...» balbettò.

Scoppiai a ridere. «Angie, non sei credibile. Ormai lo abbiamo capito che ti piace.»

«Kia... stai zitta!» gridò lei, furiosa, facendo per afferrarmi.

Scattai in avanti e, nel tentativo di seminarla, inciampai in tutte le radici sporgenti possibili e immaginabili.

Fu così, correndo e ridendo a più non posso, sulle note di Mess Around, che tornammo alla festa.

****

Quando Angie ed io fummo entrate in palestra, entrambe con il fiatone, vidi Beth in un angolo del salone, che chiacchierava animatamente con due figure che riconobbi all'istante.

«Ci sono Geo e Cam!» esclamai emozionata ad Angie, mentre ci dirigevamo verso di loro.

«Ma non vedo Luke...» mi fece notare lei, guardandosi intorno.

«Non è una novità» mormorai con un'alzata di spalle, cercando di non mostrarmi troppo delusa.

Scacciando dalla mente il pensiero di Luke, mi sbracciai in direzione dei miei amici che, non appena mi videro, mi corsero subito incontro.

«Kia!» urlarono entrambi, al settimo cielo.

Non ebbi il tempo di rispondere al loro saluto perché Cam mi saltò praticamente in collo, stritolandomi in uno dei suoi abbracci.

«Ragazzi!» esclamai, quando riuscii a liberarmi.

Mentre li abbracciavo a mia volta, non potei fare a meno di notare che, a differenza nostra, in quei mesi non erano cambiati di una virgola. Camila era sempre piccolina, con i capelli corvini tagliati a caschetto e il fisico mingherlino, un po' da bambina; George era sempre biondo, alto e apparentemente affascinante, con quell'aria da copertina che svaniva non appena apriva bocca per dire una delle sue assurdità. Un po' come Luke, pensai, ma in positivo.

«Kia, ti vedo cresciuta» commentò George ridacchiando, mentre mi squadrava dall'alto in basso. 

Mi morsi la lingua, sforzandomi di ridere a mia volta.

«Lei è Angie, ragazzi, vi ricordate?» chiesi, introducendo la mia amica, nel tentativo di sviare l'attenzione da me.

Mentre lei li salutava con un'energica stretta di mano, entrambi diedero segno di averla riconosciuta: dopotutto non era facile scordarsi di un tipo come Angie.

«Eri nella stessa classe di Luke, giusto?» domandò Camila, ed Angie annuì.

A quelle parole, George ed io ci scambiammo una rapida occhiata. Fu lui il primo ad abbassare lo sguardo, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro.

«Onestamente non ne ho idea» mormorò, capendo al volo. «Gli ho lasciato l'indirizzo della scuola, ma non si è più fatto vivo.»

Per la seconda volta in quella serata, feci del mio meglio per non apparire troppo amareggiata. Dovevo aspettarmelo ma, come mio solito, avevo finito per fantasticare all'idea che sarebbe apparso all'improvviso, senza dir nulla a nessuno, per farmi una sorpresa. Dovetti trattenermi per non prendermi a ceffoni da sola: era di Luke che stavamo parlando, non del principe azzurro.

«Pazienza. Sappiamo tutti com'è fatto» dissi, scrollando le spalle. «Ma sono così contenta che voi siate venuti!»

Rivolsi loro un sorriso sincero. Era la verità: dopo mesi che non vedevo i miei migliori amici, che non udivo il suono delle loro risate, che non mi tiravano su di morale con le loro battute, non vedevo l'ora di trascorrere insieme un po' di tempo. La loro presenza mi era mancata come ossigeno.

Dopo aver chiacchierato un po' con Camila, Angie si congedò da noi, dicendoci che doveva andare a cercare Nathan, perché di lì a poco sarebbero dovuti partire per cercare di prendere in tempo l'ultimo traghetto per Dublino.

La salutammo, ripromettendoci di tenerci in contatto durante le vacanze natalizie, quindi decidemmo unanimemente di andare a prendere qualcosa da bere al buffet, dove però, come ci accorgemmo dopo esserci avvicinati, di cibo e bevande era rimasto ben poco.

«Sono passate le cavallette?» fece George, facendoci scoppiare a ridere.

Mentre Beth si ingegnava nel riempire i nostri quattro bicchieri con il poco punch rimasto nelle brocche, parlammo del più e del meno. Sia io che lei volevamo assolutamente sapere tutto ciò che era accaduto in campagna durante la nostra assenza ed essere messe al corrente di ogni pettegolezzo che aveva visto protagonisti i nostri amici o i loro familiari, e Camila e George non se lo fecero ripetere due volte.

La loro presenza e gli aneddoti che ci raccontarono furono terapeutici per me e, se da una parte accrebbero la mia nostalgia da casa – attenuata dal pensiero che quella sera sarei tornata – dall'altra parvero attenuare un po' la mia delusione per l'assenza di Luke.

«È ufficiale, non vedo l'ora di tornare!» comunicai loro, scoppiando a ridere.

Beth mi seguì a ruota e, dopo che ebbe distribuito i bicchieri, brindammo in nome della nostra amicizia.

«Kia, da quella parte è rimasto qualche tramezzino?» mi domandò Camila, approfittandone per farsi più vicina.

Dando un'occhiata alla tavola semideserta, non mi parve di vederne, ma lei, facendo in modo di non essere udita dagli altri due, si affrettò a rassicurarmi dicendo: «Tranquilla, non li voglio sul serio. Volevo solo sapere come stavi. Davvero.» Calcò bene sull'ultima parola, facendomi sorridere. «Potrai anche ingannare gli altri, ma non me.»

«...Insomma» dissi infine, dopo una lunga pausa, capendo di non poter continuare a fingere che andasse tutto bene.

Ero grata che Camila si preoccupasse per la mia situazione, ma una parte di me voleva solo ignorare il problema, come del resto avevo fatto fino ad allora.

«Forse dovresti parlare con Luke» mormorò lei, cercando il mio sguardo.

Mi sfuggì un sospiro. Era davvero così evidente che la mia relazione stesse andando a rotoli? Che Luke non mi ascoltasse mai, che non facesse mai niente di ciò che gli chiedevo? Nobile intento quello dei miei amici, ma ero stufa che anche una normale conversazione dovesse andare a parare sempre lì.

Le lacrime mi salirono di colpo agli occhi e, per evitare che mi tradissero, evitai lo sguardo di Camila, ma nel voltarmi incrociai quello di Beth, che parve capire al volo quel che stava succedendo.

«Camila, Geo! Non mi avete ancora raccontato niente su mio fratello. Cosa combina quando non ci sono?» domandò all'improvviso.

«Eddie?» esclamò George, afferrando Camila per le spalle. «Mettiti pure comoda!»

«Io vado a cercare qualcos'altro da bere» dissi in tutta fretta, non prima di aver rivolto un sorriso grato a Beth, che mi gridò un "Buona fortuna!", mentre mi avvicinavo ad un altro tavolo, anche quello reduce da una carestia.

Mentre mi rassegnavo all'idea che non mi sarebbe toccata nemmeno un bicchiere d'acqua, l'allegria che mi aveva accompagnato per tutta la sera e che di recente aveva cominciato a subire qualche tracollo svanì definitivamente, lasciando dentro di me solo un profondo senso di vuoto.

Sulle prime tentai di non lasciarmi condizionare, ma ben presto la tristezza ebbe la meglio su di me e, sperando che i miei amici fossero distratti, mi lasciai cadere pesantemente su una delle sedie disposte intorno a quel che rimaneva del buffet.

Intorno a me, i ragazzi che non erano ancora andati via ballavano al ritmo della musica dal vivo, ridendo e cantando a tutto spiano, ma tutta quella felicità, da cui fino a quel momento mi ero lasciata avvolgere, adesso iniziava a darmi davvero sui nervi.

Infastidita da tutto quel frastuono, abbassai lo sguardo sul pavimento, delusa e arrabbiata con me stessa, con Luke, con Cam e Angie che non si facevano gli affari loro e continuavano a darmi gli stessi consigli.

«Ehi... tutto ok?»

Una voce maschile mi costrinse ad alzare la testa.

Davanti a me c'era Adam, con l'aria un po' meno stravolta di quella che aveva quando l'avevo lasciato sul soffitto della veranda. Lo osservai con sincera curiosità: aveva finalmente finito di sbronzarsi?

«Certo, tutto ok» borbottai, con un tono che suonò poco convincente persino alle mie orecchie.

Neanche Adam, sbronzo o sobrio che fosse, sembrava essersela bevuta.

«Non mi sembra proprio» ribatté, lasciandosi cadere su una delle sedie accanto alla mia.

«E invece sto benissimo» dissi, con tutto il brio che riuscii a mettere insieme, sforzandomi anche di fargli un sorriso.

«Menomale» mormorò lui, per poi abbassare lo sguardo con un sospiro. «Comunque, mi dispiace per quello che hai dovuto vedere sul tetto, prima. Abbiamo fatto una figuraccia» borbottò, passandosi una mano fra i folti capelli rossi.

Lo fissai, stupita da quell'atteggiamento improvvisamente remissivo.

«Be', io non sono stata da meno» gli feci notare, ripensando alle parole con cui avevo apostrofato Beth. «Vi ho dipinto come un branco di idioti.»

«Non è che tu abbia tutti i torti» fece lui, facendomi scoppiare a ridere.

«Ora sì che sei sincera!» esclamò. «A chi volevi darla a bere, prima? E invece sto benissimo!» aggiunse, e la sua pessima imitazione mi fece ridere ancora di più.

«Effettivamente non stavo proprio benissimo» ammisi, rivolgendogli un sorriso autentico.

«Difficile non accorgersene. Spero solo che tu stia meglio» mormorò, sorridendo a sua volta.

Lo osservai, sempre più sorpresa, sforzandomi di capire se stesse dicendo sul serio. Non riuscivo a credere di stare davvero parlando con il porco che, alla partita, aveva palpato senza ritegno il culo di Arianna. Possibile che mi fossi sbagliata, sul suo conto?

Ero così persa nei miei pensieri che non mi accorsi subito che Adam mi aveva sfiorato le mani con le sue, di proposito. Le ritrassi di scatto.

«Scusami» fece lui, con un mezzo sorriso.

Tratta nuovamente in inganno, abbassai nuovamente la guardia e me ne resi conto troppo tardi, quando sentii le sue mani sfiorarmi viscidamente i capelli e poi scendere sulle spalle.

Lo spinsi via, allibita. «Adam, smett...»

«Allontanati da lei.»

Una voce profonda, che avrei riconosciuto tra mille, fece voltare entrambi di scatto.

Davanti a noi si ergeva un elegante ragazzo, biondo e statuario, che ci squadrava con due occhi blu oceano, affascinanti ma spaventosamente inespressivi. L'unico segno di attività cerebrale, infatti, era la bocca, piegata all'ingiù in un'inequivocabile smorfia di disprezzo.

Alto, muscoloso e ben piantato, nel complesso era di una bellezza che gli avrebbe tranquillamente consentito di confondersi tra i perfetti allievi della nostra scuola.

Perché non era di lì, come forse stava pensando Adam. Quel ragazzo così bello quanto freddo, tanto affascinante quanto insensibile, con quell'aria così perfetta che tanto poco si addiceva ad uno come lui, era probabilmente la persona più stronza, maleducata e incomprensibile che io avessi mai conosciuto.

Il mio ragazzo.

«LUKE?» gridai, scattando in piedi.

Poco lontano vidi distrattamente Shadow, accanto a Night, voltarsi al suono della mia voce, ma ero così sconvolta da quell'apparizione che non gli prestai alcuna attenzione.

Luke inizialmente non disse nulla, limitandosi a squadrarmi dall'alto in basso.

«Un chirurgo plastico, vedendoti, ha avuto compassione?» mormorò infine, con sufficienza.

«Ah, come mi era mancato il tuo senso dell'umorismo!» esclamai con rabbia.

E non sai quanto ci sei andato vicino.

«Probabilmente non ti ricordi neanche più come sono fatta.»

Notai con la coda dell'occhio che Adam, quatto quatto, se la stava svignando. Scelta saggia: mai rimanere nelle vicinanze mentre Luke ed io stavamo litigando.

«Esagerata come al solito» commentò lui sprezzante, passandosi una mano fra i capelli biondo scuro.

«Sai com'è, sono mesi e mesi che non ci vediamo» ribattei, fulminandolo con lo sguardo. «Per non parlare della tua apparizione di stasera... non ti aspettavo neanche più.»

«Non è una scusa per spassarsela con altri ragazzi» fece lui, glaciale. Diede un'occhiata al suo orologio da polso e aggiunse: «E poi, sono solo un po' in ritardo.»

La mia pazienza aveva un limite.

«UN PO' IN RITARDO?» gridai.

Notai che i miei amici ci stavano guardando con aria preoccupata, e non erano i soli: anzi, probabilmente dovevo avere gli occhi di tutto il salone puntati addosso, ma ero così furiosa che non mi importava.

«Non mi hai neanche avvertita! Ma poi, quando pensavi di arrivare, alle quattro del mattino? Puoi sempre rimanere a pulire con i custodi, tanto per partecipare alla festa in qualche modo!»

Luke si limitò ad un sospiro seccato. Dopo essersi frugato a lungo nelle tasche, ne estrasse quello che un tempo doveva essere stato un telefono cellulare, ormai irriconoscibile: accartocciato come una lattina, era solcato da una ragnatela di vetri rotti e sembrava sul punto di smembrarsi da un momento all'altro.

«Questo» mormorò, sventolandomi davanti quella carcassa, «è il motivo per cui non ho potuto avvertirti. È finito sotto gli zoccoli di Argent durante il concorso di oggi. Concorso» continuò lentamente, avvicinandosi a grandi passi, «che è la ragione per cui non sono potuto venire prima. Sai com'è, l'istituto che frequenti non è esattamente dietro l'angolo.»

Colta alla sprovvista, non seppi cosa replicare. Lui, ormai ad un passo da me, approfittò del mio silenzio per continuare imperterrito.

«Sono stremato dagli allenamenti e domani ho un'altra gara importante, ma volevi il tuo ragazzo alla festa, no?» fece un ampio gesto con le braccia. «Eccomi qua.»

«I-o...» balbettai, spiazzata.

Non sapevo cosa dire. Luke pareva sincero e, per la prima volta nella storia, probabilmente aveva ragione: era qui, nonostante dicesse di odiarmi, nonostante fosse pieno di impegni e sempre in viaggio per via dei concorsi ippici o per i genitori giornalisti, entrambi di origine americana. In cuor mio avevo sperato che si presentasse alla festa, facendomi dannare tutto il tempo, e alla fine lui l'aveva fatto.

«Io... ti detesto!» finii per sbottare, mentre lacrime di rabbia e di gioia mi rigavano le guance.

Scuotendo la testa, lui mi afferrò le mani e sul suo volto comparve per un attimo l'ombra di un sorriso.

«Potresti anche accontentarti» bisbigliò. «Invece di strillare come tuo solito.»

Lasciai che posasse le sue labbra sulle mie, dopo mesi d'astinenza.

Il silenzio più assoluto calò nella sala, interrotto solo dal bicchiere di Shadow che cadeva a terra, frantumandosi in mille pezzi.

 

SASS...cioè, ehilà!

Questo era il capitolo quattordici. Spero vi sia piaciuto. È probabilmente il più lungo dell'intera storia (e, tolto il capitolo sedici, anche quello che mi ha richiesto più tempo) ma devo ammettere che ci sono molto affezionata. Ci sono delle scene (vedi: SASSI!!) così assolutamente nonsense che mi fanno sorridere tuttora, al ricordo di come sono state ideate.

Qualcosina (spoiler: non sarà affatto ina) a proposito di questo capitolo. Direi di partire da lui, insomma, ecco, avete capito... Luke, fantomatico individuo che finalmente fa la sua entrata in scena nella storia. Dovete sapere che anch'egli, al pari di Cam e Geo, è una figura di spicco nell'immaginario prequel di Love School, mentre qui si limiterà a qualche breve cameo. Perché abbiamo scritto prima il sequel del prequel? Ah, boh. Ci riforniamo dallo stesso spacciatore di Nathan.

Mi sento in dovere di fare un "disclaimer". Luke è, oserei dire, il prodotto della mia ingenuità/idiozia adolescenziale/immaginario sociale. Al di là del fatto che mi diverte scrivere le sue battute, perché la sua ironia pungente mi fa sganasciare (penserete che mi diverta proprio tutto, e forse avete ragione), non so bene come potessi anche solo pensare che un individuo così antipatico, anaffettivo, acido e sgarbato nei confronti della sua ragazza fosse AFFASCINANTE.

Ma dove? Ma in che universo? Rileggendo certe cose, il facepalm diventa un riflesso involontario. Boh, per lo meno avevo la decenza di rendermi conto che una relazione del genere non potesse che essere in crisi, almeno questo XD Vabbè, portate pazienza. Nel caso non l'aveste capito, comunque, sono #TeamShadow.

Non so perché abbia speso qualcosa come cinque pagine per descrivere gli oufit delle protagoniste, si vede che all'epoca andava di moda così. Se non altro, avevo la decenza di definire i loro urletti "gli starnazzi di un gruppo di oche". Sempre puntare sull'autoironia, sempre.

Il mio ultimo commento sul capitolo va alla (povera) Annie. Non so esattamente quand'è che il suo personaggio abbia preso questa deriva da oca (per rimanere in tema) XD Inizialmente, infatti, non era sorta come un personaggio negativo... poi ci siamo un po' fatte prendere la mano. Penso che l'antipatia che la vera Beth e (soprattutto) la vera Angie nutrivano nei suoi confronti abbia influito. Vabbè, Kia ci prova a fare loro qualche discorsetto sulla solidarietà femminile. Comunque non preoccupatevi, sporadici fan di Annie, anche lei avrà il suo momento di gloria!

Ci vediamo al prossimo (improbabilissimo) capitolo!

  
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